Da: https://left.it - Piero Bevilacqua è uno storico e saggista italiano.
Com’è ormai emerso in questi ultimi 3 mesi grazie a una vasta
documentazione, soprattutto di parte americana,
l’allargamento della NATO agli ex Paesi del Patto di Varsavia
rispondeva ad un preciso fine, che oggi
appare perfettamente raggiunto: provocare un casus belli ai confini
della Russia, far leva sull’orgoglio
nazionalistico dei suoi gruppi dirigenti e impegnarla in una guerra
aperta.
L’aggressione di
Putin all’Ucraina è, con ogni evidenza, il risultato di tale
strategia, un successo lungamente
perseguito dall’amministrazione americana attraverso la NATO, che
oggi mostra tutti i suoi
frutti. Allargamento dell’Alleanza ad altri stati europei,
incremento delle spese militari di tutti i
Paesi membri, mobilitazione su vasta scala di mezzi e uomini,
maggiore coesione politica e
ideologica.
Senonché, come
alcuni analisti avevano già fatto osservare - e tale aspetto è reso
oggi più evidente dall’ingente impegno militare degli USA a
sostegno dell’Ucraina – la “guerra per procura” contro la
Russia, è solo una tappa, un passaggio di un ben più ampio disegno
strategico. Essa serve a destabilizzare uno dei contendenti dello
spazio geopolitico mondiale, appunto il cuore dell’ex Unione
Sovietica, ma l’obiettivo più ambizioso e più vasto è, fuori da
ogni dubbio, la Cina. E’ il grande Paese asiatico che con la
spettacolare crescita delle sue economie manifatturiere, l’espansione
mondiale dei suoi commerci, il successo crescente nell’ambito delle
alte tecnologie, è osservato sempre più dagli USA come il
contendente geopolitico più temibile e quindi – secondo la
razionalità imperialista di gran parte dei suoi gruppi dirigenti –
come il nemico da sconfiggere anche militarmente nel prossimo futuro.
Occorre avere ben
chiara questa prospettiva, del resto esplicitamente dichiarata a
latere del vertice NATO, iniziato il 28
giugno scorso a Madrid, dal suo segretario, Stoltenberg, (e
confermata nel documento finale
Strategic Concept 2022), che ha annunciato una nuova era di
concorrenza strategica con Russia e Cina. Non a caso si sta sempre
più configurando sulla stampa la nuova narrazione
ideologica che deve fare da collante all’impresa, convincere le
opinioni pubbliche europee. Russia e
Cina sono portatrici di valori incompatibili con le democrazie
occidentali, rappresentano una
minaccia alla nostra sicurezza e alla nostra civiltà. Dobbiamo
dunque combatterle con tutti i mezzi.
Ebbene, occorre
averlo ben chiaro questo nuovo scenario, perché nel giro di qualche
mese il grande progetto dell’Unione
Europea, di una confederazione di stati liberi, impegnati a non
ripetere le guerre mondiali del
900, è stato sopraffatto dal nuovo disegno bellico della NATO: tutti
i paesi che ne fanno parte
devono impegnarsi, con un massiccio incremento di spesa in armamenti, mobilitazione di
uomini, sanzioni economiche, iniziative diplomatiche, nella Grande
Guerra del nuovo millennio.
Dunque, mentre la
maggioranza delle popolazioni europee è contraria alla guerra,
perfino nel caso dell’aggressione
all’Ucraina, verso cui è pur solidale, ad essa viene imposto un
nuovo corso politico, viene chiesto di immaginare per sé stessa un
nuovo avvenire di conflitti mondiali, un destino storico che getta il
Vecchio Continente nell’incubo di un futuro conflitto nucleare. E’
un passaggio drammatico della nostra storia di cui la grande stampa
fa finta di non accorgersi. E osserviamo che mai, forse neppure alla
vigilia della prima guerra mondiale, si era verificata una cosi
aperta divaricazione tra le élites dirigenti (imprenditori, partiti,
intellettuali, stampa) e le popolazioni, una così conclamata
subordinazione del ceto politico ai vertici militari. In questo caso
ai vertici militari di un Paese esterno all’Europa, che sta al di
là dell’Atlantico. Che cosa è accaduto alle classi dirigenti
europee?
Naturalmente, quello
appena tratteggiato è un progetto Nato, che trova al momento un
apparente e generale consenso
fra i vari governi del Continente. Il tempo mostrerà quante falle si
apriranno all’interno di un
fronte che oggi appare così compatto.
Quel che qui
interessa considerare è la situazione dell’Italia, che può
servire tuttavia come specimen per gli altri stati europei. Il nostro
Paese sarà impegnato a portare al 2% del proprio PIL, pari a poco
meno di 40 miliardi, la spesa annua in armamenti, che sempre
Stoltenberg “promette” di considerare una “base di partenza”,
per futuri incrementi. La pretese della NATO costituiscono dunque ora
una voce rilevante del nostro bilancio statale, una componente della
nostra politica economica.
