Da: http://www.consecutio.org - Federico Simoni ,Università di Bologna (federico.simoni3@studio.unibo.it).
Vedi anche: Marx: il capitale come feticcio automatico, e il capitale come rapporto sociale - Riccardo Bellofiore
Leggi anche: Teoria critica della società? Critica dell’economia politica. Adorno, Backhaus, Marx* - Tommaso Redolfi Riva
Hans Georg Backhaus, Dialettica della forma di valore* - intervista a Tommaso Redolfi Riva
1. Introduzione
Diversi studiosi marxiani hanno recentemente sostenuto che nel Capitale Marx elaborerebbe, più o meno consapevolmente, una vera e propria rivoluzione epistemologica. Secondo Michael Heinrich, il pensatore di Treviri presenta nel primo capitolo dell’opera il concetto, del tutto originale, di “forma [sociale] oggettuale di una cosa”, rapporto sociale “che si presenta (darstellt) in una cosa”1 . Tale concetto innerverebbe sia la sua teoria del valore sia quella del feticismo delle merci, entrambe presentate in tale capitolo. Esso non è in effetti altro che il valore delle merci:
La forza-lavoro umana allo stato fluido, ovvero il lavoro umano, costituisce valore, ma non è valore. Esso diventa valore allo stato coagulato, in forma oggettuale [gegenstandlicher Form ]. Per esprimere il valore della tela come gelatina di lavoro umano, esso deve essere espresso come una ‘oggettualità’ [ Gegenstandlichkeit] che sia distinguibile, cosalmente [dinglich], dalla tela stessa e che, allo stesso tempo, sia ad essa in comune con altre merci2.
Per Tommaso Redolfi Riva, in Marx “il carattere di feticcio che assume la socializzazione del lavoro nel modo di produzione capitalistico, il suo carattere oggettuale, è l’origine del feticismo nell’economia politica”3. Il nesso sociale tra produttori privati si trova, in questo “valore”, per così dire tradotto in forma di rapporto di cose. Il valore non rappresenta perciò una qualità dei prodotti come tali (in sé indipendente da questa forma determinata, socialmente e storicamente, dello scambio). Esso è però parimenti forma oggettuale, ovvero compare necessariamente in forme e rapporti di cose, dei prodotti del lavoro, in virtù diretta di tale nesso. Questo per Marx diviene ed opera realmente come un’oggettualità di fronte ai soggetti sociali stessi che lo attuano, predeterminando la forma della loro “azione sociale”4.
È questo il carattere di feticcio (Fetischcharakter) assunto dal lavoro in forma di valore e dai suoi prodotti in quanto merci, denaro e capitale, le ‘categorie’ economiche dell’economia politica coeva. Tale carattere dà dunque luogo per Marx a strane antitesi, veri e propri enigmi. Per cui, ad esempio, queste forme e rapporti sociali paiono, relativamente al denaro, effetto di una proprietà naturale dei metalli nobili, che qui ne recitano la parte. È il feticismo (Fetischismus) delle merci e del denaro, il quale naturalizza, spogliandole del loro carattere sociale e storico, tali forme ‘oggettuali’ come forme delle cose stesse e, quindi, i rapporti sociali ‘tra persone’ che le conferiscono.
Questa logica peculiare che l’oggetto di ricerca presenta si limita strettamente ad esso5. Esso presenta ai soggetti sociali una parvenza empirica distorta e rovesciata, la quale giunge però alla percezione dei soggetti dalla logica strutturalmente analoga dell’oggettualità sociale che conferisce alle cose tali forme. Se si accetta tale quadro concettuale ed esegetico, tutto ciò ha precise conseguenze teoriche e metodologiche.
