Da:
/www.marxists.org - Il seguente scritto fu realizzato da Marx nel 1875 e pubblicato da Engels nel 1891. Le lettere scritte a Bebel e a Kautsky sono di Engels.
- La traduzione è conforme a quella delle Edizioni in lingue estere di Mosca. Trascritto da Ivan , Luglio 1999
Indice:
Prefazione
di Friedrich Engels
Note in margine al programma del Partito operaio tedesco
I
l. "Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà, e poichè un lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della società"
Prima parte del paragrafo. "Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà."
Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d'uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il lavoro, che esso stesso, è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana. Quella frase si trova in tutti i sillabari, e intanto è giusta in quanto è sottinteso che il lavoro si esplica con i mezzi e con gli oggetti che si convengono. Ma un programma socialista non deve indulgere a tali espressioni borghesi tacendo le condizioni che solo danno loro un senso. E il lavoro dell'uomo diventa fonte di valori d'uso, e quindi anche di ricchezze, in quanto l'uomo entra preventivamente in rapporto, come proprietario, con la natura, fonte prima di tutti i mezzi e oggetti di lavoro, e la tratta come cosa che gli appartiene. I borghesi hanno i loro buoni motivi per attribuire al lavoro una forza creatrice soprannaturale; perchè dalle condizioni naturali del lavoro ne consegue che l'uomo, il quale non ha altra proprietà all'infuori della sua forza-lavoro, deve essere, in tutte le condizioni di società e di civiltà, lo schiavo di quegli uomini che si sono resi proprietari delle condizioni materiali del lavoro. Egli può lavorare solo col loro permesso, e quindi può vivere solo col loro permesso.
Lasciamo ora la proposizione come essa è e scorre, o piuttosto come essa zoppica. Che cosa se ne sarebbe atteso come conseguenza? Evidentemente questo:
"Poichè il lavoro è la fonte di ogni ricchezza, anche nella società nessuno si può appropriare ricchezza se non come prodotto del lavoro. Se dunque un membro della società non lavora egli stesso, vuol dire che egli vive di lavoro altrui e che si appropria anche della propria cultura a spese di lavoro altrui."
Invece di questo, col giro di parole: "e poichè" viene aggiunta una seconda proposizione per trarre una conclusione da essa e non dalla prima.
Seconda parte del paragrafo: "Un lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società."
Secondo la prima proposizione il lavoro era la fonte di ogni ricchezza e di ogni civiltà, e quindi nessuna società era possibile senza lavoro. Ora veniamo a sapere, viceversa, che nessun lavoro "utile" è possibile senza società.
Si sarebbe potuto dire ugualmente bene che solo nella società un lavoro inutile, e persino dannoso alla società stessa, può diventare una fonte di guadagno, che solo nella società si può vivere di ozio, ecc., ecc., - si sarebbe potuto, in breve, trascrivere tutto Rousseau.
E che cosa è lavoro "utile"? Solo il lavoro che porta l'effetto utile voluto. Un selvaggio - e l'uomo è un selvaggio, dopo che ha cessato di essere una scimmia - che abbatte un animale con un sasso, che raccoglie frutti, ecc., compie un lavoro "utile."
In terzo luogo: la conclusione: "E poichè un lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene integralmente, a ugual diritto, a tutti i membri della società."
Bella conclusione! Se il lavoro utile è possibile solo nella società e mediante la società, il frutto del lavoro appartiene alla società - e al singolo lavoratore ne tocca solo quel tanto che non è necessario per mantenere la "condizione" del lavoro, la società.
In realtà questa proposizione è stata sostenuta in ogni tempo dai difensori del regime sociale esistente. In prima linea vengono le pretese del governo, con tutto ciò che vi sta attaccato, perchè esso è l'organo della società per il mantenimento dell'ordine sociale; indi vengono le pretese delle diverse specie di proprietà privata, poichè le diverse specie di proprietà privata sono le basi della società, e così via. Si vede che queste frasi vuote si possono girare e rigirare come si vuole.
La prima e la seconda parte del paragrafo hanno un costrutto intelligibile solo in questa redazione:
"Il lavoro diventa fonte della ricchezza e della civiltà solo come lavoro sociale" o, ciò che è lo stesso, "nella società e mediante la società."
Questa proposizione è indiscutibilmente esatta, perchè se anche il lavoro isolato (premesse le sue condizioni oggettive) può creare valori d'uso, esso non può creare né ricchezze né civiltà.
Ma ugualmente inoppugnabile è l'altra proposizione:
"Nella misura in cui il lavoro si sviluppa socialmente e in questo modo diviene fonte di ricchezza e di civiltà, si sviluppano povertà e indigenza dal lato dell'operaio, ricchezza e civiltà dal lato di chi non lavora."
Questa è la legge di tutta la storia sinora vissuta. Quindi, invece di fare delle frasi generiche sul "lavoro" e sulla "società," bisognava dimostrare concretamente come nella odierna società capitalistica si sono finalmente costituite le condizioni materiali, ecc., che abilitano e obbligano gli operai a spezzare quella maledizione sociale.
Ma in realtà l'intero paragrafo, sbagliato nella forma e nel contenuto, è stato inserito soltanto per poter scrivere come rivendicazione sulla bandiera del partito la formula di Lassalle sul "frutto integrale del lavoro." Tornerò in seguito sul "frutto del lavoro," sull'"ugual diritto," ecc., poichè la stessa cosa ritorna in forma alquanto diversa.