domenica 18 ottobre 2015

Psicologia delle Folle (1895, terza parte, conclusione) - Gustav Le Bon


PARTE TERZA


CAPITOLO I
Classificazione delle folle.

1.° Le folle eterogenee - Come si differenziano - Influenza della razza --- L'anima delle folle 'é
tanto più debole quanto é più forte l'anima della razza - L'anima della razza rappresenta lo
stato di civiltà e, l'anima della folla lo stato di barbarie - 2.° Le folle omogenee - Divisione
delle folle omogenee - Le sette, le caste, le classi.

Abbiamo veduto quali sono i caratteri generali comuni alle folle. Ci resta da studiare i
caratteri particolari sovrapposti a questi caratteri generali, secondo le diverse categorie delle
collettività. Anzitutto facciamo una breve classificazione delle folle.
Il nostro punto di partenza sarà la semplice moltitudine. Essa raggiunge la sua forma più
bassa quando è composta da individui appartenenti a razze diverse. Il suo unico legame è la
volontà, più o meno forte, del capo. Come esempio di tali moltitudini, si possono dare i
barbari di origini diverse, che per parecchi secoli invasero l'impero romano.
Al di sopra di queste moltitudini senza coesione, stanno quelle che, sotto l'azione di certi
fattori hanno acquistato caratteri comuni e hanno finito col formare una razza. Esse
presentano le caratteristiche speciali delle folle, ma sempre insieme a quelle della razza. Le
diverse categorie delle folle che si possono osservare in ogni popolo possono dividersi così

A. - FOLLE ETEROGENEE
1° Anonime (Folle delle vie, per esempio).
2° Non anonime (Giurie, assemblee parlamentari, ecc.).

B.- FOLLE OMOGENEE
1° Sette (Sette politiche, sette religiose, ecc.). B. –
2° Caste (Casta militare, casta sacerdotale, casta operaia, ecc.).
3° Classi (Classe borghese, classe contadina, classe operaia, ecc.).

Ora indicheremo con poche parole i caratteri che differenziano le diverse categorie delle folle.


1.0 - Folle eterogenee.
Le folle eterogenee sono quelle di cui abbiamo studiato precedentemente i caratteri. Si
compongono di individui qualsiasi, qualunque sia la loro professione e la loro intelligenza.
Abbiamo dimostrato che la psicologia degli uomini in folla differisce dalla loro psicologia
individuale, e che l'intelligenza non si sottrae a questa differenziazione. Abbiamo visto che
nelle collettività, l'intelligenza non ha nessuna parte. Soltanto i sentimenti incoscienti
possono agire.
Un fattore fondamentale, la razza, permette di dividere nettamente le diverse folle
eterogenee. Più volte abbiamo parlato della sua funzione e abbiamo dimostrato che è il più
potente fattore capace di determinare le azioni degli uomini. La sua influenza si manifesta
anche nei caratteri delle folle. Una moltitudine composta di individui qualsiasi, ma tutti
inglesi o cinesi, sarà molto diversa da un'altra composta da individui qualsiasi, ma di svariate
razze: russi, francesi, spagnoli, ecc.
Le profonde divergenze create dalla costituzione mentale ereditaria nel modo di pensare e di
sentire degli uomini, sono molto visibili allorquando certe circostanze - assai rare però -
riuniscono in una stessa folla, in proporzioni press'a poco uguali, individui di nazionalità
diversa, per quanto gli interessi che li riuniscono sembrino in apparenza identici. I tentativi
fatti dai socialisti per fondere nei grandi congressi i rappresentanti della popolazione operaia
di ogni paese, sono sempre finiti in furibonde discordie.
Una folla latina, per quanto rivoluzionaria o conservatrice la si supponga, farà appello
mirabilmente allo Stato, per realizzare le sue esigenze. E' sempre centralizzatrice e, più o
meno, cesarea. Una folla inglese o americana, invece, non riconosce lo Stato e si rivolge
all'iniziativa privata. Una folla francese guarda anzitutto all'uguaglianza, e una folla inglese
alla libertà. Le differenze delle razze generano tante specie di folle quante sono le nazioni.
L'anima delle razze domina dunque l'anima della folla. E' il sustrato potente che determina le
sue oscillazioni. I caratteri inferiori delle folle sono tanto meno accentuati quanto l'anima
della razza è più forte. È una legge essenziale. Lo stato della folla e il dominio delle folle
costituiscono la barbarie o il ritorno alla barbarie. Acquistando un'anima solidamente
costituita, la razza si sottrae sempre maggiormente al potere irriflessivo delle folle, ed esce
dalla barbarie.
Al di fuori della razza, l'unica classificazione importante da farsi per le folle eterogenee, é
quella di dividerle in folle anonime, come quelle delle strade, e in folle non anonime come, ad
esempio, le assemblee deliberanti e le giurie. Il sentimento della responsabilità, che non esiste
nelle prime, mentre é sviluppato nelle seconde, dà ai loro atti delle orientazioni spesso
diverse.

2.° - Folle omogenee.
Le folle omogenee comprendono: 1° le sette; 2° le caste; 3° le classi.
La setta segna il primo grado nell'organizzazione delle folle omogenee. Comprende individui
di educazione, di professione, di temperamenti a volte molto diversi, che sono uniti dal solo
legame delle credenze. Così sono le sette religiose e politiche, ad esempio.
La casta rappresenta il più alto grado di organizzazione di cui sia suscettibile la folla. La setta
é formata di individui di professione, di educazione, di temperamento spesso dissimili, e
legati tra loro soltanto dalle comuni credenze, mentre la casta comprende solo individui che
hanno la stessa professione e quindi di educazione e di temperamento quasi identici. Così
sono le caste sacerdotali e militari.
La classe si compone di individui di origine diversa, uniti, non da una comune credenza, come
i membri di una setta, né da una identità di professione, come i membri della casta, ma da
certi interessi, da certe abitudini di vita e di educazione simile. Così sono la classe borghese, la
classe agricola, la classe operaia ecc.
In questa opera non voglio studiare che le folle eterogenee, quindi mi occuperò soltanto di
qualche categoria di queste diverse folle scelte come tipi.

CAPITOLO II.
Le folle dette criminali.

Le folle dette criminali - Una folla può essere legalmente ma non psicologicamente criminale
- Completa incoscienza degli atti delle folle - Esempi diversi Psicologia dei settembristi - I loro
ragionamenti, la loro sensibilità, la loro ferocia e la loro moralità.

