Da: https://noteblockrivista.blogspot.com - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza.
Leggi anche: sullo scritto di Ernesto Che Guevara "L'uomo e il socialismo a Cuba" - Alessandra Ciattini
Rivoluzione e vita quotidiana - L. D. TROTSKIJ -
È stata la protagonista più significativa dell'ala sinistra della socialdemocrazia tedesca, tra i più lucidi marxisti del suo tempo, e una convinta sostenitrice dell'azione radicale, individuando i termini di questioni che si presentano purtroppo ancora oggi sotto i nostri occhi e sottolineando che il socialismo è una nuova forma complessiva di civiltà e non solo la trasformazione delle relazioni economiche .
I^ parte - Un essere umano onnilaterale
Per definire la ricca e variegata personalità di Rosa Luxemburg, detta "Rosa la rossa", mi sembra indispensabile far riferimento alla figura dell’essere umano onnilaterale così bel descritto da Karl Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, in cui viene rappresentato un individuo che si trova nelle condizioni di coltivare tutti i suoi talenti e non è reso ottuso e limitato da un sistema fondando sulla proprietà privata capitalistica. Queste sono le parole illuminanti del nostro: «La proprietà privata ci ha resi così ottusi ed unilaterali che un oggetto è considerato nostro soltanto quando lo abbiamo […]. Al posto di tutti i sensi fisici e spirituali è quindi subentrata la semplice alienazione di tutti questi sensi, il senso dell’avere. L’essere umano doveva essere ridotto a questa assoluta povertà, affinché potesse estrarre da sé la sua ricchezza interiore» (ibidem, pp. 116 e ss.).
Possiamo citare anche un altro celebre passo dello stesso tenore, questa volta tratto dall’Ideologia tedesca, scritta da Marx insieme al suo compagno inseparabile Friederich Engels, in cui viene sviluppato il medesimo concetto: «Appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina di andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico» (K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 2005, p. 24).
Se esaminiamo la vita di Rosa, al di là dei dati biografici più salienti, scorgiamo una tenace militante politica, ma anche un’intellettuale appassionata, incarnante alla perfezione l’ideale etico marxiano, aperta alle molteplici esperienze, anche difficili e negative, che la vita, conclusasi con il suo assassinio, le ha potuto offrire. Sin dalla giovinezza iniziò la militanza politica nella regione della Polonia, dove era nata nel 1871, regione che stava a quel tempo sotto il dominio russo (Regno di Polonia); successivamente nel 1883 fondò a Zurigo la Socialdemocrazia del Regno di Polonia e Lituania (SDKPL), uno dei due partiti socialisti della Polonia russa, essendo l’altro il Partito socialista polacco (PPS). Era una donna molto vivace e intelligente, un‘intellettuale ostinata e appassionata, imparò rapidamente da sola a leggere e scrivere in polacco, tedesco e russo. Nel 1884 entra nel Secondo Liceo Femminile di Varsavia e aderisce gruppo rivoluzionario clandestino Proletariat, dissolto nel 1886 e poi ricostituito. Quando termina gli studi nel 1887, il Consiglio di Istituto non le concede la meritata medaglia d’oro, perché i suoi insegnanti la consideravano ribelle e poco rispettosa delle autorità.
Ancora prima di compiere vent’anni, Rosa aveva cominciato ad interessarsi ai problemi sociali, pertanto si era dedicata allo studio delle opere di Marx ed Engels, in una Polonia sconvolta da scioperi e manifestazioni, nel corso dei quali i gruppi oppositori vengono dissolti e i loro membri arrestati; la stessa Rosa rischia di essere incarcerata. Nel 1889 fugge da Varsavia e oltrepassa i confini dell’Impero austro-ungarico nascosta in un carro di fieno, per stabilirsi a Zurigo dove si iscrive alla Facoltà di Filosofia, allo stesso tempo frequenta i corsi di matematica e scienze naturali, giacché si sentiva fortemente attratta dalla botanica e dal mondo naturale nel suo complesso. Nel 1892 si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza e si laurea nel 1897 con una tesi sullo sviluppo industriale della Polonia, pubblicata a Lipsia l’anno successivo. In questo scritto Rosa sostiene che lo sviluppo economico del suo paese era strettamente legato al mercato russo; per questa ragione non condivide le rivendicazioni politiche dei nazionalisti polacchi. Questa sua posizione antinazionalista è ancora oggi molto dibattuta dai suoi critici. Dopo l’adesione al marxismo si distacca dalla sua fede religiosa originaria (la sua famiglia era ebrea) e diviene atea. Dal 1890 al 1907 resta legata al rivoluzionario lituano Leo Jogiches.
