Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/09/le-scienze-sociali-e-lantropologia.html
Questo
breve intervento contiene gli aspetti più importanti dell’ultima
lezione (la quarta) del corso “Storia religiosa dell’America
Latina” da me tenuto per l’Università popolare Antonio Gramsci.
Gli altri articoli relativi alle tre lezioni precedenti sono già
usciti sul nostro giornale (vedi ultimo).
Vorrei
cominciare una garbata nota polemica: in genere i marxisti quando
parlano di paesi periferici o di Terzo Mondo si soffermano in
profondità sugli aspetti economico-sociali dei contesti esaminati,
mettendo da parte la dimensione ideologica o tutt’al più
riconducendola alla cosiddetta teoria del riflesso,
che presenta molte problematicità, che magari cercherò di
approfondire in un’altra occasione. Invece, soprattutto oggi che
risulta sempre più evidente come le condizioni oggettive per una
protesta organizzata ci siano corposamente tutte, l’importanza del
fattore ideologico diventa sempre più determinante e mostra che
senza la presa di coscienza niente si muove. Né, d’altra parte –
come sosteneva Eric Hobsbawm – le condizioni miserrime di esistenza
sono sempre in grado di accendere la scintilla della messa in
discussione dell’ordine esistente, giacché da esse spesso si
sprigionano rassegnazione, passività, abbrutimento.
Tale
importanza della dimensione ideologica, in particolare nella sua
forma religiosa [1], emerge se si indaga la storia religiosa
dell’America segnata dalla forte collaborazione tra Corona e Chiesa
nel processo che abbiamo definito di colono-evangelizzazione.
Chiusa
la fase coloniale, che si fa coincidere con il termine delle guerre
di indipendenza dalla Spagna (1824) [2], gli Stati che si
costituirono in realtà non furono mai completamente autonomi,
giacché molti mantennero legami privilegiati con l’antica
metropoli o entrarono nella sfera di influenza della Gran Bretagna,
che aveva sostenuto la liberazione dal giogo coloniale perché
interessata a commerciare liberamente con il nuovo mondo.
Come
è noto, è di quegli anni anche la cosiddetta Dottrina
Monroe (1823)
con la quale il presidente James Monroe dichiarava sostanzialmente
che gli europei non avrebbero dovuto intervenire negli affari
americani. Dottrina che fu ribadita nel 1904 nel corollario del
presidente Theodor Roosvelt, il quale nel 1912 dichiarò anche che il
cattolicesimo costituiva il maggior ostacolo alla penetrazione
statunitense in America Latina. E d’altra parte, il protestantesimo
è considerato da autori come Samuel Huntingon un fattore
straordinario di sviluppo e un elemento costitutivo della potenza
statunitense. Infatti, egli scrive:
Ora
queste convinzioni non sono rimaste tali, dal momento che gli Stati
Uniti – come si vedrà in seguito – hanno avviato un processo di
protestantizzazione dell’America Latina per una serie di ragioni di
capitale importanza. Questo processo è stato individuato e
denunciato dalla stessa Chiesa cattolica, come si può ricavare dalle
parole pronunciate da Joseph Ratzinger nel 2004: “gli Stati Uniti
promuovono ampiamente la protestantizzazione dell’America Latina e
quindi il dissolvimento della Chiesa cattolica ad opera di forme di
Chiese libere, per la convinzione che la Chiesa cattolica non
potrebbe garantire un sistema politico ed economico stabile, in
quanto dunque fallirebbe come educatrice delle nazioni, mentre ci si
aspetta che il modello delle Chiese libere renderà possibile un
consenso morale e una formazione democratica della volontà pubblica,
simili a quelle caratteristiche degli Stati Uniti” (ibidem).
Queste
parole di Ratzinger sono del tutto veritiere, se prendiamo in
considerazione i dati di una recente ricerca, condotta dal Pew
Research di Washington, pubblicata nel novembre del 2014,
dai quali si ricava che oggi i cattolici in America Latina
costituiscono il 69% della popolazione, mentre fino agli anni 60 del
Novecento erano il 90%. Inoltre, sempre dalla stessa indagine risulta
che i cattolici latinoamericani hanno in gran parte fatto propri una
serie di valori secolari come il divorzio, l’uso degli
anticoncezionali, si dichiarano propensi all’introduzione di
significative innovazioni nella struttura ecclesiastica come il
sacerdozio femminile, la fine del celibato per i religiosi.
