Visualizzazione dei post in ordine di pertinenza per la query Stefano G. Azzarà. Ordina per data Mostra tutti i post
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domenica 30 agosto 2020

Non è solo per errori soggettivi se la sinistra non ritrova la strada - Aldo Garzia

Da: http://www.strisciarossa.it - Aldo Garzia è un giornalista e scrittore italiano.
Leggi anche:  Sul compromesso storico - Aldo Natoli 
                      Cosa diceva Berlinguer: discorso al "Convegno degli intellettuali" (1977)
                      La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni
                        CENNI STORICI DEL MOVIMENTO COMUNISTA - Stefano Garroni -
Vedi anche:  La storia, la nostra storia, qual è stata? - Stefano Garroni 
                      Comunisti, fascisti e questione nazionale Stefano G. Azzarà

Siamo tornati al punto di partenza. Cioè ai tormenti di Piero Gobetti e Antonio Gramsci all’inizio del secolo scorso. E, ancora prima, a quelli di Giacomo Leopardi del 1824 in Discorso sopra lo Stato presente dei costumi degl’italiani (Feltrinelli, 1991). Se non si compie infatti un’analisi chirurgica sul “caso italiano”, paragonabile a quella contenuta in La rivoluzione liberale (Gobetti) e nei Quaderni del carcere (Gramsci), la bussola della sinistra resterà a lungo senza riferimenti per andare a nord o a sud. Non convince infatti la lettura dell’impasse attuale della sinistra che fa ruotare l’analisi prevalentemente sugli errori “soggettivi”: siano quelli prima del governo Prodi, poi del Pd o dei vari contraenti di patti di unità e di governo. Non perché questi errori non ci siano stati. Ma perché soprattutto un esito così fragile dell’attuale configurazione della sinistra non può essere spiegato con le categorie del harakiri e del “tradimento”. Anche i gruppi dirigenti della sinistra e le loro politiche sono il frutto di un humus, per così dire, ambientale.
Se in via preliminare le cose stanno così, lo sguardo deve essere capace di andare oltre la congiuntura politica del giorno per giorno e il governo Conte (insperato un anno fa) misurandosi con la società che ha provocato tale esito politico. Del resto tutti i nostri problemi erano già stati squadernati dai deludenti risultati di varie elezioni che solo una certa pigrizia intellettuale aveva contribuito a sottovalutare. Aver sottovalutato, per esempio, il primato della riforma della politica come questione che riguardava innanzitutto la sinistra è stato – come dimostra l’emergere del fenomeno dei grillini degli anni scorsi – l’errore più grande. Da qui quel venir meno dello spartiacque tra destra e sinistra che non poteva che misurarsi con idee differenti di società, libertà, comportamenti e valori. La sinistra moderata (Pd) è diventata “centro” e quella radicale (gli spezzoni di Liberi e uguali) ha tentato di unirsi solo in condizioni di emergenza.

Quell’assenza di società

lunedì 24 ottobre 2022

DOV'È IL PERICOLO DEL FASCISMO OGGI? - Stefano G. Azzarà

Da: http://www.dialetticaefilosofia.it - https://www.marxismo-oggi.it - Stefano G. Azzarà insegna Storia della filosofia politica all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza dell’Internationale Gesellschaft Hegel-Marx. Dirige la rivista “Materialismo Storico”(materialismostorico - http://materialismostorico.blogspot.com). È impegnato in un confronto tra le grandi tradizioni filosofico-politiche della contemporaneità: liberalismo, conservatorismo, marxismo.

Vedi anche: Stefano G. Azzarà: "IL VIRUS DELL'OCCIDENTE" - a cura di Elena Fabrizio 
Esistono ancora destra e sinistra? - Stefano G. Azzarà

Leggi anche: IL VIRUS DELL'OCCIDENTE: la falsa alternativa tra democrazia liberale e sovranismo populistico, ovvero socialsciovinismo. - Stefano G. Azzarà 

Il 25 aprile, la Resistenza italiana e la guerra in Ucraina. Antifascismo reale e antifascistismo liberale - Stefano G. Azzarà 


Dov’è il fascismo oggi? Processi di concentrazione neoliberale del potere, stato d’eccezione e ricolonizzazione del mondo. (Stefano G. Azzarà, settembre 2022)

  1. Antifascismo degradato a propaganda 

Non c’è dubbio che in Fratelli d’Italia – il partito di Giorgia Meloni che tutti i sondaggi indicano come vincitore delle prossime elezioni con il 24% circa dei consensi – ci siano forti nostalgie fasciste o fascisteggianti. Diversi suoi esponenti nazionali e locali rappresentano già per la loro biografia la continuità con il MSI, la formazione che dopo la nascita della Repubblica italiana aveva raccolto gli eredi del fascismo sconfitto e che è stato a lungo guidato da Giorgio Almirante (un funzionario della Repubblica di Salò che nel contesto della Guerra Fredda seppe subito riposizionarsi in chiave filoamericana e anti-PCI).

