Di seguito i temi del secondo incontro del corso Breve storia della riflessione sulla religione tenuti all’Università popolare Antonio Gramsci.
- Segue da: Perché riflettere oggi sulla religione
Tornando
all’ideologia, mi soffermerò solo su due diversi modi di intendere
tale concetto, mostrando come alcuni studiosi abbiano praticato una
strada che ha permesso loro di uscire dalla relazione meccanicistica
struttura / sovrastruttura per aprirsi ad un’ampia e complessa
prospettiva dialettica, come del resto negli anni ’30 aveva
auspicato Volosinov.
Come
è noto, la parola ideologia nasce nell’Illuminismo e può esser
definita come lo studio dell’origine delle idee, le quali sarebbero
scaturite dalla ricomposizione ordinata dalle sensazioni e quindi non
avrebbero avuto un’origine trascendente. Napoleone polemizzava
contro gli idéologues,
che considerava uomini astratti incapaci di affrontare praticamente
le questioni politiche (quest’interpretazione è oggi dominante).
Se
analizziamo il linguaggio politico attuale, piuttosto rozzo nei suoi
contenuti e nelle sue espressioni, osserviamo una lampante
contraddizione: da un lato, secondo l’impostazione
relativistica ognuno
ha il diritto di esprimere la sua opinione e non è prevista la
possibilità di controbattere il contenuto di verità di
quest’ultima; dall’altro, è considerato ideologico tutto
ciò che per chi parla non sta in relazione con i fatti, come se
questi ultimi non fossero il prodotto di un’interpretazione
elaborata sulla base di certi schemi. Insomma, i politici non sono
riusciti a risolvere la contraddizione tra relativismo e oggettività,
tra punto
di vista e fatto,
e perciò oscillano tra le due posizioni, perché sostanzialmente
sono ancora vincolati all’idea di una verità
neutrale e apolitica,
non comprendendo che la sua ineliminabile storicità e
condizionatezza politica può non alterare la sua capacità
conoscitiva, opportunamente comprovata.
Questa
nozione di verità
storica è
già presente nella Ideologia
tedesca,
opera pubblicata solo integralmente nel 1932 in Unione Sovietica,
nella quale Marx ed Engels considerano la
coscienza come socialmente determinata,
sottolineando che le idee scaturiscono dalle concrete condizioni di
vita degli individui, in opposizione all’impostazione propria della
filosofia idealistica. Questa lettura rimarca che le forme di
coscienza, qualsiasi sia la loro natura, non godono di autonomia,
giacché sono indissolubilmente legate alle condizioni materiali di
esistenza dei gruppi umani.
Lo
studioso britannico Raymond
Williams è
del tutto convinto della validità di questa tesi, del resto
accettata anche da altri come per es. Pierre Bourdieu; tuttavia, non
condivide l’impiego da parte di Marx ed Engels di espressioni quali
riflessi, echi, immagini nebulose, dato che a suo parere queste
espressioni ci riconducono all’ingenuo dualismo proprio del
“materialismo meccanicistico” o a quella che è stata
definita teoria
del riflesso.
Sempre
nell’opinione di Williams, bisognerebbe ripartire invece dal
celebre accostamento tra l’ape e l’architetto, sviluppato da Marx
nel Capitale (libro
I); accostamento nel quale la coscienza “è considerata parte del
processo materiale umano”. In questo passo è messo in evidenza
che, a differenza dell’ape, l’architetto ha già elaborato nella
sua mente quanto vuole ottenere al termine del processo lavorativo.
Secondo
Williams, questo costituiva il vero passo avanti fatto da Marx, con
il quale veniva introdotta come “correttivo all’astratto
empirismo” “la storia materiale e sociale come rapporto tra uomo
e natura”, ma purtroppo questa prospettiva non fu seguita e ci
dimenticò che gli
uomini vivi da cui bisogna partire erano anche coscienti. Marx
ed Engels avevano individuato una nuova relazione tra la coscienza e
il processo materiale umano, ma questa nuova visione non fu chiara e
ciò costituì la fonte della “ingenua riduzione, in gran parte del
pensiero marxista successivo di coscienza, immaginazione, arte, idee
a ‘riflessi’, ‘echi’, ‘immagini nebulose’ e
‘sublimazioni’ (1979: 80-82).
In
un’altra pagina dell’Ideologia
tedesca Marx
ed Engels precisano che l’ideologia sgorga dalla separazione,
inconsapevolmente operata, tra coscienza e pensiero dal processo
sociale; ma quest’affermazione entra in contraddizione con la tesi
precedentemente sostenuta secondo la quale essere e coscienza sono
inscindibili. Tuttavia, tale separazione consente loro di distinguere
tra scienza e ideologia, tra “il sapere reale del processo pratico”
e la “falsa coscienza” (espressione secondo Eagleton coniata da
Engels e non usata da Marx, v. 2007: 113).
A
parere di Williams, per venire fuori dalla contraddizione
tra indissolubilità
e separazione della
relazione tra vita sociale e materiale e coscienza, un certo marxismo
ha elaborato il modello dei due stadi (versione materialistica del
dualismo idealista), “secondo il quale vi è prima la
vita sociale materiale, e poi,
a una certa distanza temporale, la coscienza e i ‘suoi’
prodotti”. In base a tale schema coscienza e idee sono ridotte a
meri riflessi di quanto si è già realizzato nel processo sociale
materiale (1979: 82-83).
Contro
questa impostazione Williams sostiene che la coscienza e i suoi
prodotti fanno sempre parte del processo sociale e materiale, perché
presenti sin dall’inizio nella mente del lavoratore e nel
linguaggio, costituendo elementi indispensabili al lavoro associato.
