domenica 31 maggio 2020

LENIN - CENTRALITA' DELLA TEORIA (1996) - Stefano Garroni

Da: mirkobe79 - Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni.

Qui la registrazione audio dell'incontro: https://www.youtube.com/watch?v=Rja2jXmcPUs&list=PL921DB5CE566485CA&index=8                                                                            
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Lenin insiste molto nel sottolineare la centralità del settore teorico come settore di lotta, e buona parte della polemica che fa contro altre organizzazioni della sinistra russa, quelle che lui definisce spontaneiste, è fortemente centrata proprio su questo tema del ruolo della lotta teorica. 

Senza dubbio questo che dice Lenin è legato a una situazione specifica che lui ha di fronte in Russia; però sicuramente ha un significato assai più generale, e noi possiamo affrontare il tema sganciandolo dai riferimenti puntuali alla situazione russa. Perché qui si tratta appunto di una presa di posizione intorno al senso della lotta del proletariato rivoluzionario, per l’organizzazione politica del proletariato rivoluzionario. 

E incontriamo subito una questione di notevole rilievo che mi pare accennavamo al nostro primo incontro: Lenin sottolinea come grandi marxisti come Kautsky, come Otto Bauer, come Plechanov ecc.. - qui apro una parentesi: è estremamente importante ricordare che tra fine ‘800 e inizio ‘900, c’è una serie di personaggi di grandissimo rilievo culturale e politico, del movimento operaio, che si richiamano direttamente al marxismo, che sono insegnati nell’organizzazione politica del proletariato, di cui onestamente, generalmente si ignora tutto. Voglio dire: personaggi come Max Adler, come Otto Bauer, come lo stesso Kautsky, (che ovviamente è persona nota come nome - però credo che a un’inchiesta risulterebbe che difficilmente è stato letto un rigo di Kautsky) , Hilferding, la Luxemburg; rappresentano tutti un ambiente culturale e politico di enorme statura. E se noi oggi rileggiamo le cose loro, vediamo che loro hanno discusso i problemi di cui noi ora discutiamo. Voglio dire che un obiettivo importante sarebbe proprio quello di recuperare questa cultura del movimento operaio e marxista, e in particolare quella prodotta dall’ambiente europeo, prevalentemente si tratta di letteratura in lingua tedesca perché anche la Luxemburg ovviamente non scriveva in polacco perché sennò non la leggeva nessuno e scriveva in tedesco. Chiusa la parentesi -. Lenin sottolinea come questi grandi marxisti, tuttavia, a un certo punto non si erano più riusciti a dare un’indicazione politica adeguata perché non si sono resi conto del fatto che i problemi fondamentali della lotta di classe avevano cambiato di forma, e che quindi era necessario operare analoghe e corrispondenti mutamenti di forma tattica per poter rispondere alla situazione data. 

Io insisto su questa questione del mutamento di forma, perché è un tema che noi troviamo molto in Marx e in Engels, cioè il tema secondo cui il marxismo è sottoposto a mutamenti di forma in corrispondenza di mutamenti profondi al livello dell’organizzazione economica, della situazione politica, degli sviluppi culturali, scientifici ecc. Il che ci dice che: primo, è una contraddizione in termini “dogmatismo marxista”, nel senso che il marxismo è necessariamente sottoposto alla necessità di una modifica di forma nel momento in cui avvengono mutamenti di rilievo a livello politico economico scientifico ecc. Ma non dobbiamo cadere nell’equivoco: “mutamenti di forma”, detta così sembra come se tu cambiassi la carta, ma la caramella è sempre quella. No, qui stiamo attenti, che si tratta di gente che usa il tedesco, e in tedesco form, non è l’analogo del superficiale, di ciò che appare. Voi sapete per es. che esiste una psicologia che studia il modo di presentarsi delle cose e delle esperienze e questa si chiama la psicologia gestaltica, perché “forma” nel senso del modo di presentarsi; semplicemente del modo di presentarsi empirico delle cose, in tedesco è “gestalt”, non è “form”. Form indica invece le strutture razionali di fondo. Per es. immaginate due espressioni matematiche, due equazioni, una con un’incognita e un’altra con n. incognite. Qui c’è un cambiamento di forma dei due tipi di espressione e capite che non si tratta di una faccenda superficiale ma si tratta di una modifica al livello delle strutture razionali profonde.

Questo vuol dire cambiamento di forma a cui il marxismo deve andare incontro in relazione a mutamenti a livello politico, sociale, culturale, scientifico ecc. Per questo il senso che il marxismo è sottoposto alla necessità di modifiche di forma, ha il ruolo di testimoniare la vocazione antidogmatica del marxismo. Perché si tratta di mettere in questione le strutture stesse della razionalità marxista. Detta in soldoni: se uno dice “dialettica marxista” e ha intenzione di dire una certa forma razionale che è quella, punto e basta, sbaglia. Perché questa forma ha da adeguarsi a mutamenti sostanziali quando questi mutamenti avvengono. 

venerdì 29 maggio 2020

Appunti su “la Distruzione della Ragione”, di György Lukács -

Da: https://sigma.altervista.org - https://revolucionvoxpopuli.wordpress.com - https://sinistrainrete.info -
Gyorgy Lukacs è stato un filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese. 

