La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
giovedì 1 ottobre 2015
Psicologia delle Folle (1895, seconda parte) - Gustav Le Bon
PARTE SECONDA
CAPITOLO I
Le opinioni e le credenze delle folle - I fattori lontani
Fattori preparatorii delle credenze delle folle. - Il fiorire delle credenze delle folle è la
conseguenza di un'elaborazione anteriore. - Studio dei diversi fattori di queste credenze. - 1.°
La razza. - Preponderante influenza esercitata dalla razza. - Essa rappresenta la suggestione
degli antenati. - 2.° Le tradizioni. - Esse sono la sintesi dell'anima della razza. - Importanza
sociale delle tradizioni. Come, dopo esser state necessarie, diventano dannose. - Le folle sono
le conservatrici più tenaci delle idee tradizionali - 3.° Il tempo. - Esso prepara
successivamente la formazione delle credenze, poi la loro distruzione. -- In grazia sua l'ordine
può uscire dal caos. - 4.° Le istituzioni politiche e sociali. Idee errate sulla loro funzione. - La
loro influenza é debolissima, - Sono effetti, e non cause. I popoli non saprebbero scegliere le
istituzioni che a loro sembrano migliori. - Le istituzioni sono etichette che, sotto uno stesso
titolo, nascondono le cose più dissimili. Come possono nascere le costituzioni. - Necessità per
certi popoli di alcune costituzioni teoricamente cattive, come la centralizzazione. - 5.°
L'istruzione e l'educazione. - Errore delle idee attuali sulla influenza dell'istruzione sulle folle.
- Statistiche. Funzione demoralizzatrice dell'educazione latina. - Influenza che l'educazione
potrebbe esercitare. Esempi che ci forniscono diversi popoli.
Abbiamo studiato la costituzione mentale delle folle. Conosciamo la loro maniera di sentire,
di pensare, di ragionare. Esaminiamo ora come nascano e prendano piede le loro opinioni e le
loro credenze. I fattori che determinano le opinioni e le credenze sono di due specie: fattori
lontani e fattori immediati.
I fattori lontani rendono le folle capaci di accettare certe convinzioni e incapaci di lasciarsi
penetrare da altre. Essi preparano il terreno dove, improvvisamente, germinano idee nuove,
la cui forza e il cui risultato ci sorprendono, ma che di spontaneo non hanno che l'apparenza.
L'esplosione e la messa in opera di certe idee nelle folle presentano, qualche volta, una
rapidità straordinaria. Questo non é che effetto superficiale, dietro cui si deve cercare - il più
delle volte - un lungo lavorio anteriore.
I fattori immediati sono quelli che, sovrapposti a questo lungo lavorio - senza i quali non
potrebbero agire - provocano la persuasione attiva nelle folle, vale a dire fanno prendere
forma all'idea, la fanno mettere in atto con tutte le conseguenze. Dietro la spinta di questi
fattori immediati nascono le risoluzioni che sollevano improvvisamente le collettività; sono
questi fattori che fanno scoppiare una sommossa o decidono uno sciopero; sono essi che
fanno portare da una gran maggioranza un uomo al potere, o fanno cadere un governo.
In tutti i grandi avvenimenti storici, si può constatare l'azione successiva di queste due specie
di fattori. La Rivoluzione francese - per prendere l'esempio più tipico - ebbe tra i fattori
lontani le critiche degli scrittori, le concussioni dell'antico regime. L'anima delle folle, così
preparata, fu, in seguito, facilmente sollevata dai fattori immediati, come i discorsi degli
oratori e la resistenza della corte alle proposte di insignificanti riforme.
Tra i fattori lontani, ce ne sono di generali, che si ritrovano in fondo a tutte le credenze e le
opinioni delle folle; e sono: la razza, le tradizioni, il tempo, le istituzioni, l'educazione.
Studieremo la rispettiva funzione di tutti questi fattori.
1.° - La razza.
Questo fattore deve essere messo in prima fila, poiché é più importante di tutti gli altri
insieme. L'abbiamo studiato profondamente in un precedente volume, quindi sarebbe inutile
dilungarsi anche qui. Colà abbiamo dimostrato cos'é una razza storica, e come, dacché i suoi
caratteri sono formati, le sue credenze, le istituzioni, le arti, insomma tutti gli elementi della
sua civiltà, diventino l'espressione esteriore della sua anima. Il potere della razza é tale che
nessun elemento potrebbe passare da un popolo ad un altro senza subire profonde
modificazioni (*).
(*) Questa asserzione é ancora nuova, e siccome la storia non é comprensibile senza di essa,
io ho consacrato parecchi capitoli della mia opera ("Le leggi psicologiche dell'evoluzione dei
popoli") alla sua dimostrazione. Il lettore vedrà che nonostante le apparenze ingannevoli,
né la lingua, né la religione, né le arti, in una parola, nessun elemento di civiltà, può passare
intatto da un popolo a un altro.
L'ambiente, le circostanze, gli avvenimenti rappresentano le suggestioni sociali del momento.
Possono esercitare un'azione importante ma sempre momentanea se è contraria alle
suggestioni della razza, vale a dire di tutti gli antenati.
In parecchi capitoli di quest'opera avremo ancora occasione di riparlare dell'influenza della
razza, e di mostrare che questa influenza é così grande che domina i caratteri propri
dell'anima delle folle. Per questo le moltitudini dei diversi paesi hanno nelle loro credenze e
nella loro condotta delle differenze molto accentuate e non possono essere influenzate nello
stesso modo.
2.° - Le tradizioni.
Le tradizioni rappresentano le idee, i bisogni, i sentimenti del passato. Esse sono la sintesi
della razza e gravano su di noi con tutto il loro peso.
Le scienze biologiche sono state trasformate da che l'embriologia ha mostrato l'influenza
immensa del passato nell'evoluzione degli esseri, e anche le scienze storiche si
trasformeranno egualmente quando questa nozione sarà più conosciuta. Non lo é ancora
abbastanza, e molti uomini di Stato sono rimasti alle idee dei teorici dell'ultimo secolo,
credendo che la società possa staccarsi dal passato ed essere rifatta completamente, guidata
dalla luce della ragione.
Un popolo é un organismo creato dal passato. E come tutti gli organismi, non può modificarsi
che per lente accumulazioni ereditarie.
La vera guida dei popoli sono le sue tradizioni; e, come ho ripetuto tante volte, non ne
cambiano facilmente che le forme esteriori. Senza tradizione, vale a dire senza anima
nazionale, non é possibile nessuna civiltà.
Inoltre le due grandi occupazioni dell'uomo da che egli esiste, sono state quelle di crearsi un
insieme di tradizioni e poi di distruggerle allorché i loro benefici effetti si erano esauriti.
Senza stabili tradizioni non vi é civiltà; ma senza la lenta eliminazione di queste tradizioni,
non vi é progresso. La difficoltà é quella di trovare un giusto equilibrio fra la stabilità e la
variabilità. Tale difficoltà é immensa.
Quando un popolo lascia i propri costumi fissarsi troppo solidamente per numerose
generazioni, non può più evolversi e diventa, come la Cina, incapace di perfezionamento. Le
stesse rivoluzioni violente diventano impotenti, perché in tal caso avviene che i pezzi infranti
della catena si risaldino, e allora il passato riprende senza cambiamenti il suo dominio, o che i
frammenti dispersi generino l'anarchia e ben presto la decadenza.
Compito fondamentale di un popolo deve essere anche quello di custodire le istituzioni del
passato, modificandole a poco a poco. Compito difficile: i Romani, nell'antichità, e gli Inglesi,
oggi, sono quasi gli unici ad averlo realizzato.
I conservatori più tenaci delle idee tradizionali, e che più ostinatamente si appongono al loro
cambiamento, sono precisamente le folle, e soprattutto le categorie delle folle che
costituiscono le caste. Io ho già insistito su questo spirito conservatore e dimostrato che molte
delle rivolte non conducono se non a cambiamenti di parole. Alla fine del secolo scorso,
vedendo le chiese distrutte, i preti espulsi o ghigliottinati, la universale persecuzione del culto
cattolico, si poteva credere che le vecchie idee religiose avessero perduto ogni potere; e
tuttavia, dopo qualche anno, l'universale volontà condusse al ristabilimento del culto abolito
(*).
Nessun esempio dimostra meglio la potenza delle tradizioni sull'animo delle folle. I templi
non custodiscono gli idoli più temibili, né i palazzi i tiranni più dispotici. Colà si distruggono
facilmente. I signori invisibili che regnano sulle nostre anime sfuggono a ogni tentativo di
sopprimerli e non cedono che col loro lento consumarsi nei secoli.
(*) Il rapporto dell'antico membro della Convenzione, Fourcroy, citato dal Taine, è in
proposito assai preciso: «Quel che per ogni dove si vede sulla celebrazione della domenica e
sulla frequenza delle chiese prova che la massa dei Francesi vuol tornare ai vecchi usi, e non
è più tempo di resistere a questa inclinazione nazionale. La gran massa degli uomini ha
bisogno di religione, di culto e di preti. È un, errore di qualche filosofo moderno, verso il
quale io stesso sono trascinato, quello di credere alla possibilità di una coltura abbastanza
diffusa per distruggere i pregiudizi religiosi; per la maggior parte degli infelici, essi sono
una sorgente di consolazione... Bisogna dunque lasciare alla massa del popolo i suoi preti, i
suoi altari e il suo culto ».
3.° - Il tempo.
Nei problemi sociali, come nei problemi biologici uno dei più energici fattori é il tempo. Esso
rappresenta il vero creatore e il vero distruttore. E' il tempo che ha edificato le montagne coi
granelli di sabbia ed elevato a dignità umana l'oscura cellula dei tempi geologici. Per
trasformare un qualsiasi fenomeno, basta far intervenire i secoli. Si dice con ragione che una
formica la quale avesse tempo sufficiente, potrebbe livellare il Monte Bianco. Un essere che
possedesse il magico potere di disporre del tempo a suo piacimento, avrebbe la potenza che i
credenti attribuiscono al loro Dio.
Ma noi non dobbiamo occuparci, qui, che dell'influenza del tempo nella genesi delle opinioni
delle folle. Da questo punto di vista la sua azione é immensa. Da esso dipendono grandi forze,
come la razza, che non possono formarsi senza di lui. Il tempo fa evolvere e morire tutte le
credenze. Per mezzo del tempo esse acquistano e perdono il loro potere.
Il tempo prepara le opinioni e le credenze delle folle, vale a dire il terreno dove germogliano.
Si sa che certe idee realizzabili in un'epoca, non lo sono in un'altra. Il tempo accumula i
numerosi residui delle credenze e dei pensieri, sui quali nascono le idee di un'epoca. Queste
non nascono a caso. Le loro radici si abbarbicano lontano nel passato. Il tempo prepara il loro
fiorire; per capirne la genesi bisogna sempre risalire indietro nel tempo. Le idee sono figlie
del passato e madri dell'avvenire, e sempre schiave del tempo.
Dunque, quest'ultimo é il nostro vero padrone e basterebbe lasciarlo agire per vedere tutte le
cose trasformarsi. Oggi ci preoccupiamo assai delle aspirazioni minacciose delle folle, delle
distruzioni e degli sconvolgimenti che esse presagiscono. Il tempo soltanto si incaricherà di
ristabilire l'equilibrio. « Nessun regime, scrisse molto giustamente Lavisse, si formò in un
giorno. Le organizzazioni politiche e sociali sono opere che richiedono dei secoli; il
feudalismo, fu per qualche secolo un regime, informe e caotico, prima di trovare le sue regole;
anche la monarchia assoluta visse parecchi secoli prima di trovare il miglior mezzo di
governo, e in quei periodi d'attesa vi furono molti turbamenti ».
4.° - Le istituzioni politiche e sociali.
E' ancora diffusa l'idea che le istituzioni possano rimediare i difetti della società, che il
progresso dei popoli sia il risultato delle costituzioni e dei governi e che i cambiamenti sociali
si possano operare a furia di decreti. La Rivoluzione francese ebbe questa idea per punto di
partenza e le teorie sociali di oggi vi prendono il punto di appoggio.
Le continue esperienze non sono riuscite a far cadere questa temibile chimera. Invano filosofi
e storici hanno cercato di dimostrarne l'assurdità. Tuttavia non é loro stato difficile provare
che le istituzioni sono figlie delle idee, dei sentimenti e dei costumi; e che non si può rifare
idee, sentimenti, costumi, rifacendo i codici. Un popolo non sceglie le istituzioni che gli
aggradano, come non sceglie il colore dei suoi occhi o dei suoi capelli. Le istituzioni e i governi
rappresentano il prodotto della razza.
Ben lontani dall'essere i creatori di un'epoca, sono le sue creature. I popoli non sono
governati secondo il loro capriccio d'un momento, bensì come richiede il loro carattere. A
volte ci vogliono dei secoli per formare un regime politico e dei secoli per mutarlo.
Le istituzioni non hanno nessuna virtù intrinseca, in se stesse non sono né buone, né cattive.
Possono essere buone in un certo momento per un dato popolo, e detestabili per un altro.
Un popolo, dunque, non ha il potere di cambiare realmente le sue istituzioni. Può certamente,
a costo di violente rivoluzioni, modificarne il nome, ma il fondo non si modifica. I nomi sono
le vane etichette di cui la storia, che deve badare al valore reale delle cose, non deve tener
conto. Così il paese più democratico del mondo è l'Inghilterra (*), governata tuttavia da un
regime monarchico, mentre le repubbliche ispano-americane, rette da costituzioni
repubblicane subiscono il dispotismo più gravoso. Il destino dei popoli è determinato dai loro
caratteri e non dai loro governi. Ho tentato di dimostrare questa verità in un precedente
volume, portando esempi inconfutabili.
(*) Lo riconoscono, anche negli Stati Uniti, i repubblicani più spinti. Il giornale americano
Forum esprimeva questa opinione categorica con queste parole, secondo la Review of
Reviews del dicembre 1894: «Non si deve mai dimenticare, anche dai più ferventi uomini
dell'aristocrazia, che l'Inghilterra é, oggi, il paese più democratico del mondo, quello in cui i
diritti dell'individuo sono più rispettati e in cui gli individui hanno più libertà ».
