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sabato 7 settembre 2024

Galeano: l’ironia e l’impegno civile - Gianni Minà (2017)

Da: https://www.rivistamissioniconsolata.it - Eduardo Galeano (Montevideo, 3 settembre 1940 – Montevideo, 13 aprile 2015) è stato uno scrittore, giornalista e saggista uruguaiano. - Gianni Minà (Torino, 17 maggio 1938 – Roma, 27 marzo 2023) è stato un giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano. E' stato editore e direttore della rivista letteraria Latinoamerica e tutti i sud del mondo dal 2000 al 2015 ed è stato direttore della collana di Sperling & Kupfer Continente desaparecido, dedicata a realtà e autori latinoamericani. Ha pubblicato numerosi libri sull'America Latina.

Vedi anche: Fidel CASTRO racconta ERNESTO CHE GUEVARA - GIANNI MINA' (Intervista del 1987) 

Leggi anche: "ORA BASTA" - Gianni Minà 


Giornalista e scrittore, Galeano è riconosciuto come uno tra i maggiori pensatori latinoamericani dell’ultimo secolo. Alfiere dell’America Latina dei popoli ha spesso denunciato l’imperialismo nordamericano. Ha lasciato molti scritti e alcuni testi fondamentali e sempre attuali per capire il continente.

Quando, come succede in questo caso, mi tocca raccontare di un vecchio amico scomparso che mi ha regalato il piacere della sua parola, come Eduardo Galeano, mi viene difficile trovare la misura e il tono giusti per descriverlo in tutte le sue sfaccettature. Tutto suona banale. 

Eduardo è stato per anni il saggista più acuto e onesto nell’illustrare il fascino del continente dove era nato e cresciuto, quello a Sud del Texas, ma anche il narratore più sarcastico sulle esagerazioni che l’attuale mondo isterico ci sbatte ogni mattino in faccia, sia in America Latina sia nel resto del mondo. 

Così ora mi commuove pensare all’attualità dei suoi ironici discorsi, specie pensando a quante parole stonate sono state spese dopo l’incontro fra Obama e Raul Castro (17 dicembre 2014) che avrebbe dovuto finalmente chiudere un’assurda «guerra fredda», mai dichiarata e mai terminata, fra l’America Latina e gli Stati Uniti d’America. Una guerra fredda che aveva costretto Obama, il presidente succeduto a Bush jr, a mettere da parte per un po’ la politica di ingerenza nordamericana nella terra scoperta da Cristoforo Colombo. 

giovedì 26 novembre 2020

A DIEGO - Gianni Minà

 Da: https://www.facebook.com/giannimina38 - Gianni Minà è un giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano. 

Vedi anche: Un Maradona inedito - Gianni Minà  https://www.youtube.com/watch?v=4N3gv5O3_8U


Con Maradona il mio rapporto è stato sempre molto franco.

Io rispettavo il campione, il genio del pallone, ma anche l’uomo, sul quale sapevo di non avere alcun diritto, solo perché lui era un personaggio pubblico e io un giornalista. 

Per questo credo lui abbia sempre rispettato anche i miei diritti e la mia esigenza, a volte, di proporgli domande scabrose.

So che la comunicazione moderna spesso crede di poter disporre di un campione, di un artista soltanto perché la sua fama lo obbligherebbe a dire sempre di sì alle presunte esigenze giornalistiche e commerciali dell’industria dei media. 

Maradona, che ha spesso rifiutato questa logica ambigua, è stato tante volte criminalizzato.

Una sorte che non è toccata invece, per esempio, a Platini, che come Diego ha detto sempre no a questa arroganza del giornalismo moderno, ma ha avuto l’accortezza di non farlo brutalmente, muro contro muro, bensì annunciando, magari con un sorriso sarcastico, al cronista prepotente o pettegolo “dopo quello che hai scritto oggi, sei squalificato per sei mesi. Torna da me al compimento di questo tempo.” Era sicuro, l’ironico francese, che non solo il suo interlocutore assalito dall’imbarazzo non avrebbe replicato, ma che la Juventus lo avrebbe protetto da qualunque successiva polemica.