All’interno di tutte queste letture, alcuni concetti assumono dunque centralità: ad esempio nella nuova accezione del concetto di forma fenomenica, già evidenziata da Hans-Georg Backhaus ed oggi oggetto di differenti letture6. Tale termine, che rende specificamente il tedesco Erscheinung- sform, compare - nell’ambito delle traduzioni italiane - nella traduzione di Cristina Pennavaja delle pagine marxiane sull’Analisi della forma di valore ed in quella di Delio Cantimori del Primo Libro7. Anche secondo Roberto Fineschi, curatore e traduttore del Capitale per i tipi de La città del Sole, occorre tradurre come “forma fenomenica” tale “espressione ‘hegeliana’, frequentissima in Marx, Erscheinungsform”8. Ci sembra qui significativo che il termine “in Hegel non compaia mai”9: proprio l’evidente riferimento al lessico del filosofo di Stoccarda misura lo scarto, l’originalità di Marx nel rielaborarne lo strumentario lessicale e concettuale. La messa in evidenza della differenza concettuale di carattere di feticcio e feticismo si deve invece a Riccardo Bellofiore. Essa va perlopiù lost in translation nelle edizioni italiane e non10. Naturalmente, tra le letture dei suddetti autori vi sono scarti anche non trascurabili; determinate nozioni ci paiono tuttavia patrimonio comune.
Il dibattito su questi temi è quindi ad oggi in corso ed aperto. Sui relativi e citati concetti ci concentreremo nell’esposizione che qui presentiamo. Si vuole qui fornire una sintesi di alcune delle tematiche fondamentali del primo capitolo del Capitale alla luce di quelli, con ‘incursioni’ nei due successivi; specificando infine la relazione intercorrente nelle pagine marxiane tra fenomeno feticistico così caratterizzato e metodo della Critica dell’economia politica.
2. Il valore come ‘forma’ ed il feticcio-merce
Nel terzo paragrafo del Primo capitolo del Primo Libro del Capitale, dedicato alla forma di valore, Marx afferma che un prodotto, singolarmente preso, non espone valore (Wert), né dunque possiede forma di merce. In tal guisa esso presenta solo il proprio valore d’uso (Gebrauchswert), un’utilità a scopi determinati che dipende dalle proprietà peculiari e naturali ‘del corpo della merce’ (Warenkorper). Il valore delle merci è solo una sostanza comune implicata, all’opposto della particolarità “naturale” incommensurabile dei loro valori d’uso, nell’uguagliamento sociale di tutti i prodotti che si effettua realmente nel loro scambio universalizzato. L’espressione quantitativa di questa uguaglianza presuppone, cioè, una ‘riduzione’ qualitativa “puramente sociale”: i prodotti possono essere “comparabili quantitativamente” “solo dopo la loro riduzione alla stessa unità”, nonostante “la caotica coloritura dei corpi di merci”11 (come valori d’uso). Poste in relazione di scambio, la loro uguaglianza reciproca ed universale può consistere “solo in un’astrazione dalla loro effettuale ineguaglianza, nella riduzione al carattere comune che esse possiedono come dispendio di forza-lavoro umana, lavoro astrattamente umano”12. Quest’ultimo è specificamente astratto dallo stesso lavoro, “come produttore del valore d’uso”13.
Lo scambio effettivo è “realizzazione effettuale” della riduzione sociale del prodotto, come del lavoro concreto corrispondente che l’ha creato, a lavoro “astrattamente umano”. Solo il “tempo di lavoro necessario in media, [...] socialmente necessario”14 alla produzione di una merce ne costituisce il valore. Tramite lo scambio monetario le singole, concrete attività produttive si configurano e manifestano socialmente come semplici frazioni di “una e la stessa” “forza-lavoro complessiva della società”15. Mediante questa forma sociale di valori dei prodotti e lo scambio monetario corrispondente, si attua una specifica socializzazione dei lavori16.
Ora, il prodotto “diviene” merce ed espone (darstellt) il proprio “esser-valore” solo in quanto posto in relazione di scambio con un’altra merce, suo valore di scambio, Tauschwert. In tale relazione l’analisi può ricostruire la logica peculiare di questa ‘sostanza’. Nel rapporto di uguaglianza in cui s’esprime il loro scambio, “una merce, il cui valore deve essere espresso, vale immediatamente solo come valore d’uso, l’altra merce invece, in cui il valore deve essere espresso, vale immediatamente solo come valore di scambio”17. L’opposizione interna alla merce tra valore d’uso e valore si sdoppia immanentemente in un’opposizione esterna. Le due merci scambiate giocano quindi ruoli distinti, correlati ma opposti: il valore della prima merce si trova in forma relativa, quello della seconda in forma di equivalente. In che senso? La formula corrispondente è: tot merce A vale tot merce B. Solo in ‘astrazione’ dai loro valori d’uso individuali sensibilmente distinti (ed anzi incommensurabili) esse valgono come uguali: “l’espressione di equivalenza di merci di genere diverso”18 è la formula di tale astrazione. In antitesi all’espressione relativa di valore della prima, mediata dal rapporto di scambio con la seconda, la seconda figura come posta-uguale, dunque esponente valore come se questo fosse immediatamente lo stesso del suo corpo materiale, anche indipendentemente da questo stesso rapporto19.