Ho centrato la riflessione sulla figura di Rosa richiamandomi ad una certa concezione etica, sebbene sia certa che questa prospettiva scandalizzerà ancora una volta coloro che concepiscono il marxismo “scientifico”, nel senso di disciplina appartenente alle cosiddette scienze dure, come puro economicismo, e avvertiranno in questo richiamo una svalutazione della sua validità come teoria e come prassi. Eppure, non tutti ricorderanno che il Che Guevara, un eminente marxista, intervistato sulla sua scelta comunista, dichiarò che se instaurare il comunismo fosse exclusivamente una faccenda economica, egli non vi avrebbe aderito. Invece, proprio perché il comunismo comportava la costruzione di una nuova forma di società, in cui l’individuo potesse davvero realizzare pienamente se stesso e non a danno degli altri, aveva combattuto con Fidel contro il regime dittatoriale di Fulgenzio Battista. Come è noto, queste sue tesi sono ben illustrate in un breve articolo del 1965 intitolato L’uomo e il socialismo a Cuba, dove si sofferma appunto sulla necessità di costruire l’uomo nuovo.
Oggi il tema dell’uomo nuovo, che ovviamente include anche la donna, è stato del tutto accantonato non solo dalle ideologie dominanti, che forniscono ai giovani il modello di un individuo di successo, capace di autovalorizzarsi e di trionfare sugli altri, magari monetizzando i suoi trionfi. Tuttavia, questo tema, strettamente legato a quello della necessità di modificare la vita quotidiana miserabile delle masse popolari, strette dalle necessità materiali e per questo sempre più imbarbarite e depoliticizzate, è centrale nel pensiero marxista, il cui obiettivo sostanziale è l’emancipazione umana. Basti pensare al fatto che Lenin, dopo la conquista del potere, riconosce la necessità del lavoro culturale o agli articoli del 1923 di Leon Trotszky riuniti in un libro intitolato Rivoluzione e vita quotidiana (v. https://www.marxismo.net/) dove si prospetta dopo la rivoluzione la necessità di cambiare la struttura stessa della vita quotidiana: «Un esame critico degli usi e dei costumi è divenuto una necessità per far sì che la vita, che è conservatrice per le sue tradizioni che risalgono a migliaia di anni, non resti indietro rispetto alle possibilità di progresso che si presentano, anche nelle risorse economiche di oggi, e possa aprirsi al domani. D'altro canto, successi anche minimi nel campo degli usi e dei costumi ovviamente destinati ad elevare il livello culturale dei lavoratori e delle lavoratrici, avrebbero come effetto l'ampliamento delle possibilità di razionalizzazione dell'industria e la realizzazione più rapida delle istituzioni socialiste; a sua volta ciò apre la strada a nuove conquiste nel campo della socializzazione della vita».
La profonda consapevolezza di questa problematica, relativa alla costruzione globale di una nuova società popolata da individui antropologicamente differenti, è condensata da Rosa nella famosa sua frase «Socialismo o barbarie», su cui ritornerò nella conclusioni di questo scritto, ma che vale la pena anticipare per sottolineare che oggi siamo veramente arrivati al redde rationem, ossia che senza un cambiamento radicale non avremo scampo né fisicamente né psicologicamente.