E', una fatica puerile, un inutile esercizio di retore il perdere il tempo a fabbricare
costituzioni. La necessità e il tempo si incaricano di elaborarle, quando si lasciano agire questi
due fattori. Il grande storico Macaulay, in alcuni periodi che i politicanti di tutti i paesi latini
dovrebbero imparare a memoria, dimostra che gli Anglo-Sassoni si sono regolati così. Dopo
avere spiegato i benefici delle leggi, che dal punto di vista della ragione pura, sembrano un
caos di assurdità e di contraddizioni, lo storico paragona le dozzine di costituzioni morte negli
sconvolgimenti dei popoli latini d'Europa e d'America con quella dell'Inghilterra, e fa vedere
che quest'ultima é stata cambiata molto lentamente, in parte, sotto l'influenza delle necessità
immediate e mai da ragionamenti speculativi.
«Non bisogna preoccuparsi della simmetria, ma molto dell'utilità; non togliere un'anomalia
solo perché tale; non fare delle innovazioni se non quando si fa sentire qualche disagio e in
questo caso fare delle innovazioni che bastino soltanto a togliere quel disagio; non fare mai
una proposta più grande del caso particolare a cui si vuol rimediare; queste sono le regole
che, dal tempo di Giovanni sino a quello di Vittoria, hanno quasi sempre guidato le
deliberazioni dei nostri 250 parlamenti ».
Bisognerebbe prendere ad una ad una le leggi, le istituzioni di tutti i popoli per far vedere a
che punto esse sono l'espressione dei bisogni della loro razza, e come non potrebbero essere
improvvisamente trasformate. Si possono fare dissertazioni filosofiche, ad esempio, sui
vantaggi e gli inconvenienti della centralizzazione; ma quando vediamo un popolo, composto
di razze diverse, consacrare mille anni di sforzi per arrivare progressivamente a questa
centralizzazione, quando constatiamo che una grande rivoluzione avente per scopo di
distruggere tutte le istituzioni dei passato, fu obbligata, non soltanto a rispettare questa
centralizzazione, ma perfino ad esagerarla, possiamo concludere che essa é figlia di imperiose
necessità, condizione della stessa esistenza, e possiamo compiangere il poco acume degli
uomini politici che la vogliono distruggere. Se per caso le loro opinioni trionfassero, questa
vittoria sarebbe il segnale di una sconvolgente anarchia (*) che, d'altra parte, porterebbe a
una nuova centralizzazione più gravosa dell'antica.
(*) Se si confrontano i profondi dissensi religiosi e politici che separano le diverse parti della
Francia - e sono soprattutto questioni di razza, di tendenze separatiste, manifestatesi
all'epoca della Rivoluzione e delineatesi nuovamente verso la fine della guerra francotedesca
- si vede che le razze diverse esistenti sulla nostra terra, sono ancora ben lontane
dall'essere fuse insieme La centralizzazione energica della Rivoluzione e la creazione dei
dipartimenti artificiali destinati a mescolare le antiche province fu certamente la sua opera
più utile, Se la decentralizzazione, di cui oggi parlano spiriti imprevidenti, potesse essere
attuata, finirebbe con le più sanguinose discordie. Non riconoscere ciò, vuol dire
dimenticare completamente la nostra storia.
Concludiamo quindi che non bisogna cercare nelle istituzioni il mezzo per agire
profondamente sull'anima delle folle. Certi paesi, come gli Stati Uniti, prosperano
meravigliosamente con istituzioni democratiche e altri, come le repubbliche ispanoamericane,
vegetano nella più deplorevole anarchia, nonostante istituzioni simili. Queste
istituzioni sono pure estranee alla grandezza degli uni e alla decadenza delle altre.
I popoli sono governati dal loro carattere, e tutte le istituzioni che non sono modellate sul
carattere non sono che un abito preso a prestito, un travestimento transitorio. Certamente
guerre sanguinose, rivoluzioni violente sono state fatte, e si faranno ancora per imporre
istituzioni alle quali si attribuisce il potere sovrannaturale di creare la felicità. Si potrebbe
dire, in un certo senso, che le istituzioni agiscono sull'anima delle folle poiché generano simili
turbamenti. Ma noi sappiamo che, in realtà, siano vittoriose o vinte, non posseggono in se
stesse nessuna virtù. Quindi la loro conquista non é che un'illusione.
5.° - L'istruzione e l'educazione.
In prima fila, tra le idee dominanti ai nostri tempi, si trova questa : l'istruzione ha per
risultato sicuro di migliorare gli uomini e di renderli uguali. Per il solo fatto della ripetizione,
questa asserzione ha finito per diventare uno dei dogmi più incrollabili della democrazia.
Sarebbe altrettanto difficile sminuirli ora, quanto sarebbe stato difficile sminuire un tempo
quelli della Chiesa.
Ma su questo punto come su molti altri, le idee democratiche sono in profondo disaccordo
con i dati della psicologia e dell'esperienza. Molti filosofi eminenti, Erberto Spencer
specialmente, faticarono poco a dimostrare che l'istruzione non rende l'uomo né più morale
né più felice, che non cambia i suoi istinti e le sue passioni ereditarie e, se mal diretta, può
diventare dannosa invece di utile. Le statistiche hanno confermato questa asserzione
rilevandoci che la criminalità aumenta con la generalizzazione dell'istruzione, e che i peggiori
nemici della società sono molto spesso dei laureati.
Un distinto magistrato, Adolfo Guillot, faceva notare che presentemente si contano 3000
criminali istruiti contro 1000 analfabeti, e che, in cinquant'anni, la criminalità é salita da 227
per 100.000 abitanti, a 552, cioè un aumento del 133 per cento. Egli ha anche notato coi suoi
colleghi che la delinquenza fa progressi specialmente nei giovani per i quali la scuola gratuita
e obbligatoria ha sostituito il patronato.
Nessuno, certo, ha mai sostenuto che l'istruzione ben diretta non possa dare risultati pratici
molto utili, se non per elevare la moralità, almeno per sviluppare le capacità professionali.
Disgraziatamente i popoli latini, specialmente da una trentina d'anni, hanno basato i loro
sistemi di istruzione su principi molto difettosi, e, nonostante le osservazioni di persone
eminenti, persistono nel loro deplorevole errore. Io stesso in altre opere ho dimostrato che la
nostra educazione attuale trasforma in nemici della società una gran parte di quelli che
l'hanno ricevuta, e recluta molti discepoli delle peggiori forme del socialismo.
Il primo pericolo di questa educazione - molto giustamente qualificata latina - é di basarsi su
un errore psicologico fondamentale: credere che l'imparare a memoria dei manuali, sviluppi
l'intelligenza.
Quindi si cerca d'imparare il più possibile; e dalla scuola elementare all'università, il
giovanetto non fa che impinzarsi del contenuto dei libri, senza esercitare mai il suo giudizio e
la sua iniziativa. L'istruzione, per lui, consiste nel recitare e obbedire. « Imparare delle
lezioni, sapere a memoria una grammatica o un compendio, ripeterli bene, ecco - scriveva un
vecchio ministro dell'Istruzione pubblica, Jules Simon - una piacevole educazione dove tutto
lo sforzo è un atto di fede davanti all'infallibilità del maestro, e che non riesce che a sminuirci
e a renderci impotenti ».
Se questa educazione fosse soltanto inutile, ci si potrebbe limitare a compiangere disgraziati
fanciulli ai quali si preferisce insegnare, invece di tante cose necessarie, la genealogia dei figli
di Clotario, le lotte della Néustria e dell'Austrasia, o delle classificazioni zoologiche; ma essa
presenta il pericolo assai più serio di ispirare in colui che l'ha ricevuta, un disgusto violento
della condizione in cui é nato, e l'intenso desiderio di uscirne. L'operaio non vuol più
rimanere operaio, il contadino non vuole essere più contadino, e l'ultimo fra i borghesi più
non vede per suo figlio altra carriera possibile che quella di funzionario di Stato. Invece di
preparare degli uomini per la vita, la scuola non li prepara che a funzioni pubbliche in cui la
riuscita non esige alcuno spirito d'iniziativa. In basso alla scala sociale, essa crea quei militi
del proletariato scontenti del loro destino e sempre pronti alla rivolta, in alto, la borghesia
frivola, scettica e credula ad un tempo, tutta piena di fiducia verso lo Stato provvidente e che
tuttavia essa biasima continuamente, incolpando sempre il governo delle proprie colpe e
incapace di intraprendere qualsiasi cosa senza l'intervento dell'autorità.
Lo Stato, che fabbrica a furia di manuali tutti i suoi diplomati, non può utilizzarne che un
piccolo numero, ed è costretto a lasciare gli altri senza impiego. E perciò necessario
rassegnarsi a nutrire i primi e ad avere come nemici i secondi. Dall'alto al basso della
piramide sociale la massa formidabile dei diplomati assedia oggigiorno gli impieghi. Un
negoziante può assai difficilmente trovare un agente per andare a rappresentarlo nelle
colonie, ma i più modesti impieghi ufficiali sono sollecitati da migliaia di aspiranti. Il
dipartimento della Senna conta da solo 20.000 maestri e maestre senza impiego, e che,
dispregiando i campi e l'officina, si rivolgono allo Stato per vivere. Essendo limitato il numero
dei prescelti, quello degli scontenti é necessariamente immenso.
Questi ultimi sono disposti a tutte le ribellioni, qualunque siano i capi e gli scopi perseguiti.
L'acquisizione di conoscenze inutilizzabili é un sicuro mezzo per trasformare l'uomo in ribelle
(*).
(*) Questo non é, del resto, un fenomeno particolare ai popoli latini; lo si riscontra anche in
Cina, paese retto da una solida gerarchia di mandarini, e in cui il mandarinato si ottiene
per concorsi la cui prova è unicamente la recitazione imperturbabile di voluminosi manuali.
L'esercito dei letterati senza impiego è considerato, oggi, in Cina come una vera calamità
nazionale.. E anche nell'India, ove, da che gli Inglesi hanno aperto le scuole, non come in
Inghilterra, per educare, ma semplicemente per istruire gli indigeni, si é formata una classe
di letterati, i Babù, i quali, quando non possono conquistarsi una posizione, diventano
nemici irriconciliabili della potenza inglese. In tutti i Babù, muniti di un impiego, il primo
effetto dell'istruzione é stato di abbassare immensamente il livello della moralità. Io ho a
lungo insistito su questo punto nel mio libro "Le Civiltà dell'India". Tutti gli autori che
hanno visitato la grande penisola l'hanno ugualmente constatato.
Evidentemente è troppo tardi per risalire una tale corrente. Soltanto l'esperienza, unica
educatrice dei popoli, si incaricherà di disvelarci il nostro errore.
Soltanto essa saprà provarci la necessità di sostituire i nostri odiosi manuali, i nostri meschini
concorsi per un'istruzione professionale capace di ricondurre la giovinezza verso i campi, le
officine, le imprese coloniali, oggi abbandonate.
Quest'istruzione professionale, ora reclamata da tutti gli spiriti illuminati, fu quella che
ricevettero un tempo i nostri padri, e che i popoli attualmente dominatori del mondo hanno
saputo conservare con la loro volontà, la loro iniziativa, il loro spirito intraprendente. In
pagine notevoli, delle quali riprodurrò più innanzi qualche passo essenziale, Taine ha
nettamente dimostrato che la nostra educazione d'un tempo era press'a poco quel che é oggi
l'educazione inglese o americana, e in un importante raffronto tra il sistema latino e il sistema
anglo-sassone, egli ha fatto vedere le conseguenze dei due metodi.
Si potrebbero forse accettare tutti gli inconvenienti della nostra educazione classica,
quand'anche non creasse che spostati e scontenti, se l'acquisizione superficiale di tante
conoscenze, la perfetta recitazione di tanti manuali elevassero il livello dell'intelligenza.
Ma raggiunge essa realmente questo risultato? Ohimé, no ! Il giudizio, l'esperienza,
l'iniziativa, il carattere sono le condizioni di successo nella vita; e tutte questo non lo si
apprende sui libri. I libri sono i dizionari utili da consultarsi, ma dei quali è perfettamente
inutile immagazzinare nella testa lunghi frammenti.
Come può l'istruzione professionale sviluppare l'intelligenza in una misura che sfugge
completamente all'istruzione classica ? Taine lo ha dimostrato assai bene nel passo seguente
« Le idee non si formano che nell'ambiente naturale e normale; ciò che alimenta il loro germe
sono le innumerevoli impressioni sensibili che il giovane tutti i giorni riceve all'officina, nella
miniera, al tribunale, allo studio, sul cantiere, all'ospedale, dinanzi allo spettacolo degli
strumenti, dei materiali e delle operazioni, in presenza dei clienti, degli operai, dei lavoro,
dell'opera particolare dell'occhio, dell'orecchio, delle mani e dello stesso odorato, che,
involontariamente raccolte o sordamente elaborate si organizzano in lui per suggerirgli presto
o tardi combinazioni nuove, semplificazione, economia, perfezionamento o invenzione. Di
tutti questi contatti preziosi, di tutti questi elementi assimilati ed indispensabili è privato il
giovane alunno, e proprio nell'età feconda: per sette od otto anni egli è sequestrato in una
scuola, lontano dall'esperienza diretta e personale che gli avrebbe dato la nozione esatta e
viva delle cose, degli uomini e dei diversi modi di dominarli.
... Almeno nove su dieci hanno perduto tempo e fatica; parecchi anni della loro vita, anni
efficaci, importanti e anche decisivi. Calcolate intanto la metà o i due terzi di quelli che si
presentano all'esame, voglio dire i rifiutati; poi, tra gli ammessi, graduati, brevettati e
diplomati, ancora la metà o i due terzi, voglio dire gli affaticati. Si é loro domandato troppo
esigendo che in un tal giorno, su una sedia o dinanzi a un tavolo, fossero per due ore e per un
gruppo di scienze, viventi repertori di tutta l'umana conoscenza. Difatti lo sono stati, o quasi,
quel giorno, per due ore; ma un mese dopo, non lo sono più. Essi non potrebbero subire di
nuovo l'esame; le loro acquisizioni, troppo numerose e troppo pesanti, sfuggono
incessantemente fuori del loro spirito, e non ne acquistano di nuove. Il loro vigore mentale ha
ceduto; la linfa feconda si é disseccata, l'uomo fatto compare, invece spesso é già finito.