Così i prodotti divengono, in un rovesciamento folle (verrukten, ver- dreht), da un lato rappresentanti concreti di questa qualità misteriosa che le accomuna tutte in forza d’astrazione; dall’altro, ed altrettanto enigmaticamente, essa pare immediatamente propria di una delle due merci coinvolte nello scambio20. Ma perciò, e questo è il punto decisivo, per Marx la forma di manifestazione (Erscheinungsform) di questi rapporti specificamente sociali è tale da involgerli contemporaneamente in un velo ‘cosale’ (sachlich), enigmatico.
Una merce non pare diventare denaro semplicemente perché le altre merci espongono onnilateralmente il loro valore in essa, bensì viceversa esse paiono esporre universalmente i loro valori in essa, perché essa è denaro. Il movimento di mediazione scompare nel proprio risultato e non lascia tracce dietro di sé21.
Il feticismo (Fetischismus) della merce indica allora la confusione che per Marx gli economisti fanno attribuendo al prodotto questa sua forma sociale specifica come sua qualità naturale:
Da dove sorge il carattere enigmatico del prodotto del lavoro non appena assume forma di merce? Evidentemente da questa forma stessa. L’eguaglianza dei lavori umani riceve la forma cosale (sachliche Form) dell’uguale oggettualità di valore dei prodotti del lavoro; la misura del dispendio della forza-lavoro umana attraverso la sua durata temporale riceve la forma della grandezza di valore dei prodotti del lavoro; infine i rapporti dei produttori, in cui si attuano tutte le determinazioni sociali dei loro lavori, ricevono la forma di un rapporto sociale dei prodotti del lavoro [...]. Ora si ascolti come l’economista interpreta l’animo delle merci: ‘valore (valore di scambio) è proprietà delle cose, ricchezza (valore d’uso) dell’uomo. Valore in questo senso implica necessariamente scambio, la ricchezza no’. [...] Ad oggi nessun chimico ha ancora scoperto il valore di scambio in una perla o in un diamante22.
Anche laddove determinava il lavoro come ‘sostanza’ del valore, la scienza economica coeva quindi concepiva “il valore come una dimensione naturale, costitutiva del rapporto che si istituisce tra gli uomini e gli oggetti”23; “Così come la fisica fronteggia corpi che hanno massa, l’economia politica fronteggia merci, oggetti che hanno valore”24.
A tale coscienza che rovescia naturale e sociale, origine e derivato, originata dalla logica stessa degli scambi di merci, Marx dedica i densi passi che chiudono il secondo capitolo, riprendendo la citazione già vista:
Una merce non pare diventare denaro semplicemente perché le altre merci espongono onnilateralmente il loro valore in essa, bensì viceversa esse paiono esporre universalmente i loro valori in essa, perché essa è denaro. Il movimento di mediazione scompare nel proprio risultato e non lascia tracce dietro di sé. Senza che vi intervengano, le merci si trovano innanzi la propria figura di valore compiuta, come un corpo di merce che esiste a fianco e al di fuori di esse. Queste cose, oro e argento, come vengono fuori dalle viscere della terra, sono al contempo incarnazione immediata di ogni lavoro umano. Di qui la magia del denaro25.