Prima di analizzare, sia pure brevemente il pensiero politico di Rosa, soffermiamoci sulle sue qualità umane, estrapolando alcuni passi dalle sue lettere. Il suo amore per la natura è documentato in queste parole: «Tutte le mattine ispeziono scrupolosamente le gemme di ogni mio arbusto e verifico dove ce ne sono; ogni giorno faccio visita a una coccinella rossa con due puntini neri sul dorso che da una settimana mantengo in vita su un ramo in un batuffolo di calda ovatta nonostante il vento e il freddo; osservo le nuvole, sempre più belle e senza sosta diverse e in fondo io non mi considero più importante di quella piccola coccinella e, piena del senso della mia infima piccolezza, mi sento ineffabilmente felice».
Un’altra lettera di Rosa, scritta a Sonja Liebknecht nel dicembre del 1917 mentre si trovava in carcere, ci fornisce altri elementi per penetrare nella sua straordinaria sensibilità. Descrivendo la sua situazione di prigioniera, propone anche una fine analisi psicologica di se stessa dai tratti non del tutto inattesi: “E’ ormai un anno che Karl è rinchiuso a Luckau … E’ il mio terzo Natale in gattabuia, ma non fartene una tragedia. Sono calma e serena come sempre. Ieri sono rimasta a lungo sveglia – adesso non riesco ad addormentarmi prima dell’una, però devo essere a letto già alle dieci -, così, al buio, i miei pensieri vagano come in sogno. Ieri dunque pensavo: quanto è strano che, senza alcun motivo particolare, io viva sempre in un’ebbrezza gioiosa. Me ne sto qui, ad esempio, in questa cella oscura, sopra un materasso duro come la pietra, intorno a me nell’edificio regna come di regola un silenzio di tomba, sembra di essere rinchiusi in un sepolcro: attraverso la finestra si disegna sul soffitto il riflesso della lanterna accesa l’intera notte davanti al carcere.
Di tanto in tanto si sente, cupo, lo sferragliare di un treno che passa in lontananza: oppure, più vicina, proprio sotto la finestra, la guardia che si schiarisce la voce e per sgranchirsi le gambe fa lentamente qualche passo con i suoi stivaloni. La sabbia stride in modo così disperato, sotto quei passi, che nella notte scura e umida si sente risuonare tutta la desolazione e lo sconforto dell’esistenza.
Me ne sto qui distesa, sola, in silenzio, avvolta in queste molteplici e nere lenzuola dell’oscurità, della noia, della prigione invernale – e intanto il mio cuore pulsa di una gioia interiore incomprensibile e sconosciuta, come se andassi camminando nel sole radioso su un prato fiorito. E nel buio sorrido alla vita, quasi fossi a conoscenza di un qualche segreto incanto in grado di sbugiardare ogni cosa triste e malvagia e volgerla in splendore e felicità. E cerco allora il motivo di tanta gioia, ma non ne trovo alcuno e non posso che sorridere di me. Credo che il segreto altro non sia che la vita stessa; la profonda oscurità della notte è bella e soffice come il velluto, a saperci guardare. E anche nello stridere della sabbia umida sotto i passi lenti e pesanti della guardia risuona un canto di vita piccolo e bello, se solo ci si presta orecchio” (https://gabriellagiudici.it/rosa-luxemburg-a-sonja-liebknecht/).
II^ parte - La sua attività politica
Quando Rosa entra a far parte del Partito socialdemocratico tedesco si deve misurare con il revisionismo di Eduard Bernstein, più volte parlamentare, il quale aveva scritto una serie di articoli sulla rivista del partito, in cui sosteneva che la teoria di Marx aveva perso tutta la sua validità. Inoltre, a suo parere lo sviluppo economico e politico del capitalismo dimostrava che non si poteva parlare più di un suo prossimo collasso inevitabile. Osservava anche che la polarizzazione delle classi si faceva meno stridente, le crisi economiche meno frequenti e che la costituzione dei grandi trusts indicava il superamento delle tendenze anarchiche insite nel capitalismo. A suo avviso, queste trasformazioni consentivano al sistema capitalistico di superare le crisi e rendevano sempre più socializzata l’economia. Nello stesso tempo, la lotta sindacale per gli aumenti del salario determinava la diminuzione delle ore di pluslavoro e quindi l’entità del plusvalore, che alla fine sarebbe scomparso, eliminando la necessità di mettere in moto una rivoluzione socialista. Ragionamenti fino ad un certo punto sensati, ma scaturiti dall’analisi di un periodo di espansione e crescita del capitalismo e inimmaginabili nelle fasi di crisi come quella che stiamo vivendo.
