- Da: https://www.lacittafutura.it - Scuola e Università - Approfondimenti teorici (Unigramsci)
- Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.
Il degrado dell’educazione superiore e della ricerca non incontra un’opposizione efficace.
Il ministro dell’Istruzione, non più pubblica [1], Marco Bussetti, laureato in Scienze motorie, è un sostenitore della politica anti-sbarchi di Salvini, ma non trova questo atteggiamento in contraddizione con la politica di inclusione che sarebbe attuata dal suo ministero (v. intervista al Corriere della Sera). Misteri della logica o della sua assenza.
Negli
ultimi mesi si sono susseguiti gli incontri tra i rappresentanti del
ministero e le organizzazioni sindacali del comparto, che però si
sono presentate separatamente e non come “tavolo unitario” come
avvenuto in precedenza. Nello specifico, la Federazione Lavoratori
della Conoscenza (FLC-CGIL) ha incontrato il 26 luglio scorso il
sottosegretario Lorenzo Fioramonti (Movimento 5 stelle) “in un
clima cordiale”, nel corso del quale ha fatto presenti gli
antichi problemi dell’università a partire dalla svolta
controriformistica degli ultimi decenni:
l’immutabile scarsità dei finanziamenti, la situazione
del precariato
dilagante in
attesa di una necessaria stabilizzazione, la riforma del pre-ruolo,
che preveda un percorso tutelato e con autentici sbocchi lavorativi
nelle università e negli enti di ricerca, il
grave problema del diritto allo studio con relativi finanziamenti,
la rivalutazione del ruolo del Consiglio universitario nazionale
(CUN). Ci sarebbe da aggiungere la fatiscenza degli edifici non
restaurati da decenni, del mobilio, la vecchiezza delle attrezzature,
la scarsità del personale a tutti i livelli (dai
tecnico-amministrativi agli addetti alle pulizie ormai organizzati in
cooperative per pochi spiccioli).
Nel
corso dell'incontro è stata ripresentata la vecchia richiesta di
20.000 nuovi posti nella ricerca e nella docenza, indispensabile se
le parole “innovazione”, “eccellenza”, “originalità” non
costituiscono lettera morta, come invece io credo. Da notare che gli
altri paesi avanzati, a partire dalla grande crisi, hanno fatto una
politica inversa, finanziando le istituzioni dell’educazione e
della ricerca nell’ottica della competizione internazionale. Non
seguendo questo principio, che dovrebbe essere loro congeniale, le
nostre classi dirigenti mostrano di aver accettato pienamente,
nonostante le sfide e le minacce di personaggi come Salvini, il
ridimensionamento del ruolo politico e culturale dell’Italia.
D’altra parte, per constatare che questo paese non conti nulla,
basta tenere conto della sua non partecipazione ai vertici importanti
o al fatto che, riguardo alla questione dei migranti, nessuno si è
scomodato ad intervenire.
Tornando
all’incontro “cordiale” con Fioramonti, nel comunicato della
FLC si può leggere: “Si è trattato… di un primo incontro in cui
abbiamo registrato delle convergenze e la disponibilità del
sottosegretario a proseguire il confronto sulle questioni che abbiamo
illustrato”. In conclusione, un nulla di fatto, anche perché a
parte qualche presidio di ricercatori precari degli enti di ricerca
le altre istituzioni, e soprattutto i docenti, tacciono, limitandosi
a scioperi che non sono tali.
Anzi, è il caso di dire che proprio i docenti o i dirigenti della
ricerca, con la loro ideologia di essere “servitori dello Stato”,
che deve sempre funzionare per gli studenti e i cittadini, bloccano
qualsiasi forma di protesta e con essa qualsiasi possibilità di
cambiamento.
Non
saranno certo gli incontri più o meno cordiali con il ministero che
cambieranno la situazione drammatica da cui deriva il nostro continuo
arretramento economico, sociale, politico, culturale; ci vogliono le
mobilitazioni dei lavoratori tutti (ma i prof non si considerano
tali) e degli studenti. E nemmeno le mobilitazioni garantiscono il
successo. Se con governi democristiani e di centro-sinistra la
politica della concertazione poteva avere un qualche senso, ormai
costituisce solo una perdita di tempo, portata avanti da élite prive
di combattività e di fantasia, e soprattutto desiderose di non
collocare il problema dell’università nella crisi sistemica e
complessiva del tardo capitalismo.
