La filosofia,
favorendo lo sviluppo di un sapere critico e di una visione del mondo
scientifica, è stata sempre considerata con sospetto dai ceti sociali
dominanti. Inoltre, ponendo la questione della verità come un compito
collettivo, da realizzare attraverso un costante dialogo fra diversi, essa non
può che essere avversata da chi auspica soluzioni autoritarie fondate sul
diritto del più forte, la legge di natura quale legge della giungla. Un modo di
pensare che parte dal sapere di non sapere non può che essere combattuto da
ogni forma di fondamentalismo, di totalitarismo, di fanatismo.
D’altra parte, essendo fondata sull’amore per la verità, la
filosofia non può che, ancora, essere avversata da chi, per mantenere i propri
privilegi, deve mantenerla celata, dal momento che la verità è rivoluzionaria.
Il pensiero filosofico, come riconosceva lo stesso Benedetto Croce, è un sapere
in sé e per sé democratico, in quanto si fonda sulla ragione quale
caratteristica peculiare del genere umano, di cui ogni uomo è almeno
potenzialmente portatore. Quindi non solo essa offre a ognuno la possibilità di
uscire dallo stato di minorità, quale “incapacità di servirsi del proprio
intelletto senza la guida di un altro”, per dirla con Kant, ma è presente in sé
in ogni uomo, in quanto tale potenzialmente filosofo. In tal modo essa è
animata da uno spirito radicalmente egualitario, tanto che i suoi più acerrimi
nemici - quali Nietzsche - imputano al suo fondatore, Socrate, di essere il
primo responsabile della rivolta degli schiavi e accusano il fondatore della
filosofia moderna, Cartesio, di essere il nonno della rivoluzione.
La filosofia moderna ha infatti portato ogni presunta verità
fondata sull’autorità e la tradizione davanti al tribunale della ragione,
conquistandosi così l’odio implacabile di ogni reazionario e conservatore. La
visione immanentista, alla base della rivoluzione scientifica e filosofica
moderna, non solo mette in questione la sacralizzazione del privilegio e del
potere costituito ma porta la filosofia a incontrarsi con la storia. Tale
incontro genera una miscela esplosiva in quanto ponendo la verità come un
prodotto storico, mette in quanto tale in questione ogni rendita di posizione
e, di conseguenza, rende instabile ogni forma di privilegio.
Ponendo come compito storico comune la ricerca della verità,
la filosofia costituisce il migliore antidoto all’egoismo individualista e
mette in discussione ogni forma di legalitarismo. Anzi, il considerare la legge
interiore, ossia la morale, e l’eticità superiori al diritto costituito, apre
la strada all’utopia di una società civile in grado progressivamente di
autogestirsi su basi puramente razionali, senza bisogno dell’apparato giuridico
e repressivo dello Stato. D’altra parte l’intellettuale collettivo che tende a produrre,
favorisce da sempre lo spirito egualitario e la sperimentazione di forme di
comunismo, quantomeno all’interno della comunità filosofica.
Per tutti questi motivi la filosofia è oggi nel mirino del
pensiero unico dominante che in quest’epoca di restaurazione liberista si pone
in maniera sempre più aperta contro la filosofia e la storia. Al punto che,
ormai, il senso comune, prodotto di tale pensiero unico, assume sempre più
sfacciatamente la posizione della servetta Tracia che si faceva beffe del filosofo
e scienziato Talete, che assorto nell’osservazione del cielo sarebbe caduto in
una buca. Senza sapere che tale interesse per il movimento dei corpi celesti
non solo è alla base dell’astronomia ma ha consentito anche la capacità
scientifica di prevedere l’andamento del tempo e delle stagioni, consentendo
così il notevole sviluppo di un sistema economico fondato sull’agricoltura.
Tanto più che, come ricordava Aristotele, il filosofo-scienziato può certo
cadere in un fosso ma è in grado di uscirne prontamente, mentre chi è servo del
senso comune, ossia del pensiero unico dominante, chi per pigrizia e viltà non
vuole uscire dallo “stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso”, non
sa neppure di vivere in un fosso, quello della “tenebra dell’immediato”, per
dirla con Ernst Bloch.
Considerati gli attuali rapporti di forza – in una
situazione storica assimilabile a quell’epoca di decadenza dopo la sconfitta
epocale della democrazia nella guerra del Peloponneso, in cui non a caso il più
sapiente, Socrate, fu condannato a morte da una sedicente democrazia degenerata
in populismo, per aver traviato i giovani portandoli a dubitare degli dèi e
delle leggi costituite – ci si potrebbe domandare come mai la filosofia non è
stata ancora bandita. In realtà la mancata soluzione in senso progressista
della crisi sta condannando zone sempre più ampie del pianeta a precipitare
nuovamente nella barbarie della teocrazia, del fanatismo religioso, della
xenofobia e dello sciovinismo che hanno come prima vittima designata proprio la
filosofia. In situazione meno compromesse, in cui non sono ancora del tutto
schiacciate le forze di alternativa capaci di contrapporre alla crisi sistemica
del modo di produzione capitalista la prospettiva del socialismo, il pensiero
unico dominante cerca di sabotare dall’interno la ricerca filosofica portandola
nel vicolo cieco della sofistica, per ridurla a retorica al servizio di chi può
acquistarsela, quale giustificazione ideologica del proprio privilegio.