Cadendo le folle, dopo un certo periodo di eccitazione, allo stato di semplici automi
incoscienti guidati dalla suggestione, sembra difficile qualificarle in qualsiasi caso come
criminali. Conservo tuttavia questo attributo erroneo perchè esso è stato consacrato da
ricerche psicologiche. Certi atti delle folle, considerati in se stessi, sono certamente criminali,
ma allora è criminale anche l'episodio di una tigre che divora un Indù, dopo averlo lasciato
fare a pezzi dai suoi piccoli per distrarli.
I delitti delle folle risultano generalmente da una potente suggestione, e gli individui che vi
hanno preso parte sono poi persuasi di avere obbedito a un dovere. Non è questo davvero il
caso del delinquente comune. La storia dei delitti commessi dalle folle mette in evidenza
quello che ho già accennato.
Si può citare come esempio tipico l'uccisione del governatore della Bastiglia, De Launey, che,
circondato da una folla eccitatissima, riceveva colpi da ogni parte. Chi proponeva di
impiccarlo, chi di mozzargli la testa, chi di attaccarlo alla coda di un cavallo. Dibattendosi egli
colpì, inavvertitamente, uno dei presenti. Qualcuno propose, e la proposta fu subito
acclamata dalla folla, che l'individuo colpito tagliasse il collo del disgraziato.
«Costui, un cuoco disoccupato e un po' sempliciotto che é andato alla Bastiglia per vedere
quel che vi accadeva, giudica che, poiché il parere é generale, l'azione é patriottica, e crede
perfino di meritare una medaglia avendo egli distrutto un mostro. Con una sciabola che gli
viene prestata, colpisce sul collo nudo; ma poiché la sciabola male affilata non riesce a
tagliare, trae di tasca un piccolo coltello dal manico nero, e (poiché nella sua qualità di cuoco,
egli sa manipolare le carni) completa felicemente l'operazione ».
Si vede qui chiaramente il meccanismo precedentemente indicato: obbedienza a una
suggestione tanto più potente in quanto é collettiva, convinzione dell'uccisore di aver
commesso un atto assai meritorio, e convinzione naturale poiché egli ha l'approvazione
unanime dei suoi concittadini. Un simile atto può essere legalmente, ma non
psicologicamente, qualificato come criminale. I caratteri generali delle folle ritenute criminali
sono esattamente quelli che noi abbiamo constatato in tutte le folle : suggestionabilità,
credulità, mobilità, esagerazione dei buoni o dei cattivi sentimenti, manifestazione di certe
forme di moralità, ecc.
Noi ritroveremo tutti questi caratteri in una delle folle che lasciarono uno dei più sinistri
ricordi della nostra storia: i settembristi. Del resto essa presenta molta analogia con quelle
che compirono la strage di San Bartolomeo. Traggo i particolari dal racconto di Taine, che li
ha ricavati dalle memorie del tempo.
"Non si sa esattamente chi diede l'ordine o suggerì di vuotare le prigioni massacrando i
prigionieri. Sia stato Danton, come pare probabile, o altri, poco importa; il solo fatto per noi
interessante é quello della potente suggestione ricevuta dalla folla incaricata del massacro.
L'esercito dei massacratori comprendeva circa trecento persone, e costituiva il tipo perfetto di
una folla eterogenea. A parte un piccolissimo numero di imbecilli, essa si componeva
specialmente di bottegai e di artigiani, calzolai, magnani, parrucchieri, muratori, impiegati,
fattorini, ecc. Sotto l'influenza della suggestione ricevuta, come il cuoco già menzionato,
perfettamente convinti di compiere un dovere patriottico, adempiono a una duplice missione:
quella di giudici e di carnefici, senza considerarsi in alcun modo delinquenti.
Penetrati dell'importanza del loro compito, essi cominciarono a formare una specie di
tribunale: immediatamente appaiono lo spirito semplicista e l'equità, non meno semplicista,
delle folle. Visto il numero considerevole degli accusati, si decide dapprima che i nobili, i
preti, gli ufficiali, i servitori del re, vale a dire tutti gli individui la cui professione é da sola la
prova della loro colpevolezza agli occhi di un buon patriota, siano massacrati in blocco, senza
che vi sia bisogno di particolari decisioni.
Gli altri verranno giudicati dall'aspetto e secondo la loro reputazione. La coscienza
rudimentale della folla essendo così soddisfatta, si può procedere legalmente al massacro e
dar libero corso agli istinti di ferocia di cui ho altrove dimostrato la genesi e che le collettività
hanno il potere di sviluppare in notevole grado. Essi, del resto, non impediranno - tale é la
regola della folla -- la concomitante manifestazione di altri sentimenti contrari, come la
sensibilità spesso portata all'estremo grado della stessa ferocia.
« Essi hanno la simpatia espansiva e la sensibilità pronta dell'operaio parigino. All'Abbazia,
un federato, venendo a sapere che i carcerati erano stati lasciati senza acqua per ventisei ore,
voleva assolutamente uccidere il custode negligente, e l'avrebbe fatto se non fossero
intervenuti gli stessi detenuti.
Quando un imputato é assolto dal loro tribunale improvvisato, guardie e carnefici, tutti
l'abbracciano con trasporto e l'applaudiscono con entusiasmo, poi tornano a uccidere gli altri.
Durante il massacro regna sempre una piacevole allegria. Essi danzano e cantano, intorno ai
cadaveri, dispongono le panche « per le signore », felici di veder uccidere gli aristocratici.
E manifestano anche una speciale equità. Essendosi un boia lagnato, all'Abbazia, che le
signore poste un po' lontano, non vedevano bene, e che soltanto qualche assistente ha il
piacere di colpire gli aristocratici, tutti trovano giusta l'osservazione, e decidono di far passare
lentamente le vittime tra due ali di carnefici che devono colpire soltanto col dorso della
sciabola, in modo da prolungare il supplizio.
Alla Force le vittime sono messe completamente a nudo, e vengono tagliuzzate per una
mezz'ora; poi, quando tutti hanno visto bene, vengono finite aprendo loro il ventre.
I massacratori, d'altra parte, sono molto scrupolosi, e hanno la moralità che abbiamo notata
in seno alle folle. Portano sul tavolo dei comitati il denaro e i gioielli delle vittime. »
In ogni loro atto si ritrovano sempre quelle forme rudimentali di ragionamento,
caratteristiche dell'anima delle folle. Così dopo il massacro dei 1500 nemici della nazione,
qualcuno fa osservare, e subito la suggestione é accettata, che le altre prigioni, popolai di
mendicanti, di vagabondi, di giovani detenuti, racchiudono in realtà delle bocche inutili di cui
sarebbe meglio sbarazzarsi. D'altronde fra essi, ci sono dei nemici del popolo come, ad
esempio, una certa signora Delarue, vedova di un avvelenatore: « Ella deve essere furibonda
di essere in prigione; se potesse, darebbe fuoco a Parigi; deve averlo detto, l'ha detto. Ancora
un colpo di granata. » La dimostrazione pare evidente, e tutti sono massacrati in massa,
compresi una cinquantina di fanciulli dai dodici ai diciassette anni che sarebbero potuti
diventare, col tempo, nemici della nazione e dovevano quindi essere soppressi.
Dopo una settimana di lavoro, essendo finite tutte queste operazioni, i massacratori poterono
pensare a riposarsi. Intimamente persuasi d'aver reso un gran servigio alla patria, andarono
dalle autorità a reclamare un compenso; i più zelanti esigevano anche la medaglia.
La storia della comune del 1871 ci dà parecchi simili esempi. L'influenza sempre crescente
delle folle, e le capitolazioni successive dei poteri, ne forniranno certamente molti altri.

CAPITOLO III
I giurati di Corte d'Assise

I giurati di corte d'assise. - Caratteri generali dei giurì - La statistica dimostra che le loro
decisioni sono indipendenti dalla loro composizione - Come vengono impressionati i giurati -
Debole azione del ragionamento - Metodi di persuasione degli avvocati celebri - Natura dei
delitti per i quali i giurati sono indulgenti o severi - Utilità della istituzione del giurì e pericolo
che presenterebbe costituendolo con dei magistrati.