A Maradona questa tutela a Napoli non è stata concessa, anzi, per tentare di non pagargli gli ultimi due anni di contratto, malgrado le tante vittorie che aveva regalato in pochi anni agli azzurri, nel 1991 gli fu preparata una bella trappola nelle operazioni antidoping successive a una partita con il Bari, in modo che fosse costretto ad andarsene dall’ Italia rapidamente. 

Eppure nessuno, né il presidente Ferlaino, né i suoi compagni (che per questo ancora adesso lo adorano) né i giornalisti, né il pubblico di Napoli, hanno mai avuto motivo di dubitare della lealtà di Diego.

Io, in questo breve ricordo, a conferma di questa affermazione, voglio segnalare un semplice episodio riguardante il nostro rapporto di reciproco rispetto. 

domenica 27 novembre 2022

HEBE DE BONAFINI, UNA MADRE SENZA COMPROMESSI - Gianni Minà

Da: https://www.facebook.com/giannimina38 - https://ilmanifesto.it/hebe-cosi-lotto-una-madre - https://www.kulturjam.it

Gianni Minà è un giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano. E' stato editore e direttore della rivista letteraria Latinoamerica e tutti i sud del mondo dal 2000 al 2015 ed è stato direttore della collana di Sperling & Kupfer Continente desaparecido, dedicata a realtà e autori latinoamericani. Ha pubblicato numerosi libri sull'America Latina.

Leggi anche: Pace - Gianni Minà 

Per chi volesse continuare a sostenere Mina’s Rewind, volto alla digitalizzazione di tutto l’archivio audiovisivo storico inedito: https://www.produzionidalbasso.com/project/mina-s-rewind/  


Qualche giorno fa è scomparsa Hebe de Bonafini, una madre che ha trasformato la sua vita in pietra di inciampo per i collusi con la dittatura argentina. A fine anni ‘90 la intervistai per un programma televisivo che andava in onda nel cuore della notte, ma che mi lasciava molto tempo a disposizione per affrontare la complessità delle persone che hanno segnato un’epoca. Non fu un’intervista facile davanti a questa donna argentina con un carico di dolore immenso. 


Le Madri di Plaza de Mayo davanti alla Casa Rosada sono una delle immagini più angosciose del secolo scorso per chi ha una vera coscienza democratica. Fu dal 30 aprile 1977, da quando una feroce dittatura sottrasse loro e mai più restituiti un figlio, un nipote, un fratello, che queste donne si riunivano ogni giovedì della settimana. Donne che volevano sapere che fine avevano fatto i loro cari e che questo atto più crudele di un assassinio dichiarato sia rimasto impunito anche con il ritorno della democrazia. 

Con il ritorno e il fallimento di Peron e del suo regime, con l’uscita di scena di Isabel Peron prese il potere Videla il capo dell’Esercito che, insediandosi alla Casa Rosada, fece scattare, lo stesso giorno in una repressione selvaggia, una dittatura sanguinaria durata 7 anni. Le forze di repressione arrivavano, bloccavano il traffico, creavano una zona proibita, poi arrestavano o torturavano. I vicini tenevano la radio accesa per non sentire le urla. Si seppe ben presto che i desaparecidos erano più di 30mila, due generazioni di ragazzi. Spesso era sufficiente il numero di telefono trovato sull’agenda di un compagno di scuola per condannarli al nulla: “Non pianga signora, lo prendiamo per interrogarlo, poi glielo rendiamo” erano soliti dire. 

