La teoria del riconoscimento è una particolare ricostruzione e variazione
moderna della tesi dell'uomo come animale naturalmente sociale (Aristotele,
Hegel, Marx). Il riconoscimento reciproco è qui inteso come il meccanismo
attraverso il quale si costituisce la natura sociale dell'uomo sia come individuo sia
come specie.
La teoria del riconoscimento è un bipode, che
poggia da un lato su una ricostruzione fenomenologica e da un lato su
una descrizione funzionale, in sospeso tra fenomenologia e biologia della
forma di vita dell'essere umano. Riconoscere, già al mero livello biologico,
non è solo identificare, ma anche attribuire un valore (ad esempio, attribuire
ad un oggetto il valore di essere appetibile o meno...). Nessuno dei due lati
del bipode sta al di fuori di un senso della naturalità (da un lato stanno le
funzioni attraverso cui si riproduce la nostra natura biologica; dall'altro il
modo in cui appare a noi stessi la nostra natura umana).
Il riconoscimento è in qualche modo legato alla nostra
prima natura (si noti che la nozione di prima natura può essere diversamente
caratterizzata: natura originaria, natura con cui siamo creati, natura con cui
veniamo al mondo, natura innata, natura fisico-biologica. Per essa si intende
in ogni caso qualcosa di dato e non acquisito). Secondo una caratterizzazione fisico-biologica
del riconoscimento naturale, la prima natura riconoscitiva andrà allora intesa
come quell'insieme di funzioni che supponiamo essere la base biologica dei meccanismi di
riconoscimento che coordinano l'interazione tra gli animali umani.
La tesi per cui la struttura della
personhood (dell'essere persona) è costituita
riconoscitivamente - la tesi, propria del modello hegeliano della teoria del
riconoscimento, per cui l'autocoscienza personale teorica e pratica si
costituirebbero tramite il meccanismo del riconoscimento reciproco - significa
non solo che la personhood presuppone concettualmente il riconoscimento, ma anche che i meccanismi riconoscitivi sono all'opera prima e
indipendentemente della costituzione della personhood.
La dimensione
subpersonale del riconoscimento naturale può essere descritta anche da altre
prospettive e non dipende unicamente da una caratterizzazione biologico-funzionale
della prima natura. (Una di tal prospettive, come vedremo, è la teoria dell'abitudine:
un'altra è la teoria del background;
un'altra ancora è la teoria dell'io fungente e anonimo; un'altra ancora
è la teoria del riconoscimento come potere anonimo e diffuso).
Abitudine
Il riconoscimento è descritto solitamente come
un processo di costituzione del soggetto, attraverso il quale prendono forma
delle capacità personali (autocoscienza teoretica, pratica...) che diventano
delle proprietà più o meno stabili dell'essere umano. In tal senso la teoria costitutiva del riconoscimento
sembra richiedere un meccanismo attraverso il quale,a partire
da un set di funzioni di cui siamo dotati, vengono ad essere acquisite iterativamente e
ricorsivamente delle disposizioni all'interazione cui noi poi attribuiamo il
valore di capacità fondamentali dell'esser persona.
Il processo di
abitazione - di formazione di abiti di comportamento - è appunto il meccanismo
attraverso cui, tramite ripetizione ed esercizio, si formano delle disposizioni
di comportamento.
Il modello
dell'abitudine è peraltro compatibile con il paradigma interazionista della teoria
del riconoscimento, nella misura in cui la ripetizione e l'esercizio richiesti
per l'attivazione delle nostre funzioni, e per l'acquisizione a partire da
esse di disposizioni stabili di comportamento, sono a loro volta mediati
dall'interazione con altri organismi viventi e dall'imitazione dei loro
comportamenti.
