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giovedì 25 luglio 2024

L’onda lunga della crisi del marxismo (tra prassi e teoria) - Roberto Fineschi

Da: "https://www.dialetticaefilosofia.it/"  dedicato a Il marxismo italiano nella crisi degli anni Settanta, a cura di C. M. Fabiani. - Roberto Fineschi è docente alla Siena School for Liberal Arts. Ha studiato filosofia e teoria economica a Siena, Berlino e Palermo. Fra le sue pubblicazioni: Marx e Hegel (Roma 2006), Un nuovo Marx (Roma 2008) e il profilo introduttivo Marx (Brescia 2021). È membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere complete di Marx ed Engels, dell’International Symposium on Marxian Theory e della Internationale Gesellschaft Marx-Hegel für dialektisches Denken. (http://marxdialecticalstudies.blogspot.com - https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Marx. Dialectical Studies - laboratoriocritico.org!).

Leggi anche: Calvino è stato marxista. In memoriam - Roberto Fineschi 

Abbozzo di riflessione sul PCI e sulla sua crisi - Roberto Fineschi 

Razzismo e capitalismo crepuscolare - Roberto Fineschi 

Epoca, fasi storiche, Capitalismi - Roberto Fineschi 

Chi critica la critica? Alla ricerca di soggetti storici - Roberto Fineschi 

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi 

Cosa diceva Berlinguer: discorso al "Convegno degli intellettuali" (1977) 

Sul compromesso storico - Aldo Natoli 

L’ACQUA PESANTE E IL BAMBINO LEGGERO*- Gianfranco Pala 

La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione*- Stefano Garroni 

La missione morale del Partito comunista - György Lukács

Comunisti, oggi. Il Partito e la sua visione del mondo. - Hans Heinz Holz.

Vedi anche: Per un nuovo Marx - Giovanni Sgrò, Roberto Fineschi 

La filosofia hegeliana del diritto è ancora attuale? - Roberto Fineschi ne discute con Giorgio Cesarale 

sullo scritto di Ernesto Che Guevara "L'uomo e il socialismo a Cuba" - Alessandra Ciattini 

Premessa 

La prima difficoltà nell’affrontare il tema proposto nasce dalla articolata definizione della stessa categoria di marxismo. Nel dibattito corrente si tende a distinguere tra (i) Marx come fondatore di una teoria della storia che nasce dall’esperienza pratica e che è capace di conseguenze pratiche, (ii) il marxismo, in generale, come tentativo di applicarla alla realtà con intenti trasformativi e (iii) i marxismi, al plurale, come diversificate modalità attraverso le quali quel tentativo viene concretizzato1 . Si discute anche di quanto i vari marxismi siano stati coerenti con l’impianto generale della teoria di Marx, oggi in particolare alla luce delle novità emerse con la pubblicazione della nuova edizione storico-critica2 . In via preliminare mi atterrò a questa articolazione, declinando quindi il tema a partire da una possibile individuazione di quale fosse il peculiare marxismo che entrò in crisi negli anni Settanta; poiché tuttavia caposaldo di questa impostazione è la mediata dialettica di teoria e prassi, di movimento reale e sua trasposizione politica, ritengo necessaria una premessa storico-reale e non meramente teorica. Le riflessioni qui proposte sono di carattere preliminare e da verificare in studi più approfonditi. 

§1. Il marxismo-leninismo del PCI e la sua evoluzione negli anni Settanta

Credo si debba partire dall'individuazione dei tratti caratterizzanti il marxismo-leninismo del PCI, forma egemone di organizzazione pratica e politica in Italia, adattamento togliattiano di ispirazione gramsciana della tradizione sovietica sul modello del Partito nuovo3. Procedendo in maniera estremamente schematica e approssimativa, ritengo si possano individuare alcuni punti chiave: 

1) la classe operaia come soggetto antagonista. L’idea della tendenziale polarizzazione sociale in operai contro capitalisti; 

2) l’alleanza con i contadini per la formazione del blocco storico; 

3) il partito come soggetto organizzativo con una sua struttura centrale forte e una sua capillare diffusione nella produzione e nella società civile; 

4) proprietà e gestione statale della produzione come obiettivo di lungo termine in cui consisteva la realizzazione del socialismo, più o meno sulla falsariga del modello sovietico; il concetto di egemonia per la progressiva formazione di un senso comune comunista che andasse di pari passo con le modifiche di struttura; 

5) l’idea che la questione strutturale fosse risolta, nel senso che, come sostiene Gramsci nei Quaderni, le premesse materiali fossero già poste. Da questo punto di vista la questione della rivoluzione diventava squisitamente – o esclusivamente – sovrastrutturale. 