I due figli di Hebe de Bonafini non gliel’hanno più resi: 

sabato 16 aprile 2022

Pace - Gianni Minà

Da: http://www.giannimina.it - Gianni Minà è un giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano. E' stato editore e direttore della rivista letteraria Latinoamerica e tutti i sud del mondo dal 2000 al 2015 ed è stato direttore della collana di Sperling & Kupfer Continente desaparecido, dedicata a realtà e autori latinoamericani. Ha pubblicato numerosi libri sull'America Latina.

Leggi anche: "ORA BASTA" - Gianni Minà

A DIEGO - Gianni Minà


Sento da troppi giorni i tamburi della guerra che, in maniera opprimente, si stanno avvicinando sempre di più nelle nostre vite, appesantite dagli affanni, chi più chi meno, della quotidianità, ma non certo lacerate dai drammi che la guerra porta. 

Ho 84 anni, ero un bambino durante la seconda guerra mondiale, ma mi ricordo molto bene il tragico bagaglio che aveva portato: mio nonno ferroviere fu ucciso in un bombardamento degli alleati mentre stava lavorando insieme ai suoi colleghi, la disperazione dei miei, la fatica e la paura di essere sfollati, la mancanza del cibo, il freddo, il terrore di chi rischia la morte per un tozzo di pane, le file interminabili per l’acqua. E poi, i grandi egoismi di molti, i gesti eroici di pochi, la generosità e l’altruismo esercitati in silenzio di altri.

Oggi la mia mente ripercorre quei ricordi dolorosi e vedo che nulla è cambiato: c’è chi inneggia alla guerra, anche nucleare, incurante dei dolori che porta, chi si fa alfiere di vari interessi, chi randella quotidianamente chi la pensa in maniera critica, azzerando il confronto e trasformando il dialogo in una assurda polarizzazione: amico di Putin se sei per la pace o difensore della democrazia se aderisci all’invio di armi per l’Ucraina. Perfino il Papa è stato dichiarato “pacifista estremista”, come se invocare la pace fosse da vigliacchi o peggio, da inetti, incapaci di “prendere una posizione”.

Roba da matti, o da incoscienti. O roba da falchi…

Anche Raniero La Valle, un giornalista e mio antico collega della Rai, che ha prodotto storici documentari sulla Palestina, la Cambogia e il Vietnam, nel suo editoriale su Facebook, sostiene di aver paura della guerra, perché: “anche a noi fu detto “Vincere! E vinceremo”, come infatti accadde con armate straniere che si combatterono sul nostro suolo e dal cielo distrussero le nostre città. (…) Ma noi abbiamo paura che le ultime notizie, magari come allora nascoste nelle “brevi” e poi a lungo secretate, ci informino di un’azione altamente meritoria e densa di valori imperituri come quelle compiute a Hiroshima e Nagasaki; abbiamo paura di perdere non la vita, ma ciò per cui abbiamo combattuto per tutta la vita: per la pace, la libertà, l’onore, la difesa dei popoli martoriati ed oppressi dalle colonie, dagli Imperi, dalla Trilaterale, dagli Esodi, dalle guerre bipartisan, dalla fame, dalla “giustizia infinita” inalberata per gratificare il mondo intero della democrazia, dei respingimenti, dei porti chiusi e delle estradizioni; così come abbiamo combattuto contro le operazioni alla “Desert Storm” per annientare Stati canaglia e terrorismi, o contro i missili stranieri da Comiso puntati contro l’Ungheria.”

domenica 11 agosto 2024

Fidel CASTRO racconta ERNESTO CHE GUEVARA - GIANNI MINA' (Intervista del 1987)

Da: Tracce Di Classe - Gianni Minà (Torino, 17 maggio 1938 – Roma, 27 marzo 2023) è stato un giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano. E' stato editore e direttore della rivista letteraria Latinoamerica e tutti i sud del mondo dal 2000 al 2015 ed è stato direttore della collana di Sperling & Kupfer Continente desaparecido, dedicata a realtà e autori latinoamericani. Ha pubblicato numerosi libri sull'America Latina


                                                                           

giovedì 15 luglio 2021

"ORA BASTA" - Gianni Minà

Da: http://www.giannimina.it - Gianni Minà è un giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano. E' stato editore e direttore della rivista letteraria Latinoamerica e tutti i sud del mondo dal 2000 al 2015 ed è stato direttore della collana di Sperling & Kupfer Continente desaparecido, dedicata a realtà e autori latinoamericani. Ha pubblicato numerosi libri sull'America Latina.