Laddove il processo
di acquisizione riesce, esso dà luogo a disposizioni relativamente
stabili, proprio nella misura in cui esse si
incorporano nel vivente, si incidono nella sua prima
natura,ibridandosi con essa. Le disposizioni riconoscitive devono esser dunque
pensate sul modello di questa forma di embodiment (un processo
d'iscrizione sul corpo tramite esercizio e ripetizione di abiti di comportamento:
un meccanismo attraverso cui il corpo viene plasmato all'interazione): una forma
di riconoscimento incorporato.
L'incorporazione non potrà allora essere
concepita come mera sostituzione della prima natura con la seconda - una
sorta di magia per cui la nostra prima natura organica
sparirebbe a favore di quella culturale - proprio perché la seconda, per funzionare,
ha bisogno che continui a sussistere una prima natura. Nondimeno è
lecito pensare che vi sia un'ibridazione reciproca, vale a dire
che ciascuno dei due poli abbia effetto sull'altro.
La teoria del
riconoscimento come abitudine è implicitamente o esplicitamente materialista.
Per Hegel la nozione
di abitudine (Enz., §§ 409-412) è centrale nel passaggio dalla natura allo spirito proprio perché questo passaggio non consiste in una
spiritualizzazione che annichila la nostra prima natura: la centralità dell'abitudine,
una volta intesa come dialettica d'idealizzazione e incorporazione, rivela che
tutte le attività spirituali, inclusa l'autocoscienza riconoscitiva, quanto al
loro contenuto e alla loro forma devono essere concepite quali disposizioni
abitudinarie incorporate.
Dewey, in Human Nature
and Conduct, è l'autore che meglio ha sviluppato l'idea
che la nozione di abitudine sia centrale in tal senso per dar conto, in termini
di teoria dell'interazione, della costituzione sociale del sé e delle sue
capacità personali. La teoria dell'abitudine è il punto di attacco per formulare
un tipo di naturalismo sociale evolutivo non riduzionista.
Secondo la linea argomentativa introdotta da Dewey le strutture intenzionali non dovrebbero essere intese come presupposto del processo di abituazione (il che finirebbe per vanificare la portata concettuale della
teoria dell'abitudine), ma piuttosto come esiti, risultati del processo di
abituazione, e come tali non dovrebbero avere priorità esplicativa
rispetto alla nozione di abitudine.
La nozione di
abitudine fornisce il modello di una costituzione senza norme.
Il fatto poi che certi sistemi di disposizioni siano descrivibili come conformi a
determinate norme non significa né che essi siano identificabili con sistemi di
norme né che essi consistano nell'interiorizzazione di sistemi di norme né che tali
comportamenti siano necessariamente causati o motivati da norme.
Con ciò non s'intende escludere che emerga qualcosa come dei comportamenti
normativi: solo che la loro portata è più limitata di quanto tenderemmo a
credere, e inoltre essi stessi devono essere concepiti come sottoinsieme del comportamento sociale, piuttosto che come suo modello, e dunque come qualcosa il cui funzionamento e
mantenimento presuppone ampie zone di comportamento non normativo.
Potere
Sino ad ora abbiamo
guardato al riconoscimento in termini prima di funzioni, e quindi di capacità
consolidate tramite l'abituazione. Abbiamo guardato ai poteri
riconoscitivi come a capacità d'azione (e propriamente d'interazione) che
gli individui acquisiscono a partire dalle funzioni naturali di cui sono
dotati, e tramite un training educativo. Come tali,
i poteri riconoscitivi sono stati intesi quali capacità che ci abilitano a
fare nuove cose, a compiere azioni che altrimenti non compiremmo.
Le considerazioni
svolte in precedenza ci permettono di guardare al riconoscimento anche
nell'ottica più specifica del potere sociale in senso stretto - inteso come
capacità di far fare o subire agli altri cose, che essi lo vogliano o
meno.
Essere dotati di capacità riconoscitive, implica anzitutto avere la capacità di essere
riconosciuti (ed eventualmente di sviluppare la capacità attiva di
riconoscere).