Se questa sommaria schematizzazione può costituire un primo punto di partenza, che cosa ne resta dopo i cambiamenti avvenuti nella dinamica del modo di produzione capitalistico dalla prima fase del dopoguerra ad oggi?4 

sabato 11 marzo 2023

Il rapporto sociale «che si presenta in una cosa» - Federico Simoni

 Da: http://www.consecutio.org - Federico Simoni ,Università di Bologna (federico.simoni3@studio.unibo.it). 

Vedi anche: Marx: il capitale come feticcio automatico, e il capitale come rapporto sociale - Riccardo Bellofiore

Leggi anche: Teoria critica della società? Critica dell’economia politica. Adorno, Backhaus, Marx* - Tommaso Redolfi Riva 

Hans Georg Backhaus, Dialettica della forma di valore* - intervista a Tommaso Redolfi Riva 


1. Introduzione

Diversi studiosi marxiani hanno recentemente sostenuto che nel Capitale Marx elaborerebbe, più o meno consapevolmente, una vera e propria rivo­luzione epistemologica. Secondo Michael Heinrich, il pensatore di Treviri presenta nel primo capitolo dell’opera il concetto, del tutto originale, di “forma [sociale] oggettuale di una cosa”, rapporto sociale “che si presenta (darstellt) in una cosa”1 . Tale concetto innerverebbe sia la sua teoria del va­lore sia quella del feticismo delle merci, entrambe presentate in tale capitolo. Esso non è in effetti altro che il valore delle merci:

La forza-lavoro umana allo stato fluido, ovvero il lavoro umano, costituisce va­lore, ma non è valore. Esso diventa valore allo stato coagulato, in forma oggettuale [gegenstandlicher Form ]. Per esprimere il valore della tela come gelatina di lavoro uma­no, esso deve essere espresso come una ‘oggettualità’ [ Gegenstandlichkeit] che sia dis­tinguibile, cosalmente [dinglich], dalla tela stessa e che, allo stesso tempo, sia ad essa in comune con altre merci2.

Per Tommaso Redolfi Riva, in Marx “il carattere di feticcio che assume la socializzazione del lavoro nel modo di produzione capitalistico, il suo carattere oggettuale, è l’origine del feticismo nell’economia politica”3. Il nesso sociale tra produttori privati si trova, in questo “valore”, per così dire tradotto in forma di rapporto di cose. Il valore non rappresenta perciò una qualità dei prodotti come tali (in sé indipendente da questa forma deter­minata, socialmente e storicamente, dello scambio). Esso è però parimen­ti forma oggettuale, ovvero compare necessariamente in forme e rapporti di cose, dei prodotti del lavoro, in virtù diretta di tale nesso. Questo per Marx diviene ed opera realmente come un’oggettualità di fronte ai soggetti sociali stessi che lo attuano, predeterminando la forma della loro “azione sociale”4.

È questo il carattere di feticcio (Fetischcharakter) assunto dal lavoro in forma di valore e dai suoi prodotti in quanto merci, denaro e capitale, le ‘categorie’ economiche dell’economia politica coeva. Tale carattere dà dunque luogo per Marx a strane antitesi, veri e propri enigmi. Per cui, ad esempio, queste forme e rapporti sociali paiono, relativamente al denaro, effetto di una proprietà naturale dei metalli nobili, che qui ne recitano la parte. È il feticismo (Fetischismus) delle merci e del denaro, il quale natura­lizza, spogliandole del loro carattere sociale e storico, tali forme ‘oggettuali’ come forme delle cose stesse e, quindi, i rapporti sociali ‘tra persone’ che le conferiscono.

venerdì 4 marzo 2022

TRA PROFESSIONE E VOCAZIONE: MODI DI FARE STORIA - Sergio Bologna

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Sergio Bologna ha insegnato in varie Università, in Italia e in Germania. Si è occupato di storia del movimento operaio, ha partecipato alla fondazione di riviste quali Classe operaia e Primo Maggio. 

