L’incremento della robotica conduce al deperimento della legge del valore, entrando, così, in contraddizione con il fine capitalistico di estrarre plusvalore dalla produzione di merci.
In una serie di precedenti articoli si è osservato come l’introduzione dei robot nella produzione di fabbrica determina una sempre maggiore automazione del processo lavorativo, anche se le macchine non sostituiscono mai del tutto il lavoro umano, che rimane sempre l’unico elemento attivo. I capitalisti introducono l’automazione con il fine di ridurre i costi di produzione. Essi, in concorrenza tra loro, per vendere le proprie merci e conquistare i mercati, introducono le innovazioni tecnologiche e le nuove macchine nella produzione per ridurne i costi. In un sistema dominato dall’anarchia della produzione, il capitalista che riesce a produrre le merci a costi minori vince la sfida competitiva. Questa concorrenza è una vera e propria guerra tra “fratelli nemici”, dove alcuni soccombono, mentre altri riescono a sopravvivere.
Come
osservato sopra, il
robot è introdotto dai capitalisti poiché riduce il costo del
lavoro totale,
dato dal numero dei lavoratori moltiplicato per il salario di ogni
singolo lavoratore. Seguendo Marx, il salario di
ciascun lavoratore non è altro che il lavoro
contenuto nelle merci salario,
ovvero è il lavoro richiesto per produrre le merci necessarie perché
i lavoratori possano riprodursi come classe sociale, permettendo di
continuare il processo di accumulazione del capitale.
Con
la robotica la forza
produttiva del lavoro sociale si sviluppa enormemente oltre
ogni limite precedentemente immaginabile, permettendo di produrre
sempre più merci in tempi equivalenti. Il valore di ogni merce,
perciò, diminuisce in quanto sono necessarie meno ore di lavoro, o
meno lavoratori, per produrre la stessa massa di merci. Tuttavia se
la singola merce richiede meno lavoro per essere realizzata, allora
anche il valore
della merci salario diminuisce,
poiché occorrono meno ore di lavoro per produrre le merci necessarie
alla riproduzione della classe lavoratrice. Ciò causa una
diminuzione del salario unitario e, quindi, un aumento del plusvalore
relativo.
Inoltre,
essendo possibile produrre più merci con lo stesso numero di
lavoratori, i
capitalisti possono ridurre
il numero dei lavoratori alle
proprie dipendenze per produrre la stessa quantità di merci. I robot
riducono,
quindi, il costo
della forza-lavoro,
diminuendo sia il salario unitario sia il numero di lavoratori.
I
lavoratori non più necessari al capitalista, se non trovano un altro
lavoro, andranno ad ingrossare le fila dei disoccupati strutturali,
ovvero accresceranno il cosiddetto esercito
industriale di riserva.
Ciò determina una riduzione del salario, poiché con l’aumento
dell’esercito industriale di riserva è possibile pagare meno i
lavoratori per la stessa quantità di lavoro erogato. Essendo
diminuita la domanda e aumentata l’offerta della merce
forza-lavoro, il suo prezzo scende come per ogni altra merce. I
capitalisti si avvantaggiano di questa situazione per portare
il salario della forza-lavoro sempre più vicino al minimo possibile,
ovvero quello strettamente necessario per riprodurre la classe dei
lavoratori.º
Tuttavia,
nei precedenti articoli, abbiamo visto che nel capitalismo
la forza-lavoro
non è solo un costo. Essa, infatti, costituisce “il
materiale sfruttabile”,
ovvero la sorgente del valore e,
quindi, del plusvalore.
Riducendo il numero dei lavoratori diminuisce anche la quantità di
plusvalore totale ottenuto dal capitalista. Egli nella continua
ricerca del proprio massimo profitto, diventa "il becchino di sé
stesso", ovvero si "scava da solo la propria fossa"
(eutanasia). L’utilizzo
dei robot per
sostituire il lavoro vivo determina, difatti, una riduzione
del plusvalore totale.
A
questa riduzione del plusvalore totale, dovuto alla diminuzione del
numero dei lavoratori, si oppone la
riduzione del salario relativo dei lavoratori.
La giornata lavorativa (data) di ognuno è infatti formata dalla
parte retribuita, il salario, e da quella non pagata, che determina
il plusvalore del capitalista. Incrementando la produttività del
lavoro con l’introduzione
delle macchine il
capitalista aumenta
il plusvalore ottenuto da ogni singolo lavoratore,
poiché il salario unitario diminuisce. Ciò determina un aumento
del plusvalore totale,
che si contrappone alla riduzione determinata dalla diminuzione del
numero dei salariati. Quindi, si hanno due tendenze contrastanti.