Rosa rispose con degli articoli messi insieme in un libro, divenuto assai noto, intitolato Riforma o Rivoluzione? del 1898, in cui mostra che questa contrapposizione è priva di senso, dato che, dal suo punto di vista, si trattava di due pratiche complementari compresenti nella strategia più generale del superamento del capitalismo. Rinnegando la dialettica e abbandonando il punto di vista della totalità, secondo Rosa, Bernstein dava importanza solo ad aspetti secondari e contingenti. E in questo caso mi pare che la rivoluzionaria polacca avesse pienamente ragione.
Sulla base di queste critiche, possiamo capire perché, alla vigilia della Prima guerra mondiale, Rosa si oppose vigorosamente al voto a favore dei crediti di guerra in cambio dei vantaggi economici concessi dal governo ai lavoratori. Vantaggi che venivano pagati grazie allo sfruttamento imperialistico delle colonie, di cui pertanto il partito socialdemocratico si rendeva complice. Grazie a questo compromesso, secondo Lenin e Trotsky, si sarebbe formata la cosiddetta aristocrazia operaia opportunista e incline al vuoto parlamentarismo.
Questa posizione non si differenzia da quanto sostenuto da Trotzki nel Programma di transizione elaborato nel 1938, anno di fondazione della Quarta internazionale, a cui il rivoluzionario anti stalinista attribuisce l’arduo compito (più che mai attuale) di « […] superare la contraddizione tra la maturità delle condizioni oggettive della rivoluzione e l'immaturità del proletariato e della sua avanguardia (smarrimento e demoralizzazione della vecchia generazione, inesperienza della nuova)». A suo parere il programma dovrebbe «aiutare le masse a trovare, nel processo della loro lotta quotidiana, il ponte tra le rivendicazioni attuali e il programma della rivoluzione socialista. Questo ponte deve consistere in un sistema di rivendicazioni transitorie che partano dalle condizioni attuali e dal livello di coscienza attuale di larghi strati della classe operaia e portino invariabilmente a una sola conclusione: la conquista del potere da parte del proletariato». Esempi di tali misure sono la rivendicazione della scala mobile, l’occupazione fabbriche per costituire comitati di fabbrica diretti dai lavoratori.
Nel 1905 quando scoppia la prima rivoluzione russa, nel corso della quale si costituiscono i consigli o soviet, Rosa decide di tornare in Polonia per parteciparvi, ma il movimento rivoluzionario viene stroncato e lei viene arrestata. Tornata libera si reca in Finlandia dove conosce Lenin e poi si stabilisce in Germania dove insegna economia politica dal 1907 al 1914 nella scuola del partito. In questo periodo scrive l’importante opera L’accumulazione del capitale (pubblicato 1913), in cui analizza il sistema economico dell’imperialismo, intendendo dimostrare che, per avanzare nell’accumulazione, il capitalismo ha bisogno di dar vita ai monopoli e di acquisire sempre nuovi spazi di sfruttamento.
Così lo studioso britannico mette in evidenza che Rosa distingue due forme di accumulazione: la prima si sviluppa in tutti i luoghi di lavoro, dove avviene la transazione tra il lavoratore e il capitalista; la seconda si fonda sulle relazioni diseguali tra il capitalismo e i modi di produzione precapitalistici e si nutre della spietata politica coloniale, praticata senza nessun velo con il saccheggio e la cieca violenza, del sistema creditizio e infine della guerra. Tuttavia, a suo parere sia Lenin che la Luxemburg finiscono col “collocare fuori” del sistema capitalistico questa fase dell’accumulazione “based upon predation, fraud, and violence”.
