Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.
Vedi: https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/09/le-scienze-sociali-e-lantropologia.html
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/06/il-fattore-religioso-nellattuale.html
https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/10/la-protestantizzazione-dellamerica.html
La concezione gramsciana dell’ideologia e il compito della scienza
Ovviamente
la religione non è l’unica forma di ideologia e, quindi, è
necessario soffermarsi rapidamente sulle sue espressioni più
importanti.
Gramsci
considerava l’ideologia come un grappolo di concetti tra i quali
includeva la religione, la scienza, la filosofia, il conformismo, il
buon senso, il senso comune, il folclore, la religiosità popolare e
il blocco storico. Egli considera l’ideologia, compresa la scienza,
una concezione
del mondo,
trascurando la questione della falsa coscienza. Guido Liguori osserva
che questo discrimine tra falsa
coscienza e concezione
del mondo costituisce
una frontiera che divide gli studiosi marxisti.
Come
si è già detto, la riflessione sulle varie forme di ideologia ha
per Gramsci un obiettivo squisitamente politico: come operare
concretamente per modificare la coscienza delle masse popolari, che
si può esprimere nel folclore, nel senso comune, nella religiosità
popolare etc. E ciò con l’intento di rendere attivo il ruolo delle
stesse masse nel radicale processo di trasformazione sociale da lui
auspicato. Alcuni contemporanei mettono tra parentesi questa
prospettiva e ragionano su Gramsci (ma anche su Marx) come se fossero
solo dei filosofi.
La
concezione gramsciana dell’ideologia si fonda su tre presupposti,
evidenziati da Liguori (2005: 3) a proposito del senso comune ma
proprie anche delle altre forme ideologiche: 1) ogni stato sociale ha
la sua propria “concezione del mondo”; 2) essa il frutto
articolato e complesso di un lungo processo di sedimentazione delle
correnti filosofiche e culturali precedenti; 3) ogni “concezione
del mondo” si trasforma incessantemente secondo le sollecitazioni
ricevute dal mondo esteriore.
Vediamo
in dettaglio le varie forme di ideologia, ricordando che le analisi
di Gramsci si riferiscono in linea di massima al cattolicesimo e al
contesto italiano. Se evochiamo la già citata definizione del
marxista italiano (“mastodontica utopia”), sembra convergere con
le riflessioni di alcuni antropologi come Paul Radin e Bronislaw
Malinowki, studiosi di società extra-europee, per i quali la
religione sorge nelle difficili condizioni di vita che tutti
sperimentiamo; inoltre, il suo scopo sarebbe quello di esprimere e di
salvaguardare – come le utopie – i valori vitali fondamentali
quali l’aspirazione al successo, la ricerca della felicità e
l’auspicio di una lunga vita. In particolare, per Malinowski essa
costituisce una forma di “ritualizzazione dell’ottimismo” (v.
Ciattini 1997: 64-67), ossia un mezzo per dare speranza anche quando
non c’è via di scampo.
Questa
somiglianza tra le varie forme religiose non ci deve condurre ad una
totale identificazione: vi sono religioni universalistiche e
soteriologiche, che collocano il bene nell’aldilà, e religioni che
invece tentano di conquistarlo nella vita di tutti i giorni. Per
questa ragione sono state definite “religioni dell’immediato”,
tenendo presente che questo loro carattere è radicato anche nelle
prime e si identifica con le pratiche popolari (si pensi, per
esempio, al culto cattolico dei santi patroni).
Gramsci
si sofferma anche sull’opposizione religione / scienza che nella
storia occidentale ha costituito la chiave interpretativa della prima
sia da parte dei razionalisti che degli irrazionalisti, i quali come
Blaise Pascal ritengono che la ragione sia impotente e che invece la
fede sia “un mezzo superiore di conoscenza” (Gramsci
1975, Quaderno 8,
XXVIII – 1931 – 1932, “Appunti di filosofia. Materialismo e
idealismo”, § 230).