Collocato a posto, ammogliato, rassegnato a girare a tondo e indefinitamente nello stesso
cerchio, si rifugia nel suo piccolo ufficio; lo assolve correttamente, e non vede più nulla
all'infuori di quello. Tale é il rendimento medio; certamente la ricetta non compensa la spesa.
In Inghilterra e in America, o, come un tempo in Francia, prima del 1789, si impiega il
processo inverso, e il rendimento ottenuto è uguale o superiore ».
L'illustre storico ci mostra poi la differenza del nostro sistema con quello degli Anglo-Sassoni.
Presso di loro l'insegnamento non proviene dal libro, ma dalla cosa stessa. L'ingegnere, ad
esempio, formandosi in un'officina e mai in una scuola, ne deriva che ognuno può arrivare
esattamente al grado che la sua intelligenza comporta: operaio o ispettore se egli è incapace di
andare più lontano : ingegnere, se le sue attitudini lo permettono. E' un processo democratico
e utile per la società, assai diverso da quello che fa dipendere tutta la carriera di un individuo
da un esame di qualche ora, subìto a diciotto o vent'anni.
« All'ospedale, nella miniera, nella manifattura, dall'architetto, dall'uomo di legge, l'allievo,
ammesso giovanissimo, fa il suo tirocinio e press'a poco come da noi uno scrivano nel suo
ufficio o un allievo pittore nel suo studio. Anzitutto, prima di entrare, egli ha potuto seguire
qualche corso generale e sommario, allo scopo d'avere un quadro belle e pronto in cui
collocare le sue osservazioni. Tuttavia, c'è spesso, qualche corso tecnico che egli potrà seguire
nelle ore libere, allo scopo di coordinare di mano in mano le sue esperienze quotidiane. Sotto
un simile regime, la capacità pratica cresce e si sviluppa di per sé stessa, proprio sino al grado
che le facoltà dell'allievo permettono, e nella direzione richiesta dalla sua futura necessità per
l'opera particolare alla quale sin da principio vuole adattarsi. In tal modo, in Inghilterra e
negli Stati Uniti, il giovane riesce presto a trarre da se medesimo tutto ciò di cui è capace. Da
venticinque anni, e anche assai prima, se la sostanza e il fondamento non gli mancano, egli é
non solo un esecutore utile, ma anche un uomo di spontanea intraprendenza; non solo un
meccanismo, ma anche un motore. In Francia, dove il processo inverso ha prevalso, e ogni
generazione diventa sempre più cinesizzata, il totale delle forze perdute è enorme ».
E il grande filosofo arriva alla seguente conclusione sulla sproporzione crescente della nostra
educazione latina e della vita.
"Nei tre gradi dell'istruzione - per l'infanzia, l'adolescenza e la gioventù - la preparazione
teorica e scolastica sui banchi, per mezzo dei libri, s'é prolungata e aggravata, in vista
dell'esame o del grado o del diploma o del brevetto, e coi mezzi peggiori: con l'applicazione di
un regime antinaturale e antisociale, col convitto, coll'eccessivo ritardo del tirocinio pratico,
con l'allenamento artificiale e il riempimento meccanico, con lo strapazzo, senza
considerazione del tempo in cui il ragazzo sarà adulto e delle funzioni virili che l'uomo fatto
dovrà compiere, non tenendo conto del mondo reale dove il giovane dovrà vivere, della
società a cui bisogna adattarlo o farlo piegare, del conflitto umano dove per difendersi e
tenersi in piedi, egli dovrà essere, anzitutto, equipaggiato, armato, esercitato e pieno di forza.
« Questo necessario equipaggiamento, questi requisiti più importanti di tutti gli altri, questa
solidità del buon senso, della volontà e dei nervi, le nostre scuole non glieli procurano; al
contrario, ben lontane dal qualificarlo, lo squalificano per la sua condizione prossima e
definitiva. La sua entrata nel mondo e i suoi primi passi nel campo dell'azione pratica, spesse
volte, non sono che una serie di cadute dolorose; egli ne resta ferito, ne porta le tracce a
lungo, e qualche volta per sempre. È una dura e pericolosa prova; l'equilibrio morale e
mentale si altera, e corre rischio di non ristabilirsi più; la delusione è stata troppo improvvisa
e completa; i disinganni sono stati troppo grandi e il disgusto troppo forte » (*).
(*) Taine. Il regime moderno, v. II, 1894. - Queste pagine sono quasi le ultime che Taine
scrisse. Riassumono molto bene il risultato delle sue lunghe esperienze. L'educazione é il
nostro solo mezzo per agire un poco sull'anima del popolo:. E molto triste che quasi nessuno
in Francia arrivi a comprendere che spaventoso elemento di decadenza costituisca il nostro
insegnamento attuale. Invece di educare la gioventù, la abbassa e la pervertisce".
Ci siamo allontanati dalla psicologia delle folle ? No di certo. Per comprendere le idee, le
credenze che oggi germinano nelle folle, per fiorire domani, bisogna sapere come è stato
preparato il terreno. L'insegnamento dato alla gioventù d'un paese, permette di prevedere un
po' il destino di quel paese. L'educazione della generazione d'oggi giustifica le più tristi
previsioni. L'anima delle folle, in parte, si migliora o si altera con l'istruzione. Era dunque
necessario far vedere come l'ha foggiata, e come la massa degli indifferenti e dei neutrali é
diventata progressivamente un immenso esercito di malcontenti, pronto a seguire tutte le
suggestioni degli utopisti e dei retori. La scuola, oggi, forma dei malcontenti e degli, anarchici
e prepara, per i popoli latini, dei periodi di decadenza.
CAPITOLO II.
Fattori immediati delle opinioni delle folle. Le immagini, le parole, le formule
1.° Le immagini, le parole e le formule. - Potenza magica delle parole e delle formule. - Il
potere delle parole é collegato alle immagini che esse evocano indipendentemente dal loro
senso reale. Queste immagini mutano di età in età, di razza in razza. Il consumo di parole. -
Esempi di notevoli variazioni del senso di qualche parola molto usuale. - Utilità politica di
dare nomi nuovi a cose vecchie, quando le parole con cui vengono designate, producono un
cattivo effetto sulle folle. - Variazione del senso delle parole secondo la razza. - Senso
differente delle parole democratiche in Europa e in America. - 2.° Le illusioni. - Loro
importanza. --- Si ritrovano nella base di ogni civiltà. - Le folle preferiscono le illusioni alle
verità. 3.° L'esperienza. - Soltanto l'esperienza può radicare nell'anima delle folle, delle verità,
diventate necessarie, e distruggerne altre diventate dannose. - L'esperienza é efficace soltanto
se ripetuta. - Quello che costano le esperienze necessarie per persuadere le folle. - 4.° La
ragione. - Nullità della sua influenza sulle folle. - Le folle si dominano soltanto agendo sui loro
sentimenti incoscienti. - La funzione della logica nella storia. - Le cause segrete degli
avvenimenti inverosimili.
Abbiamo cercato i fattori lontani e preparatorii che danno alle folle uno speciale potere,
rendendo possibile in esse, il fiorire di certi sentimenti e di certe idee. Ci resta ora da
esaminare i fattori capaci di esercitare un'azione immediata. Vedremo in un altro capitolo
come devono essere adoperati questi fattori perché producano tutto il loro effetto.
La prima parte della nostra opera si é occupata dei sentimenti, delle idee, dei ragionamenti
delle collettività; e questa conoscenza può fornire in modo generale, i mezzi per
impressionare la loro anima. Sappiamo già ciò che colpisce l'immaginazione delle folle, il
potere e il contagio della suggestione, specialmente se presentati sotto forma di immagini. Ma
le suggestioni possibili essendo d'origine molto diversa, i fattori capaci di agire sull'anima
delle folle possono essere diversissimi. E necessario quindi esaminarli separatamente. Le folle
sono un po' come la sfinge dell'antica favola; bisogna saper risolvere i problemi che ci pone la
loro psicologia, o rassegnarsi a essere divorati da essa.
1.° - Le immagini, le parole e le formule.
Studiando l'immaginazione delle folle, abbiamo visto che le folle sono impressionate
specialmente dalle immagini. Se non sempre si dispone di queste immagini, si può evocarle
adoperando con giudizio parole e formule. Adoperate con arte, possiedono davvero il
misterioso potere che, un tempo, loro attribuivano quelli che si intendevano di magia.
Provocano nell'anima delle moltitudini le più terribili tempeste, e sanno anche calmarle. Si
potrebbe innalzare una piramide più alta di quella di Cheope soltanto con le ossa delle vittime
del potere delle parole e delle formule.
Il potere delle parole é legato alle immagini che evocano, e completamente indipendente dal
loro reale significato. Talvolta le parole più mal definite, sono quelle che fanno più
impressione. Come, ad esempio, le parole: democrazia, socialismo, eguaglianza, libertà, ecc. il
cui senso é così vago che non basterebbero dei grossi volumi a precisarlo. E tuttavia alle loro
sillabe è unito un magico potere, come se contenessero la soluzione di tutti i problemi. Queste
parole sintetizzano diverse aspirazioni incoscienti e la speranza della loro realizzazione. La
ragione e le discussione non potrebbero lottare contro certe parole e certe formule. Vengono
pronunciate con raccoglimento dinanzi alle folle; e, subito, tutti i visi prendono
un'espressione rispettosa e le teste si chinano. Molti le considerano come forze della natura,
poteri sovrannaturali. Evocano nell'anima immagini grandiose e vaghe, ma appunto quel non
so che di vago aumenta il loro misterioso potere. Si possono paragonarle a quelle temute
divinità nascoste dietro i tabernacoli, a cui i devoti si avvicinano tremanti.
Le immagini evocate dalle parole, essendo indipendenti dal loro senso, cambiano di età in età,
da un popolo all'altro popolo, benché rivestite delle stesse formule. A certe parole si
accoppiano momentaneamente certe immagini: le parole non sono che il campanello di
richiamo che le fa comparire. Tutte le parole e tutte le formule non hanno il potere di evocare
delle immagini; e ce ne sono altre che, dopo averne evocate, si logorano e non risvegliano più
nulla nello spirito. Diventano allora dei suoni vani, la cui utilità principale è quella di
dispensare colui che le adopera dall'obbligo dì pensare. Con un piccolo stock di formule e di
luoghi comuni imparati in gioventù, abbiamo di che attraversare la vita senza la faticosa
necessità di riflettere.
Se si considera una determinata lingua, si vede che le parole di cui si compone si modificano
assai lentamente col passare del tempo; mentre le immagini che esse evocano o il senso che
vien loro dato, cambiano continuamente. Per questo, in un'altra mia opera, sono arrivato alla
conclusione che la traduzione esatta di una lingua, soprattutto quando si tratta di popoli
morti, è impossibile. Che cosa facciamo in realtà, sostituendo un termine francese a uno
latino, greco o sanscrito, oppure quando cerchiamo di capire un libro scritto nella nostra
lingua di qualche secolo prima ? Sostituiamo semplicemente le immagini e le idee che la vita
moderna ha suscitato nella nostra mente, alle nozioni e alle immagini completamente diverse
che la vita antica aveva fatto nascere nell'anima dei popoli che vivevano una vita che non ha
analogia con la nostra.
Gli uomini della Rivoluzione, credendo di copiare i Greci e i Romani, davano a parole antiche
un senso che non ebbero mai. Che somiglianza poteva esserci fra le istituzione dei Greci e
quelle dei nostri tempi, indicate con le stesse parole ? Che era allora una repubblica, se non
un'istituzione essenzialmente aristocratica formata da una riunione di piccoli despoti che
dominavano una folla di schiavi tenuti nella più assoluta soggezione? Quelle aristocrazie
comunali, basate sulla schiavitù, non avrebbero potuto esistere un istante senza di essa.
E la parola libertà, che cosa poteva significare a paragone di come é intesa oggi, in un'epoca in
cui la libertà di pensare non era neanche ammissibile, e in cui non c'era misfatto più grande e
più raro, del resto, di quello di discutere gli dei, le leggi e i costumi della città ? La parola
patria, nell'animo di un Ateniese o di uno Spartano, significava il culto di Atene o di Sparta, e
niente affatto quello della Grecia, formata da città rivali e sempre in guerra., La stessa parola
patria, quale senso aveva presso gli antichi Galli divisi in tribù rivali, di razza, lingua e
religioni diverse, che Cesare vinse facilmente perché aveva sempre fra di esse degli alleati?
Soltanto Roma dotò la Gallia di una patria dandole l'unità politica e religiosa. E anche senza
risalire a tempi lontani, retrocedendo di appena due secoli, é da credersi che la stessa parola
patria fosse concepita come oggi da principi francesi, ad esempio dal grande Condè, che si
alleava allo straniero contro il suo sovrano? E la stessa parola non aveva un senso assai
diverso da quello moderno per gli emigrati che pensavano obbedire alle leggi dell'onore
combattendo la Francia, e obbedendovi infatti dal loro punto di vista, poiché la legge feudale
legava il vassallo al signore e non alla terra, e colà ove comandava il sovrano era la vera
patria?
Numerose sono le parole il cui senso é profondamente cambiato col volgere del tempo. Non
possiamo arrivare a comprenderle com'esse erano un tempo, se non dopo un lungo sforzo.
Molta lettura é necessaria, lo si é detto con ragione, per giungere solo a concepire ciò che
significavano agli occhi dei nostri antenati parole come re e famiglia reale. Che cosa sarà stato
per i termini più complessi ?
Le parole non hanno dunque che significati mutevoli e passeggeri, che cambiano da un'epoca
all'altra, e da un popolo all'altro. Quando vogliamo operare con esse sulla folla, bisogna
sapere il senso che hanno per essa in un dato momento, e non quello che esse ebbero una
volta o che possono avere per individui di costituzione mentale diversa. Le parole vivono
come le idee. Di modo che quando le folle, in seguito a sommosse politiche, cambiamenti di
credenze, finiscono per professare una profonda antipatia per le immagini evocate da certe
parole, il primo dovere per il vero uomo di Stato é quello di cambiare tali parole, senza, ben
inteso, toccare le cose stesse. Quest'ultime sono troppo legate a una costituzione ereditaria
per poter essere trasformate.
