Non è sufficiente calunniare la Rivoluzione di Ottobre, bisogna trasformare una delle sue maggiori figure in oggetto di consumo giovanile, come è già avvenuto al Che.
Tra
i vari gruppi comunisti nel mondo serpeggia l’idea di tentare di
ricostruire un fronte comune, la cui basi – a mio modesto parere –
non possono che essere la riflessione articolata e approfondita sulla
nostra drammatica e dolorosa storia, punteggiata da sconfitte
disastrose, da effimere vittorie, che hanno fortemente danneggiato la
nostra immagine e la nostra stessa possibilità di dialogare con le
masse. Tale riflessione deve assolutamente basarsi sull’abbandono
di consunti stereotipi e luoghi comuni e implica riprendere veramente
in mano lo studio della nostra storia e delle nostre laceranti
controversie. Oltreché ovviamente il problema sempre aperto della
dissoluzione dell’Unione Sovietica e dei paesi ad essa connessi.
Riflettendo
con preoccupazione su questo tema, ho pensato fosse utile scrivere un
articolo su una vicenda, di cui in Italia hanno parlato a fondo le
voci alternative e per lo più vicine al trotskismo, mentre a livello
internazionale essa ha coinvolto organizzazioni e pensatori marxisti
ma non tutti strettamente legati al rivoluzionario fatto assassinare
da Stalin a Coyocán nel 1940. Mi limito a citare Fredric Jameson,
Michel Löwy, Srecko Horvat, Florian Wilde, sottolineando la
massiccia presenza di autori latinoamericani e quella di italiani
come Antonio Moscato e Dario Giacchetti. In particolare, anche se si
è fatto riferimento al cyberpunk
Trotsky,
[1] vestito di lucida pelle nera e con una vita sessuale “bollente”,
non mi pare si sia dedicato spazio alla reazione internazionale che
tale falsa e obbrobriosa immagine ha generato. D’altra parte, lo
stesso treno blindato, che sbuffa fumo nero e da cui l’organizzatore
dell’Armata rossa impartisce i suoi ordini spietati contro i
controrivoluzionari e non solo, appare un simbolo fallico che solca
la sterminata campagna russa.
In
breve, ecco la vicenda che ha spinto il nipote di León Trotsky,
Esteban Volkov e il Centro di studi, ricerche e pubblicazioni
dell’Argentina e del Messico a prendere una vigorosa posizione
di protesta.
L’azienda
statunitense Netflix ha
dedicato al suo illustre avo una serie di 8 episodi piena di falsità,
mandata in onda per la prima volta sul primo canale della TV di Stato
russa nel novembre del 2017, evidentemente con l’assenso di Putin
[2]. Significativa coincidenza! Autori del programma, che non ha
potuto prendere di mira né Lenin né Stalin, per la buona
reputazione che mantengono tra la popolazione russa, sono Alexander
Kott e Konstantin
Statsky,
i quali certo avevano lo scopo di demonizzare non solo uno dei
protagonisti della gloriosa Rivoluzione di Ottobre. Riprenderò qui
brevemente i punti falsi e discutibili del programma evidenziati
dalla dichiarazione di Volkov.
La
serie, prodotta senza badare a spese e con perizia tecnica, è
presentata come un documentario, quindi fedele ai fatti, ma in realtà
la figura di Trotsky è completamente distorta: una persona
autoritaria, disumana, criminale, affetta da messianismo, anche per
le sue origini ebraiche. Lo stesso messianismo che affliggeva
l’utopista Marx.
Secondo
lo stile statunitense la trama si sviluppa solo secondo desideri e
brame individualistiche di protagonismo e di potere; è del tutto
assente la lotta di classe e quindi la necessaria contestualizzazione
storica; operai, soldati e contadini sono dominati da capi senza
scrupoli (Lenin e Trotsky) che li indirizzano verso finalità
puramente personalistiche per di più spinti da ansia di vendetta; i
soviet sono descritti semplicemente come scenari teatrali in cui capi
psicopatici arringano la folla. La Rivoluzione sarebbe solo il
frutto di un complotto, di un golpe,
che misconosce la funzione agglutinante svolta dal Partito bolscevico
nell’organizzare le masse contro l’autocrazia zarista e il
nascente capitalismo finanziato dalle potenze occidentali. Non è
neppure scartata la falsità, formulata da Nicola II, che i
bolscevichi fossero degli agenti lautamente pagati dai tedeschi
grazie alla mediazione del socialdemocratico Alexander Parvus, che
avrebbe dato loro 10 milioni di marchi.
I
rapporti tra Lenin e Trotsky sono narrati come una continua disputa
tra due personaggi conflittuali, in cui ad un certo punto il primo
penserebbe addirittura di spingere fuori da un balcone il secondo. Si
tralascia il fatto che Lenin, di cui Stalin sarebbe stato il
segretario, già dal settembre 1917, d’accordo con Trotsky, lottava
contro il Comitato centrale del partito bolscevico per prendere la
strada dell’insurrezione con la quale si sarebbe dovuta instaurare
la dittatura del proletariato, ossia della maggioranza sulla
minoranza.