L’autore
marxista osserva che, sia dal senso comune che dalla religione,
l’esistenza di una realtà oggettiva esterna è data per scontata,
ma questa convinzione non scaturisce da prove e da dimostrazioni.
Quanto alla scienza,
anche in questo caso l’obiettività del reale deriva da “una
concezione del mondo, una filosofia e non può essere un dato
scientifico”. E aggiunge “Ciò che interessa la scienza non è
tanto dunque l’oggettività del reale, ma l’uomo che elabora i
suoi metodi di ricerca, che rettifica continuamente i suoi strumenti
materiali che rafforzano gli organi sensori e gli strumenti logici
(incluse le matematiche) di discriminazione e di accertamento, cioè
la cultura, la concezione del mondo, cioè il rapporto tra l’uomo e
la realtà con la mediazione della tecnologia. Anche nelle scienze
cercare la realtà fuori degli uomini, inteso ciò nel senso
religioso o metafisico, appare niente altro che un paradosso. Senza
l’uomo cosa significherebbe la realtà dell’universo? Tutta la
scienza è legata ai bisogni, alla vita, all’attività
dell’uomo…Per la filosofia della praxis l’essere non può
essere disgiunto dal pensare, l’uomo dalla natura, l’attività
dalla materia, il soggetto dall’oggetto; se si fa questo distacco
si cade in una delle tante forme di religione o nell’astrazione
senza senso>> (1975, Quaderno 11
, XVIII – 1932 – 1933 – “Introduzione alla filosofia”, §
37).
Come
si vede, dunque, Gramsci non ritiene che il compito della scienza,
che come ogni ideologia è un prodotto storico-sociale, sia quello di
sancire la netta separazione tra soggetto ed oggetto; essa è
caratterizzata al contrario dalla consapevolezza dell’impossibilità
della scissione e quindi della necessità di prendere in
considerazione le teorie scientifiche, ponendole sempre in relazione
con i bisogni e le aspettative di una certa fase storica.
Un’impostazione quindi di natura dialettica, segnata dalla nozione
di verità storica, radicalmente diversa da quella che viene
attribuita al cosiddetto scientismo, profondamente radicato nel
positivismo.
La
concezione gramsciana dell’ideologia è ostile alla teoria del
riflesso, che ne fa una appendice meramente passiva della
strutturazione sociale, e ne sottolinea invece la grande complessità;
la quale si manifesta, per esempio, nel “senso
comune disgregato,
quindi non finalizzato o funzionale a priori a un blocco storico
preciso, sia, all’estremo opposto, [nella] filosofia coerente e
funzionale a un dominio” (Filippini 2012: 90). Pertanto, a suo
parere, l’ideologia abbraccia fenomeni assai diversi per
caratteristiche e per strutturazione, ma tutti accomunati dal fare
parte della categoria più generale di “concezione del mondo”;
nozione che ammorbidisce il contrasto scienza / falsa coscienza.
Soffermiamoci
brevemente sul senso
comune,
che l’autore sardo definisce come la concezione della vita e la
morale più diffusa in un certo strato sociale, perché – come si è
detto nelle pagine precedenti – ogni gruppo sviluppa il suo proprio
senso comune, che d’altra parte può essere anche identificato con
il conformismo. Il senso comune costituisce <<il folclore della
filosofia>> e al contempo sembra essere il frutto di una
ricezione passiva tramite la quale si accoglie quanto elaborato ed
imposto da un gruppo dirigente.
Questi
aspetti stanno ad indicare la sua importanza, sempre se si persegue
l’obiettivo di cambiare le strutture sociali, giacché Gramsci è
consapevole che a questo fine esso debba essere mutato, ma non
commettendo “l’errore illuministico” di credere che, una volta
comunicata un’idea chiara, essa sia immediatamente compresa e messa
in pratica. A suo parere piuttosto con il senso comune “va
instaurato un rapporto dialettico e maieutico, perché venga
trasformato e insieme si trasformi fino alla conquista…di un “nuovo
senso comune”, cui è necessario pervenire nell’ambito della
lotta per l’egemonia” (Liguori 2005: 2-3).
