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venerdì 23 aprile 2021

I limiti dell’aziendalismo nella sanità: la necessità di un cambio di paradigma - Domenico Laise, Giuseppe Martino

 Da: https://www.economiaepolitica.it - 

Domenico Laise è stato Professore Associato di Economia e Controllo delle Organizzazioni e di Sistemi di Controllo di Gestione presso la Facoltà di Ingegneria dell'informazione, informatica e statistica dell'Università di Roma 'La Sapienza'. Collabora con https://www.unigramsci.it

Giuseppe Martino è stato Professore a contratto di Economia e Controllo delle Organizzazioni e di Sistemi di Controllo di Gestione presso la Facoltà di Ingegneria dell'informazione, informatica e statistica dell'Università di Roma 'La Sapienza'. Attualmente è Consulente di Direzione e docente in diversi Master universitari di I e II livello. 

Leggi anche: Bio-economia e il mito della decrescita felice*- Domenico Laise 

La robotica come forza autodistruttiva del capitalismo - Marco Beccari

Sull'attualità del pensiero economico di Marx”*- M.Beccari - M.Paciotti 


1. Introduzione

Nel corso di tre decenni, circa, con l’introduzione del D.Lgs. 502/1992, (Riordino della disciplina in materia sanitaria), si è affermata l’idea della “aziendalizzazione” delle strutture sanitarie. In tale lasso di tempo, si è, cioè, consolidata progressivamente la convinzione che assimila l’ospedale ad un’azienda. Come ogni azienda anche l’ospedale deve essere, perciò, gestito, dai manager sanitari, nel rispetto dei criteri dell’economicità, dell’efficienza e dell’efficacia (D.Lgs. 502/1992- Art.3, 1ter). Poiché il legislatore non definisce il significato che attribuisce al criterio dell’economicità e poiché nella letteratura aziendale non esiste una definizione di economicità che gode di largo consenso, qui di seguito si riportano, innanzitutto, le definizioni di tali criteri che verranno usate in questa nota.

La gestione dell’azienda-ospedale è efficiente quando i suoi ricavi (espressione monetaria dei servizi resi) sono superiori o uguali ai costi sostenuti (espressione  monetaria delle risorse impiegate per ottenere tali ricavi). La gestione dell’azienda-ospedale è efficace quando i risultati gestionali ottenuti sono uguali o maggiori degli obiettivi pianificati. L’economicità della gestione dell’azienda-ospedale è, infine, soddisfatta quando sono garantite sia l’efficienza sia l’efficacia.

Si tornerà diffusamente sulla nozione di “economicità” nel seguito, per svilupparla e approfondirla. Qui si è voluto anticiparla esplicitamente, a livello di introduzione, poiché essa è il “perno” intorno al quale ruota l’intera filosofia dell’aziendalizzazione delle strutture sanitarie. Dal mancato rispetto dell’economicità – intesa, erroneamente, solo come efficienza – deriva, difatti, che le aziende sanitarie non efficienti sono anche quelle non economiche, che in quanto tali devono essere “ristrutturate” (efficientate, come talvolta si dice), con tagli di posti letto, con chiusura di interi reparti e, al limite, con la chiusura dell’intero ospedale.

sabato 28 agosto 2021

L’utopia della de-mercificazione della forza-lavoro - Domenico Laise

Da: https://www.lacittafutura.it - Domenico Laise è stato Professore Associato di Economia e Controllo delle Organizzazioni e di Sistemi di Controllo di Gestione presso la Facoltà di Ingegneria dell'informazione, informatica e statistica dell'Università di Roma 'La Sapienza'. Collabora con https://www.unigramsci.it



La mercificazione della forza-lavoro è una condizione necessaria per l’esistenza del modo di produzione capitalistico. Di conseguenza, la “de-mercificazione” della forza-lavoro è incompatibile con il modo di produzione capitalistico. È, cioè, la sua negazione. 

Dal tempo in cui Marx scriveva il Capitale ad oggi sono mutati molti aspetti nel modo in cui il lavoro viene organizzato ed erogato. L’introduzione di tecnologie come le piattaforme digitali, per esempio, ha generato quello che, da molti autori, viene chiamato il “capitalismo digitale”. Ma, nonostante queste “mutazioni”, alcuni aspetti essenziali del modo di produzione capitalistico non hanno subito modifiche sostanziali. Uno di questi aspetti è la “mercificazione della forza-lavoro”, ovvero la riduzione della forza-lavoro a merce. Da questo dato di fatto occorre ripartire per dare solide basi teoriche anche alle analisi delle forme moderne di erogazione e organizzazione tayloristiche del lavoro. Da questo incontestabile dato di fatto occorre ripartire per illustrare scientificamente l’esistenza dello sfruttamento del lavoro umano, anche nel capitalismo digitale.

mercoledì 19 aprile 2017

Bio-economia e il mito della decrescita felice*- Domenico Laise**

*Quarto incontro del seminario UniGramsci: "FORZA-LAVORO, MACCHINE, E PROGRAMMA MINIMO"   https://www.unigramsci.it/
**Professore associato Dipartimento di Informatica e Sistemistica - Facoltà Ingegneria - Università "La Sapienza" - Roma
Leggi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/04/cinque-risposte-su-marxismo-ed-ecologia.html

(Cliccando con il mouse sulla singola foto sarà possibile una migliore visione.)