E la stessa Meloni è stata dirigente del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del MSI incline a un impegno “sociale” e “movimentista” e attiva nelle scuole e nelle Università; un’organizzazione il cui nome venne cambiato in Azione Giovani dopo che quel partito era stato a sua volta ridenominato come Alleanza Nazionale da Gianfranco Fini, allo scopo di essere ammesso al governo, e della quale la Meloni divenne a quel punto leader. Tra l’altro, se Alleanza Nazionale si presentava nel 1994 come un’operazione di fuoriuscita della destra italiana dall’orizzonte della nostalgia e di apertura a un’impostazione dichiaratamente liberalconservatrice, Fratelli d’Italia – che nasce nel 2012 proprio dal fallimento di quell’operazione – ha certamente rappresentato ai suoi esordi un ritorno verso un orizzonte più chiuso. Dobbiamo poi notare un’inquietante ricorrenza storica: il partito che sin dal simbolo si richiama all’eredità del fascismo (la fiamma tricolore che si innalza dalla bara stilizzata del Duce) potrebbe andare al potere esattamente 100 anni dopo la Marcia su Roma di Mussolini. Possiamo già immaginare la soddisfazione e il sentimento di vendetta di quel ceto politico e dei militanti più accesi di quel partito. E possiamo prevedere anche l’operazione di revisionismo storico e di ulteriore normalizzazione o riabilitazione del fascismo alla quale questa infausta coincidenza darà avvio nel dibattito pubblico.

sabato 1 maggio 2021

Epidemie, storia, capitalismo. Passi indietro e passi avanti. - Roberto Fineschi

https://www.sinistrainrete.info - Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico) -  Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels (Marx. Dialectical Studies). 


 1. Pare che le epidemie siano un qualcosa di tipicamente umano, un tutt’uno con la vita associata. Quando nell’antica Mesopotamia sono nate le prime civiltà si è creato il contesto ideale perché esse prosperassero e si diffondessero. La vita comune di ingenti masse di individui che mangiano, bevono, espletano le proprie necessità fisiologiche, producono nello stesso luogo creò presupposti mai esistiti in precedenza per cui condizioni igieniche estreme e contiguità massiccia favorirono malattie e contagi; a ciò va aggiunta la convivenza promiscua con animali di vario tipo dai quali e ai quali trasmettere germi, bacilli ed ogni altra forma di vita potenzialmente nociva. La domesticazione umana, animale e ambientale va all’unisono con infezioni e malattie. Si calcola che, anche al tasso naturale di crescita, la popolazione mondiale dal 10.000 a.C al 5.000 a.C avrebbe dovuto almeno raddoppiare, invece, alla fine del periodo, essa era aumentata di appena un 25%, passando da 4 a 5 milioni, nonostante condizioni che in teoria avrebbero dovuto implicare anche più di una duplicazione (rivoluzione neolitica). Nei cinquemila anni successivi aumentò invece di una ventina di volte. Si ipotizza che, proprio a causa di epidemie e di un plurimillenario processo di adattamento della specie alle nuove condizioni di vita, l’espansione della popolazione sia stata drasticamente rallentata. Epidemiologicamente, si trattò con tutta probabilità del periodo più mortifero della storia umana. Sembra che le popolazioni mesopotamiche avessero già l’idea del contagio per trasmissione e che adottassero misure analoghe a quella della quarantena. 

Con la vita urbana, l’aumento di densità abitativa fu dalle dieci alle venti volte superiore a quanto mai fosse stato sperimentato dall’homo sapiens. Le malattie storicamente nuove, conseguenza della nuova pratica sociale, furono: colera, vaiolo, orecchioni, morbillo, influenza, varicella e, forse, malaria. Sono tutte collegate all’urbanizzazione e all’agricoltura. Dei millequattrocento agenti patogeni umani conosciuti, ottocento-novecento circa hanno avuto origine in organismi non umani ed hanno visto nell’essere umano l’ospite finale. La lista di malattie che condividiamo con vari animali, da polli a maiali, da cani a pecore è impressionante. Alcune delle trasformazioni biologiche furono conseguenza di trasformazioni intenzionali, come la coltivazione, ma altre semplicemente frutto dell’istituzione della domus e della vita associata1.

lunedì 21 dicembre 2020

Sulla dibattuta natura della società cinese - Alessandra Ciattini

   Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) insegna Antropologia culturale alla Sapienza di Roma.

Leggi anche: "Cina 2013" - Samir Amin

- La Nuova Era cinese tra declino Usa e debolezze Ue -

La Cina corre...