Vedi anche: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci 


Una lettura significativa degli ultimi tempi è stata “La distruzione della ragione”, pubblicata nel 1954 e scritta da György Lukács.
In questo libro, l’autore sostiene che le filosofie irrazionalistiche sono una parte molto importante (seppur non l’unica) del fondamento ideologico delle politiche reazionarie. Nel seguente articolo proveremo a riassumere quanto osservato dall’autore, espandendo poi il discorso al fine di trarre qualche conclusione iniziale, che ci sarà estremamente utile per il futuro.
INTRODUZIONE E BREVE RIASSUNTO
Il libro è stato completato nel 1954, durante il primo periodo “caldo” della Guerra Fredda. In questo periodo, Lukács era un intellettuale emarginato e dissidente a causa del suo forte marxismo hegeliano, contrapposto al “piatto” ed economicistico “marxismo” staliniano. Egli, come altri intellettuali del tempo (ad esempio Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, Hannah Arendt) dovette rendere conto di come fosse stata possibile la barbarie nazista. Allora la sua ricerca si orientò verso il fondamento ideologico-filosofico del nazismo: l’irrazionalità.
I pensatori affrontati sono soprattutto tedeschi per motivi storici e sociali, ma l’autore fa notare a più riprese come il movimento irrazionalistico (ad esempio quello della “filosofia della vita” di Bergson, Dilthey e James) assuma portata internazionale, riflettendo una vera e propria epoca storica che coincise con le difficoltà di accumulazione del capitale, poco prima del suo “scatenamento imperialistico” nella Prima Guerra Mondiale e successiva “ricaduta” della Seconda Guerra Mondiale.
La tradizione irrazionalistica ha origini relativamente lontane, formandosi in modo coerente a partire dagli “idealisti soggettivi” del primo 1800 (l’autore definisce così gli irrazionalisti in generale), in primis Schelling. A partire dalla filosofia irrazionalistica “feudale” di Schelling, seguiamo l’evoluzione, le differenze e talvolta i contrasti tra pensatori irrazionalisti, pur accomunati dalla sfiducia verso la ragione. Lukács si occupa di pensatori di grande importanza (e attualità) come Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, Simmel, Weber, Heidegger e Schmitt, oltre ad altri autori dei loro ambiti. Come è evidente, l’autore non si occupa esclusivamente di filosofi, bensì considera anche il campo della sociologia (dedicando anche un paio di capitoli alla “teoria della razza”), per evidenziare la portata multidisciplinare e la pervasività sociale del fenomeno irrazionalistico.
Essendo l’ideologia la forma politica della coscienza, e non semplice “astrazione” o “formalizzazione” dei rapporti sociali, essa influisce sulla società, attecchendo in modo più o meno fecondo nella coscienza delle persone e, di conseguenza, influenzandone i comportamenti come la prassi politica. Esaminiamo ora gli aspetti principali per cui l’irrazionalismo sarebbe, secondo Lukács, reazionario.

giovedì 28 maggio 2020

Dopo Covid, “Rischi di esplosione delle disuguaglianze” - Intervista a Joseph Halevi

Da: https://www.stamptoscana.it - https://contropiano.org - Joseph Halevi Universita' di Sydney in Australia da cui si e' pensionato nel 2016.
Leggi anche:  - Note sulla crisi. Intervista all'economista Marco Passarella - 
                          ECON-APOCALYPSE: ASPETTI ECONOMICI E SOCIALI DELLA CRISI DEL CORONAVIRUS* - Riccardo Bellofiore 
                          La Covid19 Economics e il trionfo europeo dei Chicago Boys – Sargent Pepper 

Firenze – Sulle prospettive del dopo Covid, Stamptoscana si rivolge all’economista Joseph Halevi. Halevi è nato a Haifa nel 1946 da madre lucchese e ha studiato a Roma, dove si è laureato nel 1975 in filosofia con una tesi in economia. Sempre nel 1975 ha lasciato l’Italia e ha insegnato economia alla New School for Social Research a New York e alla Rutgers University nel New Jersey. Ha anche insegnato per svariati anni alle Università di Grenoble, di Nizza e di Amiens. Nel periodo compreso fra il 1990 e il 2012 è stato collaboratore del Manifesto. Dal 2009 insegna economia nel programma Master di giurisprudenza presso l’ International University College a Torino.

D. Quale sarà il problema o i problemi più immediati che dovremo affrontare nella fase del dopo coronavirus?

R. La risposta dipende molto dall’angolatura con cui si guarda a tutta la vicenda del Covid 19. Partirei da una visione che combini sia la dimensione di classe che quella strutturale che specificherò dopo una breve premessa. L’aspetto economico principale di questa crisi consiste nel fatto che è la prima vota che il sistema si blocca sia dal lato della produzione, cioè dell’offerta, che dal lato della domanda. Il blocco della produzione ha a sua volta prodotto il blocco degli investimenti che, sommato ai licenziamenti di massa, ha fatto precipitare le economie occidentali in una recessione molto simile ad una grande depressione.

Questo è successo nei paesi sviluppati. Le ripercussioni su quelli molto più poveri che, in maniera mistificante, vengono chiamati mercati emergenti, sono state disastrose. Le catene di valorizzazione – già meccanismi di sfruttamento acuto negli ‘emergenti’ e di precarizzazione del lavoro nei paesi ‘avanzati’ – si sono a loro volta disarticolate sia sul piano produttivo che su quello finanziario. Gli ‘emergenti’ stanno immergendosi fin sopra la testa nella crisi. Fino a poco tempo fa giornali, riviste e siti economici dei paesi occidentali speravano in un andamento a V in cui ad una forte discesa segue una rapida salita.