Con rammarico, non avendo la possibilità di mostrare in video l'interessantissimo lavoro del Prof. Laise ci limitiamo a condividere le slides d'accompagnamento al seminario. 

Pur non rendendo, in tal modo, la completezza dell'ottima lezione tenuta, la "traccia" seguita nelle slides è di per se molto chiara e esplicativa. Buona lettura... 
(il collettivo)




mercoledì 12 settembre 2018

La robotica come forza autodistruttiva del capitalismo - Marco Beccari

Da: https://www.lacittafutura.it - Marco Beccari - Approfondimenti teorici (Unigramsci) L’articolo trae spunto dal materiale didattico (lucidi) preparato e presentato da Domenico Laise, docente dell’Università La Sapienza di Roma, ad un seminario, su: “La Teoria del valore-lavoro nell’epoca della robotica”, tenuto presso l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2017-2018. Il riferimento bibliografico essenziale dei materiali presentati in tali seminari è: D. Laise, La Natura dell'impresa capitalistica, Egea, Milano, 2015. - Leggi anche: "News" sulla crisi... - Friedrich Engels

L’incremento della robotica conduce al deperimento della legge del valore, entrando, così, in contraddizione con il fine capitalistico di estrarre plusvalore dalla produzione di merci. 

In una serie di precedenti articoli si è osservato come l’introduzione dei robot nella produzione di fabbrica determina una sempre maggiore automazione del processo lavorativo, anche se le macchine non sostituiscono mai del tutto il lavoro umano, che rimane sempre l’unico elemento attivo. I capitalisti introducono l’automazione con il fine di ridurre i costi di produzione. Essi, in concorrenza tra loro, per vendere le proprie merci e conquistare i mercati, introducono le innovazioni tecnologiche e le nuove macchine nella produzione per ridurne i costi. In un sistema dominato dall’anarchia della produzione, il capitalista che riesce a produrre le merci a costi minori vince la sfida competitiva. Questa concorrenza è una vera e propria guerra tra “fratelli nemici”, dove alcuni soccombono, mentre altri riescono a sopravvivere.
Come osservato sopra, il robot è introdotto dai capitalisti poiché riduce il costo del lavoro totale, dato dal numero dei lavoratori moltiplicato per il salario di ogni singolo lavoratore. Seguendo Marx, il salario di ciascun lavoratore non è altro che il lavoro contenuto nelle merci salario, ovvero è il lavoro richiesto per produrre le merci necessarie perché i lavoratori possano riprodursi come classe sociale, permettendo di continuare il processo di accumulazione del capitale.
Con la robotica la forza produttiva del lavoro sociale si sviluppa enormemente oltre ogni limite precedentemente immaginabile, permettendo di produrre sempre più merci in tempi equivalenti. Il valore di ogni merce, perciò, diminuisce in quanto sono necessarie meno ore di lavoro, o meno lavoratori, per produrre la stessa massa di merci. Tuttavia se la singola merce richiede meno lavoro per essere realizzata, allora anche il valore della merci salario diminuisce, poiché occorrono meno ore di lavoro per produrre le merci necessarie alla riproduzione della classe lavoratrice. Ciò causa una diminuzione del salario unitario e, quindi, un aumento del plusvalore relativo.

lunedì 12 luglio 2021

Lo smart working sopravviverà alla pandemia? - Domenico Laise

https://www.lacittafutura.it - Domenico Laise è stato Professore Associato di Economia e Controllo delle Organizzazioni e di Sistemi di Controllo di Gestione presso la Facoltà di Ingegneria dell'informazione, informatica e statistica dell'Università di Roma 'La Sapienza'. Collabora con https://www.unigramsci.it 

Cos’è lo smart working? È una formula organizzativa che i capitalisti utilizzano per accrescere lo sfruttamento dei lavoratori (plusvalore). È la finalizzazione dello smart working allo sfruttamento del lavoro che va combattuta e non la formula dello smart working in quanto tale.



In questa nota si sosterrà che ci sono validi motivi per ritenere che lo smart working sopravvivrà oltre il tempo della pandemia. Esso, è, infatti, uno strumento a disposizione dei capitalisti per “destrutturare, frammentare e atomizzare” la residua  resistenza della classe dei lavoratori proletari, nella lotta per la difesa delle conquiste che essi hanno realizzato nel passato [1].

