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Il nostro paese e l’Occidente sono in preda ad una evidente sindrome di russofobia. Potrebbe apparire tale ma non è una novità. Non lo è sicuramente per le leadership e le società europee e, di conseguenza, neanche per quelle statunitensi.
Colpisce il fatto che la Russia possa essere zarista o socialista, capitalista o nazionalista, ma alla fine in Europa scatta comunque il demone russofobico. Da dove nasce questo pregiudizio che troppo spesso è diventato contrapposizione frontale o guerra?
Prima di arrivare all’isteria a cui stiamo assistendo in queste settimane c’è una lunga storia da conoscere, ragione per cui prendetevi il tempo necessario per conoscerla.
Le radici della russofobia in Europa
C’è un interessante libro di Guy Mettan edito dalla Teti “Russofobia. Mille anni di diffidenza”, che aiuta a capire molte cose.
Per molti aspetti la russofobia ha qualcosa in comune con l’antiebraismo ossia un antico “documento” – ritenuti quasi unanimemente dei falsi storici – che ne dimostrerebbe la intrinseca natura aggressiva e dominatrice. Nel caso delle comunità ebraiche sarebbe il “Protocollo dei Savi di Sion” (tra l’altro si dice elaborato proprio nella Russia zarista). Nel caso della Russia sarebbe addirittura il “Testamento di Pietro il Grande”, fatto arrivare in Europa, e poi pubblicato e utilizzato in Francia durante l’invasione napoleonica della Russia.
Il documento fu consegnato ai francesi da un generale polacco, tal Sokolnicki, già nel 1797, ma fu pubblicato più tardi in appendice al libello “Des progrès de la Puissance russe” di Charles Louis-Lesur, nel quale si asseriva che sin dal XVIII secolo i regnanti russi puntavano ad impadronirsi di Germania, Francia e persino della Spagna dei Borboni.
Delle pubblicazioni successive all’epoca napoleonica, curate da Dominique Georges-Frederic de Pradt, tornarono alla carica indicando l’Impero zarista come una potenza asiatica e dispotica dalla natura libido dominandi con l’ambizione intrinseca di “espandersi verso occidente con la violenza e con l’inganno”.
Contestualmente, un altro autore francese, Saint-Marc Girardin affermava che se la Russia zarista fosse riuscita a sottomettere tutti i popoli slavi, si sarebbe servita di loro per dominare l’Europa, la sua cultura e la sua anima.
Inutile dire che queste pubblicazioni aumentarono la loro fortuna e la loro influenza alla vigilia della “Guerra di Crimea” nel 1856, quando Gran Bretagna, Francia e Italia si schierarono al fianco della Turchia contro la Russia… e l’Italia mandò i bersaglieri.
Ma se la russofobia è stata un arma di combattimento nell’Ottocento nello scontro tra gli imperi in espansione (soprattutto quello britannico e quello zarista), il sentimento russofobo e slavofobo in Europa ha radici ancora più antiche ed ha origine in Germania.
L’espansionismo a est dei Cavalieri Teutoni nel Medioevo, partiva dal presupposto che i popoli slavi erano dei “sotto popoli” da colonizzare e schiavizzare. La loro crociata espansionista fu fermata nel 1242 da Aleksander Nevski, quello che è diventato l’eroe nazionale russo.
Questa logica di annientamento di questo unter meschen slavo, guiderà le spietate azioni della Wermacht tedesca in tutta l’Europa orientale durante la Seconda Guerra Mondiale. Gli slavi erano popoli da schiavizzare, le minoranze ebraiche tra essi erano da annientare. Questo spiega la ferocia dell’occupazione nazista all’est e l’altissimo numero di vittime civili in quei paesi – e in Urss in particolare – durante il secondo conflitto mondiale.
Occorre ammettere che le eredità nefaste di questa slavofobia tedesca sono riemerse quasi naturalmente durante la disgregazione e la guerra in Jugoslavia, sulle quali le responsabilità della Germania sin dalla fase iniziale sono state enormi. Prima con il riconoscimento destabilizzante della secessione di Croazia e Slovenia nel 1991, poi con la “volenterosa partecipazione” alla propaganda di guerra e ai bombardamenti Nato contro la Federazione Jugoslava e Belgrado nel 1999.
Ma la russofobia e la slavofobia, anche in tempi lontani, non era prerogativa solo della nobiltà e delle èlites tedesche. Alla fine del XVI Secolo, lo studioso britannico Philip Sydeny già scriveva contro “I moscoviti nati-schiavi che godono nel vivere sotto la tirannia e ad opprimere le altre nazioni”.
