giovedì 29 ottobre 2015

La nostra forma di vita - Italo Testa

 La teoria del riconoscimento è  una particolare ricostruzione e variazione moderna della tesi dell'uomo come animale naturalmente sociale (Aristotele, Hegel, Marx). Il riconoscimento reciproco è qui inteso come il meccanismo attraverso il quale si costituisce la natura sociale dell'uomo sia come individuo sia come specie.

La teoria del riconoscimento è un bipode, che poggia da un lato su una ricostruzione fenomenologica e da un lato su una descrizione funzionale, in sospeso tra fenomenologia e biologia della forma di vita dell'essere umano. Riconoscere, già al mero livello biologico, non è solo identificare, ma anche attribuire un valore (ad esempio, attribuire ad un oggetto il valore di essere appetibile o meno...). Nessuno dei due lati del bipode sta al di fuori di un senso della naturalità (da un lato stanno le funzioni attraverso cui si riproduce la nostra natura biologica; dall'altro il modo in cui appare a noi stessi la nostra natura umana).

Il riconoscimento è in qualche modo legato alla nostra prima natura (si noti che la nozione di prima natura può essere diversamente caratterizzata: natura originaria, natura con cui siamo creati, natura con cui veniamo al mondo, natura innata, natura fisico-biologica. Per essa si intende in ogni caso qualcosa di dato e non acquisito). Secondo una caratterizzazione fisico-biologica del riconoscimento naturale, la prima natura riconoscitiva andrà allora intesa come quell'insieme di funzioni che supponiamo essere  la base biologica dei meccanismi di riconoscimento che coordinano l'interazione tra gli animali umani.

La tesi per cui la struttura della personhood (dell'essere persona) è costituita riconoscitivamente - la tesi, propria del modello hegeliano della teoria del riconoscimento, per cui l'autocoscienza personale teorica e pratica si costituirebbero tramite il meccanismo del riconoscimento reciproco - significa non solo che la personhood presuppone concettualmente il riconoscimento, ma anche che i meccanismi riconoscitivi sono all'opera prima e indipendentemente della costituzione della personhood.

La dimensione subpersonale del riconoscimento naturale può essere descritta anche da altre prospettive e non dipende unicamente da una caratterizzazione biologico-funzionale della prima natura. (Una di tal prospettive, come vedremo, è la teoria dell'abitudine: un'altra è la teoria del background;  un'altra ancora è la teoria dell'io fungente e anonimo; un'altra ancora è la teoria del riconoscimento come potere anonimo e diffuso). 

   Abitudine

Il riconoscimento è descritto solitamente come un processo di costituzione del soggetto, attraverso il quale prendono forma delle capacità personali (autocoscienza teoretica, pratica...) che diventano delle proprietà più o meno stabili dell'essere umano. In tal senso la teoria costitutiva del riconoscimento sembra richiedere un meccanismo attraverso il quale,a partire da un set di funzioni di cui siamo dotati, vengono ad essere acquisite iterativamente e ricorsivamente delle disposizioni all'interazione cui noi poi attribuiamo il valore di capacità fondamentali dell'esser persona.

Il processo di abitazione - di formazione di abiti di comportamento - è appunto il meccanismo attraverso cui, tramite ripetizione ed esercizio, si formano delle disposizioni di comportamento.

Il modello dell'abitudine è peraltro compatibile con il paradigma interazionista della teoria del riconoscimento, nella misura in cui la ripetizione e l'esercizio richiesti per l'attivazione delle nostre funzioni, e per l'acquisizione a partire da esse di disposizioni stabili di comportamento, sono a loro volta mediati dall'interazione con altri organismi viventi e dall'imitazione dei loro comportamenti.

Laddove il processo di acquisizione riesce, esso dà luogo a disposizioni relativamente stabili, proprio nella misura in cui esse si incorporano nel vivente, si incidono nella sua prima natura,ibridandosi con essa. Le disposizioni riconoscitive devono esser dunque pensate sul modello di questa forma di embodiment (un processo d'iscrizione sul corpo tramite esercizio e ripetizione di abiti di comportamento: un meccanismo attraverso cui il corpo viene plasmato all'interazione): una forma di riconoscimento incorporato.

L'incorporazione non potrà allora essere concepita come mera sostituzione della prima natura con la seconda - una sorta di magia per cui la nostra prima natura organica sparirebbe a favore di quella culturale - proprio perché la seconda, per funzionare, ha bisogno che continui a sussistere una prima natura. Nondimeno è lecito pensare che vi sia un'ibridazione reciproca, vale a dire che ciascuno dei due poli abbia effetto sull'altro.