Ora non ne parlano più. Con le flotte della loro aviazione civile a terra e con le compagnie che stanno smobilitando i loro grossi vettori intercontinentali inviandoli ai parcheggi-deposito nel deserto dell’Arizona e perfino nel centro dell’Australia ad Alice Springs, nei paesi occidentali si sta facendo avanti l’ipotesi che la ripresa sarà probabilmente lenta ed assai problematica. Un certa ripresa probabilmente ci sarà ma bisogna tenere a mente che essa può avvenire con l’economia che complessivamente rimane in uno stato ancora interno alla stagnazione causata dal depressione (esempio: l’economia cala del -10% e si riprende con un 3% per poi trascinarsi con un 0,5, 1%, il che significa che dopo 10 anni non ha ancora raggiunto il livello precedente alla caduta).

D. Lo scenario futuro o immediatamente prossimo potrebbe far emergere diverse reattività da parte dei vari Paesi, nonostante la globalizzazione? In altre parole: la barca è la stessa, ma i passeggeri no? 

mercoledì 27 maggio 2020

Etica Nicomachea di Aristotele - Enrico Berti

Da: Festivalfilosofia - Enrico Berti è un filosofo italiano, Professore emerito di Storia della filosofia presso l'Università degli Studi di Padova. 
                      Etica Nicomachea Libro II (Giusto mezzo)*- Aristotele 
                      ARISTOTELE* - Antonio Gargano
                                                                                     

martedì 26 maggio 2020

"Da Marx al post-operaismo" - Marco Cerotto

Da: https://www.marxismo-oggi.it - Giovanni Sgrò, Irene Viparelli (a cura di), Da Marx al post-operaismo. Soggettività e pensiero emergente, Napoli, La Città del Sole, 2018 -
Marco Cerotto (Università di Napoli Federico II, Scienze Storiche)
Leggi anche:   Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento*- Carla Maria Fabiani 
                         Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredità dell’operaismo italiano*- Cristina Corradi 
                         La "Storia del marxismo" curata da Stefano Petrucciani* - Con una lettura di Roberto Finelli 
                         Il disagio della “totalità” e i marxismi italiani degli anni ’70* - Roberto Finelli 
                         Da Marx a Marx? Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento - Riccardo Bellofiore  
Vedi anche:    I marxismi in Italia - Roberto Finelli


Il testo Da Marx al post-operaismo[1] offre una lettura teorico-politica che ripercorre circa un secolo di riflessioni filosofiche variegate tra loro, ma che esaminando gli sviluppi della società capitalistica contemporanea adoperano la metodologia marxiana come chiave di lettura del presente, estrapolando però contenuti e concetti ereditati dalle diverse tradizioni del pensiero politico moderno che l’opera di Marx ha generato. Si tratta di un lavoro svolto da «giovani leve», come scrive Giovanni Sgro’ nell’Introduzione, le quali però si orientano decisamente verso la comprensione di determinati filoni teorici che hanno tentato di plasmare la prassi politica, cioè delle organizzazioni operaie, dal momento che posero all’attenzione delle loro analisi gli sviluppi politici della stessa classe operaia.
Dall’analisi degli sviluppi filologici su L’ideologia tedesca, dalla quale però emerge un’accesa diatriba teorico-politica scatenatasi in un periodo storico particolare (quello degli anni Venti e Trenta del secolo scorso) tra gli interpreti marxisti sovietici e quelli tedeschi socialdemocratici per l’affermazione indiscussa dell’eredità marxiana, allo studio dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 e all’elaborazione del concetto marxiano di «uomo bisognoso di una totalità di manifestazioni di vita umane» (p. 53), si giunge ai tedeschi Benjamin e Marcuse, influenzati dal clima di devastazione totale provocato dalla Prima guerra mondiale e dal consolidarsi dei regimi nazi-fascisti che condussero l’Europa al suo secondo suicidio. Ciò che accomuna i due pensatori tedeschi è la considerazione dello svilimento del soggetto rivoluzionario, vale a dire la discontinuità della riflessione della classe operaia nei termini delineati da Marx, come classe capace di emancipare tutta la società emancipando sé stessa. La socialdemocrazia, secondo Benjamin, ha «corrotto i lavoratori tedeschi» (p. 89) mistificando la funzione storica del proletariato «di creare la propria storia nel tempo vivo e cosciente dell’attualità» (p. 90), come scrive Morra, interpretando accuratamente quelle riflessioni benjaminiane che costituiscono gli scritti inediti sulla storia a partire dal frammento giovanile teologico-politico e giungendo fino alle tesi di filosofia della storia.

domenica 24 maggio 2020

Le banche creano moneta “dal nulla”? - Vitor Constâncio, ex vicepresidente della BCE, spiega cosa significa -

Da: https://keynesblog.com - [fonte: https://twitter.com/VMRConstancio/status/1207233364152983552]


Cogliendo l’occasione di un articolo comparso su VoxEU, Vitor Constâncio, ex vicepresidente della BCE con Mario Draghi, spiega su Twitter in che senso è corretto sostenere che le banche commerciali creano moneta “dal nulla” e cosa questo significhi. Non è vero, come molti pensano, che le banche prestano i soldi depositati dai clienti. E non è rilevante l’esistenza di un obbligo di riserva (che, infatti, in Inghilterra, Canada ed Australia è stato abolito tempo fa). Tutta la storia del “moltiplicatore dei depositi” è priva di senso. BCE, Banca d’Inghilterra e persino la Bundesbank smontano la teoria monetaria esogena ancora oggi riportata sui testi introduttivi di economia: è la vittoria definitiva per la teoria della moneta endogena. (keynesblog)



I testi della Bank of England [1] e della Bundesbank [2] sulla creazione di moneta, citati in questo strano articolo [3], sono assolutamente corretti. Le banche creano moneta, naturalmente non senza vincoli e senza limiti. L’articolo non sembra contestare queste opinioni.