Russofobia: un’arma dell’Impero Britannico nel Grande Gioco in Asia centrale
Infatti se dovessimo definire il cuore pulsante della moderna russofobia occidentale, dovremmo inevitabilmente spostarci dalla Germania alla Gran Bretagna, in particolare nell’Ottocento.
In molti hanno sentito parlare del “Grande Gioco” ossia lo scontro durato l’intero XIX Secolo in Asia centrale tra due imperi in espansione: quello britannico che dall’India andava verso nord e quello zarista che, al contrario, si espandeva verso sud.
Sulla descrizione di questo scontro secolare tra i due imperi ci sono le interessantissime pagine dell’autore de “Il Grande Gioco”, lo storico inglese Peter Hopkirk. Ben 29 pagine del libro descrivono l’emergere e la violenza della russofobia nelle èlites dell’Impero Britannico impegnato in uno scontro a tutto campo dal Caucaso fino all’Hinduskush, dall’Iran all’Afghanistan contro l’Impero Zarista. In un secolo però l’unico scontro militare diretto fu quello in Crimea nel 1856. Negli altri casi il Grande Gioco si è combattuto con spedizioni geografiche e spionistiche, corruzione e alleanze di khan ed emiri locali, guerre per procura. Insomma una “guerra ibrida” ante litteram nella quale i sospetti e l’alimentazione di sospetti, la creazione e la rottura repentina di alleanze, le attività di spionaggio sono state decisive.
Ma è evidente come un conflitto durato un secolo ed in cui molto spesso la “doppiezza” era all’ordine del giorno per conquistare posizioni, ha alimentato in occidente l’idea che della Russia non ci si può fidare, che mente e inganna per natura. E la Gran Bretagna, o meglio, l’Impero Britannico, pur ricorrendo ampiamente alla medesima “doppiezza”, ha fatto di tutto per influenzare il resto dell’Europa, ma anche gli Stati Uniti, con questo pregiudizio russofobico, funzionale però e soprattutto allo scontro geopolitico.
Anche Marx, nonostante la sua lungimiranza e ampiezza di vedute, in qualche modo sembra condividere questa visione in alcuni suoi scritti.
Per Marx l’autocrazia russa era una metamorfosi della Moscovia, formatasi “alla scuola terribile e abbietta della schiavitù mongolica”; la sua espansione era sorretta da una volontà di potenza illimitata, sino alla conquista del mondo. La modernizzazione dispotica realizzata da Pietro il Grande non ne aveva cambiato la natura, anzi era servita a fornirle la forza materiale per svolgere il suo ruolo di guardiana della reazione”. E sia Marx che Engels si diranno contrari alle istanze nazionaliste dei popoli slavi del sud in quanto strumentalizzati dall’impero zarista con le sue mire di dominio sull’Europa e per la pretesa antistorica e assurda – scrive Engels – “di soggiogare l’occidente civilizzato all’oriente barbaro, la città alla campagna, il commercio, l’industria, l’intelligenza all’agricoltura primitiva dei servi slavi” (“Rivoluzione e controrivoluzione in Germania).
Solo più tardi Marx individuerà nell’arretrato e autocratico impero zarista l’anello debole dell’assetto capitalistico mondiale. La Russia non è più il bastione della controrivoluzione ma è il paese della rivoluzione possibile, e non una rivoluzione borghese, impossibile per la sua composizione sociale, ma una rivoluzione socialista o comunista, che facendo leva sul radicamento delle comunità contadine avrebbe potuto abbreviare i tempi storici, saltare la fase capitalistica innescando una rivoluzione su scala europea e mondiale.
A realizzare concretamente tale progetto saranno Lenin e i Bolscevichi, ma il socialismo possibile sperimentato per la prima volta in Russia, nonostante i generosi tentativi rivoluzionari in Germania, Austria, Ungheria, non riuscì a penetrare nell’Europa occidentale.
Dunque, e paradossalmente, è stato il marxismo l’elaborazione nata in Occidente che più di altre ha influenzato concretamente la storia e la società russa. Ma era un elaborazione antagonista agli interessi borghesi dominanti in Occidente, ragione per cui non è mai stata riconosciuta come strumento di “modernizzazione” dell’arretrato impero russo. Al contrario, quando con il crollo dell’Impero Zarista, la Russia è diventata uno stato socialista – l’Unione Sovietica – nelle borghesie in Occidente si scatenò la “Grande Paura”.
Dalla russofobia all’antisovietismo
Nelle borghesie occidentali su questa paura sono arrivate a convergere tutte le paure più profonde e materiali. Un impero che crollando diventa invece un progetto di trasformazione sociale radicale apertamente dichiarato – con l’Internazionale comunista – ha decretato la più totale isteria. L’idea che qualcuno puntasse ad espropriare le ricchezze ai ricchi e a socializzarle ai proletari, ha terrorizzato i sogni della borghesia europea per decenni.