L'assennato Tocqueville fa notare che il lavoro del Consolato e dell'Impero consisté
soprattutto nel rivestire di parole nuove la maggior parte delle istituzioni del passato, nel
sostituire per conseguenza parole che evocavano preoccupanti visioni nell'immaginazione con
altre la cui novità impediva simili evocazioni. L'imposta è diventata contributo fondiario; la
gabella, imposta del sale; aiuti, contributi indiretti e diritto riunito; la tassa di dominio,
patente, ecc. Una delle funzioni più essenziali degli uomini di Stato consiste dunque nel
battezzare con parole popolari, o almeno neutre, le cose detestate dalle folle sotto i loro
antichi nomi. La potenza delle parole é cosa grande che bastano termini bene scelti per far
accettare le cose più odiose. Taine nota giustamente che proprio evocando la libertà e la
fraternità, termini popolarissimi, i Giacobini hanno potuto « stabilire un despotismo degno
del Dahomey, un tribunale simile a quello dell'Inquisizione, compiere ecatombi paragonabili
a quelle dell'antico Messico ».
L'arte dei governanti, come quella degli avvocati, consiste principalmente nel saper adoperare
le parole. Arte difficile, perché, in una stessa società, le stesse parole hanno di frequente sensi
diversi per i diversi gradi sociali. Essi impiegano in apparenza le stesse parole; ma non
parlano la stessa lingua. Negli esempi che precedono abbiamo fatto intervenire il tempo come
principale fattore del cambiamento di senso delle parole. Se facciamo intervenire anche la
razza, vedremo allora che in una stessa epoca, presso popoli ugualmente civilizzati, ma di
razza diversa, parole identiche assai spesso corrispondono a idee estremamente dissimili.
Queste differenze non possono comprendersi senza numerosi viaggi; perciò non saprei
insistere su di esse, limitandomi a far rilevare che sono precisamente le parole più impiegate
quelle che, da un popolo all'altro, possiedono i sensi più diversi. Tali, ad esempio, le parole
democrazia e socialismo, oggi di uso così frequente.
Esse corrispondono, in realtà, a idee e immagini completamente opposte negli animi latini e
negli animi anglo-sassoni. Presso i Latini, la parola democrazia significa soprattutto
annullamento della volontà e dell'iniziativa individuale dinanzi a quelle dello Stato. Questo é
sempre più incaricato di dirigere, di centralizzare, di monopolizzare e di fabbricare. Allo Stato
tutti i partiti, senza eccezione, radicali, socialisti e monarchici, fanno costantemente appello.
Per l'Anglo-sassone, specie quello d'America, la parola democrazia significa invece sviluppo
intenso della volontà e dell'individuo, annullamento dello Stato, al quale, all'infuori della
polizia, dell'esercito e delle relazioni diplomatiche, non si lascia nulla dirigere, neanche
l'istruzione. La stessa parola possiede dunque presso questi due popoli significati
assolutamente contrari (*).
(*) In "Le leggi psicologiche dell'evoluzione dei popoli", ho lungamente insistito sulla
differenza che separa l'ideale democratico latino dall'ideale democratico anglo-sassone.
2.° - Le illusioni.
Fin dal principio di ogni civiltà, i popoli hanno sempre subito l'influenza delle illusioni. La
maggior parte dei templi, delle statue e degli altari, sono stati innalzati ai creatori di illusioni.
Illusioni religiose un tempo, illusioni filosofiche e sociali oggi; queste formidabili sovrane si
trovano in testa a tutte le civiltà che sono fiorite successivamente sul nostro pianeta. In loro
nome sono stati eretti i templi della Caldea e dell'Egitto, i monumenti religiosi del Medioevo,
e tutta l'Europa é stata sconvolta un secolo fa. Nessuna concezione artistica, politica o sociale
è priva della loro profonda impronta. A volte l'uomo le rovescia a costo di turbamenti
spaventosi, ma sembra condannato a rialzarle sempre. Senza le illusioni, l'uomo non avrebbe
potuto uscire dalla primitiva barbarie, e senza di esse vi ricadrebbe nuovamente. Sono
fantasmi certamente; ma queste creature dei nostri sogni hanno incitato i popoli a creare
tutto ciò che costituisce lo splendore delle arti e la grandezza delle civiltà.
« Se si distruggessero nei musei e biblioteche, e si facessero crollare dai sagrati tutte le opere
ed i monumenti artistici che le religioni hanno ispirato, che cosa resterebbe dei grandi sogni
umani? - dice uno scrittore che riassume le nostre dottrine - Dare agli uomini la parte di
speranza e d'illusioni senza cui non potrebbero vivere, é questa la ragione d'essere degli dei,
degli eroi e dei poeti. Per qualche tempo parve che la scienza si assumesse questo compito.
Ma il non osare promettere abbastanza e il non saper mentire abbastanza, l'ha compromessa
presso i cuori assetati di ideali. »
Il filosofi dell'ultimo secolo si sono consacrati con fervore a distruggere le illusioni religiose,
politiche e sociali di cui erano vissuti, per lunghi secoli, i nostri padri. Distruggendole, hanno
inaridito le sorgenti della speranza e della rassegnazione. Dietro le chimere sacrificate, essi
hanno trovato le forze cieche della natura, inesorabili per la debolezza e prive di pietà.
La filosofia, con tutti i suoi progressi, non ha ancora potuto dare ai popoli nessun ideale
capace di attrarli. Essendo le illusioni indispensabili ai popoli, questi si volgono per istinto
come l'insetto che va verso la luce, verso i retori che gliele offrono. Il grande fattore
dell'evoluzione dei popoli non é mai stato la verità, bensì l'errore. E il socialismo vede oggi
crescere il suo potere perché costituisce l'unica illusione esistente. Le dimostrazioni
scientifiche non intralciano affatto il suo cammino progressivo. La sua principale forza é
quella d'essere difeso da spiriti che ignorano abbastanza la realtà delle cose per promettere
arditamente all'uomo la felicità.
L'illusione sociale regna attualmente su tutte le rovine del passato, e l'avvenire é suo. Le folle
non hanno mai avuto sete di verità. Dinanzi alle evidenze che a loro dispiacciono, si voltano
da un'altra parte, preferendo deificare l'errore, se questo le seduce. Chi sa illuderle, può
facilmente diventare loro padrone, chi tenta di disilluderle é sempre loro vittima.
3.° - L'esperienza.
L'esperienza é il solo mezzo efficace per radicare solidamente una verità nell'anima delle folle
e distruggere le illusioni diventate troppo dannose. Però dev'essere realizzata su larga scala e
ripetuta molte volte. Le esperienze fatte da una generazione sono generalmente inutili per
quella che la segue, poiché gli avvenimenti storici ricordati come elementi di dimostrazione,
non potrebbero servire. La loro sola utilità é di provare a che punto le esperienze devono
essere ripetute di età in età per esercitare qualche influenza, e riuscire a far crollare un errore
solidamente radicato.
Il nostro secolo e quello che l'ha preceduto, saranno citati senza dubbio dagli storici
dell'avvenire come un'era di curiose esperienze. In nessun tempo ne sono state tentate
altrettante. La più gigantesca fu la rivoluzione francese. Per scoprire che non si può rifare
pezzo per pezzo una società, secondo i suggerimenti della ragione pura, fu necessario
massacrare parecchi milioni d'uomini e sconvolgere l'Europa intera per vent'anni. Per
provare sperimentalmente che i Cesari costano cari ai popoli che li acclamano, furono
necessarie, in cinquant'anni, due terribili esperienze, e nonostante la loro chiarezza, pare che
non siano state abbastanza convincenti. La prima costò tuttavia tre milioni d'uomini e una
invasione, e la seconda uno smembramento e la necessità di un esercito permanente. Ci fu un
pericolo che ne fosse tentata una terza, qualche anno fa, e lo sarà ancora.
Per far capire che l'esercito tedesco non era, come si diceva nel 1870, una specie di guardia
nazionale inoffensiva (*), fu necessaria la terribile guerra che è costata così cara. Per
dimostrare che il protezionismo finisce col rovinare i popoli che l'accettano, saranno
necessarie disastrose esperienze. Si potrebbero moltiplicare all'infinito questi esempi.
(*) In questo caso, l'opinione s'era formata con le associazioni grossolane di cose dissimili di
cui ho esposta precedentemente il meccanismo. La nostra guardia nazionale di allora era
composta di pacifici bottegai, senza disciplina, e non potendo questa essere presa sul serio,
tutto quello che portava un nome simile risvegliava le stesse immagini ed era quindi
considerato egualmente inoffensivo. L'errore delle folle era allora condiviso - come capita
spesso per le opinioni generali - dai loro caporioni. In un discorso pronunciato il 31
dicembre 1867 alla camera dei deputati, un uomo di Stato che ha spesso seguito l'opinione
delle folle, Thiers, ripeteva che la Prussia, oltre a un esercito attivo press'a poco uguale a
quello francese, non possedeva che una guardia nazionale analoga a quella francese, e
quindi senza importanza.
4.° - La ragione.
Nella enumerazione dei fattori capaci di impressionare l'anima delle folle potremmo fare a
meno di nominare la ragione, se non fosse necessario indicare il valore negativo della sua
influenza. Abbiamo già dimostrato che le folle non sono influenzabili coi ragionamenti, e non
comprendono che grossolane associazioni di idee. Gli oratori che sanno impressionarle, non
fanno mai appello alla loro ragione, ma ai loro sentimenti. Le leggi della logica razionale non
hanno nessun potere sulle folle (*). Per convincere le folle, bisogna prima rendersi ben conto
dei sentimenti da cui sono animate, fingere di condividerli, poi tentare di modificarli,
provocando, per mezzo di facili associazioni, certe immagini suggestive, saper tornare - al
bisogno - sui propri passi, e soprattutto indovinare in ogni momento, i sentimenti che si
suscitano. La necessità di variare il proprio linguaggio secondo l'effetto prodotto nel
momento in cui si parla, rende inefficaci i discorsi preparati e studiati. L'oratore, seguendo il
suo pensiero e non quello dell'uditorio, perde soltanto per questo, tutta l'influenza.
(*) Le mie prime osservazioni sull'arte di impressionare le folle, e le deboli risorse che
offrono, sotto questo punto di vista, le, regole della logica, datano dall'epoca dell'assedio di
Parigi, il giorno in cui vidi condurre al Louvre, dov'era il governo, il maresciallo V... che,
secondo una folla furiosa, era stato sorpreso mentre portava via il piano delle fortificazioni
per venderlo ai Prussiani. Un membro del governo, G. P..., celebre oratore, usci per
arringare la folla che reclamava l'esecuzione immediata del prigioniero. Mi aspettavo che
l'oratore dimostrasse l'assurdità dell'accusa dicendo che il maresciallo accusato era
precisamente uno dei costruttori delle fortificazioni il cui piano si vendeva, d'altra parte, in
tutte le librerie. Con mia grande sorpresa - ero molto giovane allora - il discorso fu ben
altro. "Giustizia sarà fatta, gridò l'oratore avanzando verso il prigioniero; non avremo
nessuna pietà. Lasciate che il governo per la difesa nazionale finisca la vostra inchiesta.
Intanto terremo prigioniero l'accusato ». Calmata da questa assicurazione, la folla si
sciolse, e dopo un quarto d'ora, il maresciallo poté tornare a casa sua. Sarebbe stato fatto a
pezzi, di sicuro, se il suo avvocato avesse tenuto alla folla furibonda un ragionamento logico
che la mia giovane età giudicava tanto convincente.
Gli spiriti logici, abituati alle concatenazioni dei ragionamenti un po' serrati, non possono far
a meno di ricorrere a questo metodo di persuasione quando si rivolgono alle folle, e poi
restano sempre sorpresi della mancanza di effetto dei loro argomenti. « Le conseguenze
matematiche usuali fondate sul sillogismo, vale a dire su associazioni d'identità, scrive un
logico, sono necessarie. La necessità porterebbe all'assentimento di una masse inorganica, se
questa fosse capace di seguire delle associazioni di identità ». Certamente; ma la folla, come la
massa inorganica, é incapace di seguirle, e di capirle. Cercate di convincere con dei
ragionamenti degli spiriti primitivi, selvaggi o fanciulli, ad esempio, e vi renderete conto del
debole valore che possiede questo modo di argomentare.
E non c'é neanche bisogno di discendere fino agli esseri primitivi per constatare la completa
impotenza dei ragionamenti quand'essi devono lottare con dei sentimenti. Rammentiamoci
semplicemente quanto sono state tenaci, per lunghi secoli, alcune superstizioni religiose,
contrarie alla più semplice logica. Per quasi duemila anni, i geni più luminosi sono stati
piegati sotto le loro leggi, e fu necessario arrivare ai tempi moderni perché la loro verità abbia
potuto essere soltanto contestata. Il Medioevo e il Rinascimento possederono molti grandi
uomini; e non ne hanno posseduto uno solo al quale il raziocinio abbia mostrato i lati infantili
di tali superstizioni e che abbia fatto sorgere il più lieve dubbio sui misfatti del diavolo o sulla
necessità di bruciare gli stregoni.
C'e da dolersi che la ragione non sia la guida delle folle ? Non oseremmo dirlo.
Senza dubbio, la ragione umana non sarebbe riuscita a trascinare l'umanità sulle vie della
civiltà con l'ardore e l'arditezza con cui l'hanno sollevata le sue chimere. Figlie dell'incosciente
che ci guida, tali chimere erano probabilmente necessarie. Ogni razza porta nella sua
costituzione mentale le leggi dei suoi destini, e forse obbedisce a queste leggi per un
ineluttabile istinto, perfino negli impulsi apparentemente più irragionevoli. Pare talvolta che i
popoli siano sottomessi a forze segrete analoghe a quelle che obbligano la ghianda a
trasformarsi in quercia o la cometa a seguire la sua orbita.
Il poco che noi possiamo presentire di queste forze dev'essere cercato nel generale procedere
dell'evoluzione di un popolo e non nei fatti isolati da cui questa evoluzione sembra a volte
sorgere. Se non si considerassero che questi fatti isolati, la storia sembrerebbe guidata da casi
assurdi. Sarebbe stato impossibile che un incolto falegname di Galilea potesse diventare per
duemila anni un Dio onnipotente, nel cui nome fu fondata una civiltà; sarebbe inoltre
inverosimile che qualche banda di Arabi usciti dai loro deserti, potessero conquistare la
maggior parte del mondo greco-romano, e fondare un impero più grande di quello di
Alessandro; inverosimile sarebbe inoltre che, in un'Europa vecchissima e gerarchizzata, un
semplice sottotenente corso fosse riuscito a regnare su una folla di popoli e di re.