Questo
processo di trasformazione deve realizzarsi, riformulando le
acquisizioni della filosofia della prassi, di modo che si vadano ad
incarnare in modi di pensare, di agire, in valori, che abbiano la
capacità di orientare il comportamento delle masse popolari nella
vita quotidiana e nella lotta politica, facendo ben intendere che
tale mutamento avverrebbe solo a loro vantaggio. Solo questa è la
via per conseguire l’egemonia e conquistare le masse popolari
altrimenti orientate dalle classi dirigenti, con il supporto
indispensabile della Chiesa cattolica, verso obiettivi per loro
controproducenti. E questo è già evidente nel Manifesto del
1848 dove Marx ed Engels scrivono che nel processo rivoluzionario una
parte degli ideologi borghesi si è unita al proletariato e - a
differenza di quest’ultimo – è giunta a “conoscere
il tutto del movimento storico”.
A
queste considerazioni contenute nel Manifesto possiamo
aggiungere un brano del Che
fare? di
Lenin: “La storia di tutti i paesi attesta che con le sue sole
forze la classe operaia è in grado di elaborare una coscienza
tradunionista, cioè la convinzione della necessità di unirsi in
sindacati, di condurre la lotta contro i padroni, di cercare di
ottenere dal governo determinate leggi necessarie agli operai etc. La
dottrina del socialismo, invece, è cresciuta dalle teorie
filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai
rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali”.
Da
notare che tali considerazioni mettono in questione la relazione
meccanica tra appartenenza di classe e ideologia.
Spesso
Gramsci connota il sintagma “senso comune” in maniera negativa,
definendolo volgare e spesso lo affianca al buon
senso,
che talvolta assume una valenza negativa, talvolta positiva (Liguori
2005: 11). In particolare, Liguori sottolinea che in un passo
dei Quaderni Gramsci
ne dà una valutazione assai positiva, separandolo dal senso comune
ed affermando che esso costituisce “il nucleo sano del senso
comune”, in quanto non si fa ingannare da “arzigogolature e
astruserie metafisiche, pseudo-profonde, pseudoscientifiche” (cit.
in Liguori 2005: 12-13).
Oltre
ai continui rimandi alla religiosità
popolare, l’autore
sardo le dedica le famose pagine intitolate Osservazioni
sul folclore pubblicate
per la prima volta nel 1950. In questi passi egli definisce
il folclore una
“concezione del mondo” propria del popolo, il quale si divide nel
complesso delle “classi subalterne e strumentali” contrapposte a
quelle “ufficiali, egemoniche e dominanti”. Inoltre, sottolinea
che il folclore non è “una bizzarria, una stranezza, una cosa
ridicola”, si tratta piuttosto di una cosa molto seria che deve
essere studiata come espressione del modo implicito di sentire e di
pensare delle classi popolari (1975, Quaderno 27,
vol. III: 2311). Soltanto prendendo in considerazione il folclore da
questo punto di vista, Gramsci ritiene possibile superare il divario
tra la cultura degli intellettuali e quella popolare, favorendo la
profonda trasformazione di quest’ultima. Essa è dotata di una
morale e non costituisce un monolite, ma un insieme di strati, in cui
è possibile distinguere quelli che rispecchiano le condizioni di
vita passate e che quindi sono caratterizzati da un atteggiamento
conservatore e reazionario, e quelli invece progressivi generati da
“forme e condizioni di vita in processo di sviluppo”, in
contraddizione o solo diversi dalla morale degli strati dirigenti
(1975, Quaderno 27,
vol. III: 2313). In questo senso essa è un insieme eterogeneo e
asistematico di elementi che possono essere anche contraddittori e
che rispecchiano la composizione eterogenea del popolo, che ha una
visione non organizzata e non centralizzata, stratificata
comprendente documenti appartenenti ai vari momenti storici.