La nuova via della seta. Un progetto per molti obiettivi - Vladimiro Giacché

La Cina nel processo di globalizzazione*- Spartaco A. Puttini

Una teoria del miracolo cinese*- Cheng Enfu, Ding Xiaoqin**

Giovanni Arrighi, “Adam Smith a Pechino” - Alessandro Visalli

Come usare il capitalismo nell'ottica del socialismo - Deng Xiaoping

Cos’è davvero la Cina? - Intervista a Domenico Losurdo

Il comunismo nella storia cinese: riflessioni su passato e futuro della Repubblica popolare cinese*- Maurice Meisner**

IL VIRUS DELL'OCCIDENTE: la falsa alternativa tra democrazia liberale e sovranismo populistico, ovvero socialsciovinismo. - Stefano G. Azzarà

Vedi anche: LA CINA SPIEGATA BENE - Michele Geraci 

- OLTRE LA GRANDE MURAGLIA. LA CINA E' DAVVERO UN PERICOLO? -

Ascolta anche: L'o-Stato nel capitalismo - con Gianfranco Pala https://www.spreaker.com/user/11689128/lo-stato-nel-capitalismo-con-gianfranco-

 Il sistema economico-sociale cinese è probabilmente una forma di socialismo “di” o “con” mercato, la cui evoluzione può avere esiti diversi.


Scopo di questo articolo non è quello di svelare la natura della società cinese che, come mettono in evidenza Rémy Herrera e Zhiming Long (La Cina è capitalista? “Marx XXI”, 2020), nonostante tante dispute accese tra “esperti”, costituisce a tutt’oggi un “enigma” (p. 32). Più modestamente tenterò di dare conto dei contenuti di questo interessante volumetto, che individua nel sistema economico-sociale cinese elementi socialisti sia pure contraddittori, facendo un rapido parallelo con quanto è sostenuto in un’opera ben più densa, Il socialismo con caratteri cinesi. Perché funziona? di Zhang Boying, curato in italiano da Andrea Catone.

Una prima cosa interessante da mettere in evidenza è che, contrariamente a quanto si sostiene con insistenza in Occidente, lo straordinario sviluppo della Cina, che ne fa il principale oppositore degli Stati Uniti, non è avvenuto quarant’anni fa con l’apertura ai mercati, ma poggia su una civiltà che ha cinquemila anni di storia; inoltre, il ritmo accelerato di crescita del Pil, che ha fatto del paese asiatico “la fabbrica del mondo”, è cominciato prima della morte di Mao (1976), ossia quando il paese presentava tratti più nettamente socialisti (2020: pp. 33-34). [1] Inoltre, esso non è stato prodotto solo dal basso costo della manodopera, come comunemente si sostiene, ma anche dal minore costo delle risorse produttive fornite al sistema economico dalle imprese statali. Pertanto, essi sono bassi perché sotto il controllo statale (p. 67), il quale ha nelle sue mani anche il sistema bancario. 

Occorre anche notare che tale avanzamento industriale ed economico è avvenuto in un contesto internazionale molto difficile, dovuto all’embargo imposto dagli Stati Uniti e dai loro alleati nel 1952, e dalla successiva rottura delle relazioni di collaborazione con l’Unione sovietica (1960), senza scordare l’ormai quasi dimenticata guerra di Corea. Solo nel 1971 viene attribuito alla Cina il ruolo di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu prima ricoperto da Taiwan, Stato oggi riconosciuto solo da 17 paesi nel mondo. Dopo 15 anni di trattative, nel 2001 la Cina è stata ammessa all’Organizzazione mondiale del commercio, avendo accettato l’importazione di beni e servizi e l’avvio della transizione verso un’economia socialista di mercato.

Per comprendere il percorso intrapreso dall’ex impero celeste per assurgere al ruolo di superpotenza, non bisogna dimenticare il suo più grave problema rappresentato della questione agraria, la quale si pone in questi termini: essa deve nutrire quasi il 20% della popolazione mondiale con meno del 10% delle terre coltivabili disponibili nel nostro pianeta. Problema che è stato affrontato garantendo l’accesso alla terra per i contadini; garanzia che: “rimane, fino ad oggi, il contributo più prezioso dell’eredità rivoluzionaria” (p. 26).

Oggi la speranza di vita in Cina è di 74 anni, nel 2010 il tasso di alfabetizzazione ha raggiunto il 95%, negli ultimi trent’anni il Pil pro capite è quasi quadruplicato, la popolazione quasi raddoppiata, c’è stato un significativo sviluppo del sistema produttivo e delle infrastrutture, importanti avanzamenti si sono registrati anche nell’agricoltura. Le riforme intraprese a partire dal 1978 hanno ridisegnato il volto del paese asiatico al punto che “la natura del suo sistema non può più ormai esser definita in modo semplice, anche se ufficialmente il marxismo-leninismo [2] rimane l’ideologia di riferimento dello Stato” (pp. 28-29). 

I sostenitori del neoliberismo attribuiscono lo straordinario sviluppo della Cina grazie alla sua virata verso il capitalismo, anche se restano profondamente scandalizzati dal fatto che l’organizzazione politica e sociale del paese sta completamente nelle mani del Partito comunista, la cui egemonia non consentirebbe l’emergere della tanto amata democrazia liberale. Invece, i marxisti si trovano in grande disaccordo: chi vede nella Cina un nuovo faro socialista, chi considera il suo sistema “capitalismo di Stato”, chi critica le forti disuguaglianze che la crescita ha comportato.

domenica 27 dicembre 2020

L’impatto della crisi su povertà e disuguaglianze* - Francesco Schettino

 Da: https://www.sinistrainrete.info - Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 1/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, pp. 156-176, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 (http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/index) - Francesco Schettino (Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli), allievo di Gianfranco Pala. 