Non potendo studiare qui tutte le categorie di giurati, esaminerò soltanto le più importanti,
cioè quelle delle corti d'assise. Essi costituiscono un ottimo esempio di folla eterogenea non
anonima. Vi ritroviamo la suggestionabilità, il predominio dei sentimenti incoscienti, la
debole attitudine al ragionamento, la influenza dei caporioni, ecc. Studiandoli, avremo
occasione di osservare interessanti esempi degli errori che le persone non iniziate alla
psicologia delle collettività possono commettere.
I giurati ci danno intanto una prova della debole importanza, dal punto di vista delle
decisioni, del livello mentale dei diversi elementi che compongono una folla. Abbiamo veduto
che in una assemblea deliberante chiamata a dare il suo giudizio su una questione che non ha
carattere completamente tecnico, l'intelligenza non sostiene alcuna parte; abbiamo veduto
che una riunione di scienziati e di artisti, non emette, su soggetti generali, giudizi
sensibilmente diversi da quelli di una assemblea di muratori.
In epoche diverse, l'amministrazione sceglieva con cura le persone chiamate a comporre il
giurì, e li reclutava tra le classi colte: professori, funzionari, letterati, ecc. Oggi il giurì é
specialmente formato da piccoli commercianti, piccoli proprietari e impiegati. Ora, con
grande stupore degli scrittori specialisti, qualunque sia stata la composizione dei giurì, la
statistica dimostra l'identità delle loro decisioni. Gli stessi magistrati, pur così ostili
all'istituzione del giurì, hanno dovuto riconoscere l'esattezza di questa operazione. Ecco come
si esprime a proposito un antico presidente di corte d'assise, Bérard des Glajeux, ne suoi
Ricordi:
« Oggi la scelta del giurì é veramente nelle mani dei consiglieri municipali, che ammettono o
eliminano, a loro talento, seguendo le preoccupazioni politiche ed elettorali inerenti alla loro
situazione... La maggioranza degli eletti si compone di commercianti di minor importanza di
una volta, e degli impiegati di certe amministrazioni... Poiché tutte le opinioni si fondano con
tutte le professioni nella qualità di giudice, avendo molti l'ardore dei neofiti, e incontrandosi
gli uomini di miglior volontà nelle situazioni più umili, lo spirito del giurì non é cambiato: i
suoi risultati sono rimasti gli stessi ».
Serbiamo di questo passo le conclusioni che sono giustissime, e non le spiegazioni che sono
assai deboli. Non occorre stupirsi di una simile debolezza, perché la psicologia delle folle, e
per conseguenza dei giurati, sembra esser rimasta di frequente sconosciuta e agli avvocati e ai
magistrati. Ne trovo la prova in questo episodio narrato dallo stesso autore, che uno dei più
illustri avvocati della corte d'assise, Lachaud, usava sistematicamente del suo diritto di ricusa
per tutti gli individui intelligenti che facevano parte della giuria.
Ora, l'esperienza - l'esperienza soltanto - ha finito col dimostrare la completa inutilità della
ricusa. Il pubblico ministero e gli avvocati, almeno a Parigi, vi hanno completamente
rinunciato ora; e, come fa notare De Glajeux, i verdetti non sono mutati, « non hanno né
migliorato, né peggiorato ». Come le folle, i giurati vengono molto impressionati dai
sentimenti e pochissimo dai ragionamenti. «Essi non resistono, scrive un avvocato, alla vista
di una donna che allatta un piccolo, o a una sfilata di orfanelli». « Basta che una donna sia
piacente, scrive De Glajeux, perché ottenga la benevolenza della giuria ».
Inflessibili davanti ai delitti che parrebbe dovessero commuoverli --- e che d'altronde sono i
più temibili per la società - i giurati si mostrano invece molto indulgenti per i delitti cosiddetti
passionali. Ben di rado sono severi con le ragazze infanticide e meno ancora per la donna
abbandonata che sfregia col vetriolo il seduttore. I giurati sentono molto, per istinto, che
questi delitti sono poco dannosi per la società, e che in un paese dove la legge non protegge le
ragazze abbandonate, la vendetta di una di loro é più utile che nociva, intimorendo un poco i
futuri seduttori.
(1) Notiamo di sfuggita che questa divisione, molto ben fatta - per istinto - dai giurati, fra i
delitti socialmente dannosi e gli altri delitti, non é priva di esattezza. La scopo delle leggi
criminali dev'essere di proteggere la società dai delinquenti e non di vendicarla. Ora i nostri
codici, e soprattutto lo spirito dei nostri magistrati, sono ancora imbevuti dello spirito di
vendetta del vecchio diritto primitivo. La parola vindicte, (vindicta, vendetta) é ancora molto
adoperata. Abbiamo la prova di questa tendenza dei magistrati nel rifiuto di molti di loro di
applicare l'eccellente legge Béranger, che permette ai condannati di non subire la pena se non
sono recidivi. Ora, nessun magistrato può ignorare, poiché la statistica lo dimostra, che
l'applicazione di una prima pena ha quasi sempre per conseguenza la recidiva. I giudici
lasciando libero un colpevole, pensano che la società non sia stata, vendicata. Piuttosto di non
vendicarla, preferiscono creare un recidivo pericoloso.
Le giurie, come tutte le folle, sono soggiogate dal prestigio, e il presidente De Glajeux fa
giustamente notare che le giurie, composte di elementi democratici, si mostrano molto
aristocratiche negli affetti. « Il nome, la nascita, la grande ricchezza, la fama di un avvocato, le
cose eleganti e le cose che luccicano formano un punto d'appoggio molto buono nelle mani
degli accusati. »
La preoccupazione di un buon avvocato dev'essere quella di agire sui sentimenti dei giurati, e,
come con tutte le folle, ragionare poco, o non adoperare che forme rudimentali di
ragionamento. Un avvocato inglese, celebre per i suoi successi in corte d'assise ha analizzato
bene questo metodo.
« Egli osservava attentamente la giuria mentre faceva l'arringa. È il momento favorevole. Con
un po' di perspicacia e di abitudine, l'avvocato legge sui visi l'effetto prodotto da ogni frase, da
ogni parola, e ne trae le sue conclusioni. Si tratta anzitutto di distinguere i membri
guadagnati alla causa. Il difensore in un attimo finisce con l'assicurarseli; dopo di che passa ai
membri che invece sembrano mal predisposti, e cerca di indovinare per quale ragione sono
contrari all'accusato. E la parte più delicata del compito, poiché ci possono essere un'infinita
di ragioni per cui si desidera condannare un uomo, all'infuori del sentimento di giustizia ».
Queste poche righe riassumono ammirabilmente lo scopo dell'arte oratoria, e ci dimostrano
anche l'inutilità dei discorsi preparati prima, poiché bisogna modificare ogni momento le
parole, secondo l'impressione prodotta.
L'oratore non ha bisogno di convertire tutti i giurati, ma soltanto un certo numero che
determineranno l'opinione generale. Come in tutte le folle, un piccolo numero di individui
trascina gli altri. «Ho fatto l'esperienza, dice l'avvocato che ho citato dianzi, che nel momento
di dare il verdetto, basterebbero uno o due uomini energici per trascinare il resto della
giuria».
Dunque bisogna convincere con abili suggestioni questi due o tre. Bisogna anzitutto riuscire
loro simpatici. L'uomo in folla a cui si é simpatici, é quasi convinto e ben disposto a
considerare come eccellenti le ragioni che gli si presenteranno.
In un interessante lavoro su Lachaud, trovo il seguente aneddoto:
"Si sa che durante i discorsi ch'egli pronunciava alle assise, Lachaud non perdeva di vista due
o tre giurati ch'egli sapeva, o sentiva, influenti, ma severi. Generalmente riusciva a convincere
quei recalcitranti. Tuttavia, una volta, in provincia, ne trovò uno a cui rivolgeva inutilmente
da un buon quarto d'ora un forte discorso: il primo del secondo banco, il settimo giurato. Era
esasperante! A un tratto, sul più bello di una appassionata dimostrazione, Lachaud si fermò, e
rivolgendosi al presidente della corte d'assise: «Signor presidente, disse, non potreste far
tirare la tenda, là di fronte? Il signor settimo giurato è accecato dal sole. » Il settimo giurato
arrossì, sorrise, ringraziò. Era ormai dalla parte della difesa ».
In questi ultimi tempi parecchi scrittori, e dei più notevoli, hanno combattuto accanitamente
l'istituzione dei giurì, unica protezione pertanto contro gli errori frequenti di una casta senza
controllo (*).
(*) La magistratura rappresenta, infatti, l'unica amministrazione i cui atti non siano
sottomessi ad alcun controllo. Tutte le rivoluzioni della Francia democratica non hanno
potuto acquistarle quel diritto d'habeas corpus di cui l'Inghilterra é così orgogliosa.
Abbiamo bandito i tiranni; ma in ogni città il magistrato dispone a piacer suo dell'onore e
della libertà dei cittadini. Un piccolo giudice istruttore, appena uscito dalla Scuola di diritto,
possiede l'ingiusto potere di mandare in prigione, per una semplice supposizione di
colpevolezza - che egli non deve giustificare di fronte ad alcuno - i cittadini più
ragguardevoli. Egli può tenerveli sei mesi o anche un anno col pretesto di indagare e
rilasciarli poi senza dover loro né indennità, né scuse. Il mandato di condurre dinanzi al
giudice é assolutamente equivalente all'ordine dato dal re di imprigionare, con questa
differenza: che quest'ultimo, così giustamente rimproverato all'antica monarchia, non era
alla portata che dei grandi personaggi, mentre quello é oggi tra le mani di tutta una classe
di cittadini, che é lungi dall'esser considerata come la più illuminata e indipendente.
Gli uni vorrebbero un giurì reclutato solamente tra le classi più colte; ma noi abbiamo già
provato che anche in questo caso le decisioni sarebbero identiche a quelle attuali. Altri,
basandosi sugli errori commessi dai giurati, vorrebbero sopprimere questi ultimi e sostituirli
con dei giudici. Ma come possono, essi dimenticare che gli errori rimproverati al giurì, sono
sempre commessi dai giudici poiché l'accusato deferito al giurì, é stato considerato come
colpevole da parecchi magistrati, il giudice istruttore, il procuratore della Repubblica e la
Camera dei messi in stato di accusa?
Come non comprendere che se fosse definitivamente giudicato dai magistrati invece che dai
giurati, l'accusato perderebbe ogni probabilità d'essere riconosciuto innocente? Gli errori dei
giurati sono sempre stati, anzitutto, errori di magistrati. Unicamente con questi ultimi
bisogna perciò prendersela quando si vedono errori giudiziari particolarmente mostruosi,
come la condanna di quel dottor X... che, perseguitato da un giudice istruttore veramente
troppo miope, su denuncia di una ragazza semi-idiota che accusava il dottore di averla fatta
abortire per 30 franchi, sarebbe stato inviato al bagno penale se l'opinione pubblica non fosse
insorta indignata, ottenendo immediatamente la grazia dal capo dello Stato.
L'onorabilità del condannato, proclamata da tutti i suoi concittadini, rendeva evidente la
grossolanità dell'errore che gli stessi magistrati riconoscevano e, che tuttavia, per spirito di
casta, fecero di tutto per impedire la firma della grazia. In tutti i casi simili, circondati da
particolari tecnici in cui il giurì nulla può comprendere, il giuri ascolta naturalmente il
pubblico ministero; pensando che, dopo tutto, il processo é stato istituito dai magistrati rotti
a tutte le sottigliezze.
Quali sono, allora, i veri autori dell'errore ? i giurati o i magistrati ? Manteniamo
preziosamente il giurì. Esso costituisce forse l'unica categoria di folla che nessuna
individualità potrebbe sostituire. Esso solo può mitigare le inesorabilità della legge che,
uguale per tutti, in principio, deve essere cieca e non conoscere i casi particolari. Inaccessibili
alla pietà e non conoscendo che i testi, il giudice, con la sua rigidezza professionale,
colpirebbe con la stessa pena il ladro assassino e la ragazza povera condotta all'infanticidio
dall'abbandono del suo seduttore e dalla miseria, mentre il giurì sente istintivamente che la
ragazza sedotta é molto meno colpevole del seduttore, che, tuttavia, sfuggendo questi alla
legge, ella merita indulgenza.
Conoscendo la psicologia delle caste e quella delle altre categorie di folle, non vedo nessun
caso in cui, accusato a torto di un delitto, io non preferirei aver a che fare con dei giurati
piuttosto che con dei magistrati. Con i primi, avrò assai probabilità di essere riconosciuto
innocente, e ne avrò assai poche con i secondi. Temiamo la potenza delle folle, ma assai più
quella di certe caste. Le une possono lasciarsi convincere, le altre non piegano mai.

CAPITOLO IV.
Le folle elettorali.

Caratteri generali delle folle elettorali - Come si possono persuadere - Qualità che il candidato
deve possedere - Necessità del prestigio - Perché gli operai e i contadini scelgono così di rado i
candidati tra loro - Potere che le parole e le formule hanno sull'elettore - Aspetto generale
delle discussioni elettorali - Come si formano le opinioni dell'elettore: - Potere dei comitati -
Essi rappresentano la più temibile forma della tirannia - I comitati della Rivoluzione -
Nonostante il suo debole valore psicologico, il suffragio universale non può essere sostituito -
Perché i voti sarebbero uguali anche limitando il diritto di suffragio - Ciò che esprime il
suffragio universale in tutti i paesi.