Il
risvolto di tale fenomeno è rappresentato dalla contemporanea
crescita degli evangelici (in America Latina non si usa chiamarli
protestanti perché questo termine è in stretta relazione con la
storia europea), i quali tra il 1970 e il 2014 sarebbero passati dal
9% al 19%. In generale, in una percentuale più alta rispetto ai
cattolici, attribuiscono un ruolo centrale alla religione nella loro
vita. A differenza dei cattolici gli evangelici hanno un
atteggiamento più rigorista, nel senso che sono contrari al
divorzio, al matrimonio tra individui dello stesso sesso, all’uso
degli anticoncezionali, partecipano in misura maggiore alla vita
religiosa e si distinguono per il loro attivismo caritatevole verso i
poveri. Il rifiuto dell’aborto sembra invece accomunare le due
comunità religiose.
Dalla
ricerca su menzionata si evince anche che il 60% degli evangelici,
che proviene dalla Chiesa cattolica, ha abbandonato questa forma
religiosa perché desiderava una esperienza religiosa più
coinvolgente, in cui un forte accento fosse posto sulla vita morale.
I due terzi degli evangelici appartengono a una denominazione
pentecostale o
si definiscono tali; essi si sono dislocati nella regione dando vita
a chiese indipendenti, che si diramano sul territorio secondo una
struttura a rete. Pur essendo assai eterogenee per struttura,
credenze e liturgia, le chiese pentecostali hanno le loro radici
nelle “Missioni di fede” statunitensi, provenienti dal movimento
protestante di santificazione, il quale è portatore di
un fondamentalismo
evangelico volto
ad un proselitismo aggressivo mirante all’incremento delle
conversioni. Esso focalizza tutto il suo interesse sulla vita del
singolo individuo, che deve essere riformata secondo i nuovi ideali
religiosi, stimolando l’indifferenza verso l’ambiente sociale e
conseguentemente il disimpegno politico. Ha, inoltre, un esplicito
orientamento anticattolico – giacché considera pagano il
cattolicesimo – e anticomunista, essendo il comunismo una visione
del mondo del tutto incongruente con la fede professata.
Al
centro del fenomeno pentecostale sta la fede nella discesa dello
Spirito santo sui seguaci del Cristo, avvenuta cinquanta giorni dopo
la Pasqua di resurrezione, con la quale una serie di doni vennero
effusi sugli astanti, che grazie alle straordinarie capacità così
acquisite avrebbero potuto portare avanti con successo
l’evangelizzazione. L’importanza di tale evento segna tutta la
liturgia pentecostale, nel corso della quale si mira essenzialmente a
“sperimentare” collettivamente il sovrannaturale, che in essa si
manifesta tramite miracoli, guarigioni, soluzione di problemi
esistenziali. Si tratta dunque di una liturgia in cui non si
trasmettono dottrine, quanto piuttosto ci si predispone, con danze e
canti, con comportamenti emotivamente coinvolgenti, a raggiungere una
sorta di estasi
collettiva.
In definitiva, una religione orale, gestuale, emotivamente
trascinante, dai caratteri simili a quelli di uno spettacolo
televisivo, che trasforma gruppi di individui di origini culturali ed
etniche diverse in una comunità sotto il controllo di un leader
carismatico. Allo stesso tempo, una religione che ha recepito una
serie di pratiche provenienti dal mondo africano e da quello del
cattolicesimo popolare, e che sembra coinvolgere essenzialmente i
settori sociali bassi e medi della popolazione latinoamericana.
La
penetrazione dell’evangelismo in America Latina risale alla seconda
metà dell’Ottocento, ma la massiccia ondata pentecostale ha inizio
con l’urbanizzazione dei contadini poveri che si stabilivano nelle
periferie delle megalopoli (anni 70 del Novecento), dove si
insediavano i pastori per fare proselitismo e per sostenere questi
gruppi sradicati. Questi ultimi erano e sono attratti
dal pentecostalismo perché
permette un accesso ad un Dio vicino, che esorta gli uomini al
soddisfacimento dei loro bisogni e alla realizzazione dei loro
desideri con lo slogan “smetti di soffrire”. Qualcosa dunque di
molto diverso della rassegnazione spesso predicata dai pulpiti
cattolici.