Vedi anche: I marxismi in Italia - Roberto Finelli 


                                               Prima lezione:

                                                                             



venerdì 20 agosto 2021

sabato 22 maggio 2021

Marx: il capitale come feticcio automatico, e il capitale come rapporto sociale - Riccardo Bellofiore

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Riccardo Bellofiore, Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo. (Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info)


IL LAVORO NELLA RIFLESSIONE ECONOMICO-POLITICA 
Ciclo di lezioni aperte al pubblico del Corso di perfezionamento in Teoria critica della società. promosso da Casa della cultura e Università degli Studi Milano-Bicocca 


                                               Seconda lezione:
                                                                           

Per una lettura di Marx - Stefano Garroni 


martedì 26 maggio 2020

"Da Marx al post-operaismo" - Marco Cerotto

Da: https://www.marxismo-oggi.it - Giovanni Sgrò, Irene Viparelli (a cura di), Da Marx al post-operaismo. Soggettività e pensiero emergente, Napoli, La Città del Sole, 2018 -
Marco Cerotto (Università di Napoli Federico II, Scienze Storiche)
Leggi anche:   Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento*- Carla Maria Fabiani 
                         Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredità dell’operaismo italiano*- Cristina Corradi 
                         La "Storia del marxismo" curata da Stefano Petrucciani* - Con una lettura di Roberto Finelli 
                         Il disagio della “totalità” e i marxismi italiani degli anni ’70* - Roberto Finelli 
                         Da Marx a Marx? Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento - Riccardo Bellofiore  
Vedi anche:    I marxismi in Italia - Roberto Finelli


Il testo Da Marx al post-operaismo[1] offre una lettura teorico-politica che ripercorre circa un secolo di riflessioni filosofiche variegate tra loro, ma che esaminando gli sviluppi della società capitalistica contemporanea adoperano la metodologia marxiana come chiave di lettura del presente, estrapolando però contenuti e concetti ereditati dalle diverse tradizioni del pensiero politico moderno che l’opera di Marx ha generato. Si tratta di un lavoro svolto da «giovani leve», come scrive Giovanni Sgro’ nell’Introduzione, le quali però si orientano decisamente verso la comprensione di determinati filoni teorici che hanno tentato di plasmare la prassi politica, cioè delle organizzazioni operaie, dal momento che posero all’attenzione delle loro analisi gli sviluppi politici della stessa classe operaia.
Dall’analisi degli sviluppi filologici su L’ideologia tedesca, dalla quale però emerge un’accesa diatriba teorico-politica scatenatasi in un periodo storico particolare (quello degli anni Venti e Trenta del secolo scorso) tra gli interpreti marxisti sovietici e quelli tedeschi socialdemocratici per l’affermazione indiscussa dell’eredità marxiana, allo studio dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 e all’elaborazione del concetto marxiano di «uomo bisognoso di una totalità di manifestazioni di vita umane» (p. 53), si giunge ai tedeschi Benjamin e Marcuse, influenzati dal clima di devastazione totale provocato dalla Prima guerra mondiale e dal consolidarsi dei regimi nazi-fascisti che condussero l’Europa al suo secondo suicidio. Ciò che accomuna i due pensatori tedeschi è la considerazione dello svilimento del soggetto rivoluzionario, vale a dire la discontinuità della riflessione della classe operaia nei termini delineati da Marx, come classe capace di emancipare tutta la società emancipando sé stessa. La socialdemocrazia, secondo Benjamin, ha «corrotto i lavoratori tedeschi» (p. 89) mistificando la funzione storica del proletariato «di creare la propria storia nel tempo vivo e cosciente dell’attualità» (p. 90), come scrive Morra, interpretando accuratamente quelle riflessioni benjaminiane che costituiscono gli scritti inediti sulla storia a partire dal frammento giovanile teologico-politico e giungendo fino alle tesi di filosofia della storia.