Il riconoscimento è
dunque anzitutto un potere passivo di essere riconosciuti.
Essere dotati di poteri passivi di riconoscimento - essere attrattori di riconoscimento - implica essere centri di autorità riconoscitiva nei confronti di altri esseri dotati di poteri
riconoscitivi.
Tutti coloro che
sono dotati biologicamente di funzioni riconoscitive e capacità passive di
riconoscimento, e che possono eventualmente svilupparle tramite abituazione in
capacità riconoscitive attive, sono in tal senso centri di autorità, anche se
secondo diversi gradi, essendo quest'ultima distribuita in modo
asimmetrico.
Un tale potere
riconoscitivo non è esercitato necessariamente in forma intenzionale, riflessiva,e
come esito di una scelta deliberata (la scelta volontaria di far fare qualcosa
a qualcun altro, di costringerlo ad agire o a non agire in un certo
senso).
La connessione tra
potere e riconoscimento è già stata notata nella storia della teoria del riconoscimento: Rousseau, ad esempio, osservava nel
Discorso sull'origine della disuguaglianza che l'origine
della relazione sociale di potere starebbe nella differente capacità di attirare
lo sguardo - alcuni, intenzionalmente o meno, riescono ad attrarre maggiormente
lo sguardo degli altri, che questi lo vogliano o meno.
Il potere
riconoscitivo è caratterizzabile come una forma di biopotere.
Le teorie foucaultiane
del potere, e le teorie biopolitiche, tendono a concepire il potere sociale
come qualcosa di anonimo, diffuso e pervasivo.
Questo modello
riguarda sia la microfisica del potere - la relazione di potere tra
individui - sia la macrofisica - il potere
sociale esercitato da ordini discorsivi, pratiche disciplinari,
istituzioni, sugli individui e su altri ordini, pratiche e istituzioni.
Le teorie
biopolitiche - come ha notato Searle in Making the Social World (cap.
7) - tendono a considerare il potere di socializzazione come un potere di
background - dunque un potere esercitato al livello preintenzionale delle
disposizioni e dei poteri che costituiscono lo sfondo delle nostre pratiche.
Le teorie del riconoscimento
pensano la costituzione riconoscitiva del soggetto intenzionale, e delle sue
strutture personali, sul modello della socializzazione: in termini sociologici,
è il modello dell'individuazione tramite socializzazione. Le capacità
riconoscitive, e le pratiche cui danno luogo, devono essere pensate come
aspetti costitutivi, operanti nel background, del potere di socializzazione.
Diversi fenomeni
riconoscitivi riguardano direttamente il rapporto tra individui e istituzioni,se
non relazioni tra istituzioni (intese in un senso ampio del termine, che
include istituzioni informali e formali). Determinate pratiche sociali e
istituzioni sono soggetti riconoscitivi che mettono in atto prestazioni
riconoscitive: sia nel senso che prestano riconoscimento, sia nel senso che
pretendono di essere riconosciute dagli individui ad esse soggette,
sia nel senso che hanno il potere di farsi riconoscere e di far
riconoscere certe cose (come ad esempio certe norme).
Il modo in cui tali poteri riconoscitivi sono esercitati dalle istituzioni è raramente
esplicito, personale, discreto, è invece per lo più anonimo, diffuso, e
pervasivo.
Inoltre, la
relazione tra gli individui e le pratiche sociali e istituzioni che esercitano
poteri riconoscitivi è tendenzialmente verticale piuttosto che orizzontale, e
prevede una disparità di autorità riconoscitiva.
Il modello
biopolitico consente di ripensare la relazione riconoscitiva interindividuale e
il ruolo che essa gioca entro il modello di individuazione come
socializzazione.