L’articolo si concentra solo nel criticare l’espressione “creato dal nulla” perché le attribuisce il significato che le banche creano denaro senza vincoli e senza limiti. Che significhi questo o meno, non è un punto tanto rilevante da richiedere un pezzo su Voxeu.

Ciò che conta è che le banche non aspettano che i precedenti risparmi siano depositati presso di loro per creare credito/moneta, ma creano “potere d’acquisto” quando concedono credito, che è un’attività rischiosa, basata su una promessa di rimborso. Che questo non sia al 100% uguale a “creare dal nulla” non è importante. 

L’importante è che le banche permettono ad un imprenditore senza abbastanza denaro/risparmio di finanziare il suo investimento. Anche altre parti del sistema finanziario possono finanziare gli investimenti, ma non lo fanno creando un “potere d’acquisto” generale (moneta). Redistribuiscono il “potere d’acquisto” esistente. 

sabato 23 maggio 2020

- Note sulla crisi. Intervista all'economista Marco Passarella -

Da: http://www.marx21.it - http://www.badiale-tringali.it - Di Francesco Fustaneo e Alessandro Pascale
Vedi anche:  - Cause strutturali e congiunturali della stagnazione italiana - Marco Veronese Passarella 
                         La crisi dell'economia italiana all'interno della crisi dell'area euro - Marco Veronese Passarella 
                         Crisi si, ma quale teoria della crisi? - Marco Veronese Passarella 
                         Keynes* (ma chi era costui?) - Marco Veronese Passarella


Marco Veronese Passarella, 44 anni, veneto, è docente di economia presso l’Economics Division della Leeds University Business School. Fa parte della redazione di Economia e Politica ed è membro del gruppo Reteaching Economics. Lo abbiamo intervistato per la rivista Marx21 sull'attuale fase economica cercando di capire se dal suo punto di vista gli strumenti messi in campo dalle istituzioni europee siano o meno idonee per arginare la crisi, con un passaggio obbligato poi, sui trattati europei e sulle relazioni geopolitiche attuali e su possibili mutamenti di scenario.


- Professore, tutto il mondo si avvia verso una recessione economica che forse non ha precedenti: è possibile e auspicabile uscire da questa crisi restando all'interno di rapporti di produzione capitalistici? Se sì, quali strategie economiche e politiche può mettere in campo uno Stato come il nostro?

- Non so se sia possibile. Di certo non è auspicabile. E tuttavia non vi sono, al momento, segnali di un superamento imminente dei rapporti di produzione capitalistici. Dobbiamo giocoforza misurarci con un paese ed un contesto internazionale in cui il movimento operaio e le sue organizzazioni storiche o quello che ne rimane, sono in fase di arretramento. Nel caso italiano il problema è amplificato dai vincoli istituzionali e politici imposti dall’adesione all’Area Euro, che limitano drammaticamente le possibilità di intervento proprio quando l’economia viene colpita da shock esterni. 

- Che cosa si può fare dunque?

venerdì 22 maggio 2020

giovedì 21 maggio 2020

Nei Quaderni filosofici di Lenin: lo studio della Logica e la lettura del proprio tempo - Emiliano Alessandroni

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n°1/2018, Nei Quaderni filosofici di Lenin: lo studio della Logica e la lettura del proprio tempo, a cura di Emiliano Alessandroni, pp. 74/88, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0 - http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1832/1640
Emiliano Alessandroni Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
Leggi anche: Lenin, 150 anni dopo la sua nascita - Atilio A. Boron 


Nel corso degli anni ‘50 e ‘60 del Novecento, collocandosi lungo la scia tracciata da Galvano Della Volpe, Lucio Colletti sviluppa in Italia una requisitoria contro Hegel e segnatamente contro quegli elementi della filosofia hegeliana che, in modo più o meno volontario, erano penetrati all’interno del marxismo, inficiandone, a suo avviso, la consistenza scientifica. Tre i vizi speculativi tramandati, secondo lo studioso italiano, dalla Scienza della logica e dalla Fenomenologia dello Spirito

1) l’assorbimento del quadro storico nel quadro ontologico, vale a dire il complessivo disinteresse verso la «molteplicità del reale», portata a vanificarsi entro «una genericità o un’idea che non rimanda né si riferisce a questo o a quell’aspetto del reale, ma si presenta al contrario essa stessa come la sola e intera realtà»1; 

2) lo «scambio», per usare la terminologia aristotelica, «del genere con la specie»2; 

3) la tendenza a cedere reiteratamente alle lusinghe delle «ipostasi», categorie incapaci «di servire come ipotesi e criteri per l’esperienza» in quanto non desunte da scrupolose osservazioni dell’Oggetto, ma apparse come «un’introduzione surrettizia di contenuti immediati, non controllati»3. 