Pertanto, egli ritiene che: “A general re-evaluation of the continuous role and persistence of the predatory practices of ‘primitive’ or ‘original’ accumulation within the long historical geography of capital accumulation is… very much in order”. E aggiunge una proposta: distinguere l’accumulazione primitiva e originaria dall’accumulazione per spoliazione (dispossession), tenendo presente che questi due aspetti sono “organicamente legati” e che possiamo comprendere l’evoluzione del capitalismo solo se li manteniamo uniti.
D’altra parte, sottolinea Harvey, la densa descrizione di Marx dell’accumulazione primitiva delinea un ampio spettro di fenomeni e pone l’accento sul ruolo dello Stato giocato in essi:
“These include the commodification and privatization of land and the forceful expulsion of peasant populations; conversion of various forms of property rights – common, collective, state, etc. – into exclusive private property rights; suppression of rights to the commons; commodification of labour power and the suppression of alternative, indigenous, forms of production and consumption; colonial, neo-colonial and imperial processes of appropriation of assets, including natural resources; monetization of exchange and taxation, particularly of land; slave trade; and usury, the national debt and ultimately the credit system. The state, with its monopoly of violence and definitions of legality, plays a crucial role in both backing and promoting these processes” (D. Harvey, The new Imperalism: Accumulation by dispossession, 2004).
Benché critica del fatalismo di Karl Kautsky, che prevedeva l’inevitabile crollo del capitalismo, in quest’opera sull’accumulazione, Rosa scrive che, necessariamente limitato nella sua espansione, alla ricerca di sempre nuovi mercati alla fine introvabili per il totale esaurimento dello spazio extracapitalista, questo prima o poi sarebbe destinato a scomparire dalla faccia della terra. Nello stesso tempo, tuttavia, Rosa immaginava che, per superare questo limite oggettivo, la conflittualità interimperialista sarebbe sfociata in una guerra per redistribuire tra i vincitori le colonie e le sfere d’influenza.
Scopo di questo libro era mettere in evidenza che il militarismo (investimenti in armamenti e guerre) era una conseguenza necessaria dell’accumulazione che conduceva il sistema capitalistico all’imperialismo e alla guerra. Questa impostazione catastrofista spingeva Rosa a vedere l’ineluttabilità dell’affermazione del socialismo sorto dalla crisi devastante della società borghese e dall’esacerbarsi del conflitto tra le classi. Tuttavia, nel suo scritto, precedentemente citato, Riforma o rivoluzione?, aveva affermato “La vittoria del socialismo non cadrà dal cielo come un fato. Essa può essere conquistata soltanto con una lunga serie di poderose prove di forza …nelle quali il proletariato internazionale… impara e tenta di prendere nelle proprie mani i suoi destini” (Storia della filosofia, vol. 8, p. 93, Bompiani, Milano 2014).
Ora vorrei citare qualche passaggio dell’Opuscolo Junius, che la Luxemburg scrisse in carcere nel 1915 e nel quale si scagliava contro la terribile guerra scoppiata nel 1914 e auspicava che la leadership socialdemocratica facesse una “spietata autocritica” della sua tragica decisione di votare i crediti di guerra il 4 agosto 1914, dando il via ad una catastrofe. Scrive Junius-Rosa (pseudonimo di un autore britannico XVIII secolo o di Lucius Junius Brutus, fondatore della repubblica romana): “Per la prima volta dall'esistenza del moderno movimento operaio si apre un abisso tra i principi della solidarietà internazionale del proletariato mondiale e gli interessi della libertà e dell'esistenza nazionalista del popolo; per la prima volta scopriamo che l'indipendenza e la libertà delle nazioni comandano che i lavoratori si uccidano e si distruggano a vicenda”. Menziono un altro significativo passo di questo pamphlet che calza assai bene con la situazione attuale: «Friedrich Engels una volta disse: "La società borghese si trova a un bivio, o la transizione al socialismo o la regressione alla barbarie". Cosa significa "regressione alla barbarie" per la nostra alta civiltà europea?... Uno sguardo intorno a noi in questo momento mostra cosa significhi la regressione della società borghese alla barbarie. Questa guerra mondiale è una regressione alla barbarie. Il trionfo dell'imperialismo porta all'annientamento della civiltà. All'inizio, ciò accade sporadicamente per la durata di una guerra moderna, ma poi quando inizia il periodo delle guerre illimitate progredisce verso le sue inevitabili conseguenze. Oggi affrontiamo la scelta esattamente come l'aveva prevista Friedrich Engels una generazione fa: o il trionfo dell'imperialismo e il crollo di tutta la civiltà come nell'antica Roma, lo spopolamento, la desolazione, la degenerazione: un grande cimitero. O la vittoria del socialismo, cioè la lotta attiva consapevole del proletariato internazionale contro l'imperialismo e il suo metodo di guerra. Questo è un dilemma della storia mondiale, un o/o». https://www.marxists.org/archive/luxemburg/1915/junius/ch01.htm).