Tale
concezione del mondo, depositata nel linguaggio, nel senso comune e
nel buon senso, nella religiosità popolare comprendente credenze,
superstizioni, modi di vedere e di operare facenti parte di ciò che
si chiama folclore, scaturisce dalla “filosofia spontanea” creata
dai filosofi non professionisti, ma che in questo senso sono anche
loro filosofi (1975, Quaderno 11,
vol. II: 1375). Egli condanna anche l’atteggiamento degli
intellettuali di professione che hanno sempre tentato di introdurre
tra le masse ideologie non confacenti alle esigenze e alla forma di
vita di queste ultime; a tale sbagliata modalità di porsi egli
contrappone il comportamento del nuovo intellettuale che deve
mescolarsi con i subalterni, diffondere tra di essi la cosiddetta
“alta cultura” e fomentare il costituirsi di una nuova coscienza
nazionale.
L’altra
nozione che rientra nel campo dell’ideologia è quella di blocco
storico strettamente
connessa a quella di egemonia,
tematica più celebre della riflessione gramsciana. Per comprendere
il significato del concetto di blocco storico bisogna tenere conto
del fatto che le differenti forme di ideologia studiate da Gramsci,
che vanno dal senso comune alla filosofia, sono da lui disposte
secondo il grado di coerenza e di verità acquisito. Solo attraverso
lo sviluppo della coerenza e della validità conoscitiva sarà
possibile dare avvio ad un’efficace azione politica, che può
sfociare in un blocco storico (Filippini 2012: 91). Ma come avviene
questo processo? Ricordiamoci di quanto si è già detto a proposito
dello sviluppo della coscienza nell’azione politica, nella prassi,
nella comprensione del contesto sociale e dell’azione su di esso.
Ritorna
qui il tema già accennato in precedenza: la relazione dialettica tra
soggetto e oggetto, ossia tra superstruttura e struttura, relazione
che non nega alla prima la capacità di comprendere e articolare in
una certa misura la realtà, non facendone quindi una mera
espressione della falsa
coscienza oppure
un suo semplice riflesso.
A partire da questo principio dialettico coloro che, intendono
operare per la trasformazione sociale, debbono costruire nell’azione
politica una visione coerente e realistica di una determinata fase
storico-sociale e solo sulla base di essa potranno acquisire la forza
di egemonizzare; per questa via un gruppo o più gruppi sociali
orientati dalla stessa analisi e dagli stessi obiettivi si
trasformeranno in blocco storico. Solo in questo contesto gli uomini
verificheranno la verità di un’ideologia nello scontro politico,
ossia apprenderanno che questa è in grado di cambiare i rapporti di
forza e che quindi, proprio per questa sua facoltà, si è
trasformata in scienza (Filippini 2012: 98). Dunque, se la verità è
per Gramsci storicamente connotata, tuttavia è pur sempre
raggiungibile e verificabile per la sua proprietà di mostrare la sua
validità nell’agone politico.
Bibliografia
Ciattini
A., Antropologia
delle religioni,
Carocci, Roma 1997.
Eagleton
T., Ideologia.
Storia e critica di un’idea pericolosa,
Fazi Editore, Roma 2007.
Filippini
M., Tra
scienza e senso comune. Dell’ideologia in Gramsci,
“Scienza & Politica per una storia delle dottrine”, V. 24, N.
47, 2012, pp.
89-106. https://scienzaepolitica.unibo.it/article/view/3840/3246.
Gramsci
A., Quaderni
del carcere,
a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975.
Volosinov
V. N., Marxismo
e filosofia del linguaggio,
Dedalo, Bari 1976, ed. or 1929
Williams
R., Marxismo
e letteratura,
Laterza, Roma-Bari 1979.
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