Nel processo di costituzione riconoscitiva dell'autocoscienza sociale, infatti, ciascun
individuo, in quanto dotato in qualche misura di poteri riconoscitivi perlomeno
passivi, e quindi di autorità riconoscitiva, è un amministratore
sociale del potere riconoscitivo. Ciascun individuo si pone di fronte
agli altri individui come un rappresentante della comunità sociale (è questo il
fenomeno della pressione sociale che ciascun individuo esercita, volontariamente
o meno, sugli altri individui, già in quanto titolare del semplice potere
di essere riconosciuto).
Il potere riconoscitivo
è potere che chiunque esercita su chiunque. tale potere può quindi essere
ridescritto nei termini di un potere sociale di background (anonimo,
pervasivo).
Abbiamo ottenuto
non solo di ridescrivere le relazioni riconoscitive - tra individui e
individui,tra individui e istituzioni, e quindi tra istituzioni e istituzioni -
come relazioni di potere. Ma soprattutto abbiamo ottenuto di caratterizzare la
nozione di potere in termini specificamente riconoscitivi.
La costituzione
riconoscitiva della soggettività e dell'intersoggettività implica l'esercizio
del riconoscimento in quanto potere.
Abbiamo così
ottenuto di caratterizzare dall'interno della teoria del
riconoscimento ciò che nel lessico althusseriano è la concezione delle pratiche di socializzazione come pratiche
di soggettivazione tramite assoggettamento a un potere normalizzante.
Il biopotere
riconoscitivo si innesta sulla struttura dell'abitudine (qua seconda natura).
L'abitudine ha due
aspetti: per un verso libera l'uomo, per l'altro lo rende suo schiavo (Hegel, Enz.,
§ 410).
L'abitudine è
meccanismo (si acquisisce tramite esercizio e ripetizione, iscrivendosi sul
corpo, come qualcosa che funziona automaticamente), operante a un livello
subpersonale (così operano pure biopoliticamente i meccanismi sociali di
assoggettamento).
L'acquisizione di
abitudini peraltro ci libera. Essa è sia empowerment sia Entlastung.
Per un verso essa ci permette di sviluppare positivamente delle capacità che
rendono possibile corsi di azione prima impensabili (ed è in questo senso che
si muove il modello della costituzione riconoscitiva della soggettività). D'altro
lato essa ci sgrava da determinate incombenze (nella misura in cui esse diventano
automatismi, prestazioni che non dobbiamo più compiere intenzionalmente) e
rende disponibili le nostre energie, permettendoci di impiegarle altrove.
Le teorie biopolitiche fanno leva sul primo aspetto, poggiando sull'aspetto negativo,costrittivo
e disciplinare dell'abituazione sociale (e delle istituzioni).
Le teorie del riconoscimento tendono a far leva sul secondo aspetto, poggiando
implicitamente sul lato positivo delle istituzioni e dell'abituazione intesa
come liberazione, costituzione di una libertà positiva (non di rado concepita
come libertà normativa, o autonomia normativa, e pensata secondo un modello
idealizzante).
Non a caso una tale biforcazione si ritrova anche all'interno delle teorie della seconda
natura: abbiamo alcune teorie di stampo negativista (Adorno, Lukacs), che ne
accentuano il carattere reificante, ed altre di stampo positivo (Aristotele, McDowell), che ne
accentuano l'aspetto liberatorio.
Se è attraverso la
ripetizione e l'esercizio che le abitudini vengono acquisite, ciò non significa
che esse consistano semplicemente nell'esecuzione di routines.
le abitudini, incluse quelle riconoscitive, nella forma eccellente del loro
funzionamento devono essere pensate piuttosto come skills, sul modello delle
abilità artigianali, vale a dire come abiti che si adattano plasticamente e creativamente a situazioni
contingenti (e su questo modello è pensabile anche l'emergere di abiti
riflessivi). Ma ciò non è di per sé assicurato dalla struttura dell'abitudine: gli abiti
riconoscitivi tendono infatti anche a ridursi a ripetizione inerte, morto
schema che blocca l'azione.