Non a caso, tutte le potenze occidentali che fino a due anni prima si erano massacrate reciprocamente nelle trincee della Prima Guerra Mondiale, invieranno i propri contingenti militari a cercare di schiacciare la neonata Unione Sovietica. Una sorta di crociata ideologica e politica contro la minaccia russo/sovietica che però – e fortunatamente – uscì con le ossa rotte.
Un ruolo consistente alla diffusione della russofobia tra le popolazioni dell’Europa dell’Est è sempre stato svolto dalla Polonia, sia nelle sue leadership aristocratiche che in quelle più moderne come il governo militare di Pilsudski fin dal 1904. Il suo obiettivo era la sollevazione delle popolazioni “non russe” (ucraini, tatari, caucasici) contro la Russia, prima zarista poi socialista. La stessa operazione che vediamo oggi in Ucraina ma stavolta contro una Russia capitalista e nazionalista.
Il sentimento russofobico pre-esistente, dopo la Rivoluzione d’Ottobre nel 1917, venne dunque coniugato in Occidente e nell’Europa dell’Est sia con la paura dei comunisti che con l’antiebraismo storico (molti dirigenti bolscevichi erano infatti ebrei).
Il nazismo in Germania e le complicità di cui ha potuto disporre da parte dei “liberali” in Europa, hanno attinto a piene mani da tale assioma e costruito su questo una guerra totale, che sarà concepita nell’Europa dell’Est – diversamente dall’Europa dell’Ovest – appunto, come annientamento di sotto popoli slavi per di più “dominati da comunisti e da ebrei”.
L’altissimo numero di vittime civili nell’Urss e all’est e la composizione delle vittime dei campi di concentramento nazisti ci confermano questa visione e questa realtà.
L’alleanza tra le potenze occidentali (Usa e Gran Bretagna) con l’Urss, in funzione antinazista, termina poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. La russofobia-antisovietica era stata messa congiunturalmente da parte ma solo per riemergere con forza alla prima occasione.
Russofobia e anticomunismo nella Guerra Fredda
Con la Russia diventata Unione Sovietica, la russofobia viene così declinata in anticomunismo, e da pregiudizio diventa scontro ideologico, politico e militare totale definito come “Guerra Fredda”.
Questo conflitto, così come nel Grande Gioco, in quarantacinque anni non è mai arrivato allo scontro frontale. Si è combattuto con guerre locali per procura, colpi di stato, spionaggio, campagne mediatiche ed ideologiche, corsa agli armamenti e deterrenza nucleare, organizzazione di alleanze militari (Nato e Patto di Varsavia, Seato in Asia etc.).
Nel 1991 la Guerra Fredda viene dichiarata conclusa. La bandiera dell’Unione Sovietica viene ammainata dal Cremlino, il Muro di Berlino è crollato, la Germania riunificata, i paesi dell’Europa dell’Est sottratti ai vincoli del Patto di Varsavia. Gli Stati Uniti e l’occidente sono vittoriosi e si ritrovano la ex Unione Sovietica (e il resto del mondo) completamente a disposizione della propria egemonia neoliberista.
Mettono un loro presidente-pagliaccio al comando della Russia (Boris Eltsin), cominciano il saccheggio sistematico delle immense risorse della ex Urss, sostengono il “democratico” bombardamento del Parlamento a Mosca nel 1993 da parte di Eltsin, liberalizzano e privatizzano tutto.
Il risultato sarà una catastrofe sociale per la popolazione russa e dei paesi ad essa legati, una diminuzione della popolazione (in tempo di pace) a causa di miseria e peggioramento delle condizioni di salute, una democratizzazione formale funzionale solo al rispetto dei diktat di Usa e potenze europee, allargamento della Nato verso i confini della Russia attraverso l’ingresso di tutti i paesi dell’Europa dell’Est, ma anche tentativi di fare altrettanto con qualche paese ex sovietico come la Georgia e poi l’Ucraina.
Ma nella Russia del dopo Guerra Fredda ormai semi-occidentalizzata, almeno sul piano del sistema economico liberista, in Russia cresce anche un blocco sociale di potere che arraffa le ricchezze del paese che può arraffare e commercia amabilmente con le borghesie occidentali (i famosi oligarchi). I “prenditori” in Russia e in Occidente si riconoscono tra loro come simili ma mai come uguali.
