Da: https://tempofertile.blogspot.com - AlessandroVisalli è architetto e dottore di ricerca in pianificazione urbanistica; si occupa di ambiente ed energie rinnovabili.
Leggi anche: Giovanni Arrighi, “Adam Smith a Pechino” - Alessandro Visalli
Samir Amin: “La crisi” - Alessandro Visalli
[1] - Si veda, ad esempio, il post “Lawrence Mishel, ‘Lo scostamento tra la crescita della produttività e dei redditi mediani”, Tempofertile, 23 novembre 2013; “Conflitti distributivi e lavoro: passato e futuro”, Tempofertile, 21 settembre 2015; “Mc Kinsey & Company, ‘Più poveri dei genitori? Redditi piatti o in caduta nelle economie avanzate”, Tempofertile, 20 luglio 2016.
[2] - Giovanni Arrighi, “Adam Smith a Pechino”, Feltrinelli, 2007, p. 165.
[3] - Questa sintesi fa riferimento a quanto scritto in Alessandro Visalli, “Dipendenza”, Meltemi 2020, pp. 394 e seg. Un sintesi in questo post, “Dipendenza”, Tempofertile, 4 novembre 2020.
[4] - Si veda il post, “Compromessi sociali, la ‘Grande Moderazione’”, Tempofertile, 8 maggio 2015.
[5] - Uno dei più rilevanti fu Pier Paolo Pasolini, del quale si possono vedere gli “Scritti corsari”, Garzanti, Milano 1975, e le “Lettere luterane”, Garzanti, Milano 1976, ma anche C. Lasch, “La ribellione delle élite”, Feltrinelli, Milano 1995.
[6] - Per una lettura molto interessante che fa uso di questo concetto si veda O. Romano, “La libertà verticale. Come affrontare il declino di un modello sociale”, Meltemi, Milano 2019.
[7] - Si veda il post “Gig Economy o Sharing Economy? Della generalizzazione del Modello piattaforma”, Tempofertile, 16 febbraio 2016; “Benedetto Vecchi, ‘Il capitalismo delle piattaforme”, Tempofertile, 20 gennaio 2018
[8] - Si veda questo post, “Amazon e il suo monopolio”, Tempofertile, 22 ottobre 2017
[9] - Ovvero, parafrasando la sintetica definizione di Hirschman, al problema di come una cosa non conduce all’altra (es. un investimento in una centrale elettrica ed un porto non conduce ad uno sviluppo industriale e quindi ad un innalzamento del tenore di vita generale).
[10] - Per una ipotesi contraria si veda R. Solow, Technical Change and the Aggregate Production Function, in “Review of Economics and Statistics”, vol. 39, n. 3, 1957, pp. 312-320. Secondo la sua analisi iniziale nel lungo periodo la crescita non dipende dai macchinari, ma dalla tecnologia. Calcolando la crescita per lavoratore negli Stati Uniti, la stima di Solow era che ben sette ottavi dipendeva dalla tecnologia. La focalizzazione sulla produttività del lavoro, dalla quale deriva la dotazione di beni e servizi pro-capite che viene fatta coincidere con la crescita, conduce a rendere evidente che la mera crescita del numero di macchine per lavoratore va soggetta rapidamente ai rendimenti decrescenti (non posso mettere le mani su più di una macchina alla volta). Ne derivava, nei risultati proposti, che il reddito da impianti e macchine è parte minore del Pil (circa un terzo), dato che resiste grosso modo dagli anni Cinquanta a tutti gli ottanta. A causa del rendimento decrescente, il mero aumento dei macchinari non era la strada della crescita (è la “sorpresa di Solow”), e quindi il risparmio non sostiene la crescita. Ciò che lo fa è il progresso tecnico. Ciò perché, semplicemente, il cambiamento tecnologico permette di ottenere un livello di produzione superiore utilizzando la stessa quantità di lavoro. La ricerca di direzioni causali semplici e modellabili matematicamente, una delle specialità di Solow, lo portò, allora, anche nel suo influente libro successivo a concluderne che il progresso tecnico aveva luogo per ragioni non economiche, dato che dipendeva dall’avanzamento delle conoscenze scientifiche (cfr. R. Solow, Growth Theory: An Exposition, Oxford University Press, 1987).