La teoria del riconoscimento come abitudine è implicitamente o esplicitamente materialista.

Per Hegel la nozione di abitudine (Enz., §§ 409-412) è centrale nel passaggio dalla natura allo spirito proprio perché questo passaggio non consiste in una spiritualizzazione che annichila la nostra prima natura: la centralità dell'abitudine, una volta intesa come dialettica d'idealizzazione e incorporazione, rivela che tutte le attività spirituali, inclusa l'autocoscienza riconoscitiva, quanto al loro contenuto e alla loro forma devono essere concepite quali disposizioni abitudinarie incorporate.

Dewey, in Human Nature and Conduct, è l'autore che meglio ha sviluppato l'idea che la nozione di abitudine sia centrale in tal senso per dar conto, in termini di teoria dell'interazione, della costituzione sociale del sé e delle sue capacità personali. La teoria dell'abitudine è il punto di attacco per formulare un tipo di naturalismo sociale evolutivo non riduzionista.

Secondo la linea argomentativa introdotta da Dewey le strutture intenzionali non dovrebbero essere intese come presupposto del processo di abituazione (il che finirebbe per vanificare la portata concettuale della teoria dell'abitudine), ma piuttosto come esiti, risultati del processo di abituazione, e come tali non dovrebbero avere priorità esplicativa rispetto alla nozione di abitudine.

La nozione di abitudine fornisce il modello di una costituzione senza norme.

Il fatto poi che certi sistemi di disposizioni siano descrivibili come conformi a determinate norme non significa né che essi siano identificabili con sistemi di norme né che essi consistano nell'interiorizzazione di sistemi di norme né che tali comportamenti siano necessariamente causati o motivati da norme.

Con ciò non s'intende escludere che emerga qualcosa come dei comportamenti normativi: solo che la loro portata è più limitata di quanto tenderemmo a credere, e inoltre essi stessi devono essere concepiti come sottoinsieme del comportamento sociale, piuttosto che come suo modello, e dunque come qualcosa il cui funzionamento e mantenimento presuppone ampie zone di comportamento non normativo.

   Potere

Sino ad ora abbiamo guardato al riconoscimento in termini prima di funzioni, e quindi di capacità consolidate tramite l'abituazione. Abbiamo guardato ai poteri riconoscitivi come a capacità d'azione (e propriamente d'interazione) che gli individui acquisiscono a partire dalle funzioni naturali di cui sono dotati, e tramite un training educativo. Come tali, i poteri riconoscitivi sono stati intesi quali capacità che ci abilitano a fare nuove cose, a compiere azioni che altrimenti non compiremmo.

Le considerazioni svolte in precedenza ci permettono di guardare al riconoscimento anche nell'ottica più specifica del potere sociale in senso stretto - inteso come capacità di far fare o subire agli altri cose, che essi lo vogliano o meno.

Essere dotati di capacità riconoscitive, implica anzitutto avere la capacità di essere riconosciuti (ed eventualmente di sviluppare la capacità attiva di riconoscere).

Il riconoscimento è dunque anzitutto un potere passivo di essere riconosciuti.

Essere dotati di poteri passivi di riconoscimento - essere attrattori di riconoscimento - implica essere centri di autorità riconoscitiva nei confronti di altri esseri dotati di poteri riconoscitivi.

Tutti coloro che sono dotati biologicamente di funzioni riconoscitive e capacità passive di riconoscimento, e che possono eventualmente svilupparle tramite abituazione in capacità riconoscitive attive, sono in tal senso centri di autorità, anche se secondo diversi gradi, essendo quest'ultima distribuita in modo asimmetrico.

Un tale potere riconoscitivo non è esercitato necessariamente in forma intenzionale, riflessiva,e come esito di una scelta deliberata (la scelta volontaria di far fare qualcosa a qualcun altro, di costringerlo ad agire o a non agire in un certo senso).

La connessione tra potere e riconoscimento è già stata notata nella storia della teoria del riconoscimento: Rousseau, ad esempio, osservava nel Discorso sull'origine della disuguaglianza che l'origine della relazione sociale di potere starebbe nella differente capacità di attirare lo sguardo - alcuni, intenzionalmente o meno, riescono ad attrarre maggiormente lo sguardo degli altri, che questi lo vogliano o meno.

Il potere riconoscitivo è caratterizzabile come una forma di biopotere.

Le teorie foucaultiane del potere, e le teorie biopolitiche, tendono a concepire il potere sociale come qualcosa di anonimo, diffuso e pervasivo.