Leggi anche: A DIEGO - Gianni Minà 

INTERROGATIVI SULLA TRANSIZIONE CUBANA - Alessandra Ciattini

Sessant’anni e 12 presidenti fa, scattava l’embargo nordamericano a Cuba. Obama, nel dicembre 2014, dichiarò: “Abbiamo fallito, non abbiamo piegato Cuba. E’ ora di cambiare”.

I cubani avevano dimostrato, in tutti questi anni, dopo aggressioni subite, contrarietà e sacrifici, di voler rimanere fedeli ai loro ideali di indipendenza e giustizia sociale, secondo un modello economico socialista. Cuba non solo non è collassata, ma ha dimostrato come l’embargo economico a un popolo è una delle forme di pressione “diplomatica” tra le più crudeli mai conosciute.

Cuba è sopravvissuta sia al fallimento del socialismo reale, sia a quello del neoliberismo reale, le cui storture, la miseria, la violenza sono state risparmiate a questo popolo, nonostante le difficoltà oggettive di chi vive sempre più asserragliato e praticamente alla fame.

I cubani in tutto questo tempo hanno dimostrato che non hanno vissuto in un “gulag tropicale” come i media hanno sempre voluto descrivere questa piccola isola in maniera capziosa: non si sopravvive alla crudezza del periodo speciale, con turisti che vanno e vengono, senza un consenso di massa che non è basato sulla repressione.

Né gli Usa hanno mai voluto riconoscere la Rivoluzione e il suo corso storico.

La diplomazia nordamericana è costruita anche di termini usati come bastoni: per loro dittatura è tutto ciò che è diverso dalla loro ideologia neoliberale, il concetto guevariano dell’hombre nuevo, dell’uomo al centro, una forma diversa dello Stato e soprattutto il concetto di democrazia e di autodeterminazione sono quasi spazzate via dall’odio verso tutto ciò che “puzza” di comunismo.

Gli Stati Uniti hanno sempre tentato di gettare fango sulla reputazione di questa piccola Isola che non ha nessuna ricchezza, né materie prime su cui fare affidamento, ma solo la potenza della propria cultura e delle proprie idee: un prestigio “morale” che tutte le nazioni povere, tutti i popoli del Terzo Mondo riconoscono a Cuba.

domenica 1 agosto 2021

Cuba resiste - Frei Betto

Da: http://www.cubadebate.cu - Carlos Alberto Libânio Christo. Conosciuto come Frei Betto. frate domenicano. conosciuto a livello internazionale come teologo della liberazione.

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INTERROGATIVI SULLA TRANSIZIONE CUBANA - Alessandra Ciattini



Pochi ignorano la mia solidarietà alla Rivoluzione cubana. Da 40 anni visito spesso l'isola per impegni di lavoro e inviti ad eventi. Per lungo tempo ho mediato nella ripresa del dialogo tra i vescovi cattolici e il governo cubano, come descritto nei miei libri 'Fidel e la religione' (Fontanar / Companhia das Letras) e 'Lost Paradise - Viajes al mundo socialista' ( Rocco).

Conosco in dettaglio la vita quotidiana cubana, comprese le difficoltà incontrate dalla popolazione, le sfide alla Rivoluzione, le critiche degli intellettuali e degli artisti del paese. Ho visitato le carceri, ho parlato con gli oppositori della Rivoluzione, ho vissuto con preti cubani e laici contrari al socialismo.