[11] - Ad esempio, secondo il punto di vista di Myrdal, in parte fondato su una importante ricerca sul campo sulla discriminazione nel sud degli Stati Uniti (si veda G. Myrdal, Il valore nella teoria sociale, Einaudi, 1966 (ed. or. 1958), al contrario dei modelli ottimisti dell’economia (ad esempio alle conseguenze di quello di Solow), il gioco delle forze di mercato lasciato a sé stesso porta alla continua crescita delle ineguaglianze. Come scrive: “Se le cose fossero lasciate al libero gioco delle forze di mercato senza interventi di politica economica, la produzione industriale, il commercio, le banche, le assicurazioni, la navigazione, quasi tutte queste attività economiche che in un’economia in sviluppo tendono a dare una remunerazione superiore alla media – e inoltre la scienza, l’arte, la letteratura, l’istruzione, l’alta cultura in genere – verrebbero ad addensarsi in certe località e regioni, lasciando il resto del paese più o meno stagnante” (G. Myrdal, Teoria economica e paesi sottosviluppati, Feltrinelli 1959 (ed. or. 1957).
[12] - Si veda anche il post, “Immanuel Wallerstein, ‘Dopo il liberalismo’”, Tempofertile 11 maggio 2022
[13] - Si definiscono “ragioni di scambio” il rapporto tra l'indice dei prezzi all'esportazione di un paese e quello dei prezzi all'importazione. Dal punto di vista dell'intero paese, rappresenta l'ammontare di esportazioni richiesto per ottenere una unità di importazione. Dunque il prezzo tra due beni (o di un bene e di un altro rispetto ad una unità di misura comune, ad esempio il denaro internazionalmente accettato come il dollaro) è relativo ai rapporti di forza che si determinano sul “mercato”, e che dipendono da molteplici fattori non tutti economici. Ad esempio, se un paese ha un surplus di vino, essendosi specializzato solo in tale produzione di esportazione, poniamo di Porto, e l’unico grande mercato “libero”, nel quale può vendere il prodotto è la Gran Bretagna, dovrà accettare il prezzo determinato dai grossisti anglosassoni, detentori del monopolio di accesso al mercato, anche se è di poco superiore al suo prezzo di produzione, l’alternativa è riempire i magazzini e non avere la moneta per comprare, al prezzo anche qui determinato dai commercianti esteri, in quando detentori di un monopsonio (sostenuto da Trattati e, se del caso, cannoniere), e sul limite della loro capacità di spesa. L’effetto è che un paese a sovranità molto limitata (avendola perso sui campi di battaglia), progressivamente si impoverisce. Tutto questo scompare nelle formule semplificate, potenza della matematica, e nelle alate parole di David Ricardo. L’ipotesi, fondativa della disciplina economica internazionale, che il ‘libero scambio’ sia sempre a vantaggio reciproco, è, per usare le parole di Keen “una fallacia fondata su una fantasia”. Questa teoria ignora direttamente la realtà, nota a chiunque, che quando la concorrenza estera riduce la redditività di una data industria il capitale in essa impiegato non può essere “trasformato” magicamente in una pari quantità di capitale impiegato in un altro settore. Normalmente invece “va in ruggine”. Insomma, questo piccolo apologo morale di Ricardo è come la maggior parte della teoria economica convenzionale: “ordinata, plausibile e sbagliata”. E’, come scrive Keane “il prodotto del pensiero da poltrona di persone che non hanno mai messo piede nelle fabbriche che le loro teorie economiche hanno trasformato in mucchi di ruggine”.
[14] - Si veda “Chi ha ucciso il cervo? Della guerra tra moneta e merci”, Tempofertile 25 aprile 2022.
[15] - Si veda “Circa il rapporto della Banca di Russia alla Duma: disconnessioni e fine del sistema-mondo occidentale”, Tempofertile, 22 aprile 2022
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