Questo modello riguarda sia la microfisica del potere - la relazione di potere tra individui - sia la macrofisica - il potere sociale esercitato da ordini discorsivi, pratiche disciplinari, istituzioni, sugli individui e su altri ordini, pratiche e istituzioni.

Le teorie biopolitiche - come ha notato Searle in Making the Social World (cap. 7) - tendono a considerare il potere di socializzazione come un potere di background - dunque un potere esercitato al livello preintenzionale delle disposizioni e dei poteri che costituiscono lo sfondo delle nostre pratiche.

Le teorie del riconoscimento pensano la costituzione riconoscitiva del soggetto intenzionale, e delle sue strutture personali, sul modello della socializzazione: in termini sociologici, è il modello dell'individuazione tramite socializzazione. Le capacità riconoscitive, e le pratiche cui danno luogo, devono essere pensate come aspetti costitutivi, operanti nel background, del potere di socializzazione.

Diversi fenomeni riconoscitivi riguardano direttamente il rapporto tra individui e istituzioni,se non relazioni tra istituzioni (intese in un senso ampio del termine, che include istituzioni informali e formali). Determinate pratiche sociali e istituzioni sono soggetti riconoscitivi che mettono in atto prestazioni riconoscitive: sia nel senso che prestano riconoscimento, sia nel senso che pretendono di essere riconosciute dagli individui ad esse soggette, sia nel senso che hanno il potere di farsi riconoscere e di far riconoscere certe cose (come ad esempio certe norme).

Il modo in cui tali poteri riconoscitivi sono esercitati dalle istituzioni è raramente esplicito, personale, discreto, è invece per lo più anonimo, diffuso, e pervasivo.

Inoltre, la relazione tra gli individui e le pratiche sociali e istituzioni che esercitano poteri riconoscitivi è tendenzialmente verticale piuttosto che orizzontale, e prevede una disparità di autorità riconoscitiva.

Il modello biopolitico consente di ripensare la relazione riconoscitiva interindividuale e il ruolo che essa gioca entro il modello di individuazione come socializzazione.

Nel processo di costituzione riconoscitiva dell'autocoscienza sociale, infatti, ciascun individuo, in quanto dotato in qualche misura di poteri riconoscitivi perlomeno passivi, e quindi di autorità riconoscitiva, è un amministratore sociale del potere riconoscitivo. Ciascun individuo si pone di fronte agli altri individui come un rappresentante della comunità sociale (è questo il fenomeno della pressione sociale che ciascun individuo esercita, volontariamente o meno, sugli altri individui, già in quanto titolare del semplice potere di essere riconosciuto).

Il potere riconoscitivo è potere che chiunque esercita su chiunque. tale potere può quindi essere ridescritto nei termini di un potere sociale di background (anonimo, pervasivo).
Abbiamo ottenuto non solo di ridescrivere le relazioni riconoscitive - tra individui e individui,tra individui e istituzioni, e quindi tra istituzioni e istituzioni - come relazioni di potere. Ma soprattutto abbiamo ottenuto di caratterizzare la nozione di potere in termini specificamente riconoscitivi.
La costituzione riconoscitiva della soggettività e dell'intersoggettività implica l'esercizio del riconoscimento in quanto potere.

Abbiamo così ottenuto di caratterizzare dall'interno della teoria del riconoscimento ciò che nel lessico althusseriano è la concezione delle pratiche di socializzazione come pratiche di soggettivazione tramite assoggettamento a un potere normalizzante.

Il biopotere riconoscitivo si innesta sulla struttura dell'abitudine (qua seconda natura).
L'abitudine ha due aspetti: per un verso libera l'uomo, per l'altro lo rende suo schiavo (Hegel, Enz., § 410).

L'abitudine è meccanismo (si acquisisce tramite esercizio e ripetizione, iscrivendosi sul corpo, come qualcosa che funziona automaticamente), operante a un livello subpersonale (così operano pure biopoliticamente i meccanismi sociali di assoggettamento).

L'acquisizione di abitudini peraltro ci libera. Essa è sia empowerment sia Entlastung. 

Per un verso essa ci permette di sviluppare positivamente delle capacità che rendono possibile corsi di azione prima impensabili (ed è in questo senso che si muove il modello della costituzione riconoscitiva della soggettività). D'altro lato essa ci sgrava da determinate incombenze (nella misura in cui esse diventano automatismi, prestazioni che non dobbiamo più compiere intenzionalmente) e rende disponibili le nostre energie, permettendoci di impiegarle altrove.