Quando mi dicono, (da) brasiliano, che a Cuba non c'è democrazia, scendo dall'astrazione delle parole alla realtà.

Quante foto o notizie si sono viste o si vedono di cubani in miseria, mendicanti sparsi sui marciapiedi, bambini abbandonati per strada, famiglie sotto i viadotti? Qualcosa di simile alla cracolândia, alle milizie, alle lunghe file di pazienti che aspettano anni per essere curati in un ospedale?

Avverto amici: se siete ricchi in Brasile e andate a vivere a Cuba, conoscerete l'inferno. Non potrai cambiare auto ogni anno, acquistare abiti firmati, viaggiare spesso in vacanza all'estero.

E, soprattutto, non potrai sfruttare il lavoro degli altri, tenere nell'ignoranza i dipendenti, essere 'orgoglioso' di María, la tua cuoca da 20 anni, e negarle l'accesso alla propria casa, alla scuola e alla salute.

Se appartieni alla classe media, preparati a vivere il purgatorio. Nonostante Cuba non sia più un'azienda statale, la burocrazia persiste, bisogna avere pazienza nelle code dei mercati, molti prodotti disponibili questo mese potrebbero non essere trovati il ​​mese prossimo a causa dell'incongruenza delle importazioni.

domenica 26 luglio 2015

INTERROGATIVI SULLA TRANSIZIONE CUBANA - Alessandra Ciattini

   Premessa
Nel panorama delle notizie catastrofiche, molte delle quali ci vengono nascoste, come per esempio le recenti manovre navali congiunte nel Mediterraneo di Cina e Russia [1], i controllori dei mass media trovano il modo di inserire eventi che, spogliati della loro problematicità, sembrerebbero far presagire che qualcosa di buono alla fin fine accade sotto il sole. Una volta individuato un evento che può esser così presentato, si ricorre a spiegazioni esplicitamente moralistiche: la buona volontà del papa pensoso per le sorti dell'umanità, la capacità di autocritica di Obama, il premio Nobel più immeritato della storia, il riconoscimento che, dal momento che “ il capitalismo è morto e il comunismo pure” come dice Gianni Minà [2], non ha più senso lo scontro tra modelli sociali di segno opposto.

Se le cose stanno effettivamente così, possiamo rasserenarci e tirare un respiro di sollievo: almeno da quelle parti (Mar dei Caraibi) non si preparano interventi armati né ipocrite missioni “umanitarie”, né ulteriori attentati terroristici. Ma il dubbio metodico è uno strumento assai efficace, che ci consente di valutare più a fondo il “valore di verità” di quanto ci viene quotidianamente ammannito da sempre nuovi giornalisti rampanti saltati fuori chissà da dove, in particolare tenendo conto che – come ci ha insegnato Marc Bloch [3] – le false notizie in tempo di guerra (la guerra fredda è davvero finita? O è cominciata la guerra calda?) nascono sì da un errore o da un fraintendimento, volontari o meno, ma entrano in sintonia con stati d'animo collettivi ed hanno precisi scopi politici. E in questo caso – mi pare – la stato d'animo collettivo è rappresentato dal legittimo desiderio di pace e l'obiettivo politico consiste nel tranquillizzare le masse che, se ulteriormente sollecitate, diventerebbero indisciplinate e forse addirittura ribelli. Straordinaria e opportuna convergenza!

Lo scopo di questo breve intervento è invece quello di restituire problematicità all'evento in questione (il riavvicinamento Stati Uniti-Cuba) e di suscitare qualche preoccupazione, di modo che si possa riflettere con maggiore realismo su di esso e reagire in maniera adeguata. Prenderò spunto dalla conferenza che Pablo Rodríguez Ruiz, dirigente del Dipartimento di Antropologia sociale e Etnologia del Centro di Antropologia dell'Avana, ha tenuto alla Sapienza di Roma nel giugno passato.