Per metterla nei
termini di Hegel, l'abitudine ha la libertà come contenuto, ma non ha di
per sé la forma della libertà (Enz., § 410): le abitudini sono meccanismi dell'intelligenza,meccanismi
della libertà.
L'idea che le
abitudini necessariamente comportino un elemento di meccanizzazione implica che
esse operino in virtù di meccanismi causali di prima natura (presuppongono funzioni
biologiche) e che esse stesse, incorporandosi nella prima natura, operino come
meccanismi causali o quasi causali.
Questo è appunto il
caso, per come l'abbiamo descritto, del potere riconoscitivo di background, il quale opera più come potere causale di costrizione che come potere
deontico.
I poteri
riconoscitivi possono essere grammatiche di trasformazione della soggettività, proprio nella misura in cui la costituiscono anche in senso causale (in altri termini, essi
non sono soltanto regole costitutive, ma poteri causali costitutivi).
Seconda natura
La nozione di
seconda natura è stata introdotta sin qui in relazione al modello dell'abitudine
intesa come disposizione acquisita. Della nozione di seconda natura abbiamo introdotto
implicitamente la struttura concettuale: essa è immediatezza mediata.
La seconda natura
per un verso è mediata, cioè acquisita socialmente tramite esercizio,
imitazione e ripetizione.
Per altro verso la seconda natura è immediata, cioè un possesso immediato
dell'individuo, che manifesta un potere causale quasi naturale, analogo, anche
se meno forte, ai meccanismi primo-naturali.
Il modello della
seconda natura come abituazione permette in particolare di pensare entro un unico paradigma la struttura riconoscitiva sia dell'interazione interindividuale sia
dell'interazione istituzionale.
Le istituzioni possono essere qualificate come secondo-naturali perché esse sono
qualcosa di costituito riconoscitivamente - quindi acquisito entro
l'interazione sociale - ma insieme si presentano immediatamente come date
- vale a dire come qualcosa di relativamente stabile, e che tende ad esercitare
un potere causale.
In tal modo il
lessico della seconda natura permette di caratterizzare in termini
naturalistici - nel senso di un naturalismo esteso che non ponga una
discontinuità essenziale tra natura e cultura - una teoria riconoscitiva delle
istituzioni.
Le istituzioni devono
essere intese come abiti, sistemi di disposizioni.
Ciò implica per un verso che le istituzioni sociali non possono essere concepite
indipendentemente dai corpi individuali dotati di poteri riconoscitivi. Le
istituzioni non sono solo qualcosa di oggettivo, ma necessariamente si inscrivono nei soggetti, e
richiedono i corpi di questi ultimi per potersi costituire e mantenere.
La concezione delle
istituzioni come sistemi di disposizioni consente anche di prendere le distanze
dalle teorie normative delle istituzioni, vale a dire da quelle teorie che
concepiscono le istituzioni come sistemi, insiemi di norme.
Se è corretto
concepire le istituzioni come sistemi di disposizioni, allora saranno le norme
(e gli eventuali comportamenti normativi) a dover essere pensate sul modello
delle disposizioni, e non viceversa.
E' necessario
mantenere aperta la dialettica tra prima e seconda natura.
Prima e seconda
natura sono nozioni semanticamente interdipendenti: il contenuto
concettuale dell'una non può essere definito indipendentemente dal
contenuto dell'altra.
In assenza di un riferimento concettuale e
materiale a qualcosa come ad una prima natura, la nozione di seconda natura
viene ad essere insensata, e priva di contenuto.
Dobbiamo pensare il
riconoscimento nella dialettica tra prima e seconda natura.
La teoria del riconoscimento naturale non comporta l'adesione ad una concezione fissa,
immutabile, invariante della nostra natura umana (né significa aderire ad una concezione
normativa dell'ordine naturale). Al contrario, significa ammettere che la nostra
prima natura è a sua volta qualcosa di mutevole, dinamico, contingente, giacché
è proprio essa che lascia spazio al dinamismo della seconda natura.