Le teorie biopolitiche fanno leva sul primo aspetto, poggiando sull'aspetto negativo,costrittivo e disciplinare dell'abituazione sociale (e delle istituzioni).

Le teorie del riconoscimento tendono a far leva sul secondo aspetto, poggiando implicitamente sul lato positivo delle istituzioni e dell'abituazione intesa come liberazione, costituzione di una libertà positiva (non di rado concepita come libertà normativa, o autonomia normativa, e pensata secondo un modello idealizzante).

Non a caso una tale biforcazione si ritrova anche all'interno delle teorie della seconda natura: abbiamo alcune teorie di stampo negativista (Adorno, Lukacs), che ne accentuano il carattere reificante, ed altre di stampo positivo (Aristotele, McDowell), che ne accentuano l'aspetto liberatorio.

Se è attraverso la ripetizione e l'esercizio che le abitudini vengono acquisite, ciò non significa che esse consistano semplicemente nell'esecuzione di routines. le abitudini, incluse quelle riconoscitive, nella forma eccellente del loro funzionamento devono essere pensate piuttosto come skills, sul modello delle abilità  artigianali, vale a dire come abiti che si adattano plasticamente e creativamente a situazioni contingenti (e su questo modello è pensabile anche l'emergere di abiti riflessivi). Ma ciò non è di per sé assicurato dalla struttura dell'abitudine: gli abiti riconoscitivi tendono infatti anche a ridursi a ripetizione inerte, morto schema che blocca l'azione.

Per metterla nei termini di Hegel, l'abitudine ha la libertà come contenuto, ma non ha di per sé la forma della libertà (Enz., § 410): le abitudini sono meccanismi dell'intelligenza,meccanismi della libertà.

L'idea che le abitudini necessariamente comportino un elemento di meccanizzazione implica che esse operino in virtù di meccanismi causali di prima natura (presuppongono funzioni biologiche) e che esse stesse, incorporandosi nella prima natura, operino come meccanismi causali o quasi causali.

Questo è appunto il caso, per come l'abbiamo descritto, del potere riconoscitivo di background, il quale opera più come potere causale di costrizione che come potere deontico.

I poteri riconoscitivi possono essere grammatiche di trasformazione della soggettività, proprio nella misura in cui la costituiscono anche in senso causale (in altri termini, essi non sono soltanto regole costitutive, ma poteri causali costitutivi).

   Seconda natura

La nozione di seconda natura è stata introdotta sin qui in relazione al modello dell'abitudine intesa come disposizione acquisita. Della nozione di seconda natura abbiamo introdotto implicitamente la struttura concettuale: essa è immediatezza mediata.

La seconda natura per un verso è mediata, cioè acquisita socialmente tramite esercizio, imitazione e ripetizione.

Per altro verso la seconda natura è immediata, cioè un possesso immediato dell'individuo, che manifesta un potere causale quasi naturale, analogo, anche se meno forte, ai meccanismi primo-naturali.

Il modello della seconda natura come abituazione permette in particolare di pensare entro un unico paradigma la struttura riconoscitiva sia dell'interazione interindividuale sia dell'interazione istituzionale.

Le istituzioni possono essere qualificate come secondo-naturali perché esse sono qualcosa di costituito riconoscitivamente - quindi acquisito entro l'interazione sociale - ma insieme si presentano immediatamente come date - vale a dire come qualcosa di relativamente stabile, e che tende ad esercitare un potere causale.

In tal modo il lessico della seconda natura permette di caratterizzare in termini naturalistici - nel senso di un naturalismo esteso che non ponga una discontinuità essenziale tra natura e cultura - una teoria riconoscitiva delle istituzioni.

Le istituzioni devono essere intese come abiti, sistemi di disposizioni.

Ciò implica per un verso che le istituzioni sociali non possono essere concepite indipendentemente dai corpi individuali dotati di poteri riconoscitivi. Le istituzioni non sono solo qualcosa di oggettivo, ma necessariamente si inscrivono nei soggetti, e richiedono i corpi di questi ultimi per potersi costituire e mantenere.

La concezione delle istituzioni come sistemi di disposizioni consente anche di prendere le distanze dalle teorie normative delle istituzioni, vale a dire da quelle teorie che concepiscono le istituzioni come sistemi, insiemi di norme.

Se è corretto concepire le istituzioni come sistemi di disposizioni, allora saranno le norme (e gli eventuali comportamenti normativi) a dover essere pensate sul modello delle disposizioni, e non viceversa.

E' necessario mantenere aperta la dialettica tra prima e seconda natura.