Come osserva Marx, nell'uso
del macchinario per la produzione di plusvalore vi è una
contraddizione immanente [1].
Quale
di queste due tendenze contraddittorie prevale sull’altra? Per
comprenderlo utilizzeremo un esempio fatto dallo stesso Marx [1].
Immaginiamo che il nostro capitalista disponga di 24 operai per una
giornata lavorativa di 12 ore. In assenza di robot, si suppone che
ognuno di essi lavori 11 ore per guadagnarsi il proprio salario,
mentre l’ultima ora è un pluslavoro non retribuito, che
costituisce il plusvalore intascato dal capitalista. Ciò determina
un plusvalore totale di 24 ore. Con l’introduzione dei robot, si
suppone che il capitalista possa ridurre il numero dei lavoratori a 2
unità. Ora, con la maggiore produttività, saranno necessarie solo 2
ore di lavoro per ottenere il salario di ogni lavoratore, le altre 10
ore di lavoro di ogni lavoratore finiranno direttamente nelle tasche
del capitalista. Il plusvalore totale sarà, quindi, costituito da 20
ore di lavoro. Come osserva lo stesso Marx, è
impossibile spremere da 2 operai più plusvalore di quanto se ne
spreme da 24 operai [1].
C'è, quindi, un limite assoluto oltre il quale è impossibile
aumentare il plusvalore attraverso il calo del numero dei lavoratori
e la riduzione del salario.
In
altri termini, l’aumento
del plusvalore unitario,
mediante l’introduzione dei robot, non
è in grado di compensare la riduzione del plusvalore dovuta alla
diminuzione del numero degli occupati.
Di conseguenza l’introduzione dei robot causa una riduzione del
plusvalore totale. I robot riducono il numero degli occupati, ovvero
“il
materiale sfruttabile”,
ad un livello tale da diminuire il plusvalore totale. Questa è
l’inevitabile contraddizione
dell’introduzione della robotica,
che porta, a lungo andare, anche alla caduta tendenziale del saggio
di profitto.
La robotica non
conduce, perciò, alla “Terra della Cuccagna”, come sostengono
molti economisti borghesi, ma al declino (eutanasia) del
modo di produzione capitalistico. Il
capitale è esso stesso la contraddizione in processo, per il fatto
che tende a ridurre il tempo di lavoro ad un minimo, mentre pone il
tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza [2].
Il capitale da una parte ricerca il massimo plusvalore unitario,
dall’altra, diminuendo il numero degli occupati, riduce il tempo di
lavoro ad un minimo, che è diverso da zero, determinando così
il deperimento
del plusvalore totale.
Marx
sostiene, in altri termini, che la Teoria
del valore-lavoro deperisce con
l'introduzione degli automi. Tuttavia deperire non è "perire",
non si ha, quindi, la trasmutazione ipotizzata da Marcuse, analizzata
in un precedente articolo.
La legge del valore continua ad essere valida anche nell’epoca
della robotica, ma è una validità anacronistica e contraddittoria.
Con il deperimento della legge del
valore il "tardo" capitalismo assume
il carattere di un modo di produzione che
è sempre più putrescente, arbitrario e dispotico.
Assume cioè i caratteri del capitalismo
finanziario,
basato non tanto sulla produzione di plusvalore ma sulla conquista
“manu
militari”
e sulla speculazione finanziaria per la spartizione del residuo ed
esiguo plusvalore.
In
conclusione, il deperimento
della legge del valore causato
dalla robotica e l’avanzare della contraddizione determinano i
presupposti, o condizioni
oggettive,
per il superamento
del capitalismo.
Occorre notare che tali condizioni oggettive sono necessarie ma non
sufficienti per superare il capitalismo; infatti, è richiesta anche
la coscienza da parte dei lavoratori salariati della necessità di
tale superamento e l’agire di classe conforme a tale coscienza,
ovvero le condizioni
soggettive.
Condizioni che, in una fase non rivoluzionaria, devono essere
sviluppate mediante un opportuno Programma
minimo di classe.
Note[1] Karl Marx, Il Capitale, Libro Primo, cap. 13: Macchine e grande industria.
[2]
Karl Marx, Lineamenti
fondamentali della critica dell’economia politica,
II Vol., p. 400, La Nuova Italia, Firenze, 1970
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