Ecco così come l’ideologia dominante, con la complicità
degli intellettuali tradizionali della a-sinistra, hanno minato il fine ultimo
della filosofia, quale amore per la verità, sostenendo la vecchia tesi
sofistica che la verità non esiste, fondamento del mefistofelico disprezzo per
la scienza. Ciò ha consentito a molti ex giovani, nel senso hegeliano di
sedicenti rivoluzionari, di entrare a pieno titolo nella classe dirigente,
abbandonando non solo l’esigenza di trasformare la realtà ma persino quella di
comprenderla, dedicandosi a decostruire la verità. Ad aprire la strada alla
sofistica post-strutturalista è stata la radicale negazione della storia
portata avanti, proprio all’inizio dell’attuale epoca di restaurazione, dallo
strutturalismo. Così la negazione stessa della ragione di essere del
materialismo storico è stata propedeutica al radicale attacco alle conquiste
progressive della modernità, pudicamente celate dalla foglia di fico del
post-modernismo.
Del resto, come i pensatori progressisti sono in grado di
anticipare idealmente le conquiste storiche di un’epoca rivoluzionaria, gli
intellettuali reazionari hanno la capacità di anticipare le epoche di
restaurazione e di de-emancipazione. Non a caso lo sdoganamento della destra
reazionaria, fino a riproporla come classe dirigente del Paese – su un piano
inclinato che non può che rifarci precipitare nella barbarie, nel frattempo
rivalutata dal rovescismo storico – è stata anticipato a livello del pensiero
dagli intellettuali tradizionali. Questi ultimi, fiutando il cambiamento del vento,
ossia il passaggio in coincidenza della crisi da una fase storica di
emancipazione a una di de-emancipazione, hanno prontamente abbandonato il
materialismo storico e più radicalmente lo stesso razionalismo, per riabilitare
i grandi esponenti del pensiero reazionario da Nietzsche a Heidegger e,
persino, Carl Schmitt. Gli attuali “giovani” della a-sinistra, epigoni dei
sedicenti rivoluzionari d’antan, confondendo l’essere radicali con il
radicalizzare il pensiero unico dominante, hanno finto con l’occuparsi degli
epigoni di Nietzsche e Heidegger, ossia prima Derida, Deleuze e ora Foucault.
In tal modo le stesse facoltà di filosofia tendono a
divenire luoghi di formazione della futura classe dirigente, al servizio della
classe dominante, o più modestamente dei suoi sofistici mandarini.
Dall’insegnamento della filosofia come ricerca critica e collettiva della
verità, in funzione della comprensione dell’attuale epoca storica propedeutica
alla sua trasformazione radicale, si è passati all’elaborazione di ideologie
sempre più irrazionali, in quanto votate a giustificare un modo di produzione
sempre meno razionale.
Ciò è andato di pari passo con la progressiva negazione del
diritto allo studio della filosofia per i figli delle classi subalterne, grazie
alla progressiva privatizzazione e alla diminuzione del salario sociale. I
pochi figli dei moderni umiliati e offesi superstiti che sono stati in grado di
superare coraggiosamente le barriere economiche e ideologiche elevate per
impedirgli l’accesso alla facoltà di filosofia, rischiano di trovarsi davanti
un panorama sconfortante. Quest’ultimo è la negazione stessa della filosofia
non solo come funzionale alla trasformazione della realtà, per consentire
un’emancipazione dei subalterni, ma della sua stessa natura di amore per la
verità.
Nei piani di studi sempre meno liberali, vi sono corsi
esplicitamente volti a sviluppare l’attuale distruzione della ragione –
fondamento dell’uguaglianza fra gli uomini – e altri volti a trasmutare i
grandi classici del pensiero filosofico, in quanto tali progressisti e
potenzialmente sovversivi, in morti e inerti classici o, addirittura, in
ispiratori dell’attuale sofistica. Tale sistematica mistificazione del
potenziale rivoluzionario del sapere filosofico è un aspetto sovrastrutturale
del feticismo, della reificazione e dell’alienazione dominanti a livello della
struttura socio-economica.
Infine la filosofia e la scienza debbono essere sempre più
rese estranee al contesto storico, sociale e politico, devono essere
anestetizzate per divenire docili strumenti manipolabili al servizio del
privilegio e del potere costituito. Quel che si vuole perpetuare, in tal modo,
è la netta separazione fra lavoro intellettuale e lavoro manuale, base della
strutturazione della società in classi sociali in perenne lotta fra loro. Le
sovrastrutture rese estranee alla struttura storica economica e sociale,
divengono così mera ideologia, mera retorica, mera sofistica. In tal modo più
che intellettuali organici si tendono a formare intellettuali tradizionali che,
come sottolineava Gramsci – proprio per questo sempre più bandito nelle facoltà
di filosofia –, esercitano la loro egemonia sulle classi subalterne, ridotte a
mera forza lavoro manuale, grazie a una retorica altisonante, tanto complicata
proprio perché in realtà priva di significato.
L’obiettivo che si intende così raggiungere è di far perdere
l’entusiasmo per il sapere e la verità ai figli dei subalterni, per farli
pentire della propria coraggiosa scelta controcorrente, a meno che non siano
disponibili a essere cooptati fra i futuri mandarini e sofisti al servizio
della classe dominante, come avveniva per i giovani seminaristi provenienti
dalle classi popolari.
In tal modo i potenziali intellettuali organici alle classi
subalterne sono integrati al servizio delle classi dominanti o rischiano di
vedere frustrate le proprie ambizioni e il proprio interesse per l’acquisizione
di un sapere critico e potenzialmente rivoluzionario. Così, non essendo in
grado di produrre nel proprio seno intellettuali organici, capaci di sviluppare
la coscienza di classe indispensabile all’emancipazione sociale, i subalterni
sono costretti a continuare a ricorrere agli strutturalmente infidi
intellettuali tradizionali.
A tali insidie che attendono gli intrepidi figli delle
classi subordinate che accedono alle odierne facoltà di filosofia non possiamo
che ricordare il monito di Gramsci: “Studiate, perché avremo bisogno di tutta
la vostra intelligenza”.
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