Prima e seconda natura sono nozioni semanticamente interdipendenti: il contenuto concettuale dell'una non può essere definito indipendentemente dal contenuto dell'altra.

In  assenza di un riferimento concettuale e materiale a qualcosa come ad una prima natura, la nozione di seconda natura viene ad essere insensata, e priva di contenuto.

Dobbiamo pensare il riconoscimento nella dialettica tra prima e seconda natura.

La teoria del riconoscimento naturale non comporta l'adesione ad una concezione fissa, immutabile, invariante della nostra natura umana (né significa aderire ad una concezione normativa dell'ordine naturale). Al contrario, significa ammettere che la nostra prima natura è a sua volta qualcosa di mutevole, dinamico, contingente, giacché è proprio essa che lascia spazio al dinamismo della seconda natura.

La teoria del riconoscimento naturalizzato, per come è stata esposta, non fa appello alla natura come ad un ordine normativo, né come a qualcosa che giustifichi i nostri ordinamenti normativi (non ci sono vincoli normativi che la prima natura ponga sulla seconda).

Alla fine la natura cui si fa appello si rivela come un che di contingente, mutevole, infondato.  Questo vale sia per quanto riguarda la descrizione della natura come prima natura biologica - che conformemente al paradigma dell'evoluzionismo darwiniano deve essere intesa appunto come qualcosa il cui unico senso costante e tratto essenziale è la variazione e la mutevolezza (in generale, come ha messo in luce Dewey inThe Influence of  Darwinism on Philosophy, il darwinismo ci chiama a ripensare la natura non più nell'ordine del permanente, bensì del mutevole); sia per quanto riguarda la descrizione della natura come seconda natura - la quale ha appunto un carattere processuale, mediato e contingente, la cui immediatezza a sua volta si appoggia sulla variabilità della prima natura.

La seconda natura ha per un verso a che fare con l'acquisizione di disposizioni di comportamento costanti, che possano essere riprodotte regolarmente (è in questo senso che essa assume la forma di meccanismo ripetibile).

E'  questa la funzione di stabilizzazione della seconda natura, per come è stata descritta dall'antropologia filosofica.

La seconda natura non è solo una funzione di stabilizzazione - punto su cui insistono le teorie conservatrici della cultura - ma anche di liberazione - punto su cui insistono le teorie razionaliste dell'abitudine. La Befreiung  è come tale qualcosa che estende i nostri poteri, rendendo possibile nuove forme di comportamento e di azione. Da questo punto è una funzione processuale, trasformativa, e sembra essere inversamente proporzionale alla stabilità.

La stessa prima natura non è un ordine stabile, ma piuttosto improntata alla mutevolezza e variazione. In tal senso, anche il tipo di stabilizzazione che la seconda natura eventualmente apporta - poggiando sempre in qualche modo anche sulla prima natura - sarà affetta da tale mutevolezza della prima natura, e non potrà essere pensata che come relativamente, contingentemente stabile.

Inoltre, la stabilizzazione della seconda natura, in quanto consiste anche in un processo di liberazione, è a sua volta qualcosa che libera una serie di processi ulteriori mutevoli e non prevedibili.

La seconda natura è a sua volta una natura contingente.

Nel modello Hegeliano vi è un circolo virtuoso tra stabilizzazione e Befreiung, così come tra spirito soggettivo  e oggettivo: entro i confini nazionali dell'eticità, stabilizzazione  e Befreiung si rinforzano reciprocamente.

E' difficile pensare che il circolo dell'eticità nazionale possa funzionare anche per noi.

L'indebolimento della chiusura nazionale dell'eticità, la circolazione di una molteplicità di modelli di vita buona in competizione portano ad una pluralizzazione dell'eticità che sembra rompere il circolo virtuoso tra stabilizzazione e liberazione. In un certo modo la stabilità della seconda natura si rivela sempre nella sua relatività, se non come stabilità apparente.

Emerge sempre più non solo il carattere contingente della seconda natura, ma anche il suo carattere precario e fragile.

Per altro verso le forme di libertà rese possibile dalla Befreiung si differenziano notevolmente, si ampliano ulteriormente.

Ma per converso esse anche si frammentano, si fragilizzano.

La prestazione critica di una teoria della seconda natura consisterebbe nel mostrare che la necessità  quest'ultima è solo un'apparenza di necessità. Mostrare il carattere caduco e contingente della seconda natura non significa per ciò stesso allentare completamente la sua presa su di noi: non significa dissolvere il potere sociale che per suo tramite si esercita. 

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