Stefania Maurizi è una giornalista italiana.
"Voglio vivere in una società in cui puoi esporre
i crimini di guerra, la sorveglianza di massa,
senza passare 7 anni in prigione come
Chelsea Manning, senza essere detenuta
arbitrariamente per 9 anni come Julian #Assange,
senza essere costretta a scappare in Russia,
come Edward Snowden."
Stefania Maurizi, "Il potete segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e WikiLeaks" in uscita per Chiarelettere.
Vedi anche il bel lavoro di Riccardo Iacona per la RAI "Presa Diretta", che ricostruisce tutta la vicenda Assange:
https://www.raiplay.it/programmi/presadiretta
E altro: Il processo a Julian Assange - Alessandra Ciattini
Assange in Tribunale - Craig Murray
Partiamo da Julian Assange e l’Afghanistan un'associazione più che mai doverosa visti gli ultimi avvenimenti. Nei giorni scorsi è diventato virale un video del Fondatore di WikiLeaks, il quale, nel 2011, spiegava che per gli Usa in Afghanistan "l'obiettivo era una guerra eterna". Già da queste parole si intuisce il motivo per il quale gli inquilini della Casa Bianca degli ultimi anni chiedono la sua testa?
Non c’è alcun dubbio che la pubblicazione dei documenti segreti del governo americano sulla guerra in Afghanistan, gli Afghan War Logs, da parte di WikiLeaks nel luglio del 2010, sia costata la libertà a Julian Assange. Dal 2010, non è più un uomo libero. I file sulla guerra in Afghanistan, quelli sul conflitto in Iraq, i cablo della diplomazia americana e le schede dei detenuti di Guantanamo sono i documenti per cui rischia 175 anni di prigione negli Stati Uniti. Ma la libertà l’ha persa già dal 2010, quando iniziò a pubblicare queste rivelazioni e, da quel momento in poi, è finito inizialmente agli arresti domiciliari per 18 mesi, poi è rimasto confinato sette anni nell’ambasciata dell’Ecuador senza mai un’ora d’aria e senza via d’uscita, infine è stato incarcerato nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, in cui si trova dall’11 maggio 2019 in attesa che la giustizia inglese decida se estradarlo negli USA dove appunto rischia 175 anni. Ricordo la reazione furibonda del Pentagono, nel luglio del 2010: accusò immediatamente Julian Assange e i giornalisti di WikiLeaks di avere “le mani sporche di sangue”, perché, secondo il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, gli Afghan War Logs esponevano i traduttori e i collaboratori delle truppe americane e occidentali, i cui nomi comparivano nei file, alla rappresaglia dei Talebani.