Anche
l’Associazione nazionale docenti universitaria (ANDU), cui
appartengo, ha incontrato il 24 luglio Fioramonti, presentando le
nostre proposte,
sicuramente più radicali di quelle della FLC, tra le quali ricordo:
bando di almeno 20.000 posti di docenti di terza fascia [2]
(ripristino del ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato), la
cancellazione di tutte le figure precarie, introduzione di un solo
contratto pre-ruolo, la proroga di tutti gli attuali precari fino
all’espletamento dei 20.000 concorsi. Naturalmente l’ANDU non ha
mancato di ricordare il problema del diritto allo studio (non tutti i
meritevoli ricevono la borsa per studiare), la lotta contro il
nepotismo, auspicando la trasformazione di tutte le prove concorsuali
in nazionali, la questione centrale della rappresentanza democratica
del Sistema nazionale universitario, che comporta inevitabilmente
l’abolizione dell’Agenzia Valutazione Università e Ricerca
(ANVUR), il ridimensionamento della Conferenza Rettori Università
Italiane (CRUI), che costituisce solo un’associazione privata, la
costituzione di un organo nazionale di autogoverno. Altri problemi
evidenziati dall’ANDU sono l’amministrazione democratica degli
atenei, possibile solo con l’abolizione della figura del
rettore-padrone e l’attribuzione di un ruolo centrale al Senato
accademico nella gestione degli atenei, la necessità di abbandonare
la logica distruttiva dell’eccellenza (dipartimenti eccellenti,
cattedre Natta, atenei “virtuosi”), che ha la funzione di
distribuire i fondi ai “migliori” (per chi?). Tale abbandono
dovrebbe avvenire, a mio parere, in nome del principio della
collaborazione, che sta a fondamento della stessa ricerca scientifica
sin dai suoi primordi.
Dopo
aver dato queste notizie estive, andiamo a consultare qualche dato
sull’università e poi a vedere cosa c’è scritto sullo stesso
tema nel famoso contratto di governo, siglato da Di Maio e Salvini,
sperando di ricavare qualcosa di più concreto. Quanto al primo
punto, secondo ciò che si ricava dalla Fondazione Res (2016), i dati
sarebbero inquietanti: in meno di dieci anni gli immatricolati sono
calati del 20% circa, i docenti perdono circa 11.000 unità, il
personale tecnico-amministrativo passa da 72.000 a 59.000 lavoratori;
allo stesso tempo, il numero dei corsi di studio diminuisce (da 5.634
a 4.628) e il Fondo di finanziamento ordinario è calato, in termini
reali, del 22,5%. Nonostante le tante chiacchiere sulla “società
della conoscenza”, questi elementi ci collocano tra gli ultimi
nell’Europa a 28 per il numero dei laureati; nel 2013 erano il
22,4%. Ovviamente il calo è stato più sensibile nel Mezzogiorno e
tra le famiglie operaie (v. inchiesta
di Repubblica).
E la cura di dimagramento non è finita, giacché si stanno attuando
ulteriori accorpamenti di dipartimenti con l’inevitabile perdita di
specificità disciplinari.
Vediamo
ora cosa dice a proposito dell’università il tanto discusso
contratto di governo, composto di 58 pagine divise in trenta
capitoli, e sottoposto all’approvazione dei grillini e dei legisti.
Il capitolo 30 (pag. 55) è dedicato a Università e ricerca e qui si
legge a proposito della questione finanziamento: “È prioritario
incrementare le risorse destinate all’università e agli Enti di
Ricerca e ridefinire i criteri di finanziamento delle stesse”. E
come ciò dovrebbe avvenire? “Attraverso una costante sinergia con
la Banca per gli investimenti – proposta dal nuovo governo –
saremo in grado di assicurare maggiori fondi per incrementare il
nostro livello di innovazione, rendendoli efficaci ed eliminando gli
sprechi” [3]. In particolare, il governo intende avvalersi dello
“strumento delle partnership pubblico-private”, che a suo parere
garantirà maggiori fondi alla ricerca. Infine, dopo l’inevitabile
accenno alla ricerca di base, non poteva mancare il richiamo alla
necessità che le università e i centri di ricerca contribuiscano “a
rendere il sistema produttivo italiano maggiormente competitivo e
propenso alla valorizzazione delle attività ad alto valore
tecnologico” (pag. 55). Come
richiesto dalla Treelle,
grande importanza viene attribuita alle lauree professionalizzanti
collegate agli Istituti Tecnici Superiori, e ciò – come
è già stato detto in altre occasioni –
per favorire i bisogni delle piccole e medie imprese, che non sanno
nemmeno cosa sia la ricerca (pag. 56).
Troviamo
poi un bel parlare di lotta al baronato, di meritocrazia, che
garantisca l’accesso all’università e la progressione di
carriera, di ricambio generazionale, ma non è menzionata una misura
concreta, come per esempio il reclutamento straordinario di 20.000
docenti o l’istituzione del ruolo docente unico, che eviterebbe la
gerarchia medioevale che ancora regge il sistema universitario e che
fu bersaglio delle proteste sessantottine. Insomma, tutte chiacchiere
di politicanti senza idee e senza un reale potere, ma pericolose
perché con
la loro vaghezza protestataria attraggono i più colpiti dalla crisi.
Note
[1]
Il nome completo è Ministero dell’Istruzione, Università e
Ricerca (MIUR).
[2]
Le fasce sono: ordinario e associato. Prima della 240/2010 (legge
Gelmini) c’era il ricercatore a tempo indeterminato sostituito da
quello precario.
[3]
Secondo la logica “campa cavallo che l’erba cresce”.
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