Premessa
Nel panorama delle notizie catastrofiche, molte delle quali
ci vengono nascoste, come per esempio le recenti manovre navali congiunte nel
Mediterraneo di Cina e Russia [1], i controllori dei mass media trovano il modo
di inserire eventi che, spogliati della loro problematicità, sembrerebbero far
presagire che qualcosa di buono alla fin fine accade sotto il sole. Una volta
individuato un evento che può esser così presentato, si ricorre a spiegazioni
esplicitamente moralistiche: la buona volontà del papa pensoso per le sorti
dell'umanità, la capacità di autocritica di Obama, il premio Nobel più
immeritato della storia, il riconoscimento che, dal momento che “ il capitalismo
è morto e il comunismo pure” come dice Gianni Minà [2], non ha più senso lo
scontro tra modelli sociali di segno opposto.
Se le cose stanno effettivamente così, possiamo rasserenarci
e tirare un respiro di sollievo: almeno da quelle parti (Mar dei Caraibi) non
si preparano interventi armati né ipocrite missioni “umanitarie”, né ulteriori
attentati terroristici. Ma il dubbio metodico è uno strumento assai efficace,
che ci consente di valutare più a fondo il “valore di verità” di quanto ci
viene quotidianamente ammannito da sempre nuovi giornalisti rampanti saltati
fuori chissà da dove, in particolare tenendo conto che – come ci ha insegnato
Marc Bloch [3] – le false notizie in tempo di guerra (la guerra fredda è
davvero finita? O è cominciata la guerra calda?) nascono sì da un errore o da
un fraintendimento, volontari o meno, ma entrano in sintonia con stati d'animo
collettivi ed hanno precisi scopi politici. E in questo caso – mi pare – la
stato d'animo collettivo è rappresentato dal legittimo desiderio di pace e
l'obiettivo politico consiste nel tranquillizzare le masse che, se
ulteriormente sollecitate, diventerebbero indisciplinate e forse addirittura
ribelli. Straordinaria e opportuna convergenza!
Lo scopo di questo breve intervento è invece quello di
restituire problematicità all'evento in questione (il riavvicinamento Stati
Uniti-Cuba) e di suscitare qualche preoccupazione, di modo che si possa
riflettere con maggiore realismo su di esso e reagire in maniera adeguata.
Prenderò spunto dalla conferenza che Pablo Rodríguez Ruiz, dirigente del
Dipartimento di Antropologia sociale e Etnologia del Centro di Antropologia
dell'Avana, ha tenuto alla Sapienza di Roma nel giugno passato.
La storia di Cuba: in 500 anni ciò che in Europa si è
sviluppato nel corso di millenni
Nella sua conferenza Pablo Rodríguez è partito dalle due
visioni contrapposte della Cuba rivoluzionaria, che si scontrano da decenni e
che non sembrano condurre ad una concezione condivisa. Queste due visioni sono
estremistiche e di segno opposto e non colgono la complessità della situazione
cubana articolata in una serie di sfumature, che possono essere colte solo da
uno sguardo critico e equilibrato.
Da un lato c'è chi cerca di presentare Cuba come una specie
di paradiso socialista, senza macchie, né contraddizioni, né conflitti.
Dall'altro, c'è chi demonizza la società cubana, il suo regime politico,
presentando quel paese come l'isola dell'orrore, dove le persone vivono
manipolate da un potere macabro che le opprime e le obbliga a vivere
un'esistenza miserabile. Tale situazione assurda agli occhi dei “democratici”
nostrani sarebbe scaturita dal processo rivoluzionario vittorioso nel 1959 e si
sarebbe cristallizzata nella dictadura de los Castros, i quali, grazie alla
loro longevità, continuano a dominare imperterriti. Queste due diverse
interpretazioni esprimono le differenti posizioni politiche dei loro
sostenitori e da esse scaturiscono le varie ricette che tali interpreti
propongono per risolvere i problemi della società cubana.
Per comprendere la complessità della società cubana
contemporanea non si possono mettere tra parentesi i circa 5/6 secoli di
scambio ineguale (per usare l'espressione di Samir Amin) tra la metropoli e le
colonie, e che in particolare a Cuba hanno portato allo sterminio dei tre
diversi gruppi etnici indigeni stanziati nell'isola all'arrivo degli spagnoli.
