Il vero punto cieco
del liberalismo, il suo presupposto apparentemente ovvio ma in realtà
questionabile, è l’idea che le regole sociali, i principi regolativi di base
della convivenza civile, debbano avere come loro obiettivo primario se non
unico quello di assicurare interazioni ordinate tra estranei potenzialmente
nocivi l’uno all’altro. E che invece non debbano avere come loro scopo primario
quello di garantire nel modo migliore la soddisfazione dei bisogni vitali e
l’acquisizione del maggior benessere possibile per tutti. Il vero punto di
fondo, che Marx non riesce a cogliere in modo esplicito, ma che la sua critica
in qualche modo illumina, è che il pensiero liberale occulta quello che, anche per la filosofia politica antica, è
sempre stato l’aspetto fondamentale della relazione sociale, e cioè che gli
uomini stanno insieme per godere di una vita migliore e più agiata.
Il punto
fondamentale, a mio avviso, sta esattamente qui: il liberalismo politico
borghese-moderno, rompendo con una tradizione bimillenaria, non pensa più la
società come una cooperazione lavorativa per la migliore soddisfazione di
ciascuno, ma, al contrario, la tematizza come una relazione tra estranei
potenzialmente nocivi, che non nasce dal problema di soddisfare le necessità
vitali di ciascuno, ma da quello di garantirgli l’ordinato godimento dei suoi
beni dopo che egli ha provveduto da solo a procurarseli. Per questo aspetto, il
nocciolo razionale non immediatamente visibile della critica marxiana può
essere così riassunto: il pensiero liberale e neoliberale non è in grado di
esibire nessuna buona ragione a sostegno del suo assunto fondamentale, e cioè
che lo Stato e la politica abbiano come primo compito quello di garantire la
sicurezza, la proprietà e le transazioni di mercato, e non invece quello di
operare per assicurare a ciascun individuo condizioni di benessere e di
sviluppo umano.
Marx riflette sulle
modalità della cooperazione sociale e, a partire da lì, sulla questione del
feticismo delle merci. Nella società mercantile la dipendenza di ciascuno dalla
cooperazione lavorativa con tutti gli altri viene occultata dal fatto che gli
attori economici agiscono ognuno per conto proprio e senza un piano. La
dipendenza reciproca si occulta dietro l’indipendenza apparente, che in realtà
non è indipendenza ma dipendenza in una forma non consapevole, non programmata
e mediata dal denaro. Ma questa è esattamente la prospettiva nella quale si
colloca il liberalismo, quando considera l’associazione politica come un rapporto
che nasce da individui originariamente indipendenti, e il cui bisogno di
legarsi reciprocamente sotto norme comuni è motivato solo dalla necessità di
conseguire la sicurezza fisica (Hobbes) o la tutela della propria persona e dei
propri averi (Locke).
perché chi ragiona in
termini di società mercantile vede solo ciò che accade nella sfera della
circolazione (dove regnano “Libertà, Eguaglianza,
Proprietà e Bentham”) e non vede ciò che accade nel regno della produzione,
dove vige invece il dominio del capitale sul lavoro.
L’idea della società
di mercato, che caratterizza la tradizione liberale e che rappresenta oggi il
sogno o l’utopia del neoliberismo, è una rappresentazione immaginaria (e
naturalmente anche apologetica) perché le relazioni di mercato non sono
autosussistenti, non bastano a se stesse, ma possono sussistere solo in quanto
si inscrivono e sono supportate a monte e a valle da forme di coordinazione
sociale non mercantile, come ad
esempio la fornitura di beni pubblici (quali ad esempio strade, infrastrutture,
mantenimento di un ambiente salubre) da parte dello Stato o lo scambio di
“servizi” alle persone nell’ambito delle relazioni familiari, amicali e
affettive.
la società di mercato
che il (neo)liberalismo vagheggia è, oltre che indesiderabile, illusoria, perché – e questo è un punto
che neppure Marx vede adeguatamente – la soddisfazione dei bisogni sociali,
anche e soprattutto nella tarda modernità, passa in larghissima parte per ciò
che mercato non è, ovvero da un lato per lo Stato e dall’altro per i legami
familiari o di solidarietà. Perciò la pretesa della mercatizzazione integrale
distrugge (paradossalmente) le basi sociali che rendono possibile il mercato
stesso.
Nessun commento:
Posta un commento