Un
certo spazio è dedicato alle
donne di Trotsky (le
due mogli e Larissa Reisner commissaria dell’Armata rossa famosa
per la sua bellezza), delle quali è del tutto offuscato il ruolo
attivo e combattivo avuto nella Rivoluzione e negli anni seguenti,
vedendosi ridotte al rango di amanti, brave massaie, affettuose
guardiane dei figli trascurati dal padre e probabilmente morti con la
complicità di Stalin (responsabilità attribuita invece al padre).
Lunghe e particolareggiate sono le scene degli amplessi sessuali, che
mostrano un Trotsky supervirile e appassionato e si soffermano
maliziosamente sulle nudità delle sue amanti.
Ovviamente
queste donne, la cui vita intima non è certo possibile ricostruire e
nulla toglie al loro ruolo politico, furono tutte delle coraggiose
combattenti, dotate di una loro autonomia politica e culturale; tra i
figli il più vicino politicamente gli fu Léon Sedov, cui Trotsky
dedica il breve saggio La
loro morale e la nostra,
scritto nel 1938 a Coyoacán, mentre questi stava morendo in una
clinica parigina perché malcurato. A ciò si aggiunga la
trasformazione dell’amicizia per Frida Kahlo – i cui noti difetti
fisici sono naturalmente cancellati – in una travolgente passione
per seguire sempre il grossolano cliché del cacciatore di donne.
Quanto
alla decisione che portò alla pace di Brest-Litovsk gli episodi
della serie televisiva non chiariscono che la fine della guerra fu
stabilita dal Congresso dei Soviet e che essa rispondeva ad una
richiesta primaria delle masse popolari e dell’esercito ribelle
agli ordini degli ufficiali (spesso fatti fuori). Inoltre, tale non
facile decisione fu presa anche perché, a differenza di quello che
ci si poteva aspettare, in Germania la socialdemocrazia aveva dato il
suo sostegno alla sanguinosa politica imperialistica del Kaiser
Guglielmo II.
A
Lenin e Trotsky viene anche attribuita la risoluzione di far fucilare
lo zar e la sua famiglia, mentre è noto che fu il Soviet degli Urali
a decretare la morte della famiglia reale agli arresti nella città
di Ekaterinburg, che rischiava di essere conquistata dall’esercito
controrivoluzionario; evento che avrebbe significato certamente la
liberazione dell’ex monarca con conseguenze nefaste per la
rivoluzione.
Naturalmente
c’è chi, soffermandosi sugli ultimi giorni dei Romanov e sulla
loro tragica fine, dimentica la quantità di sofferenze umane, di
vite, di stenti (è quantificabile?) che il potere secolare di questi
ultimi aveva causato alle popolazioni dello sterminato impero russo,
con le sue guerre, le sue rapine, le sue esazioni. E giunge
ovviamente alla conclusione che la rivoluzione in tutte le sue forme
è un atto crudele e brutale, che non ha senso perseguire, mantenendo
lo status
quo che
– come si diceva – non è certo immune da atrocità e stermini.
Basterebbe guardare agli episodi più significativi degli ultimi
decenni, che hanno avuto come protagonisti gli Stati Uniti e i loro
talvolta recalcitranti sudditi.
Nel
programma si realizza addirittura un incontro tra Trotsky e Freud,
che certo non parteggiava per i bolscevichi, al quale il primo
rivolge queste parole in tono beffardo frutto di pura invenzione e
contenenti non a caso una metafora sessuale: “Le masse hanno una
psicologia femminile… la Rivoluzione deve essere inseminata”.
Ma
l’episodio veramente incredibile è quello della morte
di Trotsky,
profondamente travisato, forse perché Putin vuole recuperare Stalin,
il suo importante ruolo nella Guerra Patriottica e la sua capacità
di aver fatto dell’Unione Sovietica una potenza mondiale, aspirando
a seguire le sue orme. In questa vicenda i ruoli sono rovesciati ed è
la vittima ad attaccare il suo assalitore, Ramón Mercader, che non
avrebbe affatto avuto rapporti solidi con l’esule russo; solo per
difendersi Mercader (alias Jackson) avrebbe preso una piccozza da
ghiaccio dal muro (?) e avrebbe colpito a morte Trotsky. Con i mezzi
tecnici e col potere si può fare tutto; direbbe il Belli riferendosi
ai monarchi dei suoi tempi: “io fo dritto lo storto e storto il
dritto”.
Note
[1] Per
il Manifesto una rock
roll star.
[2]
Da notare che il 51% di tale canale televisivo è detenuto da governo
russo, mentre il restante 49% era nelle mani del noto miliardario
Roman Abramovich, proprietario del Chelsea, “uomo fatto da solo”,
che fu
costretto a vendere la sua cospicua parte per aver acquisito la
cittadinanza israeliana. E
ciò perché la legge russa proibisce che i cittadini stranieri
possano godere di più del 20% di una società mediatica. Ora la sua
parte è della Banca Rossiya dell’altro miliardario vicino a Puntin
Yury Kovalchuk. Abramovich ha cominciato a “fare i soldi” quando
negli anni ’80 M. Gorbaciov dette spazio alle piccole imprese,
percorso che hanno intrapreso altri paesi che si richiamavano e si
richiamano tuttora al socialismo.
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