Sarebbe alquanto facile replicare a Colletti come simili forme di dogmatismo, che costituiscono alcune delle configurazioni che assume il concetto di ideologia in Marx4 , siano in ultima analisi anche alcune delle configurazioni che assume il concetto di intelletto astratto in Hegel – ripartito a sua volta tra l’astrattezza del particolare e l’astrattezza dell’universale. Ma altri sono gli aspetti che qui preme evidenziare: partendo dalle convinzioni di cui sopra, l’allievo di Della Volpe rimprovera a Lenin la tendenza ad allinearsi «nella sostanza» sempre più «alla logica hegeliana»5 . Si tratterebbe di un allineamento a concezioni teologiche, coscienzialiste e mistiche, quali erano quelle che, a suo avviso, la filosofia classica tedesca promuoveva, inclini a contaminare la coscienza del dirigente russo verso forme di speculazione deteriore. È un punto che viene ribadito con fermezza: la «logica» e la «dialettica hegeliana» avevano posto tra gli occhi di Lenin e il mondo un’insidiosa «lente deformante»6. 

Come giudicare queste accuse? Lo studio della filosofia di Hegel concorre realmente a indebolire la comprensione che Lenin maturerà del mondo? Per rispondere a queste domande occorre tornare indietro fino al 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale. Guerra che vedrà un altissimo numero di vite falcidiate, in massima parte appartenenti agli strati sociali meno abbienti. In quel mentre, nei parlamenti inglese, francese, austriaco e tedesco, i deputati socialisti che pur si ergevano a portavoci delle masse popolari, votavano favorevolmente ai crediti di guerra. È una vicenda che suscita l’indignazione di Rosa Luxemburg: «l’immortale appello del Manifesto comunista» di Marx ed Engels (“proletari di tutti i paesi unitevi”) «subisce» ora, «un completamento essenziale...secondo la correzione apportatavi da Kautsky...: “Proletari di tutti i paesi unitevi in pace e sgozzatevi in guerra!”»7. 

mercoledì 20 maggio 2020

Edipo. Dall'enigma alla colpa - Maurizio Bettini

Da: Teatro Franco Parenti -
Maurizio Bettini è professore ordinario di Filologia Classica all'Università di Siena e direttore del centro interdipartimentale di studi 'Antropologia del mondo antico'.
Vedi anche:  Tragedia come Paideia*- Eva Cantarella 
                      Medea migrante - Eva Cantarella 
                     "EDIPO, LA CONOSCENZA E IL DESTINO"- Mauro Bonazzi, Silvia Vegetti Finzi 
                      Antigone di Sofocle - Vittorio Cottafavi 
                      Le troiane - Euripide
                                                                            

domenica 17 maggio 2020

Non c'è liberazione dal lavoro senza liberazione del lavoro - Gianluca Pozzoni

Da: http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it - Gianluca Pozzoni è Dottore di Ricerca all'Università degli Studi di Milano Statale.
Vedi anche:   Quale attualità di Claudio Napoleoni: il contributo di Politica Economica 
                       Paul Mason: POSTCAPITALISMO – Riccardo Bellofiore 
                       Sulla “Nuova lettura di Marx”*- Riccardo Bellofiore 
Leggi anche: Economia politica e filosofia della storia. Variazioni su un tema smithiano: la missione "civilizzatrice" del capitale.*- Riccardo Bellofiore**
                        Marx e la fondazione macro-monetaria della microeconomia - Riccardo Bellofiore 
                        La socializzazione degli investimenti: contro e oltre Keynes - Riccardo Bellofiore - 
                        CHE COS'È IL VALORE? - Giorgio Gattei* 
                        L’ecomarxismo di James O’Connor - Riccardo Bellofiore

Qui il video della presentazione dell'ultimo libro di Riccardo Bellofiore "Smith, Ricardo, Marx, Sraffa: Il lavoro nella riflessione economico-politica", Rosenberg & Sellier, 2020, presso la Mediateca Gateway. 

Tutta da ascoltare, grazie agli ottimi interventi di Giorgio Gattei, Cristina Re e Francesco Garibaldo. Sono seguite le repliche dell'autore. Ha moderato e introdotto Andrea Coveri: https://www.facebook.com/mediateca.gateway/videos/300969457731929/ 

                                           * * *

“Smith Ricardo Marx Sraffa: Il lavoro nella riflessione economico-politica” di Riccardo Bellofiore (Rosenberg&Sellier, 2020) non è un semplice compendio di storia del pensiero economico. È piuttosto un'immersione nelle teorie economiche moderne che spinge l’autore a interrogarsi sul ruolo del lavoro nell’attuale fase neoliberista del capitalismo, sul suo futuro aperto, e sui compiti politici che questo futuro pone.

Tanto vale dichiararlo in apertura: dietro al titolo esoterico, da “addetti ai lavori”, dell’ultimo libro di Riccardo Bellofiore – Smith Ricardo Marx Sraffa – si nasconde in realtà un testo fortemente militante. Si tratta, beninteso, di una militanza teorica, da economista critico. Lo stesso titolo del libro è un omaggio all’opera Smith Ricardo Marx, pubblicata all’inizio degli anni Settanta da un altro economista critico, Claudio Napoleoni, antico maestro di Bellofiore. E se l’impostazione di Bellofiore non risparmia neppure lo stesso Napoleoni, criticato in vari punti, fedele all’approccio del suo predecessore è invece la scelta di avanzare una proposta teorica ripercorrendo alcune tappe fondamentali del pensiero economico moderno. 

sabato 16 maggio 2020

Il circolo vizioso tra bassa istruzione e povertà - Cristina Re


Da: https://www.roars.it - Cristina Re studia Dottorato in Economics presso Università degli Studi di Siena. https://www.facebook.com/cristinare93
Leggi anche: Su: Europa e Globalizzazione*- Cristina Re** 


(per Noi Restiamo)

In questo articolo, ci occupiamo di analizzare la connessione tra disuguaglianze sociali ed istruzione andando a decostruire una narrazione dominante che presenta il mondo della formazione come fondato su una efficiente meritocrazia che premia sempre i più bravi e “giustamente” lascia indietro chi non ha le “skills” per affrontare un mondo del lavoro flessibile che richiede giovani lavoratori sempre più “smart” e competitivi. Riferendoci, al di là dell’ideologia, alla realtà vediamo una situazione ben diversa: chi non ha le competenze adatte non è un incapace, ma viene da una condizione economica svantaggiata, e la meritocrazia diventa solo un modo per giustificare le enormi disuguaglianze economiche e sociali.