Le folle elettorali, cioè le collettività chiamate a eleggere i tutori di certe funzioni,
costituiscono le folle eterogenee; ma siccome agiscono soltanto su un solo punto determinato:
scegliere tra diversi candidati, non si può osservare in esse che alcuni dei caratteri descritti
nei precedenti capitoli. I più visibili sono la debole tendenza al ragionamento, l'assenza di
spirito critico, l'irritabilità, la credulità e il semplicismo. Nelle loro decisioni si vede anche
l'influenza dei costumi e la funzione dei fattori enumerati in precedenza: la affermazione, le
ripetizioni, il prestigio e il contagio.
Cerchiamo di vedere come si possono soggiogare le folle elettorali. La loro psicologia si
dedurrà dai procedimenti che riescono meglio. La prima qualità che il candidato deve
possedere è, il prestigio. Il prestigio personale non può essere sostituito che da quello della
ricchezza. Il talento, il genio stesso, non sono elementi di successo.
La necessità, per il candidato, di avere un certo prestigio, e di potersi quindi imporre senza
discussioni, é capitale. Gli elettori, composti specialmente di operai e di contadini, scelgono
ben raramente uno dei loro a rappresentarli, perché gli individui usciti dalle loro file non
hanno per essi alcun prestigio. Non nominano un loro eguale che per ragioni accessorie, per
contrapporlo, ad esempio, a un uomo eminente, a un padrone potente, alle cui dipendenze si
trova ogni giorno l'elettore, e di cui egli ha così l'illusione di diventare per un momento lui il
padrone.
Ma per esser sicuro del successo, il candidato non deve avere soltanto il prestigio. L'elettore
vuol vedere lusingate le sue cupidigie e le sue vanità; il candidato deve coprirlo delle più
stravaganti piaggerie, e non deve esitare a fargli le più fantastiche promesse. Dinanzi a degli
operai non sarà mai troppo ingiuriare e offendere i loro padroni. In quanto al candidato
avversario, si cercherà di schiacciarlo dimostrando con l'affermazione, la ripetizione e il
contagio, che é l'ultimo dei mascalzoni, e che nessuno ignora i suoi numerosi delitti. E'
inutile, s'intende, di cercare le prove. Se l'avversario conosce male la psicologia delle folle,
cercherà di giustificarsi con buoni argomenti, invece di rispondere semplicemente alle
affermazioni calunniatrici con altre affermazioni ugualmente calunniatrici; e non avrà
nessuna probabilità di trionfare.
Il programma scritto dal candidato non deve essere troppo categorico, perché i suoi avversari
potrebbero più tardi opporglielo; ma il suo programma orale non sarà mai eccessivo. Le più
notevoli riforme possono essere promesse senza timore. Sul momento, queste esagerazioni
producono molto effetto, e non impegnano affatto per l'avvenire. L'elettore non si preoccupa
infatti di saper poi se l'eletto ha seguito la professione di fede acclamata, in base alla quale
l'elezione ha avuto luogo.
Si riconoscono qui tutti i fattori di persuasione sopra descritti. Noi li ritroveremo ancora
nell'azione delle parole e delle formule di cui abbiamo già mostrato il grande potere. L'oratore
che sa adoperarli conduce le folle come vuole lui. Espressioni come l'infame capitale, i vili
sfruttatori, l'ammirevole operaio, la socializzazione delle ricchezze, ecc. producono sempre lo
stesso effetto, benché già un po' consunto. Ma il candidato che può scoprire una formula
nuova, sprovvista di senso preciso, e di conseguenza adattabile alle più diverse aspirazioni,
ottiene un successo infallibile. La sanguinosa rivoluzione spagnola del 1873 fu fatta con una di
queste magiche parole, dal senso complesso, che ognuno può interpretare secondo la propria
aspirazione. Uno scrittore contemporaneo ne ha raccontato la genesi in termini che meritano
di essere riferiti. I radicali avevano scoperto che una repubblica unitaria è una monarchia
travestita, e, per far loro piacere, le Cortes avevano proclamato ad unanimità la repubblica
federale senza che nessuno dei votanti avesse potuto dire ciò che aveva votato. Ma quella
formula estasiava tutti : era un delirio, un'ebbrezza. Sulla terra era stato inaugurato il regno
della virtù e della felicità. Un repubblicano, al quale il suo nemico rifiutasse il titolo di
federale, se ne offendeva come di una ingiuria mortale. Per le strade ci si avvicinava
dicendosi: "Salud y republica federal!" Dopo di che si intonavano inni alla santa indisciplina e
all'autonomia del soldato.
Che cos'era la « repubblica federale »? Gli uni intendevano con queste parole l'emancipazione
delle province, delle istituzioni simili a quelle degli Stati Uniti o il decentramento
amministrativo; altri miravano all'annullamento dell'autorità, al prossimo inizio della grande
liquidazione sociale. I socialisti di Barcellona e dell'Andalusia predicavano la sovranità
assoluta dei comuni; essi volevano dare alla Spagna diecimila municipi indipendenti, i quali
avrebbero avuto soltanto leggi autonome, e avrebbero voluto inoltre sopprimere l'esercito e la
polizia.
Ben presto, nelle province del Mezzogiorno, si vide l'insurrezione propagarsi da città a città,
da villaggio a villaggio. Non appena un comune aveva fatto il suo pronunciamento, sua prima
cura era di distruggere il telegrafo e la ferrovia per tagliare tutte le sue comunicazioni con i
suoi vicini e con Madrid. Non c'era borgatella che non intendesse fare la sua cucina a parte. Il
federalismo aveva ceduto il posto a un cantonalismo brutale, incendiario e massacratore, e
per ogni dove si celebravano sanguinosi saturnali ».
In quanto all'influenza che i ragionamenti potrebbero avere sullo spirito degli elettori,
bisognerebbe non aver mai letto il resoconto di una riunione elettorale per non saperne
abbastanza a questo proposito. Vengono scambiate affermazioni, invettive, persino delle
botte, qualche volta, e non mai ragioni. Se per un momento si stabilisce il silenzio è perché un
ascoltatore di carattere difficile annuncia che sta per fare al candidato una di quelle domande
imbarazzanti che divertono l'uditorio. Ma la soddisfazione degli oppositori dura ben poco,
poiché la voce del propinante é coperta ben presto dagli urli degli avversari. Si possono
considerare come riunioni pubbliche tipiche i seguenti resoconti, presi fra moltissimi
somiglianti, e che prendo a prestito da due quotidiani.
« Avendo un organizzatore pregato l'uditorio di nominare un presidente, si scatenò l'uragano.
Gli anarchici saltano sul palcoscenico per prendere d'assalto il tavolo. I socialisti lo difendono
con energia; si picchiano, si danno dei mascalzoni, dei venduti, ecc..., e uno si ritira con un
occhio ammaccato.
« Infine, il tavolo della presidenza, bene o male, è installato in mezzo al tumulto, e la tribuna
resta al compagno X. –
« L'oratore fa una tirata contro i socialisti, che lo interrompono gridando : « Cretino! Bandito!
Canaglia! » ecc., epiteti ai quali il compagno X risponde con l'esposizione di una teoria
secondo la quale i socialisti sono degli « idioti » o dei « buffoni ».
« ... Il partito tedescofilo aveva organizzato, ieri sera, nella sala del Commercio, rue du
Faubourg-duTemple, una grande riunione per preparare la festa dei lavoratori del primo
maggio. La parola d'ordine era : « Calma e tranquillità ».
« Il compagno G... tratta i socialisti da « cretini » e da « mistificatori ».
« A queste parole, oratori e pubblico si insultano e vengono alle mani; le sedie, le panche, i
tavoli entrano in scena, ecc., ecc. ».
Non bisogna pensare che questo genere di discussione sia una caratteristica di una
determinata classe di elettori, e dipenda dalla loro condizione sociale. In tutte le assemblee
anonime, anche se sono composte esclusivamente di letterati, la discussione riveste
facilmente le stesse forme. Ho dimostrato che gli uomini in folla tendono all'uguaglianza
mentale e ad ogni momento ne abbiamo la prova. Ecco, come esempio, un estratto del
resoconto di una riunione composta soltanto di studenti:
« A mano a mano che la serata si inoltrava, il tumulto é andato via via aumentando; credo che
non un oratore abbia potuto dire due frasi senza essere interrotto. A ogni istante i gridi
partivano da un punto o dall'altro, o da quasi tutti i punti ad un tempo; si applaudiva, si
fischiava; discussioni violente si accendevano fra gli uditori; i bastoni venivano impugnati,
minacciosi; si picchiavano i piedi in cadenza sul pavimento; dei clamori investivano gli
interruttori : «Alla porta! Alla tribuna!»
« C. prodiga all'associazione gli epiteti di odiosa e vile, mostruosa, venale e vendicativa, e
dichiara che vuol distruggerla, ecc. ecc... ».
Ci si chiede come in condizioni simili, possa formarsi l'opinione di un elettore. Ma porre tale
questione vorrebbe dire illudersi stranamente sul grado di libertà di cui gode la collettività. Le
folle hanno delle opinioni imposte, mai delle opinioni ragionate. Queste opinioni e i voti degli
elettori rimangono tra le mani dei comitati elettorali, i cui capi sono quasi sempre
imprenditori, molto influenti sugli operai, ai quali fanno credito. « Sapete che cosa é un
comitato elettorale, scrisse uno dei più valenti difensori della democrazia, lo Schérer?
Semplicemente la chiave delle nostre istituzioni, il meccanismo principale della nostra
macchina politica. La Francia è oggi governata dai comitati » (*).
(*) I comitati, qualunque sia il loro nome: clubs, sindacati, ecc., costituiscono uno dei
pericoli da paventarsi della potenza delle folle. Essi rappresentano infatti, la forma più
impersonale, e, di conseguenza, più oppressiva della tirannia. I capi che dirigono i comitati
essendo ritenuti degni di parlare e agire in nome di una collettività sono fuori d'ogni
responsabilità e possono permettersi tutto quel che vogliono. Il tiranno più crudele non
avrebbe mai osato pensare le proscrizioni ordinate dai comitati rivoluzionari. Essi avevano,
dice Barras, decimato e messa a posto la Convenzione. Robespierre fu padrone assoluto
finché potè parlare in loro nome. Il giorno in cui il terribile dittatore se ne separò per
ragioni di amor proprio, segnò l'ora della sua rovina. Il regno delle folle é il regno dei
comitati, quindi dei condottieri. Non si potrebbe immaginare dispostismo più duro.
Inoltre non é troppo difficile agire su di essi, per poco che il candidato sia accettabile e
possegga risorse sufficienti. Secondo le confessioni dei donatori, 3 milioni bastarono per
ottenere le elezioni multiple del generale Boulanger. Tale é la psicologia delle folle elettorali.
Essa é identica a quella delle altre folle: né migliore, né peggiore. Non trarrò dunque da ciò
che precede nessuna conclusione contro il suffragio universale. Se dovessi decidere in merito,
io lo conserverei così com'è, per motivi pratici che derivano precisamente dal nostro studio
sulla psicologia delle folle, e che io esporrò, dopo aver ricordato per prima cosa i suoi
inconvenienti. Gli inconvenienti del suffragio universale sono evidentemente troppo visibili
per essere misconosciuti. Non si potrebbe contestare che le civiltà furono opera di una piccola
minoranza di spiriti superiori che costituiscono il vertice di una piramide, i cui piani,
allargandosi a mano a mano che decresce il valore intellettuale, rappresentano gli strati
profondi di una nazione. La grandezza di una civiltà non può certamente dipendere dal
suffragio di elementi inferiori che rappresentano soltanto il numero. E i suffragi delle folle,
sono anche, indubbiamente, molto pericolosi. Essi ci hanno condotto a parecchie invasioni; e
col trionfo del socialismo, le fantasie della sovranità popolare ci costeranno certamente anche
assai più care.
Ma queste obiezioni, teoricamente eccellenti, perdono praticamente tutta la loro forza, se
vogliamo ricordarci della potenza invincibile delle idee trasformate in dogmi. Il dogma della
sovranità delle folle é, dal punto di vista filosofico, così poco sicuro quanto i dogmi religiosi
del Medioevo, ma esso ha di questi, oggi, l'assoluta potenza.
Esso é dunque inattaccabile come già lo furono le nostre idee religiose. Supponete un libero
pensatore moderno trasportato per un potere magico in pieno Medioevo. Credete voi che di
fronte alla potenza sovrana delle idee religiose che allora regnavano, egli tenterebbe di
combatterle? Caduto nelle mani di un giudice, che volesse farlo ardere sotto l'imputazione di
aver concluso un patto col diavolo, o frequentato il sabba, avrebbe egli pensato a contestare
l'esistenza del diavolo o del sabba? Come non si discute con i cicloni, così non si discute con le
credenze delle folle. Il dogma del suffragio universale possiede oggi il potere che un tempo
ebbero i dogmi cristiani. Oratori e scrittori ne parlarono con un rispetto e una adulazione che
neanche Luigi XIV conobbe. Di fronte ad esso bisogna dunque comportarci come di fronte a
tutti i dogmi religiosi. Solo il tempo opera su di essi.
Provarsi a scuotere questo dogma sarebbe tanto più inutile quanto più sono le sue ragioni
apparenti. - « In tempi di uguaglianza - dice Tocqueville - gli uomini non hanno nessuna fede
tra di essi, a cagione della loro somiglianza; ma questa stessa somiglianza dà loro una fiducia
quasi illimitata nel giudizio del pubblico; perché non parrebbe loro verosimile, che
possedendo tutti uguale intelletto, la verità non si incontri dalla parte del maggior numero ».
Occorre ora supporre che un suffragio limitato, alle capacità, ad esempio, migliorerebbe il
voto delle folle ? Non posso ammetterlo un solo istante, e ciò per i motivi più sopra segnalati,
motivi dell'inferiorità mentale di tutte le collettività, qualunque possa essere la loro
composizione.
In folla. lo ripeto, gli uomini si uguagliano sempre, e, su questioni generali, il suffragio di
quaranta accademici non é migliore di quello di quaranta portatori d'acqua. Io non credo che
nessuno dei voti tanto rinfacciati al suffragio universale, il ristabilimento dell'Impero, ad
esempio, sarebbe stato diverso con votanti reclutati esclusivamente tra scienziati e letterati.
Per un individuo, il fatto di sapere il greco o le matematiche, d'essere architetto, veterinario,
medico o avvocato, non lo dota, su questioni di sentimento, di particolare acume. Tutti i
nostri economisti sono gente istruita, professori e accademici, in gran parte. C'é un solo
problema generale, ad esempio, che li abbia trovati d'accordo?Dinanzi a dei problemi sociali,
pieni di incognite, e dominati dalla logica mistica o affettiva, tutte le ignoranze si uguagliano.
Se dunque le persone rimpinzate di scienza componessero da sole il corpo elettorale, i loro
voti non sarebbero migliori di quelli d'oggi. Esse si lascerebbero guidare soprattutto dai loro
sentimenti e dallo spirito del loro partito. Nessuna delle attuali difficoltà scomparirebbe, e
avremmo di certo in più la opprimente tirannia delle caste. Limitato o generale, operando in
un paese repubblicano o in un paese monarchico, praticato in Francia, nel Belgio, in Grecia,
in Portogallo o in Spagna, il suffragio delle folle é dappertutto simile, e traduce spesso le
aspirazioni e i bisogni incoscienti della razza. La media degli eletti rappresenta per ogni
nazione l'anima media della sua razza. Da una generazione all'altra la si ritrova press'a poco
identica. Ed é così che ancora una volta ricadiamo su questa nozione fondamentale di razza,
già così di frequente incontrata, e su quest'altra nozione derivata dalla prima: che istituzioni e
governi sostengono una parte assai debole nella vita dei popoli.
Questi ultimi sono soprattutto guidati dall'anima della loro razza, vale a dire dai residui
atavici di cui quest'anima é la somma. La razza e l'ingranaggio delle necessità quotidiane: tali
sono i dominatori misteriosi che reggono i nostri destini.