Non si può nemmeno stendere un velo pietoso sull'importazione in terra cubana
di schiavi africani, strappati alle loro terre con la complicità dei loro
stessi fratelli, il cui lavoro ha permesso all'élite spagnola e creola di
vivere nel lusso e nello sfarzo nelle loro fastose dimore. Insomma, non si può
parlare della Cuba di oggi senza tenere conto del contesto internazionale nel
quale tale società si è storicamente costituita. E per approfondire tali
argomenti si può far riferimento al libro di Eduardo Galeano, intitolato Le
vene aperte dell'America Latina (pubblicato nel 1971), che Hugo Chávez regalò
con un gesto ironico e polemico a Obama, in occasione di un incontro
internazionale, affinché si documentasse sulle relazioni tra America Latina e
potenze occidentali.
Ovviamente tale politica devastante nei confronti della
popolazione latino-americana, e di quella cubana in particolare, non si è
conclusa con la fine della colonizzazione, dalla quale è emersa la strategia
della neo-colonizzazione, nel cui seno deve essere ricompreso il bloqueo
statunitense che è costato all'isola caraibica la perdita di vite umane, il
ritardo tecnologico e industriale, il basso tenore di vita, nonostante
conquiste importanti riconosciute a livello internazionale.
Accantonando questi aspetti cruciali della storia cubana,
Rodríguez ha preferito concentrarsi sugli eventi a noi più vicini, rimarcando
tuttavia con forza che la società cubana ha sperimentato, in un lasso
relativamente breve di tempo, trasformazioni radicali, passando in circa 500
anni dall'età della pietra alla moderna società industriale e subendo una serie
di travolgenti sconvolgimenti.
In particolare, egli si è soffermato su una serie di fatti
ben documentati ma dimenticati dai cosiddetti cubanologi [4] ben radicati in
molte università statunitensi ed europee. Vediamo di indicarli:
1) alla vigilia del 1 gennaio 1959, fuggendo verso gli Stati
Uniti, gli esponenti del governo del dittatore Fulgencio Batista portarono con
sé nelle loro valigie gran parte delle riserve in valuta pregiata del paese.
Ciò ha significato che la costruzione della nuova società iniziò nel contesto
di una cronica scarsezza di risorse; fenomeno che ha dato vita a quella tipica
arte di “arrangiarsi” del cubano, il quale ha imparato a risolvere i problemi
tecnici e quotidiani con l'arte dell'invento.
2) Il primo marzo 1959 Fidel Castro consegna i titoli di
proprietà della terra a 340 vegueros (piccoli coltivatori del tabacco) della
provincia occidentale di Pinar del Rio, dando inizio alla riforma agraria. Tale
atto audace modificò le strutture del paese, ma al contempo scatenò il conflitto
pluridecennale con gli Stati Uniti colpiti nei loro interessi, e che da quel
momento divennero il nemico esterno, contro cui lottare per garantire la
sopravvivenza del paese.
3) La politica del bloqueo, che ha strangolato
economicamente e culturalmente il paese, ha provocato non solo l'interruzione
del commercio tra i due paesi, ma anche il rapido invecchiamento della
infrastruttura tecnologica cubana di origine statunitense, che fu sostituita
con quella sovietica. Come è noto, purtroppo la dissoluzione del socialismo
reale ha comportato che anche questa nuova base tecnologica divenisse obsoleta
a partire dagli anni '90, perché ben presto fu impossibile sostituirne le parti
difettose o non funzionanti. Per queste ragioni, indipendenti dalla volontà dei
cubani e dei loro dirigenti [5], l'isola caraibica in circa 50 anni ha dovuto
cambiare ben due volte la sua infrastruttura tecnica e produttiva; esperienza
probabilmente unica nella storia moderna.
4) La borghesia, quasi nella sua totalità, le élites intellettuali,
tecniche e professionali emigrarono, benché convinte che ben presto sarebbero
potute ritornare, perché il nuovo regime non avrebbe potuto durare a lungo. Ciò
fece sì che la rivoluzione potesse contare su un'ampia base popolare fortemente
motivata e impegnata, mentre il caposaldo controrivoluzionario aveva le sue
basi logistiche fuori del paese, benché sostenesse gruppi di ribelli (alzados),
che avrebbero dovuto promuovere il collasso del nuovo governo. D'altra parte,
l'emigrazione delle classi medie e intellettuali generò un vuoto nella
struttura dirigente che fu colmato grazie all'ascesa di individui provenienti
dalle classi popolari, non sempre con la qualificazione adeguata, cui fu
affidata la gestione dei processi di trasformazione sociale. Questi elementi
costituirono quella nuova intellettualità di origine popolare, che
contraddistingue ancora oggi gran parte della dirigenza cubana.