* Ci sembra opportuno sottolineare come questo articolo sia stato sottoposto all’at­tenzione della rivista il 7 febbraio del 2020, dunque ben prima dell’esplosione della pandemia legata al COVID19. Questo è un elemento utile ad avvalorare l’idea che essa debba essere intesa come amplificatore degli effetti della crisi attuale e giammai come la sua (unica o principale) causa. - 

Ascolta anche l'intervista di Radio Onda d'urto a Francesco Schettino: https://www.spreaker.com/user/11689128/manovra-economica-reddito-e-patrimoniale


1. All’alba del nuovo decennio

«Caro lettore, l’economia mondiale versa in una condizione di elevata fragilità. La spinta espansiva dei primi mesi del 2018 ha perso vigore prevalentemente a causa delle tensioni commerciali. A queste, vanno aggiunte le minacce provenienti dalla vulnerabilità dei mercati finanziari e dalle incertezze geopolitiche. Tali sfide privano i policy makers della possibilità di commettere passi falsi e, al contrario, gli impongono di adottare giuste politiche a livello locale, internazionale e globale». 

Questo incipit sembrerebbe essere stralciato da un articolo di uno studioso marxista nell’analisi, corretta, della fase critica del capitale. Tuttavia, la fonte è di natura profondamente distinta e per questo assume, per quanto possibile, una rilevanza ancor superiore: si tratta del messaggio dell’Acting Manager del Fmi, David Lipton, pubblicato in apertura del periodico IMF Annual Report (2019). Insomma, parafrasando Lenin, ancora una volta, a fronte di una parte della sinistra radicale alla costante ricerca di “nuovismi” teorici da cui farsi incantare, sono proprio i “borghesi onesti e sinceri” (ammesso e non concesso che loro lo siano) a fornire l’analisi materiale più aderente alla fase che il capitale mondiale sta vivendo.

Il rapporto, pubblicato nell’ultimo trimestre del 2019, fa da eco ai campanelli d’allarme già suonati negli anni passati, che nel frattempo si sono moltiplicati dacché una parte cospicua di analisti inizia a tenere in adeguata considerazione il fatto che il 2020 potrebbe essere l’anno in cui le bolle finanziarie (ri)gonfiatesi, almeno dal 2008, potrebbero esplodere con una violenza forse sconosciuta.

Un’avvisaglia in questo senso, che ha terrorizzato gli operatori almeno un po’ coscienti delle dinamiche dei mercati finanziari, si è materializzata il 17 settembre 2019, giorno che, per ora, racconta poco ma che in futuro potremmo trovare sui libri di storia.

martedì 16 febbraio 2021

CAPITALE SENZA RIVOLUZIONE? - Riccardo Bellofiore

 Da: http://www.palermo-grad.com - Riccardo Bellofiore, Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo. (Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info

Leggi anche: H.G. Backhaus e la dialettica della forma di valore - Riccardo Bellofiore, Tommaso Redolfi Riva

Introduzione a "Scritti politici di Rosa Luxemburg". La Rivoluzione - Lelio Basso

KEYNESISMO E MARXISMO A CONFRONTO SU DISOCCUPAZIONE E CRISI - Domenico Moro

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi

Cosa significa socialismo nel XXI secolo e cos'è lo Stato socialista? - Stefano G. Azzarà



Pubblichiamo la relazione di Riccardo Bellofiore alla conferenza sul centenario della rivoluzione d’ottobre tenuta a Roma il 18-22 gennaio 2017 e organizzata dall’associazione e rete C17. L’intervento è stato trascritto e pubblicato in Comunismo necessario – Manifesto a più voci per il XXI secolo, a cura di C17 (Mimesis, 2019). Qui di seguito troverete le domande poste da C17 e subito dopo la relazione di Riccardo Bellofiore.




C17:
Cos’è diventato il Capitale nel XXI secolo? Come intendere la “singolarità” del capitalismo neoliberale? Si tratterà per un verso di qualificare – su scala globale – la nuova composizione del lavoro e dello sfruttamento. Ma anche, chiaramente, la composizione del Capitale stesso, tra estrazione del valore e finanza. Per l’altro di percorrere gli antagonismi e la produzione di soggettività (ambivalente) che segnano das Kapital contemporaneo.