CAPITOLO V
Le assemblee parlamentari

Le folle parlamentari presentano la maggior parte dei caratteri comuni alle folle etorogenee
non anonime - Semplicismo delle opinioni - Suggestionabilità e suoi limiti - Opinioni fisse
irriducibili, ed opinioni mobili - Perché predomina l'indecisione - Funzione degli agitatori -
Ragioni del loro prestigio - Essi sono i veri padroni di un'assemblea - Potenza assoluta da loro
esercitata - Gli elementi della loro arte oratoria - Le parole e le immagini. Necessità
psicologica degli agitatori di essere generalmente convinti e limitati - Impossibilità per
l'oratore senza prestigio di far ammettere le sue ragioni - Esagerazione dei sentimenti, buoni
o cattivi, nelle assemblee - Automatismo da loro raggiunto in certi momenti - Le sedute della
«Convenzione » - Casi nei quali una assemblea perde i caratteri delle folle - Influenza degli
specialisti nelle questioni tecniche - Vantaggi e pericoli del regime parlamentare in ogni paese
- Esso è adatto alle necessità moderne; ma conduce allo sperpero delle finanze ed alla
restrizione progressiva di tutte le libertà. ------ Conclusione dell'opera

Le assemblee parlamentari rappresentano folle eterogenee non anonime. Nonostante la loro
formazione variabile secondo le epoche e i popoli, si assomigliano molto nei loro caratteri.
L'influenza delle razze attenua o esagera - ma non impedisce - la manifestazione di questi
caratteri. Le assemblee parlamentari delle regioni più diverse, quelle della Grecia, dell'Italia,
del Portogallo, della Spagna, della Francia e dell'America, presentano nelle loro discussioni e
nei loro voti, molte analogie e lasciano i loro governi nelle identiche difficoltà.
Il regime parlamentare sintetizza l'ideale di tutti i popoli civili moderni. Esso esprime l'idea -
psicologicamente errata ma generalmente ammessa - che molti uomini riuniti sanno dare
meglio una decisione saggia e indipendente su un dato soggetto.
Ritroviamo nelle assemblee parlamentari le caratteristiche generali delle folle: semplicismo di
idee, irritabilità, suggestionabilità, esagerazione dei sentimenti, influenza preponderante dei
condottieri. Ma, secondo la loro speciale composizione, le folle parlamentari presentano
qualche differenza.
Le indicheremo fra poco. Il semplicismo delle opinioni è una delle loro caratteristiche più
notevoli. In tutti i partiti, specialmente nei popoli latini, si riscontra una tendenza invariabile
a risolvere i più complicati problemi sociali coi più semplici principii astratti e con leggi che
generalmente sono applicabili a tutti i casi. I princìpi variano, naturalmente, secondo i partiti,
ma per il solo fatto che gli individui sono in folla, tendono sempre a esagerare il valore di
questi princìpi e a portarli sino alle più lontane conseguenze. Anche i parlamenti
rappresentano soprattutto opinioni estreme.
L'esempio più perfetto del semplicismo delle assemblee fu dato dai giacobini della grande
Rivoluzione. Tutti dogmatici e logici, col cervello pieno di generalità vaghe, essi si
preoccupavano di applicare dei princìpi fissi, senza curarsi degli avvenimenti, e fu detto molto
giustamente che essi attraversarono la Rivoluzione senza vederla. Con qualche dogma
credevano di rifare una società in tutte le sue parti, e portare una civiltà raffinata ad una fase
molto anteriore dell'evoluzione sociale. Anche i loro mezzi per realizzare questo sogno
avevano quest'impronta di semplicismo. Infatti i giacobini si limitavano a distruggere
violentemente gli ostacoli che li imbarazzavano. Del resto, tutti i giacobini, montagnardi,
termidoriani, ecc., erano animati dallo stesso spirito. Le folle parlamentari sono molto
suggestionabili e come sempre la suggestione emana dai condottieri circondati dall'aureola
del prestigio; ma nelle assemblee parlamentari, la suggestionabilità ha dei limiti molto precisi
che è necessario notare. Ogni membro di un'assemblea possiede, su tutte le questioni di
interesse locale, delle opinioni fisse, irriducibili, che nessuna discussione potrebbe smuovere.
Il talento di un Demostene non potrebbe modificare il voto di un deputato su delle questioni
come il protezionismo o il privilegio dei distillatori di acquavite, che rappresentano esigenze
di elettori influenti. La suggestione anteriore di questi elettori è abbastanza forte per
annullare tutte le altre, e mantenere fisse le opinioni (*).
(*) A queste opinioni fissate anteriormente e rese irriducibili da necessità elettorali, si
riferisce certamente questa riflessione di un vecchio parlamentare inglese: «Da
cinquant'anni siedo a Westminster e ho udito migliaia di discorsi; pochi sono riusciti a
cambiare le mie opinioni; ma nessuno ha mutato il mio voto.»
Su delle questioni generali: rovesciamento di un ministero, imposizione di un'imposta, ecc., la
immutabilità di opinione scompare, e le suggestioni dei capi possono operare, ma niente
affatto come in una folla ordinaria. Ogni partito ha i suoi capi, che esercitano talvolta una
uguale influenza. Il deputato si trova dunque tra suggestioni contrarie e diventa fatalmente
assai esitante. Di modo che lo vediamo, a un quarto d'ora di distanza, votare in modo
contrario, aggiungere a una legge un articolo che la distrugge: togliere, ad esempio, agli
industriali il diritto di scegliere e di licenziare i loro operai, poi quasi annullare tale misura
con un emendamento. E ciò avviene perché, a ogni legislatura, una Camera manifesta
opinioni costanti ed altre assai incerte. In fondo, essendo le questioni generali le più
numerose, l'incertezza domina, mantenuta per il costante timore dell'elettore, la cui
suggestione latente arriva a controbilanciare l'influenza dei capi. Questi ultimi sono tuttavia i
veri padroni nelle discussioni in cui i membri di un'assemblea non hanno opinioni anteriori
ben precisate. La necessità dei capi é evidente poiché, sotto il nome di capi-gruppo, li
ritroviamo in tutti i paesi. Essi sono i veri sovrani delle assemblee. Gli uomini che
costituiscono una folla non saprebbero fare a meno di un padrone; e ciò perché i voti di
un'assemblea generalmente non rappresentano che le opinioni di una piccola minoranza.
I capi, lo ripetiamo, agiscono troppo poco in virtù dei loro ragionamenti e molto per il loro
prestigio. Se una circostanza qualunque li priva di questo prestigio, essi non hanno più
influenza. Questo prestigio dei capi é individuale e non proviene né dal nome né dalla
celebrità. Giulio Simon, parlando dei grandi uomini dell'assemblea del 1848, di cui egli fece
parte, ne dà un assai curioso esempio:
« Due mesi prima d'essere potentissimo, Luigi Napoleone non era nulla.
« Victor Hugo salì alla tribuna. Non vi fu successo. Fu ascoltato come si ascoltava Felice Pyat;
non lo si applaudì altrettanto".
« Non amo le sue idee, mi disse Vaulabelle parlando di Felice Pyat; ma é uno dei più grandi
scrittori e il più grande oratore della Francia ».
Edgardo Quinet, questo raro e possente spirito, non era calcolato nulla. Aveva avuto il suo
momento di popolarità prima dell'apertura dell'Assemblea; nell'Assemblea non ebbe alcuna
popolarità.
« Le assemblee politiche sono il luogo della terra dove il genio si fa meno sentire. In esse non
si tiene conto che di un'eloquenza appropriata al tempo e al luogo, e dei servizi resi non alla
patria, ma ai partiti. Perché si rendesse omaggio a Lamartine nel 1848 e a Thiers nel 1871, fu
necessario lo stimolo della necessità urgente, inesonerabile. Passato il pericolo, tramontò con
la paura anche la riconoscenza ».
Ho riprodotto questo passo per i fatti che esso contiene, ma non per le spiegazioni che pone
sott'occhio. Esse sono di una psicologia mediocre. Una folla perderebbe senz'altro il suo
carattere se essa tenesse conto, rispetto ai suoi capi, dei servizi resi, sia alla patria, sia al
partito. La folla subisce il prestigio del capo e non fa intervenire nella sua condotta alcun
sentimento di interesse o di riconoscenza. Il capo dotato di un prestigio sufficiente possiede
un potere quasi assoluto. Si conosce l'influenza immensa che un celebre deputato esercitò per
lunghi anni, grazie al suo prestigio, perduto poi momentaneamente in seguito a certi
avvenimenti finanziari. Ad un semplice suo segno, i ministeri venivano rovesciati. Uno
scrittore ha precisato benissimo nelle seguenti righe la portata della sua azione.
« Noi dobbiamo principalmente a C... d'aver comperato il Tonchino a un prezzo tre volte più
caro di quello che avrebbe dovuto costare, di non aver preso nel Madagascar che un piede
incerto, di esserci lasciati portar via tutto un impero nel basso Niger, di aver perso la
preponderanza in Egitto. Le teorie di C... ci sono costate più territori dei disastri di Napoleone
Bonaparte».
Non bisognerebbe incolpare troppo il capo in questione. Ci é costato molto caro, é vero; ma
una gran parte della sua influenza dipendeva dal fatto che egli seguiva l'opinione pubblica,
che in materia coloniale, allora non era quella che é diventata oggi. Un condottiero ben
raramente precede l'opinione pubblica, e di solito si limita ad adottarne gli errori.
I mezzi di persuasione dei capi, dopo il prestigio, sono i fattori che abbiamo enumerato
parecchie volte. Par servirsene in modo proficuo, il capo deve aver penetrato, almeno
incoscientemente, la psicologia delle folla, e sapere coma parlar loro, conoscere soprattutto
l'influenza fascinatrice delle parola, delle formule e della immagini. Bisogna cha possieda una