Ora, come ha recentemente mostrato Stefano Breda, la “specificità del metodo dialettico seguito da Marx”26 nel Capitale consiste precisamente in:
una catena di transizioni categoriali nella quale ogni categoria esprime le condizioni di esistenza dei rapporti espressi dalle categorie precedenti. [.] Nella transizione da una categoria all’altra il contenuto della seconda non viene dedotto dalla prima, bensì viene trovato anch’esso ‘alla superficie del mondo borghese’, ma viene dimostrato essere condizione logicamente necessaria perché il contenuto della prima categoria si manifesti così come si manifesta in quella categoria. [.] Questo tessuto di nessi è ciò che più si avvicina all’idea di ‘essenza’ dei rapporti capitalistici, in quanto si distingue da ognuna delle forme fenomeniche degli stessi. L’essenza della quale Marx è alla ricerca non consiste dunque in un singolo elemento al quale andrebbe ricondotta la totalità delle forme fenomeniche, bensì risulta dal coappartenersi delle forme fenomeniche, dal loro costituire un intero strutturato27.
In senso esattamente contrario a quella feticizzazione, il marxiano “modo di esposizione” (Darstellungsweise) delle forme fenomeniche dei rapporti, ovvero delle ‘categorie dell’economia politica’ (denaro, valore, lavoro, e così via), ricostruisce l’interna connessione28 tra di esse. Così, esso rimuove la loro naturalizzazione: le condizioni e ragioni dell’esistenza e manifestazione specifiche di ogni categoria sono rintracciate non nella sua “oggettualità” naturale particolare, ma nella categoria logicamente successiva e nell’intero così strutturato e storicamente determinato.
3. Relazioni “cosali” dei “lavori privati”, carattere di feticcio e feticismo
Nella Miseria della filosofia Marx giunge a cogliere la presenza dei rapporti sociali di produzione sotto l’apparenza reificata delle cose. In Per la critica [dell’economia politica] viene colto l’elemento specifico dell’economia mercantile nel carattere reificato degli stessi rapporti di produzione29.
Una chiave per decifrare tali “forme impazzite”30 del ‘prodotto sociale loro’ è fornita, per Marx, dalla forma di valore stessa. Tutte le relazioni che finora abbiamo visto, le forme sociali di ‘cristalli’ di lavoro astratto dei prodotti del lavoro stesso, sono relazioni tra i lavori medesimi, o meglio “rapporti dei produttori, in cui si attuano tutte le determinazioni sociali dei loro lavori”31. Lo scambio dei prodotti costituisce un rapporto sociale tra quelli. Ma quale rapporto? Quale ne risulta caratterizzato? Lo scambio monetario-universalizzato di merci presuppone ed attua una “determinata struttura interna del processo sociale della produzione”32.
Nell’antica comunità indiana il lavoro è diviso socialmente, senza che i prodotti divengano merci. Oppure, un esempio più vicino: in ogni fabbrica il lavoro è diviso sistematicamente, però questa divisione non è mediata dal fatto che i lavoratori scambino i loro prodotti individuali. Solo i prodotti di lavori privati autonomi ed indipendenti gli uni dagli altri si trovano gli uni di fronte agli altri come merci33.
È “un determinato tipo di rapporti di produzione tra persone”34 a manifestarsi nel valore delle cose, una volta compresa e superata la sua “forma fenomenica” rovesciata. Come abbiamo visto, questa infatti astrae, così naturalizzandola, la forma sociale della cosa dal processo che l’ha conferita. Ciò costituisce l’apparenza “fenomenica” dei rapporti stessi in oggetto: non è sufficiente osservare e descrivere una realtà pre-fenomenica, poiché è appunto la realtà oggettiva dei rapporti che si presenta in quel modo oggettivamente falso, rovesciato. Ovvero, la sua esposizione scientifica non può rivolgersi ad essa per così dire direttamente, come ad una essenza oggettiva sottesa ad una coscienza falsa dei soggetti: ciò presupporrebbe appunto un accesso soggettivo diretto ad essa, la quale tuttavia ha una e sola forma di manifestazione possibile35. La critica del feticismo fenomenico deve dunque coincidere - per oggetto e metodo - con la spiegazione scientifica di tali rapporti, e viceversa. L’esposizione di questi, del nesso interno tra le categorie fenomeniche che li strutturano, è la stessa che rivela e critica il loro feticismo. La domanda diviene dunque: quali rapporti presentano in virtù della propria logica oggettiva tale forma fenomenica oggettivamente rovesciata? L’apparenza fenomenica di ogni categoria viene tolta in quanto se ne rintracciano, risultanti dal processo espositivo, non solo le sue condizioni storiche e sociali, di cui in essa non v’è ‘traccia’; ma anche le connessioni categoriali strutturali che forniscono la chiave della determinazione del suo contenuto.