1. Aggiornare la critica
Condizione e finalità della critica dell’economia politica borghese è, per Marx, l’esistenza delle classi e la loro incessante lotta: attraverso la «scoperta» dello sfruttamento, la critica marxiana rende visibile la società divisa in luogo dell’individuo isolato e la storia in luogo dell’eternità delle categorie dell’economia politica. Tuttavia, il nuovo paradigma economico-politico «borghese» oggi dominante ha radicalmente modificato il suo oggetto e le forme attraverso cui mistifica il conflitto di classe: alle classi sociali è stato sostituito l’individuo proprietario, alla legge del valore-lavoro quella del valore-utilità, fondando l’origine dell’economia sullo scambio di mercato anziché sulla produzione. In che modo una critica dell’economia politica adeguata al tempo presente deve confrontarsi con queste modifiche nell’oggetto della scienza economica? 

venerdì 6 luglio 2018

GRAZIE DI TUTTO DOMENICO LOSURDO

Da: https://materialismostorico.blogspot.com/2018/07/domenico-losurdo-1941-2018 - https://domenicolosurdo.blogspot.com/2018/07/

Dall'intervista che chiude il libro di Stefano G. Azzarà L''humanité commune : Dialectique hégélienne, critique du libéralisme et reconstruction du matérialisme historique chez Domenico Losurdo (Delga, Paris 2012).

Domanda. Come incide questa debolezza teorica sullo stato della sinistra attuale? L'Europa si confronta oggi con trasformazioni imponenti che stanno mutando il volto del mondo. Sono trasformazioni che riguardano i rapporti di forza internazionali sul piano politico e su quello economico, ma anche l'equilibrio tra Stato e mercato, la natura della democrazia, le grandi migrazioni. La sinistra non sembra avere oggi né idee, né prospettive politiche.

Losurdo. Con la crisi prima e col crollo poi del «socialismo reale», in Occidente e in Italia in modo particolare la sinistra ha smarrito ogni reale autonomia. Sul piano storico ha sostanzialmente desunto dai vincitori il bilancio storico del Novecento. Due sono i punti centrali di tale bilancio: per larghissima parte della sua storia, la Russia sovietica è il paese dell'orrore e persino della follia criminale. Per quanto riguarda la Cina, il prodigioso sviluppo economico che si verifica a partire dalla fine degli anni 70 non ha nulla a che fare col socialismo ma si spiega soltanto con la conversione del grande paese asiatico al capitalismo. A partire da questi due capisaldi ogni tentativo di costruire una società post-capitalistica è oggetto di totale liquidazione e persino di criminalizzazione, e l'unica possibile salvezza risiede nella difesa o nel ristabilimento del capitalismo. E paradossale, ma sia pure con sfumature e giudizi di valore talvolta diversi, questo bilancio viene spesso sottoscritto dalla sinistra, compresa quella «radicale».

Ancora più grave è la subalternità di cui la sinistra dà prova sul piano più propriamente teorico. Nell'analizzare la grande crisi storica che si sviluppa nel Novecento, l'ideologia dominante evita accuratamente di parlare di capitalismo, socialismo, colonialismo, imperialismo, militarismo. Queste categorie sono considerate troppo volgari. I terribili conflitti e le tragedie del Novecento sono invece spiegate con l'avvento delle «religioni politiche» (Voegelin), delle «ideologie» e degli «stili di pensiero totalitari» (Bracher), dell«assolutismo filosofico» ovvero del «totalitarismo epistemologico» (Kelsen), della pretesa di «visione totale» e di «sapere totale» che già in Marx produce il «fanatismo della certezza» (Jaspers), della «pretesa di validità totale» avanzata dalle ideologie novecentesche (Arendt). Se questa è l'origine della malattia novecentesca, il rimedio è a portata di mano: è sufficiente un'iniezione di «pensiero debole», di «relativismo» e di «nichilismo» (penso al Vattimo degli anni Ottanta). In tal modo non solo la sinistra fornisce il suo bravo contributo alla cancellazione di capitoli fondamentali di storia: i massacri e i genocidi coloniali sono stati tranquillamente teorizzati e messi in pratica in un periodo di tempo in cui il liberalismo si coniugava spesso con l'empirismo e il problematicismo; prima ancora dell'avvento del pensiero forte novecentesco, la prima guerra mondiale ha imposto col terrore a tutta la popolazione maschile adulta la disponibilità e la prontezza ad uccidere e ad essere uccisi. Per di più, come medico per eccellenza della malattia novecentesca viene spesso celebrato Nietzsche, che pure si attribuisce il merito di essersi opposto «ad una falsità che dura da millenni» e che aggiunge: «Io per primo ho scoperto la verità, proprio perché per primo ho sentito la menzogna come menzogna, la ho fiutata» (Ecce homo, Perché io sono un destino, 1). Così enfatica è l'idea di verità, che coloro i quali sono riluttanti ad accoglierla sono da considerare folli: sì, si tratta di farla finita con le «malattie mentali» e con il «manicomio di interi millenni» (L'Anticristo, § 38). D'altro canto, il presunto campione del «pensiero debole» e del «relativismo» non esita a lanciare parole d'ordine ultimative: difesa della schiavitù quale fondamento ineludibile della civiltà; «annientamento di milioni di malriusciti»; «annientamento delle razze decadenti»! La piattaforma teorico-politica suggerita a suo tempo da Vattimo ma che Vattimo stesso pare oggi mettere in discussione - mi sembra insostenibile da ogni punto di vista.