speciale eloquenza, composta di affermazioni energiche e di immaginazioni impressionanti
inquadrate da ragionamenti molto sommari. Questo genere di eloquenza si ritrova in tutta le
assemblee, compreso il parlamento inglese, che tuttavia é il più ponderato di tutti.
« Possiamo leggere sempre - dice il filosofo inglese Maine - dai dibattiti alla Camera dai
Comuni in cui la discussione consista in uno scambio di generalità assai deboli e di ingiuria
assai violente. Questo genere di formule generali esercita un effetto prodigioso
sull'immaginazione di una democrazia pura. Sarà sempre facile far accettare a una folla delle
idee generali presentate con parole impressionanti, anche se queste idee non siano mai state
verificate e forse non sia possibile verificarle. »
L'importanza dalla parole « impressionanti », indicata nel passo precedente, non sarà mai
troppo esagerata. Abbiamo già insistito più volte sul potere speciale dalla parola e dalle
formule scelte in modo da evocare immagini molto vive. La frase seguente, presa da un
discorso di un capo di assemblee, ne é un eccellente esempio. « Il giorno in cui la stessa nave
porterà verso le terre malsana dalla relegazione il politicante sospetto e l'anarchico assassino,
essi potranno intavolare conversazioni, e a vicenda si vedranno come i due aspetti
complementari di uno stesso ordine sociale ». L'immagine così evocata é netta,
impressionante, e tutti gli avversari dell'oratore si sentiranno da essa minacciati. Essi
vedranno nello stesso momento il paese delle febbri, il bastimento che potrà deportarli,
poiché non fanno essi parte della categoria assai mal limitata dei politicanti minacciati. Essi
provano allora il sordo timore che dovevano provare i convenzionisti - più o meno minacciati
dalla mannaia della ghigliottina - nell'ascoltare i vaghi discorsi di Robespierre; e per questa
paura essi cedevano di fronte a lui. I capi hanno interesse di profondersi nelle più inverosimili
esagerazioni. L'oratore di cui io ho citato ora una frase, ha potuto affermare, senza sollevare
grandi proteste, che i banchieri e i preti assoldano i lanciatori di bombe, e che gli
amministratori delle grandi compagnie finanziarie meritano le stesse pene degli anarchici.
Sulle folle, simili mezzi agiscono sempre. L'affermazione non é mai troppo clamorosa, né la
declamazione mai troppo minacciosa. Non c'é niente che meglio possa intimidire gli uditori.
Protestando, essi temono di passare per vili o complici. Questa particolare eloquenza ha
regnato su tutte le assemblee, e nei periodi critici non faceva che accentuarsi. La lettura dei
discorsi dei grandi oratori della Rivoluzione é molto interessante sotto questo punto di vista.
Essi si credevano in dovere di interrompersi ad ogni istante per stigmatizzare il delitto ed
esaltare la virtù; poi esplodevano in imprecazioni contro i tiranni, e Giuravano di vivere liberi
o di morire.
Il pubblico si alzava, applaudiva con furore, poi, calmato, si sedeva di nuovo.
Il capo può essere a volte intelligente e istruito; ma ciò, di solito, più che essergli utile, gli
nuoce. Dimostrando le complessità delle cose, e permettendo di spiegare e di comprendere,
l'intelligenza rende indulgenti, e smussa moltissimo l'intensità e la violenza delle convinzioni
necessarie ai seguaci. I grandi capi di tutte le epoche, principalmente quelli della Repubblica,
sono stati molto gretti e, tuttavia, esercitarono una grande azione. I discorsi del più celebre di
essi, Robespierre, stupivano spesso per la loro incoerenza. Leggendoli, non vi troviamo
nessuna spiegazione plausibile dell'immensa parte sostenuta dal potente dittatore.
Luoghi comuni e ridondanze dell'eloquenza pedagogica e della cultura latina al servizio di
un'anima più puerile che piatta, che par limitarsi nell'attacco e nella difesa, al « Vieni dunque
! » degli scolari. Non un'idea, non un lampo di abilità : é la noia nella tempesta. Quando si
esce dalla grave lettura si ha voglia di metter fuori l'auf ! dell'amabile Camillo Desmoulins ».
E' spaventoso pensare al potere che una convinzione forte, unita a un'estrema angustia
mentale, conferisce a un uomo circondato da un certo prestigio. Tuttavia queste condizioni
sono necessarie, per ignorare gli ostacoli e saper volere. Le folle riconoscono per istinto, fra
questi condottieri energici, il padrone che abbisogna loro. In un'assemblea parlamentare, il
successo di un discorso dipende quasi unicamente dal prestigio dell'oratore, e non dalle
ragioni che egli espone.
L'oratore sconosciuto che fa un discorso pieno di buoni ragionamenti, ma soltanto di
ragionamenti, non ha nessuna probabilità d'essere ascoltato. Un vecchio deputato, Descubes,
ha descritto nelle righe seguenti l'immagine del legislatore senza prestigio. « Quand'egli ha
preso posto nella tribuna, cava dal portafoglio un incartamento che spiega metodicamente
davanti a sé, ed esordisce con sicurezza. Si lusinga di far entrare nell'anima degli ascoltatori la
convinzione che lo anima. Ha pesato e ripesato i suoi argomenti, ed é sovraccarico di cifre e di
prove; é sicuro di aver ragione. Ogni resistenza, dinanzi all'evidenza dei suoi argomenti, sarà
vana. Egli comincia, fiducioso nel suo buon diritto e nell'intenzione dei suoi colleghi, che,
certamente, non domandano che di inchinarsi dinanzi alla verità. Egli parla, e, subito, é
sorpreso dal movimento prodotto nella sala, e resta interdetto dal mormorio crescente. Come
mai non si fa silenzio ? Perché questa generale disattenzione ? A che pensano quelli là che
parlano tra loro ? Quale motivo così urgente fa lasciare il proprio posto a quegli altri ? Una
nube passa sulla sua fronte. Aggrotta le sopracciglia, si ferma. Incoraggiato dal presidente,
riprende alzando la voce. Viene ascoltato sempre meno. Alza ancora il tono, si agita: il rumore
raddoppia intorno a lui. Neppur lui sente la propria voce, si ferma ancora; poi, temendo che il
suo silenzio provochi il grido importuno di: « Chiusura !» riprende di tutta lena. Il baccano
diventa insopportabile ».
Le assemblee parlamentari, salite a un certo grado di eccitazione, diventano identiche alle
folle eterogenee comuni, e di conseguenza i loro sentimenti presentano la caratteristica
d'essere sempre estremi. Compieranno atti di eroismo o andranno ai peggiori eccessi.
L'individuo cessa di essere sé stesso, e voterà le misure più contrarie ai suoi interessi
personali. La storia della Rivoluzione dimostra fino a che punto le assemblee possano
diventare incoscienti e subire le suggestioni svantaggiose per i loro interessi. Per la nobiltà era
un sacrificio enorme rinunciare ai propri privilegi, pur tuttavia, in una notte celebre per la
Costituente, la nobiltà fece la rinuncia senza esitare. Per i convenzionisti era una continua
minaccia di morte il rinunciare alla propria inviolabilità, e tuttavia lo fecero e non temettero
di decimarsi reciprocamente, pur sapendo che domani era loro riservato il patibolo, sul quale
vedevano ora salire dei colleghi.
Ma arrivati a questo grado d'automatismo che ho descritto, nessuna considerazione poteva
impedir loro di credere alle suggestioni che li ipnotizzavano. Il passo seguente, tolto dalle
memorie di uno di loro, Billaud-Varennes, é tipico a questo riguardo : « Le decisioni, che
tanto ci si rimproverano, noi non le volevamo nè due giorni, né un giorno prima: soltanto la
crisi le creava. » Non c'é nulla di più giusto. Gli stessi fenomeni di incoscienza si
manifestarono durante tutte le sedute tumultuose della Convenzione.
« Essi approvano e decretano - dice Taine - ciò di cui hanno orrore, non soltanto le
sciocchezze e le pazzie, ma i delitti, gli assassinii degli innocenti, la morte dei loro amici. La
sinistra, unita alla destra, all'unanimità e con vivi applausi, manda al patibolo Danton, il suo
capo, il grande promotore e condottiero della Rivoluzione. All'unanimità, e con gridi di
ammirazione e di entusiasmo, con testimonianze di simpatia appassionata per Collot
d'Hérbois, per Couthon e per Robespierre, la Convenzione con rielezioni spontanee e
numerose, sostiene il governo omicida che il Piano detesta perché é omicida, e che la
Montagna detesta perché la distrugge. Piano e Montagna, la maggioranza e la minoranza,
finiscono con l'approvare il proprio suicidio. Il 22 pratile, tutta la Convenzione ha offerto il
petto; l'8 termidoro, durante il primo quarto d'ora che ha seguito il discorso di Robespierre,
l'ha offerto ancora ».
Il quadro può sembrare cupo. Tuttavia é esatto. Le assemblee parlamentari sufficientemente
eccitate e ipnotizzate presentano gli stessi caratteri. Esse diventano un gregge mutevole, che
obbedisce a tutti gli impulsi. E assai tipica la descrizione seguente dell'assemblea del 1848,
dovuta a un parlamentare di cui non si sospetterà la fede democratica, lo Spuller, e che
riproduco dalla Rivista letteraria. Vi ritroviamo tutti i sentimenti esagerati, che ho descritto,
delle folle, e quella eccessiva mobilità che permette di passare da un istante all'altro per la
gamma dei sentimenti più contrari.
« Le divisioni, le gelosie, le supposizioni, e di volta in volta la cieca fiducia e le speranze
illimitate hanno condotto il partito repubblicano alla perdizione. La sua semplicità e il suo
candore non avevano di uguale che la sua universale diffidenza. Nessun senso della legalità,
nessuna comprensione della disciplina : terrori e illusioni senza limiti : il contadino e il