Ora, merci, denaro e capitale hanno un reale carattere di feticci (Feti- schcharakter), indipendentemente dalla coscienza degli attori sociali coinvolti; tale forma sociale delle cose è cioè reale, oggettiva: è tramite essa che si attuano i rapporti sociali stessi. In che senso qui, come sostenne Rubin, “i rapporti sociali tra persone non si stabiliscono solo con riferimento ma mediante le cose stesse”36? In modo che ciò non contraddica, anzi costituisca l’origine del feticismo sopra caratterizzato? In modo, cioè, che risulti impossibile alle “molteplici forze lavoro individuali”, sulla base della propria stessa “azione sociale” - che sola conferisce forma di valore ai prodotti del lavoro - divenire consapevoli di quella auto-illusione? Secondo Alfonso Maurizio Iacono, per Marx “non soltanto i soggetti si sdoppiano nelle rappresentazioni dei loro rapporti”37, ma appaiono incapaci “di osservare tale sdoppiamento”38, di oggettivare, e così riconoscere ed indagare, questa loro oggettivazione. Sono i rapporti sociali degli esseri umani stessi che qui acquisiscono per essi forma di cosa, ovvero di ‘geroglifico’, non (auto)tra- sparente. Ciò che per Marx deve essere spiegato è dunque “come il ‘feticcio’ - la cosa -valore: sostanza sociale e sovraindividuale [...] - viene a costituirsi su un fondamento ‘umano’?”39.
Questi snodi concettuali, evidenziava in forma polemica ma puntuale Lucio Colletti, non erano pienamente esposti o compresi nella teoria marxista più diffusa all’altezza degli anni Sessanta del secolo scorso40. Vediamo meglio.
Il lavoro concreto che produce la merce-denaro, l’immediatamente ed universalmente scambiabile, diviene “forma fenomenica del suo contrario, del lavoro astrattamente umano”41: ma questa forma coincide con quella di lavoro in forma immediatamente sociale, assunta dal suo contrario, lavoro privato. Il lavoro sociale presenta, nella sua forma sociale odierna, una contraddizione, che deve esporsi e risolversi in un processo specifico. La struttura di quest’ultimo è quella di un’unità, specifica e dinamica, di produzione e circolazione. Anticipando, per favorire l’esposizione di queste tematiche, categorie esposte in capitoli successivi al primo, possiamo già vedere come:
Occorre notare subito che si tratta di una genesi processuale del lavoro astratto e del valore: il lavoro astratto come non-ancora-sociale diviene lavoro astratto come lavoro mediatamente sociale [.]. Il lavoro immediatamente socializzato è il lavoro immediatamente privato dei produttori (capitalistici!) che devono divenire sociali sul mercato finale delle merci nello scambio contro denaro. Abbiamo qui il paradosso di un lavoro ‘immediatamente socializzato’ ex ante che deve ancora mostrarsi ‘lavoro sociale’ ex post42.
Queste due dimensioni antitetiche costituiscono l’interna connessione sociale di lavori specificamente privati, la loro socializzazione (Verge-sellschaftung). La centralità di questa nozione, che nel Capitale appare in molteplici luoghi ed accezioni, fu sottolineata da Theodor W. Adorno, poi ripresa ed approfondita da suoi eminenti allievi, quali Helmut Reichelt e Hans-Georg Backhaus43. Come vedremo immediatamente, in questo quadro concettuale il carattere “socializzato” ex ante dei lavori non è un dato di fatto, che nello scambio effettivo si confermi solamente, ma si costituisce processualmente, solo in stretta connessione con esso. Riprendendo la terminologia hegeliana, la contraddizione tra i due è dialettica, essi sono in sé mediati. Per ricostruire questo quadro concettuale, seguiremo innanzitutto le relative indicazioni date da Isaak Rubin nei suoi Saggi sulla teoria del valore di Marx.