La
diffusione del pentecostalismo non è un fatto casuale, ma è
risultato dell’azione di varie concause, tra le quali debbono
essere annoverate l’atteggiamento delle amministrazioni
statunitensi e il trionfo del neoliberalismo alla
fine degli anni 70 del Novecento.
Come
abbiamo visto, già Theodor Roosvelt vedeva nel cattolicesimo un
nemico, che si è fatto più agguerrito quando si sviluppano in
America Latina le comunità ecclesiali di base, la Teologia
della liberazione e
apparvero addirittura i preti
guerriglieri come
Camilo Torres Restrepo. D’altra parte, il pauperismo cattolico
(l’America latina era stata convertita dagli Ordini mendicanti) si
scontrava con l’individualismo imprenditoriale evangelico, e
allontanava le masse dall’accettazione dell’American
way of life,
tanto importante per trasformare quel subcontinente in
una neocolonia.
L’ipotesi
della protestantizzazione dell’America Latina non scaturisce dalla
“teoria della cospirazione”, ma è suffragata di documenti molto
precisi, i quali sono la Informe di N. Rockfeller del 1969, i
Documenti di Sante Fe I e II, del 1980 e 1989. Da tali documenti si
ricava la forte preoccupazione dell’amministrazione statunitense
per tendenze progressiste sorte nella Chiesa cattolica a seguito del
Concilio Vaticano II; preoccupazione del resto condivisa da papi come
Wojtyla e Ratzinger. In particolare, nel documento di Santa Fe II, in
cui si fa addirittura riferimento alla riflessione di Antonio Gramsci
e alla grande importanza che questi ha attribuito alla dimensione
culturale e morale, si afferma: “Non basta più lo Stato con i
suoi caudillos,
non basta il giogo della dipendenza economica, non basta nemmeno
l’intervento militare diretto degli Usa” (M. Filippini, Gramsci
globale, 2011: 150). Per concludere invita a operare vigorosamente
anche in campo ideologico, come del resto mostra l’operato di varie
agenzie statunitensi che controllano a livello internazionale
la libertà
religiosa,
finanziano le chiese loro gradite e i “cristiani che lottano per la
democrazia” (per es. l’Institute
on Religion and Democracy).
Del
resto, con la sua enfasi sull’individuo, spinto ad agire nella
sfera quotidiana per raggiungere il successo promessogli da un Dio
che vuole solo la sua prosperità, il pentecostalismo si configura
come la forma religiosa più congeniale alla visione della società
propria del neoliberismo, che ha fatto proliferare in America Latina
il mercato informale in cui ognuno diventa imprenditore di se stesso.
Inoltre, a partire dagli anni 90 del Novecento, esso ha dato vita a
partiti confessionali di carattere conservatore, che, in occasione
dei processi elettorali, operano come strumenti di orientamento
politico dei fedeli, intesi come massa di manovra, che deve votare
per i candidati “fratelli”, perché un presidente cristiano sarà
sempre meglio di un non cristiano. Questi partiti, legati a
megachiese che funzionano come luoghi di aggregazione e di
celebrazioni spettacolari, sono fondati sullo sviluppo di rapporti
clientelari tra i pastori e i fedeli, tra gli uomini politici e lo
Stato, e sono riusciti ad ottenere il riconoscimento legale delle
chiese pentecostali e l’elezione di presidenti come, per esempio,
Alberto Fujimori in Perù nel 1991, che nominò vicepresidente un
pentecostale. La stessa vicenda della brasiliana Dilma Rousseff è
stata organizzata e diretta da uomini politici pentecostali.
Stanti
così le cose, pur segnato dalle influenze religiose del contesto
latinoamericano, il pentecostalismo non può non far comodo alle
amministrazioni statunitensi, che per questo ne sostengono
l’espansione.
Note
[1]
Per il forte appoggio che essa fornisce alle strutture di potere
Terry Eagleton definisce la religione la più ideologica delle
ideologie.
[2]
Il Brasile divenne indipendente per decisione degli stessi monarchi
portoghesi nel 1822.
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