Lasciamo dunque la ragione ai filosofi, ma non le chiediamo troppo di intervenire nel governo
degli uomini. Non con la ragione, ma, spesso, nonostante essa, si sono creati sentimenti come
l'onore, l'abnegazione, la fede religiosa, l'amore della gloria e della patria, che sono stati fin
qui i grandi suscitatori di tutte le civiltà.
CAPITOLO III.
I condottieri delle folle e i loro mezzi di persuasione.
1.° - I condottieri delle folle. Bisogno delle, folle di obbedire a un capo. - Psicologia dei
condottieri. - Essi possono far nascere la fede e dare un'organizzazione alle folle. - Dispotismo
esagerato dei caporioni. - Classificazione dei condottieri. - Funzione della volontà. - 2.° I
mezzi d'azione dei condottieri. - L'affermazione, la ripetizione, il contagio. - Funzione
rispettiva di questi fattori. - Come il contagio può risalire dagli strati inferiori agli strati
superiori delle società. - Un'opinione popolare diventa subito opinione generale. - 3.° Il
prestigio. - Definizione e classificazione del prestigio. - Il prestigio acquisito e il prestigio
personale. - Come cade il prestigio.
La costituzione mentale delle folle ci è nota, e sappiamo anche quali siano i moventi che
impressionano la loro anima. Ci resta da vedere come devono essere adoperati questi
moventi, a da chi possono essere massi in opera con profitto.
1.° - I condottieri delle folle.
Non appena un certo numero di esseri viventi sono riuniti, si tratti d'un branco di animali o di
una folla d'uomini, si mettono istintivamente sotto l'autorità di un capo, cioè di una guida.
Nelle folle umane, il caporione ha una parte notevole. La sua volontà é il nodo intorno a cui si
formano e si identificano le opinioni. La folla é un gregge che non potrebbe far a meno di un
padrone. Il condottiero quasi sempre é stato prima un fanatico ipnotizzato dall'idea di cui in
seguito s'é fatto apostolo. Quest'idea ha talmente invaso che tutto sparisce all'infuori di essa, e
tutte le opinioni contrarie gli sembrano errori e superstizioni. Così Robespierre, ipnotizzato
dalle sue chimereche idee, e che adoperò i procedimenti dell'Inquisizione per propagarle.
I trascinatori di folle, il più delle volte, non sono intellettuali, ma uomini d'azione. Sono poco
chiaroveggenti, e non potrebbero esserlo, poiché la chiaroveggenza porta generalmente al
dubbio e all'inazione. Appartengono specialmente a quei nevrotici, a quegli eccitati, a quei
semi-alienati che rasentano la pazzia. Per quanto assurda sia l'idea che difendono o lo scopo
che vogliono raggiungere, tutti i ragionamenti si smussano contro la loro convinzione. Il
disprezzo e le persecuzioni non fanno che eccitarli maggiormente. Tutto é sacrificato,
interesse personale e famiglia. Perfino l'istinto di conservazione viene distrutto in essi, a tal
punto che, spesso, la sola ricompensa che essi ambiscono é il martirio. L'intensità della fede
dà alle loro parole un grande potere suggestivo. La moltitudine ascolta sempre l'uomo dotato
di volontà forte. Gli individui riuniti in folla, perdendo ogni volontà, si volgono istintivamente
verso chi ne possiede una.
I condottieri non sono mai mancati; ma tutti non possiedono le convinzioni profonde che
fanno gli apostoli. Spesso sono retori sottili, che fanno il loro interesse personale e cercano di
persuadere lusingando bassi istinti. Così l'influenza che esercitano è sempre effimera. I grandi
apostoli che sollevarono l'anima delle folle, i Pietro l'Eremita, i Lutero, i Savonarola, gli
uomini della Rivoluzione, hanno esercitato un fascino dopo essere stati essi stessi soggiogati
da un'idea. Allora poterono far nascere nelle anime , quel potere formidabile chiamato fede,
che rende l'uomo schiavo assoluto del proprio sogno.
Far nascere la fede, sia fede religiosa, politica o sociale, fede in un'opera, in una persona, in
un'idea, questo, soprattutto, é il compito dei grandi condottieri. Di tutte le forze di cui la
natura dispone, la fede è sempre stata una delle più notevoli, ed ha ben ragione il Vangelo
attribuendole il potere di sollevare le montagne. Dare all'uomo una fede, vuol dire decuplicare
la sua forza. I grandi avvenimenti storici furono spesso realizzati da oscuri credenti che non
avevano che la loro fede. Le religioni che hanno governato il mondo, e i vasti imperi che si
estendevano da un emisfero all'altro, non sono sorti per merito di letterati o di filosofi o di
scettici. Ma tali esempi si applicano ai grandi condottieri, e questi sono troppo rari perché la
storia possa facilmente notarne il numero. Essi formano una serie continua, che dal potente
condottiero d'uomini scende all'operaio che, in una fumosa osteria, affascina lentamente i
suoi compagni rimasticando continuamente certe formule che egli non capisce, ma la cui
applicazione - secondo lui - deve portare alla immediata realizzazione di tutti i sogni e di tutte
le speranze.
In ogni sfera sociale, dalla più alta alla più bassa, non appena l'uomo non é più isolato, cade
sotto la legge di un capo. La maggior parte degli individui, specialmente nelle masse popolari,
non avendo nessuna idea netta e ragionata al di fuori della loro specialità, sono incapaci di
guidarsi. Il condottiero serve loro da guida. Può essere sostituito, ma non in modo completo,
da quelle pubblicazioni periodiche che fabbricano delle opinioni per i loro lettori e procurano
loro frasi fatte dispensandoli dal riflettere. L'autorità dei condottieri é molto dispotica, e non
arriva ad imporsi che con questo dispotismo. Si é notato come si facciano ubbidire facilmente,
senza tuttavia possedere nessun mezzo per appoggiare la loro autorità, tra gli operai più
turbolenti. Essi fissano le ore di lavoro, i salari, decidono gli scioperi, li fanno cominciare o
cessare a ore fisse.
Gli agitatori tendono oggi a sostituire progressivamente i poteri pubblici a misura che questi
ultimi si lasciano discutere e indebolire. Grazie alla loro tirannia, questi nuovi padroni
ottengono dalle folle una docilità completa che nessun governo può ottenere. Se, per un
incidente qualsiasi, il condottiero sparisce e non é subito sostituito, la folla ridiventa una
collettività senza coesione né resistenza. Durante lo sciopero dei conducenti d'omnibus a
Parigi, fu sufficiente arrestare i due agitatori che lo dirigevano, per farlo subito cessare.
L'anima delle folle é sempre dominata dal bisogno di servitù e non da quello di libertà. La sete
di obbedienza le fa sottomettere d'istinto a chi si dichiara loro padrone.
Si può fare una divisione abbastanza netta nella classe dei condottieri. Gli uni sono uomini
molto energici, dalla volontà tenace, ma momentanea; gli, altri, molto più rari, possiedono
una volontà forte e tenace nello stesso tempo. I primi sono violenti, arditi. Sono utili
specialmente per dirigere un colpo di mano, per trascinare le masse nonostante il pericolo, e
trasformare in eroi le reclute del giorno prima. Così furono, ad esempio, Ney e Murat, sotto il
primo Impero. E così fu Garibaldi, uomo del popolo, ma energico, che riuscì con un pugno
d'uomini, ad impadronirsi dell'antico regno di Napoli difeso da un esercito disciplinato.
Ma se l'energia di simili condottieri é potente, è però momentanea e non sopravvive al
movente che l'ha creata. Rientrati nella corrente della vita ordinaria, gli eroi spesso danno
prova di una sorprendente debolezza, come quelli che ho citato dianzi. Sembrano incapaci di
riflettere e di comportarsi nelle circostanze più semplici, dopo aver così ben guidati gli altri.
Questi agitatori possono esercitare la loro funzione soltanto alla condizione d'essere stimolati
essi stessi e eccitati continuamente, di sentire sempre sopra di loro un uomo o un'idea, di
seguire una linea di condotta ben definita.
La seconda categoria, degli agitatori, quella degli uomini dalla volontà durevole, esercita una
influenza più notevole, ma con forme meno appariscenti. In essa si trovano i veri fondatori di
religioni o di grandi opere: S. Paolo, Maometto, Cristoforo Colombo, Lesseps. Intelligenti o
senza ingegno, la folla sarà loro. La volontà persistente che essi possiedono é una dote
infinitamente rara e infinitamente potente che fa piegare tutto. Di solito non ci si rende
abbastanza conto di quanto può una volontà forte e continua. Nulla sa resisterle, né la natura,
ne gli dei, né gli uomini. L'esempio più recente ci é dato dall'ingegnere illustre che separò due
mondi e realizzò il progetto inutilmente tentato da tremila anni da tanti grandi sovrani. Egli
fallì più tardi in un'impresa identica: ma era ormai vecchio, e tutto si spegne dinanzi alla
vecchiaia, anche la volontà. Per dimostrare il potere della volontà, basterà narrare nei suoi
particolari la storia delle difficoltà superate nella creazione del canale di Suez. Un testimonio
oculare, il dott. Cazalis, ha fatto in poche righe impressionanti la sintesi di questa grande
opera narrata dal suo immortale autore: « Ed egli raccontava, giorno per giorno, con episodi,
l'epopea del canale. Raccontava tutto quello che aveva dovuto vincere, tutto l'impossibile che
aveva reso possibile, tutte le resistenze, le coalizioni contro di lui, tutti gli insuccessi, i rovesci,
le disfatte, che però non avevano mai potuto scoraggiarlo, né abbatterlo; ricordava
l'Inghilterra che lo combatteva, attaccandolo di continuo, e l'Egitto e la Francia titubanti, e il
console di Francia che più degli altri si oppose ai primi lavori, e come gli si resisteva
prendendo gli operai con la sete, rifiutando loro l'acqua dolce; e il ministero della Marina e gli
ingegneri, tutti gli uomini seri, provetti e colti, tutti naturalmente ostili, e tutti
scientificamente sicuri del disastro, calcolandolo e promettendolo come si promette l'eclisse
per il tal giorno o la tale ore ».
Il libro che narrerà la vita di tutti questi grandi, conterrà pochi nomi, ma questi nomi sono
stati in testa agli avvenimenti più importanti della civiltà e della storia.
2.° - I mezzi di azione dei condottieri; l'azione, la ripetizione e il contagio.
Quando si tratta di esaltare per un momento una folla e di condurla a commettere un atto
qualsiasi saccheggiare un palazzo, farsi massacrare per difendere una barricata, bisogna
operare su di essa con mezzi rapidi di suggestione. Il più energico é l'esempio. E allora
necessario che la folla sia preparata da talune circostanze, e che colui il quale vuol trascinarla
possieda la qualità che io studierò più oltre sotto il nome di prestigio.
Quando si tratta di far penetrare lentamente idee e credenze nello spirito delle folle - le teorie
sociali moderne, ad esempio - i metodi dei condottieri sono diversi. Essi sono principalmente
ricorsi a questi tre procedimenti: l'affermazione, la ripetizione, il contagio.
L'affermazione pura e semplice, svincolata da ogni ragionamento e da ogni prova, costituisce
un sicuro mezzo per far penetrare un'idea nello spirito delle folle. Più l'affermazione é
concisa, sprovvista di prove e di dimostrazione, più essa ha autorità: I libri religiosi e i codici
di tutte le epoche hanno sempre proceduto per semplice affermazione. Gli uomini di Stato
chiamati a difendere una causa politica qualunque, gli industriali che diffondono i loro
prodotti con annunci, conoscono il valore dell'affermazione.
Quest'ultima non acquista tuttavia reale influenza se non a condizione d'essere costantemente
ripetuta, e il più possibile, negli stessi termini. Napoleone diceva che esiste una sola figura
seria di retorica, la ripetizione. La cosa affermata riesce a stabilirsi negli spiriti a tal punto da
essere accettata come una verità dimostrata.
Ben si comprende l'influenza della ripetizione sulle folle, vedendo quale potere essa esercita
sugli spiriti più illuminati. La cosa ripetuta finisce difatti per attecchire in quelle regioni
profonde dell'inconscio in cui si elaborano i motivi delle nostre azioni. In capo a qualche
tempo, dimenticando qual'é l'autore della affermazione ripetuta, finiamo per credervi. In tal
modo si spiega la forza mirabile dell'annunzio. Quando abbiamo letto cento volte che il
miglior cioccolato é il cioccolato X, noi ci immaginiamo d'averlo inteso dire di frequente e
finiamo per averne la certezza. Persuasi da mille attestazioni che l'intruglio Y ha guarito i più
grandi personaggi dalle più tenaci malattie, il giorno in cui siamo colti da una malattia dello
stesso genere, finiamo per essere tentati di provarla. A furia di veder ripetere dallo stesso
giornale che A é un perfetto cretino e B un onestissimo uomo, finiamo per esserne convinti,
considerato, s'intende, che non leggiamo di frequente un altro giornale d'opinione contraria,
in cui i due qualificativi siano invertiti. L'affermazione e la ripetizione sono abbastanza
polenti per potersi combattere.
Quando un'affermazione é stata sufficientemente ripetuta, con unanimità nella ripetizione,
come capita in certe imprese finanziarie, si forma ciò che si chiama una corrente d'opinioni e
il potente meccanismo del contagio interviene.
Nelle folle, le idee, i sentimenti, le emozioni, le credenze possiedono un potere contagioso,
intenso quanto quello dei microbi. Questo fenomeno sì osserva negli stessi animali non
appena essi costituiscano una folla. Il tic di un cavallo in una scuderia é in breve tempo
imitato dagli altri cavalli della medesima scuderia. Una paura, un movimento disordinato di
qualche pecora, si propagano in breve a tutto il gregge. Il contagio delle emozioni spiega la
subitaneità del panico. I disordini cerebrali, come la pazzia, si propagano anche per contagio.