Da sempre sottolineiamo come il modello economico capitalistico genera uno sviluppo ineguale di diverse aree geopolitiche e classi sociali, il quale a sua volta viene rafforzato dalla “controrivoluzione” neoliberale, iniziata negli anni ‘80, che ha visto l’introduzione di una serie di leggi in materia di lavoro, di istruzione, di previdenza sociale, sanitaria ecc., aventi l’obiettivo di piegare i diritti sociali al profitto e promuovere l’interesse privato a discapito di quello pubblico. Questo sviluppo ineguale, rafforzato dall’Unione Europea soprattutto attraverso la gestione della crisi economica con politiche di austerity, emerge ormai chiaramente dai dati e dall’analisi del quadro generale, tant’è che ormai anche i giornali mainstream non riescono più a nasconderla, nonostante il goffo tentativo di mostrare il fenomeno come marginale. In Italia, nello specifico, sono usciti recentemente una serie di articoli sul tema che sottolineano come la disuguaglianza e la povertà siano ereditarie e molto più sentite al Centro-Sud. Inoltre, l’impatto è diverso all’interno degli stessi territori a seconda della classe di appartenenza e dell’età, risultando ancora più feroce nei confronti dei giovani, nonché per le fasce sociali più deboli.

Con lo scopo di avere una fotografia più chiara del fenomeno, smascherando gli effetti di un modello economico e sociale insostenibile, ne presentiamo una descrizione per cercare di cogliere le tendenze più rilevanti e soprattutto per mostrare l’assenza totale di mobilità sociale, le relazioni centro-periferia che si stanno sempre più rafforzando e l’attacco fortissimo perpetrato nei confronti delle nuove generazioni che, tra le fasce di popolazione, sono tra quelle che soffrono di più gli effetti di questo modello.

venerdì 15 maggio 2020

Stiamo vivendo la prima crisi economica dell’Antropocene - Adam Tooze

Da: https://www.infoaut.org - Adam Tooze è uno storico britannico che è professore alla Columbia University e direttore dell'Istituto europeo.
Ascolta anche: RADIO QUARANTENA: Intervista a Giuseppe Antonio di Marco, docente di Filosofia della storia, Università di Napoli "Federico II": Preistoria e Comunismo. L'attualità degli scritti antropologici di Marx e Engels (https://www.spreaker.com/user/11689128/preistoria-e-comunismo).




Pubbichiamo questo articolo uscito qualche giorno fa sul sito del The Guardian, scritto dallo storico dell’economia Adam Tooze, autore, due anni fa, del monumentale “Lo schianto. 2008-2018. Come un decennio di crisi economica ha cambiato il mondo”. Il merito del testo è quello di cogliere la dimensione profonda di una crisi che, anche se letta ancora come economica, ha le sue radici nello sconvolgimento dei rapporti tra natura umana e natura non-umana e il loro complessivo incorporamento nell’economico, che oggi però viene messo in discussione dall’irruzione della pandemia. 
(INFOaut)




Ogni aprile la città di Washington DC ospita la riunione primaverile del FMI e della Banca mondiale. Il mese scorso la direttrice operativa del FMI Kristalina Georgieva si è però rivolta ai colleghi in video. “Il mondo sta affrontando”, ha dichiarato, “una crisi senza pari”. Per la prima volta da quando sono disponibili rilevazioni, l’economia è in contrazione in tutto il mondo, tanto nei paesi ricchi quanto in quelli poveri.

Ma non è tanto il suo impatto immediato a rendere questa crisi economia senza precedenti. È la sua genesi. Questo non è il 2008, con il crollo del sistema bancario nordatlantico. E non sono nemmeno gli anni ‘30, col terremoto generato dalle linee di frattura conseguenti alla prima guerra mondiale. Questo è il 2020 e l’emergenza economica dettata dal Covid-19 è il risultato di uno sforzo massiccio e globale per contenere una malattia sconosciuta e letale. Si tratta al tempo stesso di una dimostrazione sorprendente del potere collettivo che abbiamo di arrestare l’economia e di un promemoria sconvolgente sul fatto che il nostro controllo sulla natura, che sta alla base della vita moderna, è più fragile di quanto pensassimo. Stiamo vivendo la prima crisi economica dell’Antropocene.