Il lavoro è qui lavoro privato, svolgentesi in unità di produzione indipendenti l’una dall’altra: esse organizzano la produzione in modo analogo. “Nessuno controlla la distribuzione del lavoro tra i vari rami della produzione e le imprese private. Nessun produttore di tessuti, ad esempio, conosce in anticipo la domanda sociale di tela esistente, né la quantità contemporaneamente prodotta dalle altre imprese tessili”44. L’unica regolazione tramite cui l’economia mercantile può “continuare a funzionare come una totalità di rami produttivi che si completano reciprocamente”45 ed evitare sotto- e sovra-produzione è quella del “meccanismo del mercato” o del “sistema dei prezzi”: dapprima aspettative solo ideali46 di vendita del prodotto, poi vendita o disequilibrio effettivi.
Oggetti d’uso divengono, in genere, merci solo perché sono prodotti di lavori privati condotti indipendentemente gli uni dagli altri. Il complesso di questi lavori privati costituisce il lavoro sociale complessivo. Poiché i produttori entrano in contatto sociale solo attraverso lo scambio dei prodotti del loro lavoro, anche i caratteri specificamente sociali dei loro lavori privati si manifestano fenomenicamente solo entro questo scambio. Ovvero: i lavori privati si attuano, di fatto, come anelli del lavoro sociale complessivo solo attraverso le relazioni in cui lo scambio traspone i prodotti del lavoro e, mediante essi, i produttori47.
Tali “relazioni” sono qui, a differenza di altri sistemi produttivi nella storia, “il solo mezzo per unire individui atomizzati e la loro attività in una economia sociale coerente”48. Il carattere socialmente necessario della singola attività produttiva concreta non può trovare conferma sociale diretta, ciò che presupporrebbe “il contrario” della produzione privata (un piano cosciente purchessia della divisione del lavoro, come si trova in altri modi di produzione), ma solo in “forma oggettuale”, attraverso la forma di valore dei prodotti, il loro scambio effettivo sul mercato contro denaro49.
C’è bisogno di una produzione di merci pienamente sviluppata, prima che dall’esperienza stessa maturi la cognizione scientifica che i lavori privati condotti indipendentemente gli uni dagli altri — ma onnilateralmente dipendenti gli uni dagli altri, in quanto anelli che si sviluppano naturalmente della divisione sociale del lavoro — vengono ridotti continuamente alla loro misura socialmente proporzionale, in quanto, nei rapporti di scambio casuali e sempre oscillanti dei loro prodotti, il tempo di lavoro socialmente necessario alla loro produzione si afferma violentemente come legge regolatrice di natura, come fa per esempio la legge di gravità quando ad uno crolla la casa sulla testa50.
Le unità produttive separate sono riunificate tramite una legalità esterna e cogente, composta ed attuata da esse stesse. Il carattere “socializzato” dei lavori concreti, mancando un piano ed una qualsivoglia coscienza della totalità di questo lavoro sociale, da cui la sostanza e grandezza di valori dei prodotti immediatamente dipende, non è mai dato, ma sempre eventuale. Esso si realizza e manifesta solo nello scambio stesso, nella sua riuscita o nel disequilibrio più o meno grave ed esteso.
Il prodotto soddisfa oggi un bisogno sociale. Domani viene scacciato dal suo posto, in tutto o in parte, da un genere simile di prodotto. [...] se pure il lavoro [...] è membro patentato della divisione sociale del lavoro, non per questo è in qualche modo garantito il valore d’uso proprio delle sue venti braccia di tela. [.] senza il permesso del nostro tessitore [.] le condizioni di produzione della tessitura da tempo stabilite sono entrate in fermento. Ciò che ieri era indubbiamente tempo di lavoro socialmente necessario alla produzione di un braccio di tela, oggi cessa di esserlo, come il possessore di denaro fa vedere con zelo mostrando le quotazioni dei prezzi di diversi rivali del nostro amico. [.] I nostri possessori di merci scoprono, perciò, che [.] l’indipendenza reciproca delle persone s’integra in un sistema di onnilaterale dipendenza cosale. La divisione del lavoro trasforma il prodotto del lavoro in merce e con ciò rende necessaria la sua trasformazione in denaro. Essa rende allo stesso tempo casuale che questa transustanziazione riesca51.