venerdì 1 marzo 2019

COSA E' IDEOLOGIA - Stefano Petrucciani

Da: LuissGuidoCarli - stefano-petrucciani è Professore ordinario di Filosofia Politica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell‘Università di Roma "La Sapienza".
Vedi anche: COSA E' IDEOLOGIA - Roberto Finelli
Leggi anche: Marx e la critica del liberalismo - Stefano Petrucciani 

                                                                                 

giovedì 14 febbraio 2019

mercoledì 31 ottobre 2018

L'eredità vivente della filosofia di Marx - Stefano Petrucciani

stefano-petrucciani è un filosofo italiano. Professore ordinario di Filosofia Politica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell‘Università di Roma "La Sapienza".

 - "Sul Materialismo storico..."
                                                       - "Sul rapporto struttura / sovrastruttura..."                        
                                                                                                                                - "Sulla Rivoluzione proletaria..." 
                                           

Il dibattito: https://www.youtube.com/watch?v=Jqogx-AXQf4

lunedì 2 luglio 2018

- “L’attualità del Capitale – Nel bicentenario della nascita di Karl Marx” - É.Balibar, G.Marramao, A.M.Iacono, C.Giorgi, C.Offe, A.Del Re, R.Bellofiore, S.Petrucciani, L.Basso, P.Favilli, L.Pennacchi, G.Cesarale, A.Montebugnoli, R.Finelli, A.Amendola.

Da: fondazione basso 
Questo seminario intende rileggere il lascito di Marx e in particolare del Capitale alla luce di questioni che oggi rendono particolarmente vive le analisi marxiane, facendo di questa opera uno strumento irrinunciabile al fine di comprendere le dinamiche del capitalismo contemporaneo. Non a caso negli ultimi anni Marx torna ad essere interrogato da più parti del globo e le sue categorie interpretative tornano ad essere utilizzate per far luce sia sui rapporti di dominio odierni, sia sui conflitti e le lotte che sfidano le dinamiche, i dispositivi e l’organizzazione dell’attuale capitalismo. I temi proposti intendono interrogare il Capitale alla luce del presente, sulla base dell’assunto che il pensiero di Marx è stato ed è ancora, più che mai nel contesto odierno, un metodo per interpretare e per pensare ad una trasformazione possibile. «Leggere Il Capitale» è ancora all’ordine del giorno.



ÉtienneBalibar, L’attualità del Capitale di Marx (11,50)
Giacomo Marramao, General Intellect: il cervello sociale come bene comune (47,50)
Alfonso Maurizio Iacono, La cooperazione (1,26,50)
Chiara Giorgi, L’interpretazione di Lelio Basso (1,56,00)
Claus Offe, The liberal democracy ‘cube’ under the onslaught of populist politics (2,27,13)
Alisa Del Re, Inchiesta operaia e riproduzione (3,43,53)
Stefano Petrucciani, Reificazione: le avventure di un concetto (4,22,20)
Luca Basso, Lo Stato nel Capitale fra genealogia e pratica politica (4,51,58)
Paolo Favilli, Il Capitale e la storia: appunti (5,24,25)
Laura Pennacchi, Feticismo della merce e alienazione (6,02,42)
Giorgio Cesarale, Logica e processo conoscitivo nel Capitale (6,41,22)
Alessandro Montebugnoli, La questione della produzione materiale (7,07,35)
Roberto Finelli, Il Capitale come Soggetto. Il circolo del presupposto-posto (7,35,36)
Adalgiso Amendola, Produzione di merci/produzione di soggettività (8,05,05)
Riccardo Bellofiore, Teoria del valore e critica dell’economia politica: la riscoperta del Capitale come teoria monetaria dello sfruttamento (8,32,00)

domenica 13 marzo 2016

La "Storia del marxismo" curata da Stefano Petrucciani* - Con una lettura di Roberto Finelli

*Da:   http://materialismostorico.blogspot.it/  


Obiettivo dei tre volumi della Storia del marxismo è tracciare una mappa delle molte avventure di pensiero che, a partire dal 1883, anno della morte di Marx, si sono dipanate prendendo le mosse dalla sua eredità. Ripercorrere quasi un secolo e mezzo di storia intellettuale, come i tre volumi cercano di fare, può essere utile anche per contestualizzare ciò che di nuovo si viene scoprendo, attorno alle questioni marxiane, nella ripresa di studi su Marx alla quale assistiamo da qualche anno. 