5) Nell'agosto del 1961 il governo rivoluzionario adottò una
misura che ebbe importantissime ripercussioni sociologiche non sempre prese in
considerazione: il cambio della moneta, ossia la sostituzione delle banconote
firmate dal precedente Presidente del Banco Nacional de Cuba con i pesos che
portavano la firma del Che e che ancora circolano a Cuba limitatamente ad
alcune transazioni. Questa decisione fu presa per indebolire l'opposizione e
per impedire che ricevesse sostegno finanziario dagli Stati Uniti. Infatti, la
nuova moneta circolava solo a Cuba ed era ovviamente monopolizzata dallo Stato.
Il cambio della moneta fu accompagnato da altre misure, come quella di limitare
a 10.000 pesos la consistenza dei conti bancari, producendo così
l'equiparazione economica tra i diversi settori della popolazione.
Rodríguez sostiene che questi fatti contribuiscono a spiegare
alcuni caratteri propri della società cubana contemporanea, tra i quali
menziono: il deterioramento del sistema produttivo, caratterizzato da una
scarsa produttività del lavoro, che rende difficilmente sostenibili alla lunga
le conquiste sociali ottenute; la crisi dell'offerta, che non garantisce al
cubano l'acquisizione di quei beni indispensabili a migliorare il suo tenore di
vita, e che ha favorito lo sviluppo del mercato informale riguardante molti
aspetti della vita quotidiana, che d'altra parte non viene represso con
particolare decisione. A ciò dobbiamo aggiungere l'emigrazione di molti tecnici
e professionisti, formatisi nelle università cubane, che abbandonano l'isola
alla ricerca di maggiori gratificazioni salariali e lavorative, il deterioramento
del valore del lavoro, giacché è possibile acquisire denaro dal mercato
informale, dalle rimesse, dalle relazioni non sempre trasparenti con il mondo
del turismo e con le nuove attività impresariali autorizzate dalle recenti
riforme economico-politiche. Si devono anche tenere in conto la presenza di una
forte struttura centralizzata e burocratica, che si sta cercando di
dinamizzare, la quale non consente la presa di decisioni rapide e adeguate alle
necessità del momento, il risorgere di disuguaglianze dovute alle differenze di
accesso alle risorse in contraddizione con l'egualitarismo rivoluzionario
originario.
Secondo l'antropologo cubano tutti questi elementi debbono
essere collocati all'interno di una crisi sociale di ampia portata che, a causa
del derrumbe del socialismo reale, significa anche una crisi etica, politica e
di valori, cui occorre rispondere rapidamente, utilizzando il patrimonio
simbolico e politico della Cuba rivoluzionaria, se si vuole evitare in ogni
maniera il trapianto dello spietato capitalismo neo-liberale nell'isola
caraibica.
Per completare questo rapido quadro della società cubana
contemporanea dobbiamo menzionare un aspetto ideologico di primaria importanza,
sui cui Rodríguez si sofferma, e che è rappresentato dalla straordinaria
convergenza tra una serie di elementi quali l'anti-colonialismo delle masse
popolari cubane, nutrito da secoli di inumano sfruttamento, la nozione di
patria e quindi di autodeterminazione, e infine il richiamo al modello
socialista, il tutto rivisitato attraverso l'antimperialismo di José Martí
(1853-1895), considerato l'autore intellettuale della rivoluzione vittoriosa
del 1959 [6].
Questa straordinaria confluenza sincretica costituisce
ancora oggi il sostrato ideologico, su cui si radica il comportamento politico
e morale della maggior parte della popolazione cubana, che vede nella lucha
quotidiana per sopravvivere l'estensione della grande battaglia contro le
ingerenze esterne, condotta anche per acquisire la piena dignità nazionale nel
panorama internazionale.