Si sa quanto é frequente l'alienazione negli alienisti. Si citano anche forme di pazzia,
l'agorafobia (paura di attraversare un luogo aperto, come una grande piazza), ad esempio,
comunicate dagli uomini agli animali. Il contagio non esige la presenza simultanea di
individui in uno stesso luogo; esso può verificarsi a distanza, sotto l'influenza di certi
avvenimenti che orientano gli spiriti nello stesso senso e che danno i loro particolare carattere
alle folle, soprattutto quand'esse sono preparate dai fattori lontani che ho studiato più sopra.
Così, ad esempio, l'esplosione rivoluzionaria del 1848, partita da Parigi e che si propagò
improvvisa a una gran parte dell'Europa e scosse parecchie monarchie. L'imitazione, alla
quale si attribuisce tanta influenza nei fenomeni sociali, non é in realtà che un semplice
effetto di contagio. Avendo altrove la sua funzione, mi limiterò a riportare ciò che ne dicevo,
or é molto tempo, e quel che é stato svolto da altri scrittori.
« Come l'animale, l'uomo ha tendenza ad imitare. L'imitazione é un bisogno per lui, a
condizione, beninteso, che questa imitazione sia facile, e da questo bisogno nasce la moda. Si
tratti di opinioni, di idee, di manifestazioni letterarie, o semplicemente di costumi, quanti
osano sottrarsi al suo impero? Le folle si guidano con dei modelli, non con argomenti. In ogni
epoca, un piccolo numero di individui imprimono quell' impulso che poi la massa
inconsciamente imita. Questi individui però non devono allontanarsi troppo dalle idee
ricevute. Imitarli diventerebbe allora troppo difficile e la loro influenza sarebbe annullata.
Questa é la ragione per cui gli uomini troppo superiori alla loro epoca non hanno
generalmente nessuna influenza su di essa. E ancora per la stessa ragione gli Europei, con
tutti i vantaggi della loro civiltà, esercitano un'influenza insignificante sui popoli d'Oriente.
« La duplice azione del passato e dell'imitazione reciproca, finisce col rendere tutti gli uomini
di uno stesso paese e di una stessa epoca simili a tal punto che perfino in quelli che
sembrerebbe dovessero maggiormente sottrarvisi - filosofi, scienziati, letterati - il pensiero e
lo stile hanno un'aria di famiglia che fa subito riconoscere il tempo al quale appartengono. Un
momento di conversazione con un individuo qualsiasi basta per conoscere a fondo le sue
letture, le sue occupazioni e l'ambiente in cui vive » (Gustav Le Bon. "L'uomo e la società", v.
II, p. 116, 1881.).
Il contagio é abbastanza potente per imporre agli uomini non soltanto certe opinioni, ma
anche certi modi di sentire. Il contagio fa disprezzare, in una data epoca, un'opera, il
Tannhauser, ad esempio, e qualche anno dopo la fa ammirare da quegli stessi che l'avevano
maggiormente denigrata.
Le opinioni e le credenze si propagano bene per mezzo del contagio, e pochissimo per mezzo
del ragionamento. Le concezioni attuali degli operai vengono apprese all'osteria, con
l'affermazione, la ripetizione e il contagio. Le credenze delle folle di tutti i tempi non si sono
formate in altro modo. Renan paragona giustamente i primi fondatori del cristianesimo «agli
operai socialisti che diffondono le loro idee di osteria in osteria»; e Voltaire aveva già fatto
osservare a proposito della religione cristiana che « per più di cent'anni era stata accolta
soltanto dalla più vile canaglia. »
Negli esempi analoghi a quelli che ho citati, il contagio, dopo aver esercitato la sua influenza
nelle classi più basse, passa in seguito alle classi superiori della società. In questo modo, ai
nostri giorni, le dottrine socialiste cominciano a guadagnare coloro che, poi, ne sarebbero le
prime vittime. Dinanzi al potere del contagio, anche l'interesse personale viene distrutto.
E tutto ciò perché ogni opinione diventata popolare finisce con l'imporsi anche alle classi
sociali più elevate, per quanto visibile possa essere l'assurdità dell'opinione trionfante. Questa
reazione degli strati sociali inferiori su quelli superiori é tanto più curiosa se si pensa che le
credenze delle folle derivano sempre, più o meno da qualche idea superiore che non ha avuto
influenza nell'ambiente dove era nata. I condottieri, soggiogati da questa idea superiore, se ne
impadroniscono, la deformano e creano una setta che la altera di nuovo, e che la diffonde
sempre più trasformata tra le folle.
Diventata verità popolare, l'idea risale alla sorgente e allora agisce sulle classi elevate di una
nazione. In conclusione é l'intelligenza che guida il mondo, ma lo guida da molto lontano. I
filosofi creatori di idee sono da molto tempo scomparsi, quando, per effetto del meccanismo
ora descritto, il loro pensiero finisce per trionfare.
3.0 - Il prestigio.
Le opinioni diffuse per mezzo dell'affermazione, della ripetizione, del contagio, hanno un
gran potere perché finiscono con l'acquistare quell'influenza misteriosa che si chiama
prestigio.
Tutto ciò che ha dominato nel mondo, le idee o gli uomini, si é imposto principalmente per la
forza irresistibile espressa dalla parola prestigio. Noi conosciamo tutto il senso di questa
parola, ma viene applicato in modi troppo diversi perché sia facile definirlo.
Il prestigio può comprendere certi sentimenti come l'ammirazione e il timore che a volte ne
sono la base, ma può anche esistere senza di essi. Persone ormai scomparse - che, quindi, non
possiamo temere - Alessandro, Cesare, Maometto, Budda, hanno un notevole prestigio.
D'altra parte, certe finzioni che noi non ammiriamo, le divinità mostruose dei templi
sotterranei dell'India, ad esempio, ci sembrano, tuttavia, rivestite di un grande prestigio. Il
prestigio, in realtà, é una specie di fascino che un individuo, un'opera o una dottrina,
esercitano sul nostro spirito. Questo fascino paralizza tutte le nostre capacita critiche e
riempie la nostra anima di ammirazione e di rispetto. I sentimenti allora provocati sono
inesplicabili come tutti i sentimenti, ma probabilmente della stessa specie della suggestione
subìta da un soggetto ipnotizzato. Il prestigio è la più potente forza di ogni dominazione. Gli
dei, i re, e le donne non avrebbero mai regnato senza il prestigio. Così: le diverse varietà di
prestigio si possono riunire in due specie, il prestigio acquisito e il prestigio personale. Il
prestigio acquisito é quello conferito dal nome, dalla ricchezza, dalla reputazione. Può essere
indipendente dal prestigio personale. Il prestigio personale costituisce invece qualcosa di
individuale che a volte coesiste con la reputazione, la gloria, la ricchezza, o è aumentato da
esse, ma che può benissimo esistere indipendentemente.
Il prestigio acquisito o artificiale é il più diffuso. Per il solo fatto che un individuo occupa una
data posizione, possiede una certa fortuna, ha certi titoli, é circondato da un'aureola di
prestigio, per quanto il suo valore personale sia nullo. Un militare in uniforme, un magistrato
in toga rossa, hanno sempre del prestigio. Pascal aveva notato molto giustamente la necessità,
per i giudici, di toga e parrucca. Senza di queste, perderebbero una gran parte della loro
autorità. Il socialista più feroce è emozionato alla vista di un principe o di un marchese; e
bastano tali titoli per scroccare a un commerciante tutto quello che si vuole (*).
(*) L'influenza dei titoli, delle decorazioni, delle uniformi, sulle folle si nota in tutti i paesi,
anche quando il sentimento dell'indipendenza personale é molto spinto. Riproduco a questo
proposito un brano assai curioso di un viaggiatore sul prestigio di certi personaggi in
Inghilterra: « In diverse occasioni m'ero accorto del fascino prodotto da un pari di
Inghilterra anche sugli inglesi più ragionevoli. Purché sia all'altezza del suo rango, essi
l'amano senz'altro e in sua presenza lo seguono incantati nei suoi atti. Gli inglesi
arrossiscono di piacere quando un pari si avvicina, e, s'egli parla loro, la gioia contenuta
aumenta il rossore e fa brillare i loro occhi di luce insolita. Hanno il lord nel sangue, se si
può dire così, come lo spagnolo la danza, il tedesco la musica e il francese la Rivoluzione. La
loro passione per i cavalli e per Shakespeare è meno violenta, la soddisfazione e l'orgoglio
che ne traggono sono meno profondi. Il Libro dei Pari ha una vendita notevole, e per quanto
lontano si vada, lo si trova sempre, come la Bibbia, in mano a tutti ».
Il prestigio di cui ho parlato é esercitato dalle persone; gli si può mettere vicino quello
esercitato dalle opinioni, da opere letterarie, o artistiche, ecc. Spesso non è che ripetizioni
accumulate. La storia, la storia letteraria e artistica specialmente, essendo soltanto la
ripetizione degli stessi giudizi che nessuno cerca di controllare, ognuno finisce col ripetere
quello che ha imparato a scuola. Esistono certi uomini e certe cose che nessuno oserebbe
toccare. Per un lettore moderno, l'opera d'Omero è immensamente noiosa; ma chi oserebbe
dirlo ? Il Partenone, nello stato attuale, é una rovina che desta poco interesse; ma possiede un
tale prestigio che non lo si vede che con tutto il corteo di ricordi storici. La caratteristica del
prestigio é di impedire di vedere le cose come sono e di renderci incapaci di giudicare. Le folle
sempre, gli individui il più delle volte, hanno bisogno di opinioni già fatte. Il successo di
queste opinioni é indipendente dalla parte di verità o d'errore che esse contengono; esso
risiede unicamente nel loro prestigio.
Ed eccomi ora al prestigio personale. Di una natura assai diversa dal prestigio artificiale o
acquisito, esso costituisce una facoltà indipendente da ogni titolo, da ogni autorità. Il piccolo
numero di persone che lo possiedono esercitano un fascino veramente magnetico su coloro
che le circondano, compresi i loro uguali: si obbedisce loro come la bestia feroce obbedisce al
domatore che essa potrebbe facilmente divorare.
I grandi condottieri di uomini, Budda, Gesù, Maometto, Giovanna d'Arco, Napoleone,
possedettero in grado eminente questa forma di prestigio. Soprattutto per tale prestigio essi si
imposero. Gli dei, gli eroi e i dogmi si impongono e non si discutono; quando si discutono,
svaniscono.
I personaggi che ho ora citati possedevano la loro potenza fascinatrice assai prima di
diventare illustri, e non lo sarebbero diventati senza di essa. Napoleone, al colmo della sua
gloria, esercitava, per il solo fatto della sua potenza, un prestigio immenso; ma di questo
prestigio era già in parte dotato al principio della sua carriera. Quando, generale ignorato, fu
inviato per protezione a comandare l'esercito d'Italia, cadde in mezzo a rudi generali, pronti a
fare una dura accoglienza al giovane intruso che il Direttorio avevo loro mandato. Fin dal
primo minuto, dal primo incontro, senza frasi, senza gesti, senza minacce, al primo sguardo
del futuro grand'uomo, erano domati. Servendosi di memorie di contemporanei, Taine fa un
curioso racconto di questo incontro.
« I generali di divisione, tra gli altri Augereau, un soldataccio eroico e grossolano, orgoglioso
della sua statura e del suo coraggio, giunge al quartier generale assai maldisposto per il
piccolo parvenu che han mandato loro da Parigi. Secondo la descrizione che gli han fatto,
Augereau é ingiurioso, già predisposto all'insubordinazione: un favorito di Barras, un
generale da vendemmiaio, un generale di strada, guardato come un orso, perché é sempre
solo a pensare, una piccola faccia, una reputazione di matematico e di sognatore. Li
introducono, e Bonaparte si fa aspettare. Finalmente appare: cinge la spada, si mette il
cappello, spiega le sue disposizioni, dà gli ordini e congeda. Augereau é muto; soltanto
quando Bonaparte si allontana ritorna padrone di sé e ritrova le sue bestemmie; con Massena
egli conviene che quel piccolo b... di generale gli ha fatto paura; non può capacitarsi
dell'ascendente da cui si é sentito schiacciato alla prima occhiata. »
Diventato un grand'uomo, il prestigio di Napoleone si accrebbe di tutta la sua gloria e
uguagliò quello che ha una divinità sui suoi devoti. Il generale Vandamme, un triviale
rivoluzionario, anche più brutale e più energico di Augereau, diceva di lui al Maresciallo
d'Ornano, nel 1815, un giorno che salivano assieme lo scalone delle Tuileries
« Caro mio, questo diavolo d'uomo esercita su di me un fascino di cui non posso rendermi
conto. Io che non temo né dio né il diavolo, quando lo avvicino, son lì li per tremare come un
fanciullo: per lui passerei per la cruna di un ago e mi getterei nel fuoco. »
Napoleone esercitò lo stesso fascino su tutti quelli che lo avvicinarono (*).
(*) Assai consapevole del suo prestigio, l'Imperatore sapeva accrescerlo trattando un po'
meno bene dei palafrenieri i grandi personaggi che lo circondavano, e tra i quali
figuravano parecchi celebri membri della Convenzione, tanto temuti dall'Europa. I racconti
del tempo sono pieni di fatti significativi in proposito. Un giorno, in pieno consiglio di Stato,
Napoleone rimbrotta rudemente Beugnot, lo tratta come un servitore maleducato. Ottenuto
l'effetto, s'avvicina e gli dice: « Ebbene, grand'imbecille, avete ritrovato la vostra testa ? » A
queste parole, Beugnot, alto come un tamburo maggiore, si curva bassissimo, e il piccolo
uomo, alzando la mano, prende il grande per l'orecchio, «segno di grandissimo favore,
scrive Beugnot, gesto familiare del dominatore che si fa umano». Simili esempi danno una
nozione precisa del grado di stupidità a cui il prestigio può portare. Essi fanno comprendere
l'immenso disprezzo del gran despota per gli uomini del suo seguito.