La pandemia, dovuta al virus Covid-19, ha incentivato il ricorso allo smart working. Ciò, come è noto, è dipeso, principalmente, dal fatto che lo smart working può essere svolto senza vincoli stringenti di spazio e di tempo, permettendo il distanziamento richiesto per ridurre il rischio di contagio. 

Ora, all’interno della disputa sui vantaggi e gli svantaggi dello smart working ci si domanda: “dopo la fine della pandemia lo smart working continuerà a svilupparsi oppure ritornerà ad essere un fenomeno relativamente marginale come nel passato?”

Per dare una risposta a questo quesito, bisogna analizzare nel dettaglio la natura dello smart working [2].

venerdì 28 aprile 2017

“Sull'attualità del pensiero economico di Marx”*- M.Beccari - M.Paciotti

*I due articoli che presentiamo, pubblicati sulla rivista  https://www.lacittafutura.it/, sono frutto di una riflessione che trae spunto dal materiale didattico preparato dal compagno Domenico Laise, docente dell’Università La Sapienza di Roma e presentato ad un seminario “Sull'attualità del pensiero economico di Marx”, tenuto presso l'UniGramsci (universit-popolare-antonio-gramsci), nell'anno accademico 2016-2017.  
Leggi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/04/bio-economia-e-il-mito-della-decrescita.html



Il mito della “fine del lavoro” - Marco Beccari 

Lo sviluppo tecnologico ha provocato un aumento del numero di disoccupati in Occidente, a ciò però si oppone una crescita dell’occupazione su scala internazionale, anche nel comparto industriale.

In una recente inchiesta, il settimanale l'Espresso [1] documenta il calo del numero dei dipendenti nelle principali aziende italiane negli ultimi 25 anni. L’idea di fondo dell’inchiesta è che l’introduzione delle tecnologie, come la robotica e l’intelligenza artificiale, nel mondo del lavoro, provoca disoccupazione strutturale. Si osserva, in Italia, una riduzione dell’occupazione, che colpisce sia l’industria che il settore dei servizi. Ne conseguirebbe che a lungo termine il lavoro non ci sarà più. Saremmo quindi di fronte alla “morte del lavoro”. In un futuro, più o meno lontano, i robot, sempre più evoluti, potranno rimpiazzare l’uomo in tutti i lavori, compresi quelli che richiedono intelligenza, come ad esempio l’educazione.

I fatti, tuttavia, mettono in evidenza un calo dell'occupazione e non la fine del lavoro, mostrano, cioè, che il lavoro tendenzialmente si riduce, ma non muore. Il motivo di questa improbabile “morte” lo si può cogliere riflettendo sulle vicende del settore dell'auto negli ultimi decenni. Un esempio emblematico è offerto dagli esperimenti della Fiat. Il tentativo negli anni ’80 di realizzare a Termoli una fabbrica senza uomini e senza scioperi, la Fabbrica ad Alta Automazione (FAA), è stato un colossale insuccesso. I macchinari erano inadeguati a gestire le frequenti variazioni dei prodotti e gli intoppi nel processo produttivo. Un piccolo inceppamento era sufficiente per fermare l’intera linea. Non a caso nell’industria dell'auto si afferma il il modello toyotista della Fabbrica Integrata (FI), nel quale si riconosce che è il lavoro umano a produrre valore aggiunto e nel quale convivono robots e lavoratori umani. Lo stesso Taiichi Ohno, padre di quel modello, basato sulla “lean production”, osserva che le macchine presentano l’inconveniente di non essere capaci di pensare in modo creativo [2]. Infatti il robot non è in grado di risolvere problemi inattesi che sorgono nel processo produttivo.

Secondo Martin Ford, intervistato dall’Espresso, alla base di questo fenomeno, chiamato “disoccupazione tecnologica”, ci sono le macchine e il progresso tecnico. Purtroppo anche molti “marxisti” hanno fatto proprio il mito della fine del lavoro vivo, attribuendolo, alcuni, ad un passo dello stesso Marx pubblicato sui Grundrisse [3]. Per i sostenitori della fine del lavoro” il capitalismo non è più quello studiato da Marx dunque la teoria di Marx è ormai un “ferro vecchio”, vale a dire una teoria obsoleta. La fine del lavoro, poi, implica la fine della teoria del valore con la conseguenza che il plusvalore non è più interpretabile scientificamente come sfruttamento del lavoro umano. Lo sfruttamento, dunque, diviene spiegabile solo in termini etici e morali, come ingiustizia retributiva. Evidentemente, se il marxismo è inattuale, allora non hanno più senso nemmeno i partiti che ad esso si ispirano. Con la fine del lavoro sarebbero finite anche le classi sociali e la lotta di classe e di conseguenza anche la storia [4] e non avrebbe più senso combattere il modo di produzione capitalistico, rimanendo l’ingiusta distribuzione di ricchezza l’unico terreno di lotta.