Il riavvicinamento Cuba / Stati Uniti
Se vogliamo comprendere a fondo le ragioni di tale
riavvicinamento e scavare sotto la “buona volontà” di quei leader di cui, di
giorno in giorno, i mass media costruiscono il “carisma”, rendendoli agli occhi
dei più autorevoli e convincenti, partiamo da un tema indicato da Rodríguez: la
crisi dell'apparato produttivo cubano, la bassa produttività del lavoro,
l'insostenibilità delle conquiste sociali in tale contesto. È proprio da questi
problemi che hanno preso le mosse le prime riforme all'indomani della
dissoluzione del socialismo est-europeo [7] e che hanno significato la
costituzione delle imprese miste, soprattutto in ambito turistico, le quali
hanno garantito, in parte, l'approvvigionamento di valuta pregiata con cui
acquistare sul mercato internazionale il necessario alla sopravvivenza della
popolazione cubana. La riforma costituzionale del 1992 ha comportato anche
altre significative modifiche, che ci limitiamo a segnalare, come la
soppressione del carattere ateo dello Stato (art. 54 della Costituzione del
1976); articolo che viene sostituito dall'art. 55 del testo successivo, con cui
si afferma che lo Stato riconosce, rispetta e garantisce la libertà di
coscienza e di religione, al tempo stesso che riconosce, rispetta e garantisce
il diritto di tenere ogni forma di credenza o di non tenerne nessuna. In questo
stesso contesto, in cui le asperità della iniziale fase della rivoluzione si
sono attutite [8], i credenti delle diverse fedi religiose vengono ammessi al
Partito comunista (IV Congresso, 1991, http://gredos.usal.es/jspui/bitstream/10366/72131/1/El_IV_Congreso_del_Partido_Comunista_de_.pdf).
Infine, con grande appoggio popolare, il 26 giugno 2002 fu approvata un'altra
legge di riforma costituzionale, la quale ha sancito il carattere irrevocabile
del sistema socialista e ha affermato che le relazioni economiche, politiche e
diplomatiche con un altro Stato non possono essere negoziate in un regime di
aggressione, minaccia e coercizione esercitato da una potenza straniera
(http://www.cubadebate.cu/cuba/constitucion-republica-cuba/). [9]
Questi sono gli elementi che chiariscono, sia pure per sommi
capi, la trasformazione della società cubana a partire dalle grandi
nazionalizzazioni degli anni '60, e che sono significativi per avanzare nella
comprensione del riavvicinamento, certo contraddittorio, tra Cuba e Stati
Uniti. A questi elementi dobbiamo ovviamente aggiungere tutte quelle misure
previste dai Lineamientos de la Política Económica y Social del VI Congreso del
PCC approvati nell'aprile del 2011, che stanno cambiando l'articolazione e la
gestione del sistema produttivo cubano, tra le quali menzioniamo la conversione
di circa 500.000 lavoratori pubblici in lavoratori autonomi (cuentapropistas),
la creazione di cooperative anche nel settore terziario, la distribuzione delle
terre incolte allo scopo di incrementare la produzione alimentare, la
concessione di crediti alla popolazione per la costruzione di case e per
favorire investimenti nel settore agricolo e nell'allevamento.
Se da un lato si sta costituendo la piccola e la media
impresa, dall'altro con il Decreto Legge 313 del 2013 si dà un ampio sostegno
all'investimento straniero con la creazione di Zone Speciali di Sviluppo (ZED),
come il porto di Mariel vicino all'Avana; inoltre, gli investitori saranno esentati
dal contributo allo sviluppo locale, dalle imposte sulla forza-lavoro, da
quelle sugli utili (per 10 anni) e da quelle sulle vendite (per un anno);
imposte che, negli anni successivi, non saranno certo esose. Come si ricava
dall'articolo cui rimando il lettore
(http://www.cubadebate.cu/cuba/constitucion-republica-cuba/), nella ZED di
Mariel il governo cubano ha deciso di concentrare una serie di produzioni di
rilevanza strategica come la biotecnologia, la farmaceutica, l'energia
rinnovabile, le telecomunicazioni, il turismo, il settore immobiliare etc.,
avvalendosi di investitori come Cina, Russia, Vietnam, Brasile. Una serie di
misure ha anche garantito gli investitori da possibili espropriazioni, le quali
saranno possibili se socialmente indispensabili e necessarie ma sempre previo e
adeguato indennizzo.