fanciullo sono in lui. La calma rivaleggia con l'impazienza. La rozzezza si uguaglia alla
docilità. È questa la peculiarità di un temperamento per niente affatto maturo e di una
educazione assente. Niente stupisce e niente sconcerta. Tremanti, paurosi, intrepidi, eroici, si
getteranno attraverso le fiamme e retrocederanno dinanzi a un'ombra. « Non conoscono
affatto gli effetti e le relazioni delle cose. Altrettanto pronti agli scoraggiamenti quanto alle
esaltazioni, soggetti ad ogni panico, sempre troppo esaltati o troppo avviliti, mai al giusto
grado e nella misura che converrebbe. Più fluidi dell'acqua, riflettono tutti i colori e prendono
tutte le forme. Quale base di governo possono sperare di stabilire? »
Per buona fortuna, tutti i caratteri che abbiamo ora descritti, relativi alle assemblee
parlamentari, non si manifestano costantemente. Esse non costituiscono folla che in certi
momenti. Gli individui che le compongono riescono a conservare la loro individualità in un
gran numero di casi, e ciò perché un'assemblea può elaborare leggi tecniche eccellenti. Queste
leggi sono, é vero, preparate da uno specialista nel silenzio dello studio; e la legge votata é in
realtà opera di un individuo, e non più di un'assemblea. Queste leggi sono, naturalmente, fra
le migliori. Esse non diventano disastrose se non quando una serie di emendamenti inadatti
le rendano collettive. L'opera di una folla é ovunque e sempre inferiore a quella di un
individuo isolato. Soltanto gli specialisti salvano le assemblee dalle misure troppo disordinate
e troppo poco pratiche. Essi diventano allora dei capi momentanei. L'assemblea non agisce su
di essi, ed essi agiscono sull'assemblea. Nonostante tutte le difficoltà del loro funzionamento,
le assemblee parlamentari rappresentano il miglior metodo che i popoli abbiano escogitato
per governarsi, e soprattutto per sottrarsi il più possibile al giogo delle tirannie personali.
Esse sono certamente l'ideale di un governo, almeno per i filosofi, i pensatori, gli scrittori, gli
artisti e gli scienziati, in una parola per tutto ciò che costituisce il sommo di una civiltà.
Del resto, esse non comportano che due seri pericoli: lo spreco forzato delle finanze e una
progressiva restrizione delle libertà individuali.
Il primo di questi pericoli é la necessaria conseguenza delle esigenze e della imprevidenza
delle folle elettorali. Se un membro di un'assemblea propone qualche misura che dia
apparente soddisfazione a delle idee democratiche - assicurare, ad esempio, delle pensioni a
tutti gli operai, aumentare lo stipendio dei cantonieri, dei maestri, ecc. - gli altri deputati,
suggestionati dal timore degli elettori, non oseranno aver l'aria di disdegnare gli interessi di
questi ultimi, respingendo la misura proposta. Essi sanno tuttavia che essa graverà sul
bilancio e che necessiterà la creazione di nuove imposte. Ogni esitazione nel loro voto, é
impossibile. Allorché le conseguenze dell'aumento delle spese sono ancora lontane e senza
risultati molto preoccupanti per loro, le conseguenze di un voto negativo potrebbero, invece,
apparire chiaramente il giorno vicino in cui bisognerà ripresentarsi dinanzi agli elettori. A
questa prima causa di esagerazione delle spese, se ne aggiunge un'altra, non meno
imperativa: l'obbligo di accogliere tutte le spese di interesse puramente locale. Un deputato
non saprebbe opporvisi, perché esse rappresentano ancora delle esigenze degli elettori, e ogni
deputato non può ottenere quello di cui ha bisogno per la sua circoscrizione, se non a
condizione di cedere alle domande analoghe dei suoi colleghi (*).
(*) Nel numero del 6 aprile 1895 l'Economiste faceva una curiosa rassegna di quello che
vengono a costare in un anno queste spese d'interesse puramente elettorale, specialmente
quelle delle ferrovie. Per collegare Langayes (città di 3.000 abitanti) situata su una
montagna, a Puy, vota una ferrovia che costerà 15 milioni. Per collegare Beaumont (3.500
abitanti) a Castel-Sarazin, vota 7 milioni. Per collegare il paese di Ous (523 abitanti) con
Seix (1.200 abitanti), 7 milioni. Per collegare Prades alla borgata di Olette (747 abitanti), 6
milioni, ecc. Soltanto nel 1895, sono stati votati 90 milioni per ferrovie che non hanno
nessun interesse generale. Altre spese di carattere elettorale, non sono meno importanti.
La legge sulle pensioni operaie costerà un minimo di 165 milioni all'anno, secondo il ministro
delle finanze, e di 800 milioni secondo l'accademico Leroy-Beaulieu. L'aumento continuo di
tali spese ha per conseguenza il fallimento. Molti paesi in Europa: il Portogallo, la Grecia, la
Spagna, la Turchia vi sono arrivati; altri stanno per arrivarci; ma bisogna preoccuparsene
seriamente, poichè il pubblico ha successivamente accettato senza proteste la riduzione dei
quattro quinti nel pagamento delle cedole per diversi paesi.
Questi ingegnosi fallimenti permettono allora di rimettere istantaneamente in equilibrio il
bilancio dello stato. Le guerre, il socialismo, le lotte economiche ci preparano ben altre
catastrofi, e nell'epoca della disgregazione universale in cui siamo, bisogna rassegnarsi a
vivere giorno per giorno, senza troppa preoccuparsi del futuro che ci sfugge.
Il secondo dei pericoli menzionati più sopra, la forzata restrizione delle libertà per mezzo
delle assemblee parlamentari, é meno evidente in apparenza, ma molto reale. E il risultato di
innumerevoli leggi; sempre restrittive, di cui i parlamenti - col loro spirito semplicista -
vedono male le conseguenze, e si credono obbligati a votare.
Questo pericolo deve essere pur inevitabile, poiché nell'Inghilterra stessa, dove esiste il tipo
più perfetto di regime parlamentare, il rappresentante che è il più indipendente dei suoi
elettori, non é riuscito a sottrarvisi. Herbert Spencer, in un vecchio lavoro, aveva dimostrato.
che l'aumento della libertà apparente doveva essere seguito dalla diminuzione della libertà
reale. Riprendendo la stessa tesi nel suo libro L'Individuo contro lo Stato, egli dice così
riferendosi al parlamento inglese:
« Da quest'epoca, la legislazione ha seguito il corso che io indicavo. Le misure dittatoriali,
moltiplicandosi rapidamente, hanno sempre teso a restringere le libertà individuali, e ciò in
due modi : sono stati stabiliti dei regolamenti, e sempre in numero maggiore, che impongono
al cittadino una restrizione dove i suoi atti erano prima completamente liberi, e lo obbligano a
compiere atti che prima poteva compiere o no, secondo la sua volontà. Nello stesso tempo, le
cariche pubbliche, specialmente locali, sempre più gravose, hanno limitato ancor più la sua
libertà diminuendo la parte di profitto ch'egli può impiegare a modo suo, e aumentando la
parte che gli é tolta per essere impiegata secondo la volontà degli agenti pubblici. »
Questa riduzione progressiva della libertà si manifesta in tutti i paesi sotto una forma
speciale, che Herbert Spencer non ha indicata : la creazione di numerose misure legislative,
quasi tutte d'ordine restrittivo, che necessariamente aumentano il numero, il potere, e
l'influenza dei funzionari incaricati di applicarle. Questi tendono a diventare i veri padroni dei
paesi civili. Il loro potere é tanto grande che, negli incessanti cambiamenti di governo, la
classe amministrativa sfugge a questi mutamenti, ed é la sola irresponsabile, impersonale e
perpetua. Ora, di tutti i dispotismi, i più gravosi sono quelli che si presentano sotto questa
triplice forma. La continua creazione di leggi e regolamenti restrittivi, circondando i più
semplici atti della vita con le formalità più bizantine, ha per fatale risultato di restringere
progressivamente la sfera nella quale i cittadini possono muoversi liberamente. I popoli,
vittime di questa illusione, che moltiplicando le leggi, l'eguaglianza e la libertà si trovino più
sicure, accettano ogni giorno i legami più gravosi. E non li accettano impunemente. Abituati a
sopportare tutti i gioghi, essi finiscono col cercarli, e perdere ogni spontaneità ed energia.
Non sono più che ombre vane, automi passivi, senza volontà, senza resistenza e senza forza.
Ma i moventi che l'uomo non trova più in se stesso, é costretto a cercarli altrove. Con
l'indifferenza e l'impotenza crescenti dei cittadini, il compito dei governi é obbligato ad
estendersi ancor più. Questi ultimi devono avere necessariamente spirito di iniziativa, di
intraprendenza e di condotta che i singoli individui hanno perduto. Occorre loro tutto
intraprendere, tutto dirigere, tutto proteggere. Lo Stato diventa allora un dio onnipossente.
Ma l'esperienza insegna che il potere di tali divinità non fu mai assai durevole, né assai forte.
La restrizione progressiva di tutte le libertà presso certi popoli, nonostante una licenza che dà
loro l'illusione di possederle, sembra risultare dalla loro vecchiezza, così come dal loro stesso
regime. Essa costituisce uno dei sintomi precursori di quella fase di decadenza alla quale
nessuna civiltà ha, sin qui, potuto sfuggire. Se si giudica dagli insegnamenti del passato e da
sintomi che da ogni parte si rivelano, parecchie delle nostre moderne civiltà sono giunte al
periodo di estrema vecchiaia che precede la decadenza. Certe evoluzioni sembrano fatali per
tutti i popoli, poiché si vede la storia ripeterne così di frequente il corso.
E facile notare sommariamente le fasi di queste evoluzioni. La nostra opera terminerà,
appunto, riassumendole.