I. Socialdemocrazia, revisionismo, rivoluzione (1848-1945)
II. Comunismi e teorie critiche nel secondo Novecento
III.  Economia, politica, cultura: Marx oggi  




Stefano Petrucciani Manifesto 8.12.2015



   L’impatto che Karl Marx ha avuto sulla storia del XIX e del XX secolo è stato così forte da non poter essere paragonato a quello di nessun altro pensatore. Solo i fondatori delle grandi religioni hanno lasciato alla storia del mondo una eredità più grande, influente e persistente di quella che si deve al pensatore di Treviri. Ma per capire che tipo di influenza ha avuto la figura di Marx sulla storia del suo tempo e di quello successivo, bisogna mettere a fuoco un aspetto che concorre con altri a determinarne la singolarità: l’attività di Marx si è caratterizzata per il fatto che Marx è stato al tempo stesso un pensatore e un organizzatore/leader politico, e di statura straordinaria in entrambi i campi. Notevolissima è stata la ricaduta che le sue teorie hanno avuto sul pensiero sociale, filosofico e storico, ma ancor più grande, anche se non immediato, è stato l’impatto che la sua attività di dirigente politico (dalla stesura del Manifesto del Partito Comunista alla fondazione della Prima Internazionale) ha lasciato alla storia successiva. 

Certo, una duplice dimensione di questo tipo non appartiene solo a Marx: la si può anche ritrovare in grandi leader che furono suoi antagonisti, da Proudhon a Mazzini a Bakunin. Ma in Marx entrambe le dimensioni, quella della costruzione teorica e quella della visione politica, attingono una potenza che manca a questi suoi pur importanti antagonisti. Sul piano della organizzazione politica dall’attività di Marx sono infatti derivati, nel tempo e attraverso complesse mediazioni, i partiti socialdemocratici e poi quelli comunisti che hanno inciso così largamente nella storia del Novecento. Sul piano teorico, invece, Marx ha influenzato, e continua a segnare ancora oggi, una parte non trascurabile della cultura che dopo di lui si è sviluppata.

La forza degli inediti 

Un aspetto di questa duplice eredità di Marx è stato proprio quello che si suole definire «marxismo». Anche la realtà politico-culturale che si designa con questo termine è stata qualcosa di assai singolare perché ha avuto una duplice natura: da un lato è stata una corrente culturale presente in modo più o meno intenso nei vari ambiti disciplinari, dall’altro è stata anche il riferimento «statutario» di partiti e organizzazioni politiche (socialiste o comuniste): cosicché le discussioni sul marxismo per un verso si sono dipanate come un libero dibattito culturale, per altro verso sono state un elemento della lotta politica tra frazioni e gruppi all’interno del movimento operaio e dei suoi partiti. 

Ma che rapporto c’è tra il pensiero Marx e il «marxismo»? Un primo aspetto che deve essere messo a fuoco, se si vuole ragionare su questo punto, è che la conoscenza e la diffusione dell’opera di Marx è stata, durante la sua vita e nel tempo immediatamente successivo, decisamente molto limitata. Anzi si potrebbe dire che, su questo tema, viene alla luce una sorta di contraddizione. Colui che è divenuto la fonte ispiratrice di un «ismo», e cioè di qualcosa che comporta inevitabilmente una certa dogmatizzazione, aveva con la propria opera un rapporto decisamente molto critico e problematico. 