L'insieme di questi provvedimenti, che il governo cubano
inserisce nel processo di “actualización del modelo socialista”, ha suscitato
nei diversi settori sociali reazioni di diverso segno: alcuni vedono in essi
l'avvio della transizione al capitalismo (probabilmente nella sua forma più
selvaggia), altri sono convinti che l'espansione del mercato senza limiti
condurrà alla prosperità e alla ricchezza. Da parte sua, il governo cubano
sembrerebbe optare per il possibile compromesso tra proprietà statale e
mercato, con la sua appendice di proprietà non pubblicaL'esito di tale disputa,
non meramente teorica, è tutto da scrivere; posso segnalare la sua rilevanza e
sottolineare che solo all'interno di questo contesto è possibile intendere
perché Obama ha deciso di rilasciare i tre anti-terroristi ed eliminare Cuba
dalla lista dei Paesi sostenitori del terrorismo [10]. D'altra parte, questo
stesso contesto spiega quanto sia necessario per la maggiore delle Antille
reperire la infrastruttura tecnologica e gli investimenti necessari al suo
rilancio economico e alla praticabilità del suo sistema di giustizia sociale.
Anche se – come afferma Luciano Vasapollo - i dirigenti cubani sanno bene dove
potrebbero condurli le trattative con gli Stati Uniti, tuttavia, non possono
fare a meno di trangugiare la medicina, i cui esiti – come nel caso della
chemioterapia per un malato di cancro – possono avere anche controindicazioni
assai dannose (http://www.sinistrainrete.info/estero/5069-luciano-vasapollo-cuba-ha-scelto-il-male-minore.html),
ma in una certa percentuale dovrebbero far guarire l'infermo.
Molto più preoccupato sembra essere Manlio Dinucci
(https://www.google.it/?hl=it&gws_rd=cr&ei=bh6cVfejJqufygPYt5jgCg#hl=it&q=senza+soste+dinucci+cuba),
il quale ritiene che, sostanzialmente, la Casa Bianca non cambia strategia e
che il suo obiettivo è sempre quello di distruggere lo Stato cubano. Infatti
ora, a suo parere, sbarcheranno nell'isola caraibica organizzazioni non-governative,
piene di dollari ed emanazione della CIA e del Dipartimento di Stato, per
mettere in piedi “progetti umanitari” a vantaggio del popolo cubano.
Arriveranno ben presto anche le multinazionali statunitensi che intendono
investire i loro capitali nelle biotecnologie e nel settore del nickel (finora
sfruttato in collaborazione con i canadesi), senza dimenticare turismo e
alberghi, che promettono ingenti profitti.
Pur cercando di rispettare lo spazio limitato concessomi in
questa sede, vorrei aggiungere qualche altro elemento utile ad approfondire
l’analisi; in particolare, è assai interessante osservare alcuni aspetti
dell’ormai famoso discorso di Obama tenuto il 17 dicembre 2014 in concomitanza
con il discorso di Raúl Castro (http://aulalettere.scuola.zanichelli.it/storia-di-oggi/guerra-fredda-usa-cuba-la-svolta-del-17-dicembre-2014/).
In primo luogo, bisogna osservare che il presidente degli Stati Uniti si
riferisce costantemente alla gente e al popolo di Cuba e non al governo e allo
Stato cubano, dichiarandosi pronto a fare il possibile per migliorare le
condizioni di coloro che – questo non lo dice - hanno sofferto proprio per le
scelte politiche del suo potente Paese. A suo parere, la normalizzazione delle
relazioni tra i due Paesi, la ripresa degli scambi commerciali, il turismo e
l'attivazione delle telecomunicazioni non potranno che favorire la diffusione
nell'isola caraibica dei “valori americani”, di cui sono portatori gli stessi
giovani cubano-americani, figli e nipoti di quelli che la Rivoluzione del 1959
prima, il regime socialista poi, con le sue durezze, hanno costretto a fuggire.
In tale contesto gli Stati Uniti daranno un contributo fondamentale per il
rafforzamento della democrazia, della libertà di espressione e dei diritti
umani a Cuba, guardando con interesse al settore privato, che si sta
configurando sulla base delle recenti riforme economico-politiche. “Todos somos
americanos”, conclude Obama, ma intende dire che dobbiamo accomodarci tutti
sotto la bandiera a stelle e strisce o che ci sono valori che accomunano
l'emisfero occidentale e sui cui contenuti è possibile discutere?