Conclusione dell'opera

Se prendiamo di mira, nelle loro grandi linee, la genesi della grandezza e della decadenza
delle civiltà che hanno preceduto la nostra, che cosa scorgiamo?
All'aurora delle civiltà, un insieme di uomini, di origine diverse, riuniti dal caso delle
migrazioni, delle invasioni e delle conquiste. Di sangue, di lingua e di credenze diverse, questi
uomini non hanno che un legame comune: la legge, riconosciuta a mezzo di un capo. Nelle
loro agglomerazioni confuse si ritrovano, al massimo grado, i caratteri psicologici delle folle.
Esse ne hanno la coesione momentanea, gli eroismi, le debolezze, gl'impulsi e le violenze.
Nulla di stabile é in esse. Si tratta, insomma, di barbari. Poi il tempo compie la sua opera.
L'identità di ambiente, il ripetersi degli incroci, le necessità di una vita comune operano
lentamente. L'agglomeramento di unità dissimili comincia a fondersi e a formare una razza,
vale a dire un aggregato che possiede caratteri e sentimenti comuni, progressivamente
consolidati dall'eredità. La folla é diventata un popolo, e questo popolo potrà uscire dalla
barbarie. Tuttavia esso non potrà uscirne completamente se non dopo lunghi conati, lotte
ripetute senza tregua e innumerevoli ritorni, se non quando avrà conquistato un ideale. Sia
questo il culto di Roma, la potenza di Atene, o il trionfo di Allah, esso basterà a dotare tutti gli
individui della razza in via di formazione di una perfetta unità di sentimenti e di pensieri.
Allora può nascere una civiltà nuova con le sue istituzioni, le sue credenze e le sue arti.
Trascinata dal suo sogno, la razza acquisirà successivamente tutto ciò che dà il fulgore, la
forza e la grandezza. Senza dubbio, in certe ore, essa sarà ancora folla, ma dietro i caratteri
mutevoli e vari delle folle, si troverà quel substrato solido, l'anima della razza, che limita
rigorosamente le oscillazioni di un popolo e limita il caso. Ma, dopo aver esercitato la sua
azione creatrice, il tempo comincia quell'opera di distruzione alla quale non sfuggono né le
divinità, né gli uomini. Pervenuta a un certo livello di potenza e di complessità, la civiltà cessa
di ingrandire, e non appena non ingrandisce più, essa é condannata a declinare rapidamente.
L'ora della vecchiaia ben presto suonerà. Quest'ora inevitabile é sempre segnata
dall'attenuarsi dell'ideale che sosteneva l'anima della razza. Via via che questo ideale
impallidisce, tutti gli edifici religiosi, politici e sociali, di cui esso era l'ispiratore, cominciano a
rovinare.
Col progressivo svanire di questo ideale, la razza perde ogni ora ciò che costituiva la sua
coesione, la sua unità e la sua forza. L'individuo può crescere in personalità e in intelligenza,
ma nello stesso tempo anche l'egoismo collettivo della razza è sostituito da un eccessivo
sviluppo dell'egoismo individuale accompagnato dalla scomparsa del carattere e dallo
assottigliarsi delle attitudini all'azione. Ciò che formava un popolo, un'unità, un blocco,
finisce per diventare un agglomeramento di individui senza coesione e che mantengono
artificialmente ancora per qualche tempo le tradizioni e le istituzioni. Allora, divisi dai loro
interessi e dalle loro aspirazioni, non sapendo più governarsi, gli uomini chiedono di essere
diretti nei loro più piccoli atti, e lo Stato esercita la sua influenza assorbitrice. Con la perdita
definitiva dell'antico ideale, la razza finisce per perdere anche la sua anima. Essa non é più
che un residuo di individui isolati e ridiventa quel che essa era al suo punto di partenza: una
folla, la quale presenta tutti i caratteri transitori, senza consistenza e senza avvenire. La civiltà
non ha più alcuna stabilità e cade alla mercé di tutti i casi. La plebe é regina e i barbari
avanzano. La civiltà può sembrare ancor viva perché conserva la sua fisionomia esteriore
creata da un lungo passato; ma in realtà é un edificio tarlato, che nessuna cosa può ormai
sostenere e che sarà sommerso dal primo uragano. Passare dalla barbarie alla civiltà
seguendo un ideale, poi declinare e morire non appena questo ideale ha perduto la sua forza,
tale é il ciclo della vita di un popolo.

 Parte Prima:
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/09/psicologia-delle-folle-1895-prima-parte.html
 Parte seconda:
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/10/psicologia-delle-folle-1895-seconda.html#more


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