Questa è l’epoca in cui l’impatto umano sulla natura ha cominciato a ritorcersi contro in modi imprevisti e disastrosi. Per quanto la grande accelerazione che ha contraddistinto l’Antropocene possa essere iniziata nel 1945, è nel 2020 che ci confrontiamo con la prima crisi le cui ripercussioni destabilizzano l’intera economia. È un promemoria di quanto totalizzante e immediata sia questa sfida. Mentre la temporalità dell’emergenza climatica tende ad essere misurata in anni, il Covid-19 ha fatto il giro del mondo in poche settimane. È un trauma profondo. Mettendo in discussione il nostro stesso dominio sulla vita e sulla morte, la malattia ha scombussolato le basi psicologiche del nostro ordine sociale ed economico. Pone delle domande fondamentali in merito alle nostre priorità. Capovolge i termini del dibattito. Né negli anni ‘30 né nel 2008 ci si era trovati a discutere se fosse giusto o meno far tornare le persone al lavoro.

giovedì 14 maggio 2020

Proletari di tutto il mondo, la vera pandemia è la disuguaglianza - Pasqualina Curcio

Da: https://contropiano.org - Pasqualina Curcio è Economista e Professoressa all’Universidad Simón Bolívar (Venezuela).
Leggi anche: - PRIVILEGIO DI CLASSE: IN QUARANTENA A SPESE DEGLI ALTRI - 
                         Virus, emergenza e disciplinamento sociale - Pier Franco Devias 
                         Un dialogo sull’imperialismo: David Harvey e Utsa e Prabhat Patnaik. - Alessandro Visalli 

Non è del tutto vero che il Covid-19 non distingue nel momento in cui colpisce e, soprattutto, uccide. È possibile che biologicamente non ci siano differenze di colore della pelle, età, o sesso; in ogni caso sono studi che dovranno essere condotti con attenzione una volta che si dispone del dettaglio dei casi di infetti e morti, ma differenze e disuguaglianze per combattere la pandemia e non morire nel tentativo, infatti, ci sono.

Non è lo stesso il rischio di contagio che si assume il fattorino dell’azienda di Amazon, che deve uscire a lavorare ogni giorno perché altrimenti i suoi figli andranno a letto senza mangiare, al rischio che si assume il proprietario della stessa azienda, che essendo socialmente molto ben distante nella sua villa, è in cima alla lista Forbes con un patrimonio di 138 miliardi di dollari.

Non è la stessa cosa passare la quarantena come cassiere di Walmart, con tutto il rischio di contagio che questo comporta, e con uno stipendio che non potrebbe essere sufficiente a pagare un test Covid-19, che passare il distanziamento fisico come uno degli azionisti della citata catena di negozi: il numero 13 della lista Forbes 2020 con 54 miliardi di dollari di patrimonio.

Non è lo stesso combattere il Coronavirus senza un pezzo di pane da mangiare perché, essendo un lavoratore dipendente e senza la capacità di risparmiare, sei stato licenziato perché l’azienda transnazionale dove lavori ha dovuto chiudere a causa della quarantena, o essere il proprietario borghese della filiale.

Non è lo stesso sopravvivere alla pandemia vivendo per strada, senza un riparo permanente, senza dover mangiare, senza lavoro e senza stipendio, o come appartenenti all’1% della popolazione mondiale che si appropria dell’82% della ricchezza (Oxfam, 2019).

Il vero male che oggi si sta diffondendo in tutto il mondo e che attacca l’umanità è la disuguaglianza, a sua volta conseguenza di un sistema predatorio di produzione e distribuzione attraverso il quale la borghesia, proprietaria del capitale, con la complicità degli Stati che partecipano minimamente alle economie e applicano il laissez faire, si è appropriata sempre più dello sforzo del lavoratore salariato. Un sistema che, quindi, genera sempre più povertà e che oggi, in tempi di Coronavirus, diventa sempre più evidente.

Affrontare l’assalto della pandemia di Coronavirus in condizioni di povertà è ovviamente più difficile. Oggi, 3,7 miliardi di persone nel mondo sono poveri, cioè la metà della popolazione. 

Ci siamo chiesti perché ci sono così tanti poveri nel mondo, o crederemo al discorso egemonico del capitalismo che dice che i poveri sono poveri perché non lavorano abbastanza, non fanno uno sforzo, non sono produttivi, sperperano il loro salario, e quindi sono loro stessi responsabili della loro condizione di povertà?

Guardiamo alcune cifre e smontiamo questa menzogna.

mercoledì 13 maggio 2020

- Un culto di morte -

Da: http://ilpedante.org - https://www.facebook.com/giorgio.bianchi
Leggi anche:  Contro l’emergenza - Alessandra Ciattini e Aristide Bellacicco 
                         Covid-19 e Costituzione - Gaetano Silvestri 
                         IL COVID-19 BUSSA ALLA PORTA DELLA BARBARIE, NON DEL SOCIALISMO. - Paolo Ercolani 
                         La città appestata - Michel Foucault
Vedi anche:    https://youtu.be/qAKKA21pWfo


"I do not believe that a nation dies save by suicide. 
To the very last every problem is a problem of will; and if we will we can be whole."
(G.K. Chesterton)

I.

Non è facile commentare il periodo che stiamo attraversando. Mentre i più lo traducono nelle cronache e nei bollettini sanitari di una malattia che circolerebbe dall'inizio dell'anno, qualche avanguardia critica si spinge a denunciare gli errori con cui sarebbe stata gestita la collegata emergenza. È però ormai evidente che le reazioni e i pensieri innescati dalla patologia virale, su cui pure si fissa disciplinatamente il dibattito, evidenziano le piaghe di una patologia antropologica più vasta da cui emergono i limiti, se non forse anche la fine, di un intero modello antropologico e sociale.