Altre correnti del pensiero dominante indicano il rimedio alle tragedie del Novecento non già nel relativismo, ma, al contrario, nel recupero della saldezza delle norme morali, sacrificate da comunisti e nazisti sull'altare del machiavellismo e della Realpolitik (Aron e Bobbio) ovvero della filosofia della storia e della presunta necessità storica (Berlin e Arendt). Nella sinistra e nella stessa sinistra radicale (si pensi a «Empire» di Hardt e Negri) è divenuta un punto di riferimento soprattutto Arendt. Rimossa o sottoscritta è la liquidazione a cui lei procede di Marx e della rivoluzione francese con la connessa celebrazione della rivoluzione americana (e il conseguente indiretto omaggio al mito genealogico che trasfigura gli Usa quale «impero per la libertà», secondo la definizione cara a Jefferson, che pure era proprietario di schiavi). In questo caso ancora più assordante è il silenzio sulla tradizione colonialista e imperialista alle spalle delle tragedie del Novecento. Arendt condanna lidea di necessità storica nella rivoluzione francese, e soprattutto in Marx e nel movimento comunista; dimentica però che il movimento comunista si è formato nel corso della lotta contro la tesi del carattere ineluttabile e provvidenziale dell'assoggettamento e talvolta dell'annientamento delle «razze inferiori» ad opera dell'Occidente, si è formato nel corso della lotta contro il «partito del destino», secondo le definizione cara a Hobson, il critico inglese dell'imperialismo, letto e apprezzato da Lenin. Arendt contrappone negativamente la rivoluzione francese, sviluppatasi all'insegna dell'idea di necessità storica, alla rivoluzione americana, che trionfa all'insegna dell'idea di libertà. In realtà l'idea di necessità storica agisce con modalità diverse in entrambe le rivoluzioni: se in Francia viene considerata ineludibile anche l'emancipazione degli schiavi, che è in effetti è sancita dalla Convenzione giacobina, negli Usa il motivo del Manifest Destiny consacra la conquista dell'Ovest, inarrestabile nonostante la riluttanza e la resistenza dei pellerossa, già agli occhi di Franklin destinati dalla «Provvidenza» ad essere spazzati via.

Arendt muore nel 1975, non ancora settantenne. In questa morte precoce c'è un elemento paradossale di fortuna sul piano filosofico. Solo successivamente intervengono gli sviluppi storici che falsificano totalmente la piattaforma teorica della filosofa scomparsa: a partire dalla presidenza Reagan sono proprio gli Stati Uniti a impugnare la bandiera della filosofia della storia contro l'Urss e i paesi che si richiamano al comunismo, destinati a finire nella «spazzatura della storia» e comunque collocati ai giorni nostri lo proclamano Obama e Hillary Clinton «dalla parte sbagliata della storia». Più longevi ma meno fortunati sul piano filosofico sono i devoti di Arendt, che continuano a ripetere la vecchia filastrocca, senza accorgersi del radicale rovesciamento di posizioni che nel frattempo si è verificato sul piano mondiale.
Subalterna sul piano del bilancio storico così come delle categorie filosofiche, la sinistra (compresa quella radicale) è chiaramente incapace di procedere a un'«analisi concreta della situazione concreta». Tanto più, se teniamo presente che alla catastrofe teorico-politica ha contribuito ulteriormente una mossa sciagurata, quella che contrappone negativamente il «marxismo orientale» al «marxismo occidentale». Alle spalle di questa mossa agisce una lunga e infausta tradizione. In Italia, subito dopo la rivoluzione d'ottobre, Filippo Turati, che continua a fare professione di marxismo, non riesce a vedere nei Soviet null'altro che l'espressione politica di un«orda» barbarica (estranea e ostile all'Occidente). A partire dagli anni 70 del secolo scorso, la divaricazione tra marxisti orientali e marxisti occidentali ha visto contrapporsi da un lato marxisti che esercitano il potere e dall'altro marxisti che sono all'opposizione e che si concentrano sempre più sulla «teoria critica», sulla «decostruzione», anzi sulla denuncia del potere e dei rapporti di potere in quanto tali, e che progressivamente nella loro lontananza dal potere e dalla lotta per il potere ritengono di individuare la condizione privilegiata per la riscoperta del marxismo «autentico». E una tendenza che ai giorni nostri raggiunge il suo apice nella tesi formulata da Holloway, in base alla quale il problema reale è di «cambiare il mondo senza prendere il potere»! A partire da tali presupposti, cosa si può capire di un partito come il Partito comunista cinese che, gestendo il potere in un paese-continente, lo libera dalla dipendenza economica (oltre che politica), dal sottosviluppo e dalla miseria di massa, chiude il lungo ciclo storico caratterizzato dall'assoggettamento e annientamento delle civiltà extra-europee ad opera dell'Occidente colonialista e imperialista, dichiarando al tempo stesso che tutto ciò è solo la prima tappa di un lungo processo all'insegna della costruzione di una società post-capitalistica?

