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giovedì 17 ottobre 2019

- "CHE GUEVARA, UN ANTIDOGMATICO PER DISCUTERE ANCORA" - Aldo Garzia

Da:"Il Manifesto" (https://ilmanifesto.it/) - https://www.facebook.com/aldo.garzia. - Aldo Garzia è un giornalista e scrittore italiano.
Ascolta anche: Che-Guevara-raccontato-da-Aldo-Garzia-
Leggi anche: Il socialismo e l'uomo a Cuba - Ernesto Che Guevara (1965)


Dopo pochi giorni da quel maledetto 9 ottobre 1967 in cui fu assassinato in Bolivia, Ernesto Guevara era già riferimento ideale dei movimenti che scuotevano l’occidente e il terzo mondo. Il 1968 italiano, con la pubblicazione da parte dell’editore Feltrinelli in anteprima mondiale del "Diario del Che in Bolivia" e di una antologia di discorsi e scritti, consacrò Guevara in questo ruolo. In quegli anni non esistevano voli aerei low cost, Cuba e Vietnam sembravano lontanissimi, eppure il Che e Ho Chi Minh ci parlavano da vicino del risveglio del terzo mondo e di liberazione.

Il fenomeno guevariano dura tuttora per le generazioni del duemila, pur se hanno letto poco i suoi scritti, conoscono altrettanto poco la sua biografia e lo riconoscono quasi solo nella famosa foto di Alberto Korda che lo ha immortalato con il basco e lo sguardo fisso nell’orizzonte. Il Che resta infatti sinonimo di ribellione e di indissolubile rapporto tra etica e politica. Una misteriosa alchimia ha infatti segnato il passaggio di testimone da una generazione all’altra. Del resto l’azione politica ha bisogno di immaginazione e di simboli in cui riconoscersi: Guevara è tra questi.

Come ha ricordato più volte lo scrittore Eduardo Galeano, lo scandalo del Che sta nell’aver fatto quello che andava dicendo non in ottusa coerenza ma cambiando posizioni quando la realtà lo imponeva. L’icona guevariana ha inoltre tutti gli ingredienti per resistere al logorio dei decenni: l’assassinio in Bolivia a soli 39 anni, l’abbandono dell’Avana quando era al culmine delle gratificazioni seppure con qualche ammaccatura politica dovuta al dibattito nel gruppo dirigente che guidava l’isola, la coerenza portata alle estreme conseguenze, il volto bello e giovane ritratto in centinaia di fotografie, l’impossibilità di invecchiare sia nel fisico sia nelle idee, un viaggio giovanile in alcuni paesi latinoamericani fatto a bordo di una moto, come farebbe un qualunque ragazzo di oggi, che si trasforma in apprendistato alla vita. Ecco così che a cinquantadue anni di distanza dal 1967 la discussione intorno a Guevara non muore. Anzi, è tra le poche immagini di rivoluzionario che non ha perso il suo smalto resistendo sia in Europa sia in America Latina, dove dell’iconografia comunista fanno fatica a sopravvivere Lenin e perfino Rosa Luxemburg che è personaggio poco letto e studiato.

martedì 27 luglio 2021

ANTONIO LABRIOLA, primo strappo in direzione del marxismo. - Aldo Garzia

Da: www.ilmanifesto.it - https://www.facebook.com/aldo.garzia. - Aldo Garzia, giornalista, ha lavorato tra l’altro nelle redazioni di "Pace e guerra" e "il manifesto". Ha diretto le riviste "Aprile" e "Palomar". Ha fatto parte dell'Associazione stampa parlamentare e ha collaborato con l'agenzia Askanews. Ha pubblicato numerosi volumi su Cuba, dove è stato corrispondente per alcune agenzie alla fine degli anni 80. I suoi ultimi libri sono: "Zapatero. Il socialismo dei cittadini" (Feltrinelli, 2006), "Olof Palme. Vita e assassinio di un socialista europeo" (Editori Riuniti, 2007); "Ingmar Bergman, The Genius" (Editori Riuniti, 2011) 

Leggi anche: Da Labriola a Gramsci, quel marxismo che ha saputo essere originale. - Marcello Mustè

Del materialismo storico - Antonio Labriola -

CENNI STORICI DEL MOVIMENTO COMUNISTA - Stefano Garroni -

Vedi anche: MARX dopo MARX, da Engels a Labriola.* - Renato Caputo 



ANTONIO LABRIOLA, IL CAPOSTIPITE DEL MARXISMO ITALIANO. 