Parlando della devozione di Maret e della sua, Davoust diceva : « Se l'Imperatore ci dicesse a
tutti e due: per gli interessi della mia politica, é necessario distruggere Parigi senza che
nessuno ne esca e se ne fugga, Maret serberebbe il segreto, ne sono sicuro, ma non potrebbe
tuttavia fare a meno di comprometterlo, facendo scappare la sua famiglia. Ebbene, io, per
tema di lasciarlo indovinare, vi lascerei mia moglie e i miei figli. »
Questa enorme potenza fascinatrice spiega quel meraviglioso ritorno dall'isola d'Elba e
l'immediata conquista della Francia compiuta da un uomo isolato, che lotta contro tutte le
forze organizzate del paese, che si potevano credere stanche della sua tirannia. Non ebbe che
a guardare i generali i quali avevano giurato di impadronirsi di lui. Tutti si sottomisero senza
discussione.
« Napoleone - scrive il generale inglese Wolseley - sbarca in Francia quasi solo e riesce, in
qualche settimana, a rovesciare, senza effusione di sangue, tutta l'organizzazione del potere
della Francia sotto il suo legittimo re; l'ascendente personale di un uomo ebbe mai ad
affermarsi più di questo modo ? Ma dal principio alla fine di questa campagna, che fu
l'ultima, come é notevole l'ascendente che egli esercitava ugualmente sugli alleati,
costringendoli a seguire la sua iniziativa, e quanto poco mancò ch'egli li schiacciasse !»
Il suo prestigio gli sopravvisse e continuò ad aumentare. Fu lui a far consacrare imperatore
un oscuro nipote. Vedendo rinascere oggi la sua leggenda, si constata a qual punto
quest'ombra é ancora potente. Malmenate gli uomini, massacrateli a milioni, fate invasioni su
invasioni, tutto vi é permesso se possedete un certo grado di prestigio e l'intelligenza
necessaria per mantenerlo.
Ho ricordato un esempio di prestigio eccezionale, certamente, ma era necessario per far
comprendere la genesi delle grandi religioni, delle grandi dottrine e dei grandi imperi. Senza
il potere esercitato dal prestigio sulla folla, questa genesi sarebbe incomprensibile.
Ma il prestigio non si fonda soltanto sull'ascendente personale, la gloria militare e il terrore
religioso; può avere origini più modeste e tuttavia essere notevole. Il nostro secolo ce ne dà
parecchi esempi. Uno di questi, che la posterità ricorderà nei secoli, fu dato dalla storia
dell'uomo celebre già citato che modificò la faccia del mondo e le relazioni commerciali dei
popoli separando due continenti. Egli riuscì nella sua impresa per la sua grande volontà, ma
anche per il fascino che esercitava sul suo seguito. Per vincere l'opposizione unanime, bastava
che si facesse vedere, che parlasse un momento, e, soggiogati dal fascino, gli oppositori
diventavano amici. Specialmente gli Inglesi combattevano accanitamente il suo progetto; la
sua presenza in Inghilterra bastò per farlo accettare. Quando più tardi egli passò per
Southampton, le campane suonarono al suo passaggio. Avendo vinto tutti, uomini e cose, e
non credendo più a nessun ostacolo, volle ricominciare Suez a Panama, con gli stessi mezzi;
ma la fede solleva le montagne se però non sono troppo alte. Le montagne resistettero, e la
catastrofe che ne seguì distrusse l'abbagliante aureola di gloria che circondava l'eroe. La sua
vita insegna come può crescere e sparire il prestigio. Dopo aver eguagliato in grandezza i più
celebri personaggi storici, fu messo al livello - dai magistrati del suo paese - dei più vili
delinquenti. La sua bara passò sola in mezzo alle folle indifferenti. Soltanto i sovrani stranieri
resero omaggio alla sua memoria (*).
(*) Un giornale straniero, la Neue Freié Presse di Vienna, ha fatto, pensando al destino di
Lesseps, delle riflessioni psicologiche molto giuste e che perciò riporto qui:
« Dopo la condanna di Ferdinando di Lesseps, non c'é più da stupirsi della triste fine di
Cristoforo Colombo. Se Ferdinando di Lesseps é un truffatore, ogni nobile illusione é un
delitto. L'antichità avrebbe circondato la memoria di Lesseps di un'aureola di gloria, e gli
avrebbe fatto bere il nettare, in mezzo all'Olimpo, poiché egli ha cambiato la faccia della
terra, e ha compiuto opere che perfezionano la creazione. Condannando Ferdinando
Lesseps, il presidente della Corte di Appello s'é reso immortale, poiché i popoli
domanderanno sempre il nome dell'uomo che non temette d'abbassare il proprio secolo col
far indossare la casacca del condannato a un vecchio la cui vita é stata la gloria dei suoi
contemporanei.
«Che nessuno parli più di giustizia inflessibile là dove regna l'odio burocratico contro le
grandi opere ardite. Le Nazioni hanno bisogno di questi uomini audaci che credono in sé
stessi e superano tutti gli ostacoli, senza badare alla propria vita. Il genio non può essere
prudente; con la prudenza non potrebbe mai allargare il cerchio dell'attività umana.
"Ferdinando Lesseps ha conosciuto l'ebbrezza del trionfo e l'amarezza del disinganno: Suez
e Panama. Qui il cuore si rivolta contro la morale del successo. Quando Lesseps é riuscito a
collegare due mari, principi e nazioni gli resero omaggio; oggi in cui naufraga contro le
rocce delle Cordigliere, non é più che un volgare truffatore... C'é in questo una guerra di
classi sociali, un malcontento di burocrati e di impiegati che si vendicano per mezzo del
codice penale su quelli che vorrebbero innalzarsi sopra gli altri... I legislatori moderni si
trovano imbarazzati dinanzi a queste grandi idee del genio umano; il pubblico le capisce
ancor meno, ed é cosa facile per un avvocato generale il provare che Stanley é un assassino
e Leseps un imbroglione ».
Ma i diversi esempi che abbiamo citati rappresentano forme estranee. Per stabilire nei suoi
particolari la psicologia del prestigio, bisognerebbe esaminare la serie dai fondatori di
religioni e di imperi fino al privato che cerca di far colpo sui vicini con un abito nuovo o una
decorazione.
Fra i termini ultimi di questa serie, bisognerebbe mettere tutte le forme di prestigio nei
diversi elementi di una civiltà: scienze, arte, letteratura, ecc., e si vedrebbe allora che esso
costituisce l'elemento fondamentale della persuasione. L'essere, l'idea o la cosa che ha del
prestigio sono, per via di contagio, immediatamente imitati e impongono a tutta una
generazione certi modi di sentire e di tradurre il pensiero.
L'imitazione é, il più delle volte, incosciente, ed è questo che la rende completa. I pittori
moderni, riproducendo i colori sbiaditi e le pose rigide di certi primitivi, non dubitano affatto
da che parte viene la loro ispirazione; credono alla propria sincerità, mentre se un maestro in
vista non avesse risuscitato questa forma d'arte, si sarebbe continuato a non vederne che il
lato ingenuo. Quelli che secondo l'esempio di un novatore celebre, inondano le loro tele
d'ombre violacee, non vedono nella natura più viola di quanto ne vedessero cinquant'anni
prima, ma sono suggestionati dall'impressione personale e speciale di un pittore che ha
saputo conquistare un gran prestigio. In ogni elemento di civiltà, si potrebbero ricordare
molti esempi simili.
Da ciò che si è detto, si vede che molti fattori entrano nella genesi del prestigio e che uno dei
più importanti fu sempre il successo. L'uomo che riesce, l'idea che s'impone, per questo unico
fatto non sono più contestati. Il prestigio muore con l'insuccesso. L'eroe acclamato ieri dalla
folla, domani è vituperato dalla stessa folla se la sorte gli è stata avversa. La reazione sarà
tanto più viva quanto più grande è stato il prestigio.
La moltitudine considera l'eroe caduto come suo eguale, e si vendica d'essersi inchinata
dinanzi a una superiorità che non riconosce più. Robespierre, facendo tagliar la testa ai suoi
colleghi e a un gran numero dei suoi contemporanei, aveva un immenso prestigio. Per
qualche voce corsa qua e là, egli lo perdette immediatamente, e la folla lo seguì alla
ghigliottina con le imprecazioni con cui prima aveva accompagnato le sue vittime.
I credenti distruggono sempre con furore le statue dei loro antichi dei. Il prestigio tolto
dall'insuccesso viene perduto subito. Può diminuire anche con la discussione ma in modo più
lento. Questo procedimento è tuttavia di effetto sicuro. Il prestigio discusso non è già più
prestigio. Gli dei e gli uomini che hanno voluto conservare a lungo il loro prestigio, non hanno
tollerato le discussioni. Per farsi ammirare dalle folle, bisogna sempre tenerle a distanza.
CAPITOLO IV.
Limiti di variabilità delle credenze e delle opinioni delle folle.
1.° Le credenze fisse - Invariabilità di corte credenze generali - Tali credenze sono le guide di
una civiltà - Difficoltà di sradicarle - In che cosa l'intolleranza costituisce per i popoli una
virtù - L'assurdità filosofica di una credenza generale non può nuocere alla sua diffusione - 2.°
Le opinioni volubili delle folle - Estrema mobilità delle opinioni che non derivano da credenze
generali - Variazioni apparenti delle' idee e delle credenze in meno di un secolo -- Limiti reali
di tali variazioni - Elementi sui quali la variazione é basata - L'attuale scomparsa delle
credenze generali e la grandissima diffusione della stampa rendono ai nostri giorni le
opinioni sempre più mobili - Come, in generale, le opinioni tendano verso l'indifferenza -
Impotenza dei governi a dirigere, come una volta, l'opinione - L'attuale sbriciolamento delle
opinioni impedisce la loro tirannia.
1.° - Le credenze fisse.
Un rigido parallelismo esiste tra i caratteri anatomici degli esseri e i loro caratteri psicologici.
Nei caratteri anatomici troviamo certi elementi invariabili o così poco variabili, che occorre la
durata delle età geologiche per cambiarli. Accanto a questi caratteri stabili, irriducibili, se ne
incontrano altri mobilissimi che l'ambiente, l'arte dell'allevatore e dell'orticultore modificano
a volte a tal segno da dissimulare, per l'osservatore poco attento, i caratteri fondamentali.
Lo stesso fenomeno si opera rispetto ai caratteri morali. Vicino ad elementi psicologici
irriducibili di una razza si incontrano elementi mobili e mutevoli. Studiando le credenze e le
opinioni di un popolo, si constata sempre un fondo costantissimo sul quale si innestano delle
opinioni mobili come la sabbia che ricopre le rocce.
Le credenze e le opinioni delle folle formano così due classi ben distinte. Da una parte, le
grandi credenze permanenti, che si perpetuano per secoli, e sulle quali poggia tutta una
civiltà. Tali, una volta, la concezione feudale, le idee cristiane, quelle della riforma. Tali, ai
nostri giorni, il principio delle nazionalità, le idee democratiche e sociali. Dall'altra parte, le
opinioni momentanee e mutevoli di frequente derivate dalle concezioni generali che ogni
epoca vede apparire e morire: tali sono le teorie che guidano le arti e la letteratura in certi
momenti, quelle, ad esempio, che produssero il romanticismo, il naturalismo, ecc. Superficiali
come la moda, esse cambiano come le piccole onde che nascono e svaniscono perpetuamente
alla superficie di un lago dalle acque profonde.
Le grandi credenze generali sono in numero assai limitato. La loro formazione e la loro
scomparsa costituiscono per ogni razza storica i punti culminanti della sua storia. Esse sono
la vera ossatura delle civiltà.
Un'opinione passeggera facilmente si stabilisce nell'anima delle folle ma é difficilissimi
innestarvi una credenza duratura, com'è difficile distruggerla quand'essa é formata. Non la si
può minimamente cambiare che a furia di rivoluzioni violente e soltanto allorché la credenza
ha perduto quasi interamente il suo ascendente sugli animi. Le rivoluzioni servono allora ad
annullare interamente credenze già quasi abbandonate, ma che non erano completamente
abbandonate per la tirannia dei costumi. Le rivoluzioni che cominciano sono in realtà
credenze che finiscono. Il giorno preciso in cui una grande credenza si trova destinata a
morire é quello in cui il suo valore comincia a essere discusso. Ogni credenza generale non
essendo altro che una finzione, non potrebbe sussistere che a condizione di sottrarsi
all'esame. Ma anche quando una credenza é fortemente scossa, le istituzioni che ne derivano
conservano la loro potenza e non si cancellano che lentamente. Quand'essa ha finalmente
perduti tutti il suo potere, tutto ciò che essa sosteneva crolla. Non si é ancora dati che un
popolo cambiasse le sue credenze senza essere subito condannato a trasformare gli elementi
della sua civiltà. Esso li trasforma fino a che non abbia adottato una nuova credenza generale;
e vive necessariamente, sino a quel momento, nel disordine. Le credenze generali sono le basi
necessarie delle civiltà; imprimono un orientamento alle idee, e soltanto esse possono ispirare
la fede e creare il dovere. I popoli hanno sempre sentito l'utilità di acquistare delle credenze
generali e compreso istintivamente che la loro scomparsa doveva segnare per essi l'ora della
decadenza. Il culto fanatico di Roma fu la credenza che rese i Romani padroni del mondo.
Morta tale credenza, Roma dovette morire. I barbari, distruttori della civiltà romana,
poterono ottenere una certa coesione e uscire dall'anarchia, soltanto quando ebbero
acquistato qualche credenza comune.
Dunque c'è una causa se i popoli hanno sempre difeso con intolleranza le loro convinzioni.
Dal punto di vista filosofico essa è molto criticabile, nella vita delle nazioni rappresenta una
virtù. Per fondare o mantenere delle credenze il Medioevo ha innalzato tanti roghi, e tanti
inventori e novatori morirono disperati se pure riuscivano a evitare i supplizi. Per difenderle
il mondo è stato tante volte sconvolto, e milioni d'uomini sono caduti sui campi di battaglia, e
vi cadranno ancora.
Grandi difficoltà si oppongono, l'abbiamo detto, allo stabilirsi di una credenza generale, ma,
definitivamente radicata, il suo potere è per molto tempo invincibile, e qualunque sia il suo
errore filosofico, essa si impone anche agli spiriti più luminosi. I popoli d'Europa non hanno
forse, da quindici secoli, come verità indiscutibile delle leggende religiose che - esaminate da
vicino - appaiono barbare (Barbare filosoficamente, intendo) come quelle di Moloch? La
spaventosa assurdità della leggenda di un Dio che si vendica sul proprio figlio con orribili
supplizi della disobbedienza di una delle sue creature, non è stata capita per moltissimi secoli.