sabato 17 novembre 2018

Rivoluzione socialista e Rivoluzione anticoloniale - Domenico Losurdo

Da: Stefano G. Azzarà - Domenico_Losurdo è stato un filosofo, saggista e storico italiano.
Vedi anche: LUCIANO CANFORA. Pensare la rivoluzione Russa  (https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/06/pensare-la-rivoluzione-russa-luciano.html)
                    DOMENICO LOSURDO: "Marx, la rivoluzione scoppiata in suo nome e il problema della libertà."  (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/01/marx-la-rivoluzione-scoppiata-in-suo.html).
                                                    Parte prima: 

                                                    Parte seconda: https://www.youtube.com/watch?v=DrBtbVnGa9U

giovedì 19 maggio 2016

lunedì 11 gennaio 2021

KEYNESISMO E MARXISMO A CONFRONTO SU DISOCCUPAZIONE E CRISI - Domenico Moro

 Da: https://www.lordinenuovo.it - DOMENICO MORO è ricercatore presso l’Istat, dove si occupa di indagini economiche strutturali sulle imprese. Ha lavorato nel settore commerciale di uno dei maggiori gruppi multinazionali mondiali ed è stato consulente della Commissione Difesa della Camera dei deputati.

Leggi anche: Come va l’economia? Ne parliamo con Domenico Moro

L’esplosione del debito pubblico senza un prestatore di ultima istanza - Domenico Moro

CATASTROFE O RIVOLUZIONE - Emiliano Brancaccio

La Modern Monetary Theory - Intervista a Marco Veronese Passarella

INTERVISTA A VLADIMIRO GIACCHÉ - Bollettino Culturale

L’impatto della crisi su povertà e disuguaglianze* - Francesco Schettino

Cosa significa socialismo nel XXI secolo e cos'è lo Stato socialista? - Stefano G. Azzarà

Vedi anche: INTERVISTA A RICCARDO BELLOFIORE - Bollettino Culturale 


La crisi del Covid-19 ci pone davanti ad un aumento della disoccupazione di massa. Secondo l’Istat nel III trimestre del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, gli occupati sono diminuiti di 622mila unità (-2,6%), fra questi i dipendenti sono diminuiti di 403mila unità e gli indipendenti di 218mila unità. I disoccupati[1] sono invece aumentati di 202mila unità (+8,6%) raggiungendo la cifra di 2milioni 486mila. Anche gli inattivi – cioè quelli che comprendono i cosiddetti “scoraggiati” che neanche provano a cercare lavoro – sono cresciuti di 265mila unità (+2%)[2]. Bisogna, inoltre, aggiungere che l’aumento dei disoccupati e degli inattivi avviene in un contesto di blocco dei licenziamenti. Ad essere state colpite dall’aumento della disoccupazione sono state, fino ad ora, le figure precarie dei lavoratori a tempo determinato. Secondo alcune stime[3], l’eliminazione del blocco dei licenziamenti potrebbe generare un milione di disoccupati in più, portando il loro numero totale a oltre 3,5 milioni, una cifra impressionante, che metterebbe a dura prova non solo la tenuta del welfare ma anche la tenuta sociale e politica del sistema.

Comunque, la situazione occupazionale italiana era tutt’altro che rosea anche prima del Covid-19. L’economia italiana è stata una delle più lente nella Ue a recuperare dalla crisi precedente. Nel 2019, il numero degli occupati (22milioni 687mila) era ancora leggermente inferiore al picco pre-crisi, registrato nel 2008 (22milioni 698mila)[4]Anche nel confronto con il resto della Ue la situazione italiana è tra le peggiori: il tasso di occupazione (15-64 anni) in Italia nel 2019 era del 59%, mentre era del 68,4% nella Ue a 27 e del 68% nell’area euro, con la Germania al 76,7%, la Francia al 65,5%, e la Spagna al 63,3%[5].

Di fronte a questi dati appare chiaro quanto il tema della disoccupazione sia fondamentale nello scenario politico italiano. Per questo è importante avere una chiara visione teorica della disoccupazione e delle sue cause. A tale scopo partiamo dalla teoria borghese mainstream che individua come causa principale della disoccupazione la rigidità del mercato del lavoro, ossia la difficoltà a ridurre il costo del lavoro e i salari.

I neoclassici e la critica keynesiana 

domenica 26 dicembre 2021

LA LIBERTÀ, LA MORTE, LO STATO. FILOSOFIE E IDEOLOGIE DELLA QUESTIONE PANDEMICA - Emiliano Alessandroni

 Da: https://filosofiainmovimento.it - Emiliano Alessandroni, Università degli Studi di Urbino 'Carlo Bo'. 