Anche Lenin, come Rosa, aveva combattuto il revisionismo nel suo paese in particolare con il suo celebre scritto Che fare? (1902). Egli sostiene la tesi non vi è una relazione di continuità tra l’economicismo e il socialismo: le lotte economiche per i miglioramenti salariali, delle condizioni di lavoro etc. non conducono inevitabilmente alla sviluppo di una coscienza socialista. Determinante per raggiungere questo scopo è il contributo scientifico degli intellettuali borghesi come, per esempio, Marx ed Engels. In questo senso, egli rigetta lo spontaneismo delle masse, considerandolo pur importante, ma che a suo parere deve essere inquadrato in un partito, definito appunto leninista che, a parere per esempio di Eric Hobsbawm, si distacca dalla precedente tradizione marxista. Il partito leninista è centralizzato, costituito da un’avanguardia, fatta di professionisti della rivoluzione, che cercano di orientare il malcontento della masse verso l’abolizione dei sistemi politico-economici esistenti.
Rosa era in disaccordo con questa impostazione, benché non fosse un’antibolscevica, bisogna considerarla piuttosto una bolscevica critica, che indicava con preoccupazione “la tendenza di ogni organizzazione a sostituirsi alle azioni spontanee del proletariato” (Stefano Garroni, La Luxemburg, Lenin e la democrazia. 2006). Questa posizione risalta, in particolare, già in uno scritto Sciopero di massa, partito e sindacato del 1906, in cui considera lo sciopero di massa uno strumento importantissimo da cui sarebbe scaturita dal basso l’organizzazione delle masse e che avrebbe dato impulso allo sviluppo della loro coscienza. Ritorna su questi temi nel 1918, mentre si trovava in carcere, nello scritto Sulla Rivoluzione russa, testo che fu reso noto solo dopo la sua morte avvenuta poco tempo dopo, in cui attribuiva molti difetti del nuovo regime dei soviet al comportamento dei socialdemocratici tedeschi che avevano adottato un atteggiamento riformistico e di compromesso. Inoltre, critica la decisione dei bolscevichi di sciogliere l’Assemblea costituente e di non aver proceduto all’elezione di una nuova istituzione similare, non tenendo conto del fatto che i soviet erano diventati i nuovi organi del potere nella Russia bolscevica.
Come si vede, Rosa è stata la protagonista più significativa dell'ala sinistra della socialdemocrazia tedesca, tra i più lucidi marxisti del suo tempo, e una convinta sostenitrice dell'azione radicale, individuando i termini di questioni che si presentano purtroppo ancora oggi sotto i nostri occhi e sottolineando che il socialismo è una nuova forma complessiva di civiltà e non solo la trasformazione delle relazioni economiche.
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Rosa Luxemburg, teorica marxiana dell’economia e della politica - Riccardo Bellofiore
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ROSA LUXEMBURG: RIVOLUZIONARIA, DONNA, FEMMINISTA* - Antonella Marazzi
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Vedi anche:
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