I più grandi genii, un Galileo, un Newton, un Leibniz, non hanno supposto neanche per un
momento che la verità di tali leggende potesse essere discussa. Non c'è nulla che dimostri
meglio il potere delle credenze generali, ma nulla denota meglio i limiti umilianti del nostro
spirito.
Quando un dogma nuovo s'è radicato nell'anima delle folle, diventa l'ispiratore delle sue
istituzioni, delle sue arti e della sua condotta. Allora il suo dominio sulle anime è completo.
Gli uomini d'azione pensano a realizzarlo, i legislatori ad applicarlo, i filosofi, gli artisti, i
letterati si preoccupano di tradurlo sotto diverse forme.
Dalla credenza fondamentale possono nascere idee momentanee accessorie, ma portano
sempre l'impronta della fede da cui sono scaturite. La civiltà egiziana, la civiltà europea del
Medioevo, la civiltà musulmana degli Arabi derivano da poche credenze religiose che hanno
impresso il loro marchio sui minimi elementi di queste civiltà, e permettono di riconoscerle
subito.
Grazie alle credenze generali, gli uomini di ogni età sono circondati da una rete di tradizioni,
di opinioni e di costumi, al cui giogo non saprebbero sfuggire e che li rendono un po' simili gli
uni agli altri. Neanche lo spirito più indipendente pensa a sottrarvisi. La vera tirannia è quella
che s'esercita incoscientemente sulle anime, perché é la sola che non si può combattere.
Tiberio, Gengiskhan, Napoleone furono certamente dei tiranni terribili, ma, dal fondo della
loro tomba, Mosé, Budda, Gesù, Maometto, Lutero hanno esercitato sulle anime un
dispostismo molto più profondo. Una cospirazione abbatterà un tiranno, ma che può fare
contro una credenza ben radicata ? Nella lotta violenta contro il cattolicesimo, e nonostante
l'assenteismo apparente delle moltitudini, nonostante i procedimenti crudeli quanto quelli
dell'Inquisizione, la nostra grande Rivoluzione è stata vinta. l soli reali tiranni dell'umanità
sono sempre state le ombre dei morti o le illusioni che essa si é creato.
L'assurdita filosofica di certe credenze generali non é mai stata, lo ripeto, un ostacolo al loro
trionfo. Anzi pare che il trionfo non sia possibile che quando le credenze racchiudano qualche
misteriosa assurdità. L'evidente debolezza delle credenze socialiste attuali non impedirà loro
di radicarsi nell'anima delle folle. La loro vera inferiorità rispetto alle credenze religiose sta
unicamente in questo: l'ideale felicità promesso da quest'ultime, dovendosi realizzare in una
vita futura, nessuno può contrastare tale realizzazione. L'ideale di felicità socialista, dovendo
realizzarsi sulla terra, mostrerà la vanità delle sue promesse ai primi tentativi di realizzazione,
e la nuova credenza perderà subito il suo prestigio. Il suo potere non crescerà che fino al
giorno della realizzazione. Perché se la nuova religione esercita dapprima - come tutte quelle
che l'hanno preceduta - una azione distruttrice, non potrà esercitare in seguito una funzione
creatrice.
2.° - Le opinioni mobili delle folle.
Al di sopra delle credenze fisse, di cui abbiamo mostrato il potere, si trova un insieme di
opinioni, di idee, di pensieri che nascono e muoiono continuamente. La durata di certuni é
assai effimera, e i più importanti non sorpassano affatto la vita di una generazione. Abbiamo
già notato che i cambiamenti che sopravvengono in queste opinioni sono tavolta molto più
superficiali che reali, e portano sempre il contrassegno della razza. Considerando, ad
esempio, le istituzioni politiche del nostro paese, abbiamo mostrato che i partiti
apparentemente più contrari : monarchici, radicali, imperialisti, socialisti, ecc., hanno un
ideale assolutamente identico, e che questo ideale dipende unicamente dalla struttura della
nostra razza, poiché, sotto nomi analoghi, si ritrova presso altre nazioni un ideale contrario. Il
nome dato alle opinioni, gli adattamenti ingannevoli non cambiano il fondo delle cose.
I borghesi della Rivoluzione, impregnati di letteratura latina, e gli occhi fissi sulla repubblica
romana, e che adottarono le sue leggi, i suoi fasci e le sue toghe, non erano diventati Romani
perché essi rimanevano sotto l'impero di una potente suggestione storica.
Il compito del filosofo é quello di ricercare ciò che sussiste delle antiche credenze sotto i
cambiamenti apparenti, e di distinguere nel fluire delle opinioni, i movimenti determinati
dalle credenze generali e dall'anima della razza.
Senza questo criterio si potrebbe credere che le folle mutino di credenze politiche o religiose
frequentemente e a loro piacere. Tutta la storia politica, religiosa, artistica, letteraria, sembra
infatti provarlo.
Prendiamo, ad esempio, un breve periodo: dal 1790 al 1820 solamente, vale a dire trent'anni,
la durata di una generazione. Vediamo in esso le folle, dapprima monarchiche, divenire
rivoluzionarie, poi imperialiste, por ancora monarchiche. In religione, vanno nello stesso
tempo dal cattolicesimo all'ateismo, poi al teismo, poi tornano alle forme più esagerate del
cattolicesimo. E non solo le folle, ma anche coloro che le dirigono, subiscono simili
trasformazioni. Vedete un po' quei grandi uomini della Convenzione, nemici giurati dei re, e
che non volevano né divinità né padroni, diventare servitori di Napoleone, poi, sotto Lugi
XVIII, portare devotamente i ceri nelle processioni.
E durante i settant'anni che seguono, quanti cambiamenti nelle opinioni delle folle ! La «
Perfida Albione » del principio di questo secolo diventa l'alleata della Francia sotto l'erede di
Napoleone; la Russia, due volte in guerra, con noi, e che tanto aveva tripudiato per nostri
ultimi rovesci, d'improvviso è considerata come un'amica.
In letteratura, in arte, in filosofia, il susseguirsi delle opinioni si manifesta anche più
rapidamente. Romanticismo, naturalismo, misticismo, ecc., via via nascono e muoiono.
L'artista e lo scrittore acclamati ieri, saranno profondamente disdegnati domani. Ma, se
analizziamo questi cambiamenti, in apparenza così profondi, che cosa vediamo ? Tutti quelli
contrari alle credenze generali e ai sentimenti della razza non hanno che una durata effimera,
e il fiume deviato riprende in breve il suo corso. Le opinioni che non si ricollegano ad alcuna
credenza generale, a nessun sentimento della razza, e che di conseguenza non potrebbero
avere consistenza, sono in balia di tutti gli accidenti, o, se vogliamo, dei minimi cambiamenti
di ambiente. Formate con l'aiuto della suggestione e del contagio, esse sono sempre
momentanee e nascono e scompaiono, a volte, altrettanto rapidamente quanto le dune di
sabbia formate dal vento in riva al mare.
Ai nostri giorni, la somma delle opinioni mobili delle folle é più grande che mai; e ciò per tre
diverse ragioni.
La prima é che le antiche credenze, perdendo progressivamente il loro dominio, non operano
più come una volta sulle opinioni passeggere per dar loro un certo orientamento. L'affievolirsi
delle credenze generali lascia posto a una quantità di opinioni particolari senza passato né
avvenire. La seconda ragione é che la crescente potenza delle folle, trovando sempre minor
contrappeso, la loro estrema mobilità di idee può manifestarsi liberamente.
La terza ragione, infine, è la recente diffusione della stampa che fa passare sotto gli occhi le
opinioni più contrarie. Le suggestioni originate da ciascuna di esse, sono in breve distrutte da
suggestioni opposte. Nessuna opinione riesce dunque a diffondersi e tutte sono destinate a
una esistenza effimera. Esse muoiono prima di aver potuto propagarsi abbastanza per
diventare opinioni generali.
Da queste diverse cause risulta un fenomeno nuovissimo nella storia del mondo, e che assai
bene caratterizza l'epoca attuale: voglio dire dell'impotenza dei governi a dirigere l'opinione.
Un tempo, e questo non é troppo lontano, l'azione dei governi, l'influenza di qualche scrittore
e di un piccolo numero di giornali costituivano i veri regolatori dell'opinione. Oggi gli scrittori
hanno perduto ogni influenza e i giornali non fanno più che rispecchiare l'opinione. In quanto
agli uomini di Stato, lungi dal dirigerla, non cercano che di seguirla. Il loro timore
dell'opinione giunge a volte fino al terrore e impedisce ogni fermezza alla loro condotta.
L'opinione delle folle tende dunque a diventar sempre più il supremo regolatore della politica.
Essa arriva oggi a imporre alleanze, come si é visto per l'alleanza russa che é quasi totalmente
derivata da un movimento popolare.
E' un assai curioso sintomo vedere ai nostri giorni papi, re e imperatori sottomettersi a
un'intervista per esporre i loro pensieri, su un dato soggetto, al giudizio delle folle. Una volta
si é potuto dire che la politica non era cosa sentimentale. Potremmo anche oggi affermarlo,
vedendo prendere per guida gli impulsi delle mutevoli folle che ignorano la ragione e sono
unicamente dirette dal sentimento?
In quanto alla stampa, un tempo guida dell'opinione, ha dovuto, come i governi, scomparire
dinanzi al potere delle folle. La sua potenza é certamente considerevole, ma soltanto perché
essa rappresenta esclusivamente il riflesso delle opinioni popolari e dei loro incessanti
cambiamenti. Divenuta semplice agenzia di informazioni, essa rinuncia a imporre qualsiasi
idea, qualsiasi dottrina. Non segue tutti i cambiamenti del pensiero pubblico, e la necessità
della concorrenza ve la obbligano, sotto pena di perdere i suoi lettori. I vecchi e solenni organi
di una volta, di cui la precedente generazione ascoltava devotamente gli oracoli, sono
scomparsi o sono diventati fogli di informazioni inquadrate da piacevoli cronache, da scalpori
mondani o da « réclames » finanziarie.
Quale sarebbe, oggi, il giornale abbastanza ricco da permettere ai suoi redattori delle opinioni
personali, e quale autorità avrebbero queste opinioni presso dei lettori che chiedono soltanto
di essere informali e dilettati, e che, dietro ogni raccomandazione, intravedono sempre lo
speculatore?
La stessa critica non ha più il potere di lanciare un libro o un lavoro teatrale. Essa può
nuocere, ma non aiutare. I giornali hanno talmente coscienza dell'inutilità di ogni opinione
personale, che essi hanno generalmente soppresso i critici letterari, limitandosi a dare il titolo
del libro con due o tre righe di réclame; e fra venti anni, sarà lo stesso per la critica teatrale.
Spiare l'opinione é diventata oggi la preoccupazione essenziale della stampa e dei governi.
Quale effetto produrrà un avvenimento, un progetto legislativo, un discorso: ecco ciò che
occorre loro sapere; non é cosa facile, perché nulla é più mutevole del pensiero delle folle che
accolgono con malanimo ciò che avevano acclamato alla vigilia.
Questa totale mancanza di direzione dell'opinione, e al tempo stesso la dissoluzione delle
credenze generali, hanno avuto per risultato finale uno sbriciolamento completo di tutte le
convinzioni, e la crescente indifferenza delle folle e degli individui, per quel che non riguarda
precisamente i loro immediati interessi. Le questioni di dottrine, come il socialismo, non
reclutano difensori realmente convinti che nei ceti illetterati: operai di miniere e di officine,
ad esempio. Il piccolo borghese, l'operaio leggermente istruito, sono diventati troppo scettici.
L'evoluzione così operata da trent'anni ad oggi suscita stupore. Nell'epoca precedente,
tuttavia poco lontana, le opinioni possedevano ancora un orientamento generale; esse
derivavano dall'adorazione di qualche credenza fondamentale. Il solo fatto di essere
monarchico, implicava fatalmente, tanto nella storia che nelle scienze, certe idee conservatrici
e il fatto d'essere repubblicano, conferiva delle idee completamente contrarie. Un monarchico
diceva con sicurezza che l'uomo non discende dalla scimmia, e un repubblicano, affermava
con non minor sicurezza che invece discende dalla scimmia. Il monarchico doveva parlare
della Rivoluzione con orrore, e il repubblicano con venerazione. Certi nomi, come quelli di
Robespierre e di Marat, dovevano essere pronunciati con espressioni riverenti, e altri, come
quelli di Cesare, di Augusto e di Napoleone non potevano essere articolati senza invettive.
Perfino nella nostra Sorbona prevaleva quest'ingenuo modo di concepire la storia.
Oggi, di fronte alla discussione e all'analisi, ogni opinione perde il suo prestigio; i suoi angoli
si smussano presto, e ben poche idee, capaci di appassionarci, sopravvivono. L'uomo
moderno é sempre più conquistato dall'indifferenza.
Non deploriamo troppo presto questo isterilimento generale delle opinioni. Che ciò sia un
sintomo di decadenza nella vita di un popolo, non si può contestarlo. I veggenti, gli apostoli, i
condottieri, i convinti insomma, hanno di certo una ben altra forza dei negatori, dei critici,
degli indifferenti; ma non dimentichiamo che con la potenza attuale delle folle, se una sola
opinione potesse acquistare abbastanza prestigio per imporsi, sarebbe ben presto rivestita di
un potere talmente tirannico che tutto dovrebbe piegare di fronte ad essa.
L'età della libera discussione sarebbe allora chiusa per lungo tempo.
Le folle mettono talvolta in evidenza dei padroni pacifici, come lo furono a lor tempo
Eliogabalo e Tiberio; ma esse hanno anche furiosi capricci. Una civiltà facile a cadere fra le
loro mani, é in balia di troppi casi per durare a lungo. Se qualcosa potesse ritardare un po'
l'ora del dissolvimento, sarebbe precisamente l'estrema mobilità delle opinioni e
l'indifferenza crescente delle folle per tutte le credenze generali.
Parte Prima:
http://ilcomunista23.blogspot.it/2015/09/psicologia-delle-folle-1895-prima-parte.html
Parte Terza:
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