Per restare nel dominio semantico che tiene banco, prima di valutare le cause e i rimedi occorre dare una chiara descrizione dei sintomi. In punto di fatto, la sospensione delle attività sociali oggi imposta per arginare la trasmissione di un virus non ha precedenti in tempi di pace e forse anche di guerra, scaricandosi ora l'intero potenziale offensivo e difensivo dello Stato sulla sola popolazione civile. Il combinato delle misure in vigore ha creato le condizioni di un esperimento, inedito per radicalità e capillarità, di demolizione controllata del tessuto sociale che parte dai suoi atomi per diramarsi verso la struttura. Alla base sono colpiti gli individui: terrorizzati dall'infezione e dalle sanzioni, braccati nella quotidianità con un accanimento e un dispiegamento di mezzi che è raro riscontrare nella repressione dei crimini più efferati, segregati tra le mura domestiche, allontanati dai propri cari, isolati nella malattia e nella morte, istigati alla delazione e al terrore - quando non direttamente all'odio - del prossimo, privati dei conforti della religione, senza istruzione, costretti alla disoccupazione e a vivere dei propri risparmi nell'attesa di un'elemosina di Stato, stipati come bestie in batteria e ridotti ad abitare il mondo attraverso gli ologrammi gracchianti di un telefonino. La speranza stessa della liberazione diventa fonte di angoscia per l'incertezza delle previsioni e l'enormità dei messaggi accreditati in cui si annunciano «rimedi» fino a ieri quasi indicibili per i nostri standard giuridici e morali: dal tracciamento digitale dei cittadini e del loro stato di salute, riservato finora solo alle specie selvatiche, alla somministrazione presumibilmente coatta di farmaci che ancora non esistono (se mai esisteranno) o, in alternativa, che nulla hanno a che fare con la patologia in oggetto; dalla smaterializzazione dei rapporti umani più stretti al prelievo forzoso degli «infermi», fino ai sogni più sfrenati di tatuaggi e certificati digitali per poter condurre una vita (si fa per dire) normale.

lunedì 11 maggio 2020

"Violenza, classi e Stato nel capitalismo crepuscolare" - R.Fineschi, M.Casadio, A.Allegra.

Da: Contropiano video - https://contropiano.org - Roberto Fineschi (Filosofo marxdialecticalstudies) - Mauro Casadio (Rete dei Comunisti http://www.retedeicomunisti.net) - Antonio Allegra (Rete dei Comunisti)


Le forme di repressione odierne, che si accentuano e si accentueranno nelle prossime settimane con il pretesto della gestione della pandemia, vanno comprese connettendole al contesto della crisi sistemica di quello che Roberto Fineschi definisce “capitalismo crepuscolare”.

                                                                           
Primo intervento Fineschi 16:10
Primo intervento Casadio 49:16
Secondo intervento Fineschi 1:05:55
Secondo intervento Casdadio 1:24:29
Terzo intervento Fineschi 1:39:08

domenica 10 maggio 2020

Lenin, 150 anni dopo la sua nascita - Atilio A. Boron

Da: http://www.rifondazione.it - Il testo è tratto da: https://www.elsiglo.cl/2020/04/23/atilio-boron-y-los-150-anos-de-lenin -
Atilio A. Boron è un intellettuale e sociologo argentino.
Leggi anche:  Marxismo e revisionismo - Vladimir Lenin (1908) 
                         Il socialismo e la guerra - Vladimir Lenin (1915) 
                         Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale*- Vladimir Lenin (1917) 
                         Better Fewer, But Better*- Vladimir Lenin (1923) 
                         Sulla Nostra Rivoluzione*- Vladimir Lenin (1923) 
                       Tutto il potere ai soviet’ - Lars T. Lih 
                        Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché
                         La missione morale del Partito comunista - György Lukács 


22 Aprile 2020

Vladimir Illich Ulianov è nato in un giorno come oggi, del 1870, a Simbirsk, in Russia. Fu il fondatore del Partito Comunista Russo (bolscevico), il leader indiscusso della prima insurrezione operaia e contadina di successo a livello nazionale nella storia della umanità: la Rivoluzione d’ottobre in Russia (che portò a termine ciò che la eroica Comune di Parigi non potè fare) e architetto e costruttore dello Stato sovietico. Come se questo non fosse abbastanza, fu anche un notevole intellettuale, autore di numerosi scritti su argomenti diversi come filosofia, teoria economica, scienze politiche, sociologia e relazioni internazionali (1).

“Pratico della teoria e teorico della pratica” secondo la brillante definizione che György Lukács ha proposto, Lenin introdusse tre contributi decisivi al rinnovamento di una teoria vivente, il marxismo, che ha sempre inteso come una “guida all’azione” e non come un dogma o un insieme sclerotizzato di precetti astratti. 

Grazie a Lenin le basi teoriche stabilite da Karl Marx e Friedrich Engels furono arricchite con una teoria dell’imperialismo che fece luce sugli sviluppi più recenti del capitalismo nel primo decennio del ventesimo secolo; con una concezione della strategia e delle tattiche della conquista del potere o, in altre parole, con una rinnovata teoria della rivoluzione basata sull’alleanza “operaia-contadina” e sul ruolo degli intellettuali; e con le sue diverse teorie sul partito politico e i suoi compiti in diversi momenti della lotta sociale. Una straordinaria eredità teorica, come emerge dalla precedente enumerazione. 
 
In questo breve promemoria della nascita di una persona eccezionale come Lenin, vorrei attirare l’attenzione su uno di questi tre contributi: la “teoria” del partito in Lenin.