Solo così i lavori individuali si attuano come ‘anelli’ delle corrispondenti divisione del lavoro e struttura dei bisogni52, i quali si sviluppano ‘naturalmente’ al di fuori del controllo dei produttori. Solo ex post, “attraverso le fluttuazioni di prezzo del mercato, nella bancarotta o nella crisi”53 le unità produttive vengono a sapere se coincidono “con quella ignota regola, il “piano” economico della ragione capitalistica”54, e così configurano e riconfigurano il processo stesso. Esse organizzano ‘il lavoro complessivo’ con questa mediazione sociale indiretta dello scambio, sia prima sia dopo la vendita o non-vendita dei prodotti, a cui la produzione è finalizzata55.
Marx deduce dunque da queste relazioni “oppositive” della socializzazione del lavoro e della forma sociale del prodotto la possibilità della forma più acuta di disequilibrio, la crisi. Essa è una delle forme traumatiche in cui “l’equilibrio tende a ristabilirsi”, riorganizzando così “violentemente” la produzione entro le singole unità e la distribuzione del lavoro tra di esse.
Nella società borghese non si scambiano pertanto “immediatamente” lavori, ma merci: i prodotti come valori. Per questo, però, al valore stesso “non sta scritto in fronte che cosa esso sia”56, relazione sociale tra lavori non-immediatamente sociali. “Il valore trasforma piuttosto quel prodotto del lavoro in un geroglifico sociale”57, e l’intera dinamica viene effettuata anche praticamente in modo incosciente, automatico, come i processi di natura:
Gli uomini non riferiscono, dunque, l’un l’altro i prodotti del loro lavoro come valori perché queste cose valgono per loro come involucri meramente cosali di lavoro umano di genere uguale; viceversa, in quanto nello scambio essi pongono l’un l’altro uguali, come valori, i loro prodotti di genere diverso, essi pongono l’un l’altro uguali, come lavoro umano, i loro lavori diversi. Non lo sanno ma lo fanno58.
Tale forma pone anche il velo ‘cosale’ su di sé. Questa dinamica ‘oggettiva’ e pre-conscia si manifesta necessariamente in modo distorto nella (non) coscienza degli agenti; il denaro appare non un rapporto sociale che prende la forma di una cosa ed in quella ‘si presenta’ in virtù del rapporto stesso, ma una cosa in quanto tale, i cui rapporti con le altre forme ‘cosali’ sono “proprietà di una cosa [che, in quanto tali,] non sorgono dal suo rapporto con altre cose”, dalla loro forma e rapporti “puramente sociali” come denaro o merci, “anzi in tale rapporto si attuano solamente”59. In questo senso,
il contenuto ideologico delle categorie dell’economia politica origina esso stesso dall’oggettività sociale dei rapporti capitalistici. [...] Marx, quindi, non può semplicemente mettere da parte gli errori dell’economia politica e rivolgersi direttamente ai puri “fatti”, perché la verità dei rapporti capitalistici si comprende solo comprendendo la falsità delle categorie dell’economia politica e, ad un tempo, il radicamento effettuale, oggettivo, di tale falsità. Ecco perché esposizione del modo di produzione capitalistico e critica dell’economia politica sono in Marx inscindibilmente legate60.
4. Il valore come ‘geroglifico’ e la Critica dell’economia politica
Il compito della ricerca scientifica è quello di scoprire la mancanza di coscienza di cui soffre l’economia della società, e qui tocchiamo direttamente la radice dell’economia politica61.
Abbiamo visto come la ‘forma fenomenica’ del valore (il valore di scambio) e quella delle relazioni tra lavori privati (la forma di valore del lavoro) siano fatte oggetto, da parte di Marx, di analisi dialettica: essa nega, tramite una “critica immanente”62, l’astratta immediatezza fenomenica delle categorie dell’economia politica. L’analisi ricostruisce, di ognuna di queste, l’interna connessione determinata con le altre categorie, così confutando la sua feticizzazione. Al contempo, ricostruendo così la struttura dei rapporti corrispondenti, spiega come e perché si generi questa forma ‘”alta” di coscienza sociale.