Infine, c'è un ultimo punto che non posso tacere, perché di
straordinaria importanza internazionale. Infatti, anche un osservatore
distratto non può non aver notato che i negoziati L'Avana / Washington, anche
se svoltisi segretamente per molti mesi, hanno ad un certo momento coinciso con
l'incremento dell'aggressività statunitense nei confronti del Venezuela, in
particolare quando, nel marzo 2015, Obama ha emesso il famoso decreto
esecutivo, apparentemente ora accantonato, che dichiarava quel Paese essere una
minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti. Come spiegare tale comportamento
verso uno Stato ricco di risorse energetiche e che, per di più, sta operando con
molta efficacia per incrinare l'egemonia ideologica statunitense, impiegando
strumenti intelligenti e capillari come il canale televisivo Telesur? E
soprattutto, come spiegarlo tenendo conto del parallelo processo di
riavvicinamento a Cuba, culla dei fermenti ribelli e legata da tanti vincoli di
affinità e di amicizia con la Rivoluzione Bolivariana? Un'ipotesi forse
prematura potrebbe essere che gli Stati Uniti si stiano già muovendo per
spezzare il fronte, che ha visto la convergenza di molti Stati latino-americani
e il loro sostanziale accordo nel ribadire il rifiuto della tradizionale
politica interventista statunitense non solo nel continente latino-americano.
Ma questa è ovviamente tutta un'altra storia. Per ora ci limitiamo a concludere
citando il nostro amico cubano, Pablo Rodríguez che, visitando dopo molti anni
l'Europa, si è dichiarato profondamente colpito dai livelli di miseria e di
povertà visibili tra la popolazione del continente. Ha anche osservato che è
proprio da queste stesse misere condizioni che, confrontandosi in forme diverse
con la politica aggressiva degli Stati Uniti, i governi progressisti
latino-americani stanno cercando di sollevare le masse popolari dei loro Paesi,
ed ha aggiunto, perplesso, in attesa di una risposta: “E voi dove state
andando?”.
Note
[1] Ne ha dato notizia Internazionale
(http://www.internazionale.it/notizie/2015/05/22/cina-russia-mediterraneo-esercitazioni-militari)
[2] v. http://www.senzasoste.it/rete/cuba-usa-gianni-mina-smentite-le-bugie-americane . Cosa intenda dire a proposito della fine del capitalismo il noto giornalista,
escluso da tempo dal nostro servizio pubblico, non è facile capire; quanto alla
fine del comunismo forse è opportuno ricordare che la storia ha visto solo
tentativi di avvio alla costruzione di una società comunista e che la loro
scomparsa dal mondo reale non implica automaticamente la dipartita del
comunismo dal mondo ideale, ossia dalla lotta etico-politica.
[3] Marc Bloch, La guerra e le false notizie, ed. or. 1921
[4] Ai cubanologi si contrappongono i cubanisti che, con un
atteggiamento non apologetico, sostengono il processo rivoluzionario.
[5] Ci si potrebbe chiedere cosa si è fatto per rendere Cuba
maggiormente autosufficiente e perché quello che si è fatto non ha funzionato.
[6] L'articolo 5 della Costituzione, riformata nel 1992,
definisce il Partito comunista di Cuba martiano e marxista-leninista, ma nella
cultura quotidiana il riferimento costante è rappresentato da José Martí.
[7] Con tale avvenimento si instaurò a Cuba il cosiddetto
periodo especial en tiempo de paz che significò negli anni 1990-1993 la caduta
del 36% del PIL e che probabilmente oggi può considerarsi concluso.
[8] Ovviamente sempre per ragioni internazionali e
nazionali, che hanno reso possibile una più armoniosa convivenza tra atei e
credenti, e non per la “benevolenza” di qualcuno.
[9] Gli antirivoluzionari hanno definito questa misura la
“pietrificazione” della Costituzione cubana, che può dunque essere modificata
solo con il suo ribaltamento.
[10] Ossia, non l'ha fatto perché si è reso conto che la sua
politica era sbagliata, ma - giacché ha ragione Fidel Castro quando dice che
degli Stati Uniti non bisogna fidarsi mai – che era opportuno adottare una
strategia più adeguata all'oggi.
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