lunedì 19 ottobre 2015

Marx e la critica del liberalismo - Stefano Petrucciani

 Il vero punto cieco del liberalismo, il suo presupposto apparentemente ovvio ma in realtà questionabile, è l’idea che le regole sociali, i principi regolativi di base della convivenza civile, debbano avere come loro obiettivo primario se non unico quello di assicurare interazioni ordinate tra estranei potenzialmente nocivi l’uno all’altro. E che invece non debbano avere come loro scopo primario quello di garantire nel modo migliore la soddisfazione dei bisogni vitali e l’acquisizione del maggior benessere possibile per tutti. Il vero punto di fondo, che Marx non riesce a cogliere in modo esplicito, ma che la sua critica in qualche modo illumina, è che il pensiero liberale occulta quello che, anche per la filosofia politica antica, è sempre stato l’aspetto fondamentale della relazione sociale, e cioè che gli uomini stanno insieme per godere di una vita migliore e più agiata.

 Il punto fondamentale, a mio avviso, sta esattamente qui: il liberalismo politico borghese-moderno, rompendo con una tradizione bimillenaria, non pensa più la società come una cooperazione lavorativa per la migliore soddisfazione di ciascuno, ma, al contrario, la tematizza come una relazione tra estranei potenzialmente nocivi, che non nasce dal problema di soddisfare le necessità vitali di ciascuno, ma da quello di garantirgli l’ordinato godimento dei suoi beni dopo che egli ha provveduto da solo a procurarseli. Per questo aspetto, il nocciolo razionale non immediatamente visibile della critica marxiana può essere così riassunto: il pensiero liberale e neoliberale non è in grado di esibire nessuna buona ragione a sostegno del suo assunto fondamentale, e cioè che lo Stato e la politica abbiano come primo compito quello di garantire la sicurezza, la proprietà e le transazioni di mercato, e non invece quello di operare per assicurare a ciascun individuo condizioni di benessere e di sviluppo umano.

 Marx riflette sulle modalità della cooperazione sociale e, a partire da lì, sulla questione del feticismo delle merci. Nella società mercantile la dipendenza di ciascuno dalla cooperazione lavorativa con tutti gli altri viene occultata dal fatto che gli attori economici agiscono ognuno per conto proprio e senza un piano. La dipendenza reciproca si occulta dietro l’indipendenza apparente, che in realtà non è indipendenza ma dipendenza in una forma non consapevole, non programmata e mediata dal denaro. Ma questa è esattamente la prospettiva nella quale si colloca il liberalismo, quando considera l’associazione politica come un rapporto che nasce da individui originariamente indipendenti, e il cui bisogno di legarsi reciprocamente sotto norme comuni è motivato solo dalla necessità di conseguire la sicurezza fisica (Hobbes) o la tutela della propria persona e dei propri averi (Locke).

 perché chi ragiona in termini di società mercantile vede solo ciò che accade nella sfera della circolazione (dove regnano “Libertà, Eguaglianza, Proprietà e Bentham”) e non vede ciò che accade nel regno della produzione, dove vige invece il dominio del capitale sul lavoro.

 L’idea della società di mercato, che caratterizza la tradizione liberale e che rappresenta oggi il sogno o l’utopia del neoliberismo, è una rappresentazione immaginaria (e naturalmente anche apologetica) perché le relazioni di mercato non sono autosussistenti, non bastano a se stesse, ma possono sussistere solo in quanto si inscrivono e sono supportate a monte e a valle da forme di coordinazione sociale non mercantile, come ad esempio la fornitura di beni pubblici (quali ad esempio strade, infrastrutture, mantenimento di un ambiente salubre) da parte dello Stato o lo scambio di “servizi” alle persone nell’ambito delle relazioni familiari, amicali e affettive.

 la società di mercato che il (neo)liberalismo vagheggia è, oltre che indesiderabile, illusoria, perché – e questo è un punto che neppure Marx vede adeguatamente – la soddisfazione dei bisogni sociali, anche e soprattutto nella tarda modernità, passa in larghissima parte per ciò che mercato non è, ovvero da un lato per lo Stato e dall’altro per i legami familiari o di solidarietà. Perciò la pretesa della mercatizzazione integrale distrugge (paradossalmente) le basi sociali che rendono possibile il mercato stesso.