Delle idee e degli scritti di Antonio Labriola (1843-1903) si discute attualmente poco. Non è stato sempre così. Basti citare saggi e libri di Eugenio Garin, Nicola Badaloni e Cesare Luporini, tre studiosi storici della sinistra italiana del dopoguerra (fanno scuola l’introduzione del primo all’edizione di La concezione materialistica della storia e il volume di Badaloni Antonio Labriola nella cultura europea dell’ottocento, editi entrambi da Laterza). Nel 2018, la ricerca l’ha riproposta Marcello Musté in Marxismo e filosofia della prassi: da Labriola a Gramsci (Viella). 

Del resto non poteva che essere così in quanto Labriola rappresenta il primo strappo in direzione marxista nella cultura italiana. A lui si deve infatti l’introduzione in Italia non dell’ispirazione politica socialista (il Partito socialista era stato fondato nel 1892), bensì del marxismo come metodo e riferimento teorici. È lui che opera la prima rottura nella tradizione idealista e storicista italiana. È sempre a lui si deve la prima traduzione in italiano de Il Manifesto dei comunisti di Marx ed Engels. Il ruolo di capostipite del marxismo italiano glielo riconoscono anche Croce, che fu allievo di Labriola frequentando i suoi corsi di Filosofia morale all’università di Roma, e Antonio Gramsci. 



È una bella sorpresa la versione critica e accuratissima di Del materialismo storico dilucidazione preliminare di Antonio Labriola (a cura di Davide Bondi e Luigi Punzo, pp. 267, euro 40), per Bibliopolis, editore napoletano di filosofia e scienza che dal 2004 si sta occupando della riedizione delle opere dell’autore per permetterne la rilettura. 

Pubblicazione accuratissima perché alla prima stesura seguono filologicamente le altre con introduzioni, note e correzioni diverse fino all’ultima. Il che dà la possibilità al lettore e allo studioso di analizzare lo sviluppo conseguente del pensiero di Labriola.

domenica 30 agosto 2020

Non è solo per errori soggettivi se la sinistra non ritrova la strada - Aldo Garzia

Da: http://www.strisciarossa.it - Aldo Garzia è un giornalista e scrittore italiano.
Leggi anche:  Sul compromesso storico - Aldo Natoli 
                      Cosa diceva Berlinguer: discorso al "Convegno degli intellettuali" (1977)
                      La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni
                        CENNI STORICI DEL MOVIMENTO COMUNISTA - Stefano Garroni -
Vedi anche:  La storia, la nostra storia, qual è stata? - Stefano Garroni 
                      Comunisti, fascisti e questione nazionale Stefano G. Azzarà

Siamo tornati al punto di partenza. Cioè ai tormenti di Piero Gobetti e Antonio Gramsci all’inizio del secolo scorso. E, ancora prima, a quelli di Giacomo Leopardi del 1824 in Discorso sopra lo Stato presente dei costumi degl’italiani (Feltrinelli, 1991). Se non si compie infatti un’analisi chirurgica sul “caso italiano”, paragonabile a quella contenuta in La rivoluzione liberale (Gobetti) e nei Quaderni del carcere (Gramsci), la bussola della sinistra resterà a lungo senza riferimenti per andare a nord o a sud. Non convince infatti la lettura dell’impasse attuale della sinistra che fa ruotare l’analisi prevalentemente sugli errori “soggettivi”: siano quelli prima del governo Prodi, poi del Pd o dei vari contraenti di patti di unità e di governo. Non perché questi errori non ci siano stati. Ma perché soprattutto un esito così fragile dell’attuale configurazione della sinistra non può essere spiegato con le categorie del harakiri e del “tradimento”. Anche i gruppi dirigenti della sinistra e le loro politiche sono il frutto di un humus, per così dire, ambientale.
Se in via preliminare le cose stanno così, lo sguardo deve essere capace di andare oltre la congiuntura politica del giorno per giorno e il governo Conte (insperato un anno fa) misurandosi con la società che ha provocato tale esito politico. Del resto tutti i nostri problemi erano già stati squadernati dai deludenti risultati di varie elezioni che solo una certa pigrizia intellettuale aveva contribuito a sottovalutare. Aver sottovalutato, per esempio, il primato della riforma della politica come questione che riguardava innanzitutto la sinistra è stato – come dimostra l’emergere del fenomeno dei grillini degli anni scorsi – l’errore più grande. Da qui quel venir meno dello spartiacque tra destra e sinistra che non poteva che misurarsi con idee differenti di società, libertà, comportamenti e valori. La sinistra moderata (Pd) è diventata “centro” e quella radicale (gli spezzoni di Liberi e uguali) ha tentato di unirsi solo in condizioni di emergenza.

Quell’assenza di società