Leggi anche: Dal 2030 il mondo sarà meraviglioso secondo l’Agenda Onu - Alessandra Ciattini 

Sul privilegio. Note critiche su Agamben-Cacciari - Roberto Finelli, Tania Toffanin 

Che cos'è la libertà? Il Covid-19 e la difesa del diritto alla vita - Emiliano Alessandroni 



1. Libertà 
2. Società 
3. La meditatio mortis
4. Cospirazionismo e complottismo 
5. Il quadro internazionale



1. Libertà

Pochi esempi sembrano così eloquenti, per quanto concerne le influenze esercitate dall’ideologia sulla semantica, di ciò che nella storia del linguaggio è accaduto alla parola “libertà”, oggi al centro di un acceso dibattito filosofico e politico sul valore delle misure anti-pandemiche. Questa parola è stata infatti evocata, nel corso della storia, all’interno delle circostanze più svariate e di rivendicazioni fra loro persino contrapposte. “Libertà!” gridavano, ad esempio, gli schiavi neri in rivolta a Santo Domingo e negli Stati Uniti del Sud. Ma “libertà!” gridavano anche i proprietari di schiavi che negli Usa agognavano la secessione dal Nord per continuare a perpetrare la schiavitù su base razziale e chiedevano che lo Stato, il governo centrale, non si intromettesse nei propri affari commerciali. 

Nell’ambito della modernità occidentale, in particolar modo, vediamo spesso incontrarsi e non molto meno spesso scontrarsi, almeno tre idee generali di libertà. 

venerdì 27 gennaio 2023

Tappe e percorsi della dialettica hegeliana: la Rivoluzione d’ottobre e il pensiero di Hegel - Giovanni Sgrò

 Da: Materialismo Storico - Sinistrainrete - Giovanni Sgro è professore associato di “Storia della filosofia” presso l’Università eCampus di Novedrate. 

Leggi anche: HEGEL IN URSS. HEGELISMO E RICEZIONE DI HEGEL NELLA RUSSIA SOVIETICA - Valeria Finocchiaro  

Nei Quaderni filosofici di Lenin: lo studio della Logica e la lettura del proprio tempo - Emiliano Alessandroni 

Lenin, Quaderni filosofici - Introduzione di R. Fineschi

Lenin lettore di Hegel*- Stathis Kouvélakis 

Dialettica, oggettivismo e comprenetrazione degli opposti. Il pensiero di Lenin tra filosofia e politica - Emiliano Alessandroni 

RICERCHE MARXISTE - Momenti del dibattito sulla Nep - Stefano Garroni 

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1. I contributi raccolti nel volume che qui si presenta1, ricostruiscono dettagliatamente un incontro “epocale” nella storia della filosofia (e non solo della filosofia!) contemporanea: la recezione e l’influenza della filo­sofia di Hegel nel e sul pensiero filosofico e politico russo. Questo incon­tro non inizia però - né, tanto meno, termina - con la Rivoluzione d’Ot­tobre. Infatti, prima ancora che l’opera di Hegel giungesse in Russia, fu l’intelligencija russa a recarsi a Berlino per conoscere e studiare l’opera di Hegel2. Anzi, come è stato giustamente osservato3, lo stesso incontro tra il pensiero di Hegel e gli intellettuali russi è di tipo dialettico: è avve­nuto molto presto ma, allo stesso tempo, anche molto tardi. Molto presto cronologicamente, in quanto i primi contatti si sono avuti già all’indo­mani della morte di Hegel (1831), negli anni Trenta e Quaranta dell’Ot­tocento ( Vormarz); ma a un livello di elaborazione molto tardo, in quanto l’immagine di Hegel che gli intellettuali russi assimilarono e che poi si adoperarono a diffondere e a propagandare nel loro paese era profonda­mente formata e mediata dall’interpretazione dei Giovani hegeliani.

Vissarion Grigor’evic Belinskij (1811-1848), Michail Aleksandrovic Bakunin (1814-1876) e Aleksandr Ivanovic Herzen (1812-1870) distin­guevano nettamente il metodo rivoluzionario dal sistema conservatore, consideravano quindi la dialettica hegeliana come un’arma rivoluzionaria, offrivano un’interpretazione in chiave dinamica dei rap­porti tra reale e razionale e, nel complesso, aderivano pienamente a una lettura in chiave progressista e rivoluzionaria della filosofia hegeliana4.

Questa lettura giovane-hegeliana della filosofia e, in particolare, della dia­lettica hegeliana sarà poi quasi letteralmente riformulata da Engels, più di quarant’anni dopo, nel suo famoso pamphlet di politica culturale, in cui si sofferma sul rapporto suo e di Marx con Hegel e su quell’“anello intermedio” tra la filosofia hegeliana e la concezione materialistica della storia rappresentato da Ludwig Andreas Feuerbach (1804-1872)5.

Per quanto riguarda i Giovani hegeliani russi, sarà soprattutto Herzen a valorizzare la categoria della mediazione per pensare - insieme a Hegel e oltre Hegel - il fallimento delle rivoluzioni del 1848. Ricorrendo a una filosofia della storia profondamente radicata nel presente, che non am­mette romantiche fughe nel passato né anticipazioni anacronistiche del futuro, Herzen rappresenta l’anello di congiunzione tra le diverse espe­rienze delle rivoluzioni europee del 18486 e l’eredità rivoluzionaria russa del Nachmàrz, ed è il primo a porre il problema della “non-contemporaneità russa”7, che costituirà il nodo teorico e politico del grande dibattito tra populismo e marxismo in Russia.