Non c’è mai stato un posto a tavola per la Russia in Occidente
Dopo gli attentati alle Torri Gemelle del 2001, Putin si mette a disposizione dell’alleanza internazionale contro il terrorismo messa in piedi dagli Usa. Dà via libera e dà anche una mano all’invasione dell’Afghanistan nel 2001. Questo idillio vede nel 2002 il neopresidente russo Vladimir Putin chiedere addirittura di entrare nella Nato, ma l’amministrazione Usa (Clinton) gli sbarra le porte. Insomma, il pregiudizio anti-russo sembra ancora ben presente nelle leadership occidentali.
La slavofobia/russofobia di ritorno vista all’opera con la guerra della Nato contro la Serbia nel 1999, da un lato coincide con il varo della nuova dottrina strategica aggressiva della Nato (giugno 1999), dall’altro vede i paesi dell’Europa dell’Est dover entrare prima nella Nato e solo dopo nell’Unione Europea, ossia le leadership politiche dei paesi slavi cooptati nelle magnifiche sorti dell’Occidente dovranno avere caratteristiche ben precise e non dovranno in alcun caso allontanarsi dai vincoli imposti dall’Occidente sul piano politico, economico, militare…e ideologico. Insomma gli slavi restano dei sotto popoli che vanno tenuti con la briglia stretta.
Per la Russia sembra non esserci mai stato un vero posto apparecchiato in questo senso alla tavola dell’occidente. L’unica chance è quella di mettere a disposizione le immense materie prime di cui dispone e dare una mano alle operazioni finanziarie più sporche dei capitali occidentali. Inoltre, approfittando della stoltezza dell’ultimo dirigente sovietico – Gorbaciov – gli impegni informali a non allargare la Nato verso i confini della Russia non vengono rispettati.
Quando nel discorso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel febbraio 2007 (cinque anni dopo aver chiesto l’ingresso della Nato) Vladimir Putin reclama o un posto a tavola o la fine dell’appeasament, tutto l’armamentario ideologico, politico e militare russofobico ha ricominciato a scaldare i motori. La prima guerra in Cecenia del 1995 (sotto Eltsin) era passata quasi inosservata. La seconda,iniziata nel 2000 (sotto Putin) aveva invece già visto crescere l’attenzione mediatica e le stigmatizzazioni politiche in Occidente.
Il conflitto in Georgia nel 2008 (scatenato dal dittatorello filo-Usa della Georgia Shakasvili e non dalla Russia, ndr) metterà in seria difficoltà la Nato, divisa tra gli Stati Uniti che vorrebbero intervenire militarmente e gli europei che rispondono picche.
Poi ci sarà il colpo di stato anti-russo nel 2014 in Ucraina, la secessione delle Repubbliche russofone del Donbass, l’annessione della Crimea, la strage nazista e antirussa di Odessa. La Russia viene espulsa dal G8 dove era stata ammessa nel 1997, cominciano le sanzioni occidentali e l’armamentario ideologico russofobico – sopito ma mai effettivamente rimosso – riemerge con forza. L’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio è stata solo l’occasione per riportarlo pienamente alla luce.
I guerrafondai occidentali sentono che le loro motivazioni geopolitiche sono strumentali e non convincono le opinioni pubbliche, ragione per cui stanno praticando una crociata ideologica contro il “dispotismo asiatico” che spesso rasenta il ridicolo, mischiando arbitrariamente elementi di verità con elementi di falsità e frullando tutto nella propaganda di guerra.
“Semi-democrazie” occidentali versus “dispotismo asiatico”?
Il resto è storia di oggi, di quello che vediamo nei Tg e nei talk show o leggiamo sui giornali. Una russofobia sdoganata, pervasiva, volgare ogni oltre decenza, a conferma che la Russia può essere zarista, socialista o capitalista ma non sarà mai ammessa alla tavola dell’Occidente. Stupido chi aveva pensato il contrario.
Ma adesso l’Occidente scopre che tanti paesi nel resto del mondo hanno verificato che alla tavola dell’Occidente si mangia male ed hanno deciso di “cambiare ristorante”.
Vengono stigmatizzati come autocratici, dispotici etc etc, con la perdurante pretesa di insegnare e imporre a tutti gli altri una civilizzazione occidentale con un passato “glorioso”, ma con un presente di profonda crisi che ormai fa parlare di “semi-democrazie” o democrature” in Occidente evidente a tutti.
Se non si vuole arrivare alla guerra totale occorre cominciare a pensare già da adesso ad almeno due tavolate separate, e magari senza rompersi più i coglioni a vicenda. Oggi le possibilità di crescita economica del sistema capitalista sono solo a discapito di qualcun altro.
Tra uguali si può mangiare alla stessa tavola, tra simili ci si combatte. Il dramma che stiamo vivendo sta qui.
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