Questo avviene in un
Paese che è lacerato da una disuguaglianza sociale fra le più gravi
dei paesi industrializzati, con oltre 5 milioni di poveri assoluti,
la cui popolazione decresce di anno in anno – l’indice più
significativo del declino di un Paese da quando esiste la scienza
economica - a cui mancano decina di migliaia di medici, i cui giovani
laureati e ricercatori emigrano all’estero, derubato da una
evasione fiscale da “doppio Stato”, afflitto da una criminalità
che controlla vasti territori e settori economici, un debito pubblico
fra i più alti dei Paesi OCSE. Davvero l’Italia si può caricare
questo nuovo fardello imposto dal Grande Fratello americano in difesa
dei suoi interessi imperiali? E ricordiamo en passant che le
prospettive economiche prossime venture dell’economia nostra,
europea e mondiale, non sono rosee. Intanto perché i problemi di
approvvigionamento energetico, l’inflazione, la speculazione di
borsa sui cereali, le sanzioni in atto, gli scontri diplomatici, e le
incertezze create dal clima di conflitto generale, non gioveranno
certo all’economia.
Ma soprattutto
perché lo sviluppo economico dovrà fare i conti con una realtà che
gli strateghi militari e anche il nostro modestissimo ceto politico
non vogliono vedere: noi abbiamo mosso guerra al pianeta e sempre più
le nostre economie dovranno muoversi tra le rovine di cui abbiamo
disseminato la Terra: intere regioni desertificate, con connessa fuga
delle popolazioni, fiumi disseccati, collasso di ghiacciai,
innalzamento del livello dei mari, perdita di terre fertili, danni
spesso ingenti da eventi estremi, esplosione dei consumi elettrici
durante le estati sempre più torride, incendi devastanti dalla
California alla Siberia. Fra poco riprenderanno a bruciare i nostri
boschi, con il corredo di danni a uomini, animali, paesi, perché nel
frattempo nulla è stato fatto per contrastarli. E, tanto per uscire
dal quadro generale e fissare lo sguardo a un problema oggi sul
tappeto: in questo momento si grida “al lupo” davanti al Po che
in certi punti è diventato un rigagnolo. Ma se nel giro di pochi
anni si scioglieranno i ghiacciai delle Alpi, le siccità
congiunturali diventeranno perpetue, l’intera Pianura padana
resterà senz’acqua. Il che non significa soltanto che non sarà più
possibile coltivare il mais, ma che mancheranno le risorse idriche per
produrre energia elettrica, verrà meno l’acqua per le attività
industriali, per gli allevamenti, per lo smaltimento dei reflui, per
gli usi civili. I settori più importanti dell’area ricca del Paese
rischiano di collassare rovinosamente.
Dovrebbe bastare
questa prospettiva, per nulla remota, per comprendere entro che
genere di follia criminale vada
collocato il disegno della NATO di nuova competizione-guerra del
cosiddetto Occidente contro
Russia e Cina. Ma è guardando al quadro politico italiano che la
riflessione diventa
interessante. Com’è noto, l’intero ceto politico – salvo le
contorsioni impotenti di Giuseppe Conte e di parte dei
5S - concorda con la posizione del governo Draghi, alfiere
dell’atlantismo senza dubbi e paure.
Perfino Fratelli d’Italia, partito formalmente all’opposizione
aderisce – e non poteva essere
diversamente – al progetto guerriero.
Bene, noi siamo
davvero ansiosi di osservare con quale protervia e capacità di
tenuta i dirigenti politici italiani riusciranno a convincere i
nostri connazionali, che ogni anno quasi 40 miliardi del bilancio
statale vanno sottratti alla scuola, alla sanità ( dove i malati di
cancro muoiono prima di poter fare una risonanza), alla ricerca, al
nostro territorio, al Sud, ai giovani disoccupati, ai comuni, alla
manutenzione delle nostre città.
E’ evidente che in
Italia, come nel resto d’Europa, il conflitto tra i disagi
crescenti della popolazione e le politiche dell’
élite è destinato a esplodere in forme imprevedibili. Di fronte al
cambiamento di prospettiva storica dell’Europa anche la politica
verrà sconvolta. I partiti politici tradizionali forse subiranno una
sanzione definitiva non soltanto con l’astensionismo.
Ma in questo quadro
drammatico l’Italia può diventare un laboratorio di nuova
politica, affidato a forze radicali capaci di unirsi in un progetto
di mutamento degli attuali assetti disuguali della società, di
redistribuzione della ricchezza, di investimenti pubblici nei settori
fondamentali, entro una visione di assetto multilaterale del mondo ,
fondato sulla pace, come voleva il Manifesto di Ventotene , dalla cui
ispirazione è sorta l’Europa. Sarà la sinistra radicale –
radicale sta per "afferrare le cose alla radice" - (Marx) - se
saprà lavorare con intelligenza e senso di responsabilità, senza
settarismi ed estremismi, a difendere il progetto dell’Unione
Europea di fronte all’opinione pubblica continentale, (unico che
può salvarci da una guerra di sterminio), forza di opposizione
contro vecchi e nuovi partiti che intendono asservirla agli interessi
di una potenza straniera.