venerdì 9 ottobre 2015

Resistenza, lotta di classe e religiosità popolare a Cuba - Alessandra Ciattini

   La nuova Costituzione del 1976 definiva la Repubblica di Cuba uno stato socialista di operai, contadini e lavoratori, alleati tra loro e guidati dalla classe operaia diretta dal Partito comunista cubano. Essa stabiliva l’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di razza, sesso, origine nazionale. Sanciva la libertà di espressione, la libertà religiosa, connessa a quella di praticare il culto prescelto, e la libertà di non credere (AA.VV., 1994:294-295). 
   Ma la Costituzione del 1976, approvata con un referendum popolare da circa il 98% dei votanti, considerava anche la concezione scientifica materialistica come ideologia ufficiale dello Stato cubano. Sulla stessa linea si collocano le Tesis sobre Religión, la Iglesia y los Creyentes discusse in precedenza dal primo Congresso del Partito comunista cubano, tenutosi nel 1975, nelle quali si ribadisce il diritto a praticare qualsiasi forma di culto, purché ciò avvenga nel rispetto della legge e della morale socialiste. In tali tesi si indica come obiettivo da raggiungere l’affermazione della conoscenza scientifica libera da pregiudizi e superstizioni, e si esclude che i credenti possano far parte del partito. Questa decisione scaturì sicuramente dalla volontà di rispondere all’aggressività mostrata soprattutto dalla gerarchia cattolica nei confronti della Rivoluzione, la quale con l’abolizione delle scuole private, approvata negli anni ’60, perdeva un potente                                                                                                strumento di influenza e di penetrazione culturale. 
   Nonostante tali posizioni considerate da molti antireligiose, lo Stato rivoluzionario rivalutò i contenuti estetici, artistici, i valori folclorici legati alla religiosità popolare, tentando di mettere in secondo piano i suoi aspetti religiosi e mistici. Tale atteggiamento e l’effettiva preminenza dei membri del partito comunista nella vita sociale avrebbe spinto quella parte della popolazione, che in qualche modo seguiva una fede religiosa, a nascondere tale fede. Tuttavia, nonostante l’adesione all’oggettivismo positivistico e all’ateismo scientifico, lo Stato cubano perseguì sicuramente la rivalutazione delle tradizioni popolari cubane, come mostrano, ad esempio, l’istituzione del Conjunto Folklórico Nacional (lo straordinario corpo di ballo tutt’ora esistente) e lo spazio dato ad opere teatrali, in cui si rappresentavano idee e valori legati al retaggio africano. Come osserva Lázara Menéndez (2004: II parte) tale rivalutazione fece sì che tali forme culturali e al contempo religiose continuassero ad operare come un fattore di identificazione, come era avvenuto già nelle epoche passate. Ma poiché, ciò avveniva accantonando i contenuti religiosi pur caratterizzanti larga parte della popolazione cubana, si produsse il fenomeno, di cui è difficile valutare l’estensione, che i cubani chiamano della “doble moral”: essere credenti senza dichiararlo apertamente. Sicuramente tali osservazioni, sviluppate per esempio da Lázara Menéndez (2004), sono fondate, ma pongono grossi problemi a chi voglia auspicare e sostenere una radicale trasformazione sociale, i quali non possono essere risolti difendendo a tutti i costi le le antiche tradizioni pur cariche di esperienze esistenziali. Infatti, cambiando il contesto storico-sociale, inevitabilmente queste ultime, anche se con maggiore lentezza e gradualità, si trasformano e si riadattano alla nuove circostanze. 
   Non si capisce pertanto perché un’organizzazione sociale, che si propone di cambiare dalle sue basi la precedente struttura sociale, non debba intervenire per orientare l’innovazione spontanea delle pratiche e delle credenze, favorendo lo sviluppo di convinzioni e valori funzionali alla nuova strutturazione sociale. È questo un processo che si è prodotto in tutte le epoche storiche, sia in quelle rivoluzionarie che in quelle restauratrici. 
   Naturalmente tale intervento non può essere in nessun modo repressivo e del resto a Cuba non lo è mai stato, anche perché come diceva Lenin ai lavoratori interessa mettersi d’accordo sul “paradiso” in terra, lasciando agli altri le dispute sull’aldilà. 

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