La teoria del
riconoscimento naturalizzato, per come è stata esposta, non fa appello alla
natura come ad un ordine normativo, né come a qualcosa che giustifichi i nostri ordinamenti
normativi (non ci sono vincoli normativi che la prima natura ponga sulla seconda).
Alla fine la natura
cui si fa appello si rivela come un che di contingente, mutevole, infondato. Questo vale sia per quanto riguarda la descrizione della natura come prima natura biologica - che conformemente al paradigma dell'evoluzionismo darwiniano deve essere
intesa appunto come qualcosa il cui unico senso costante e tratto essenziale è
la variazione e la mutevolezza (in generale, come ha messo in luce Dewey inThe Influence of Darwinism on Philosophy, il darwinismo ci chiama a ripensare la natura non più
nell'ordine del permanente, bensì del mutevole); sia per quanto riguarda
la descrizione della natura come seconda natura - la quale ha appunto un
carattere processuale, mediato e contingente, la cui immediatezza a sua volta
si appoggia sulla variabilità della prima natura.
La seconda natura ha per un verso a che fare con l'acquisizione di disposizioni di
comportamento costanti, che possano essere riprodotte regolarmente (è in questo
senso che essa assume la forma di meccanismo ripetibile).
E' questa la funzione di stabilizzazione
della seconda natura, per come è stata descritta
dall'antropologia filosofica.
La seconda natura
non è solo una funzione di stabilizzazione - punto su cui insistono le teorie conservatrici
della cultura - ma anche di liberazione - punto su cui
insistono le teorie razionaliste dell'abitudine. La Befreiung è come
tale qualcosa che estende i nostri poteri, rendendo possibile nuove forme di comportamento e di azione. Da questo punto è una funzione processuale,
trasformativa, e sembra essere inversamente proporzionale alla stabilità.
La stessa prima
natura non è un ordine stabile, ma piuttosto improntata alla mutevolezza e variazione. In tal senso, anche il tipo di stabilizzazione che la seconda natura
eventualmente apporta - poggiando sempre in qualche modo anche sulla prima
natura - sarà affetta da tale mutevolezza della prima natura, e non potrà
essere pensata che come relativamente, contingentemente stabile.
Inoltre, la
stabilizzazione della seconda natura, in quanto consiste anche in un processo
di liberazione, è a sua volta qualcosa che libera una serie di processi
ulteriori mutevoli e non prevedibili.
La seconda natura è
a sua volta una natura contingente.
Nel modello Hegeliano
vi è un circolo virtuoso tra stabilizzazione e Befreiung,
così come tra spirito soggettivo e
oggettivo: entro i confini nazionali dell'eticità, stabilizzazione e Befreiung si rinforzano
reciprocamente.
E' difficile
pensare che il circolo dell'eticità nazionale possa funzionare anche per
noi.
L'indebolimento
della chiusura nazionale dell'eticità, la circolazione di una molteplicità di
modelli di vita buona in competizione portano ad una pluralizzazione dell'eticità
che sembra rompere il circolo virtuoso tra stabilizzazione e liberazione. In
un certo modo la stabilità della seconda natura si rivela sempre nella
sua relatività, se non come stabilità apparente.
Emerge sempre più
non solo il carattere contingente della seconda natura, ma anche il suo
carattere precario e fragile.
Per altro verso le forme di libertà rese possibile dalla
Befreiung si differenziano notevolmente, si ampliano
ulteriormente.
Ma per converso
esse anche si frammentano, si fragilizzano.
La prestazione
critica di una teoria della seconda natura consisterebbe nel mostrare che la necessità quest'ultima è solo un'apparenza di necessità. Mostrare il carattere caduco e
contingente della seconda natura non significa per ciò stesso allentare
completamente la sua presa su di noi: non significa dissolvere il potere
sociale che per suo tramite si esercita.
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