Ora, l’economia politica non prendeva mai chiaramente ad oggetto, per Marx, appunto le connessioni interne, che pur presupponeva, tra contenuto e forma del valore così come tra lavoro e valore. Esse sono però scientificamente centrali, non per nulla presupposte; tuttavia, mai spiegate od esposte da questa disciplina, che proponeva come pacifiche forme oggettivamente paradossali, pure ad essa evidenti come tali:
L’autore delle Observations e S. Bailey accusano Ricardo di aver trasformato il valore di scambio da un qualcosa di solo relativo in un qualcosa di assoluto. Viceversa. Egli ha ridotto la parvente relatività che queste cose, diamante e perle per es., posseggono come valore di scambio al vero rapporto celato dietro la parvenza, la loro relatività come mere espressioni di lavoro umano. I ricardiani hanno risposto a Bailey sgarbatamente, ma non efficacemente, perché nello stesso Ricardo non hanno trovato alcun chiarimento sull’interna connessione fra valore e forma di valore, o valore di scambio. [...] Spiegando come meri segni i caratteri sociali che ricevono le cose o i caratteri cosali che, sul fondamento di un modo di produzione determinato, ricevono le determinazioni sociali del lavoro, le si spiega al contempo come arbitrario prodotto della riflessione degli uomini. Nel XVIII secolo, era questa la maniera preferita dall’illuminismo di levare la parvenza di estraneità, per lo meno in via provvisoria, alle enigmatiche figure di quei rapporti umani, il cui processo genetico non si riusciva ancora a decifrare63.
Poiché questa “connessione” si perde, diviene possibile ad “economisti, che concordano assolutamente sulla misura della grandezza di valore per mezzo del tempo di lavoro”64 formulare “le rappresentazioni più variopinte e contraddittorie sul denaro, cioè sulla figura compiuta dell’equivalente universale”65; concetti impossibilitati a spiegare esaurientemente sia il denaro sia il valore. Questa opacità non appare però contraddetta, ma risolta dalla loro naturalizzazione “cosale”, per cui conviene hypotheses non fingere: “Nei suoi rappresentanti migliori, come A. Smith e Ricardo”66, “neppure una volta essa si è posta la domanda almeno del perché”67 il lavoro compaia nella ‘forma cosale’ di valore e valore di scambio, la determinazione delle cui proporzioni quantitative pure “assorbe interamente la loro attenzione”68. Poiché tali forme ‘bizzarre’ sono decifrate solo nella medesima esposizione che determina la loro specificità storico-sociale, per Marx gli economisti erano indotti a tale limite dalla ideologia della propria classe, la classe borghese dominante, per cui esse devono valere e valgono di fatto “come necessità di natura tanto ovvia quanto il lavoro produttivo stesso”69.
Costoro non hanno mai spiegato perché, dunque, si scambino necessariamente non lavori, ma merci, il che rimanda direttamente al problema del perché una merce assuma necessariamente la forma di denaro70. Perché, perciò, sorga l’enigma stesso del valore, questa scissione tra apparenza e realtà, i caratteri ‘geroglifici’ “del prodotto sociale loro”71 che sono l’oggetto dell’economia politica; e con ciò divenga necessaria, e sorga storicamente, un’analisi scientifica, in opposizione all’economia volgare. Ciò si spiega per Marx come risultato del carattere di feticcio assunto dal nesso sociale stesso sulla base della socializzazione del lavoro specificamente borghese-capitalistica72.
Tramite la critica di quest’ultimo, rivelando che il valore in processo non è una cosa, ma un rapporto sociale di persone mediato dalle cose, Marx formula perciò sia una critica “antropologica” della sua autonomizzazione73, sia, nello stesso tempo, una spiegazione del processo produttivo specifico, delle sue configurazioni economico-politiche ed Erscheinungsformen
(nonché della lotta di classe strutturalmente associata74). Nel nesso di critica e scienza dell’”oggettualità” sociale si espone il materialismo pratico di Marx; “questo capovolgimento [...], anzi questo impazzimento” (Verruckung) dell’“essere sociale” non deriva da un fatto analogo nella coscienza, ma viceversa75. Ma tale nesso non è rilevante solo in chiave di storia della filosofia o della teoria economica. L’“analisi della genesi” di quella “mediazione” delle cose abbraccia elementi fondamentali, e pone dunque molteplici questioni vitali, anche rispetto al nostro tempo: in cui le “forme impazzite” dei media76 sociali allungano sull’umanità l’ombra di una crisi non separatamente “sociale, economica o ambientale, ma generale”77.
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