Inoltre, se per un verso pensare e immaginare sono processi sociali
interiorizzati dagli individui, dall’altro si rendono accessibili
agli altri solo attraverso le loro espressioni materiali: voci,
suoni, scrittura, materiali forgiati in vario modo (1979: 83-84).
Superando
la contrapposizione tra separazione e indissolubilità, tra falsa
coscienza e sapere verace, secondo una definizione di carattere
politico e non epistemologico si può considerare l’ideologia
“un’attrezzatura intellettuale” di una classe sociale, che può
anche contenere elementi di verità, pur essendo sempre legata a
certi specifici interessi. In questa prospettiva l’ideologia
diventerebbe “il complesso processo all’interno del quale gli
uomini ‘divengono’ (sono consci) dei loro interessi e dei loro
conflitti” (Williams 1979: 91). Da ciò si ricava che anche la
cosiddetta “falsa coscienza” è radicata nella situazione
sociale, da essa sgorga e ad essa si ispira, come nel caso del
feticismo della merce che non è il frutto di una pura elucubrazione
mentale o di una reazione emotiva, come sosteneva Charles de Brosses
a proposito del feticismo religioso.
Vi
è una consonanza tra questa considerazione di Williams e quanto
sostenuto da Gramsci, che non aveva potuto leggere l’Ideologia
tedesca,
perché – come si è visto – pubblicata per intero solo nel 1932.
Egli cita queste parole di Marx (Introduzione
alla critica dell’economia politica):
“Quando si studiano simili sconvolgimenti [le rivoluzioni sociali]
è indispensabile sempre distinguere tra lo sconvolgimento materiale
delle condizioni economiche della produzione, che può essere
constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme
politiche, giuridiche, religiose, artistiche o filosofiche che
permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di
combatterlo”. Il marxista italiano commenta così queste parole:
“Gli uomini prendono coscienza dei loro compiti nel terreno
ideologico, delle superstrutture, il che non è piccola affermazione
di realtà…”. E aggiunge che se ciò è vero “significa che tra
struttura e superstruttura c’è un nesso necessario e vitale, così
come nel corpo umano tra la pelle e lo scheletro: si direbbe uno
sproposito se si affermasse che l’uomo si mantiene eretto sulla
pelle e non sullo scheletro, e tuttavia ciò non significa che la
pelle sia una cosa apparente e illusoria…” (cit. in Filippini
2012: 92).
D’altra
parte, se l’ideologia è falsa nella misura in cui è plasmata
dalle sue determinazioni sociali – alle quali dobbiamo ricondurla
per comprendere i suoi contenuti – come sostiene il relativismo
ogni pensiero è falso o prospettico in quanto socialmente
condizionato. Ma non dobbiamo spaventarci e accettare questa
conclusione nichilista, dato che l’esito relativistico può essere
evitato senza richiamarci alla neutralità o assolutezza della
verità, tenendo presente invece la nozione di verità
storica.
Così
Eagleton descrive questo atteggiamento: “Non c’è motivo di
ritenere che l’unica alternativa all’ideologia (falsa coscienza)
sia una conoscenza ‘non prospettica’ e socialmente disimpegnata;
possiamo semplicemente affermare che in certi momenti storici, certi
punti di vista socialmente determinati siano più veri di altri.
Qualcuno può essere ‘in condizione di sapere’ e altri no. Il
fatto che tutti i punti di vista siano socialmente determinati non
implica che tutti i punti di vista abbiano lo stesso valore” (2007:
69-70). Inoltre, se la coscienza è sempre prospettiva e impegnata, è
assai comprensibile che i suoi prodotti siano costruiti con passione
e dedizione: perché lavorare e studiare per raggiungere una verità
neutra al di sopra delle nostre esigenze e che non cambierebbe in
nulla la nostra vita?
Da
queste riflessioni ricavo che la coscienza è essere sociale,
costituisce il possesso – tramite lo sviluppo di specifici rapporti
sociali – di una precisa capacità sociale che si concreta in un
sistema di segni, nel quale spiccano le parole e l’insieme dei
simboli materiali che impieghiamo per esprimere il nostro pensiero.
Come
si diceva, la nozione di ideologia ha il suo pilastro nel suo essere
una concezione del mondo propria di un certo gruppo sociale, ma non
si esaurisce in questo aspetto, giacché in essa sono sempre
sedimentati temi e motivi antichi oltreché connessi alla condizione
umana (come il motivo della sofferenza e della morte). Questa nozione
si scontra, dunque, con la visione di chi ha sostenuto la totale
autonomia della sfera culturale (termine preferito a ideologico), la
quale finisce col negare l’esistenza o l’indipendenza di una
dimensione altra (ossia il reale) rispetto alla prima, che in certe
versioni estreme del relativismo vale per stessa e perde ogni
funzione rappresentativa. Infatti, da questo punto di vista, non c’è
più niente da rappresentare.
Bibliografia
Ciattini
A., Antropologia
delle religioni,
Carocci, Roma 1997.
Eagleton
T., Ideologia.
Storia e critica di un’idea pericolosa,
Fazi Editore, Roma 2007.
Filippini
M., Tra
scienza e senso comune. Dell’ideologia in Gramsci,
“Scienza & Politica per una storia delle dottrine”, V. 24, N.
47, 2012, pp.
89-106. https://scienzaepolitica.unibo.it/article/view/3840/3246.
Gramsci
A., Quaderni
del carcere,
a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975.
Volosinov
V. N., Marxismo
e filosofia del linguaggio,
Dedalo, Bari 1976, ed. or 1929
Williams
R., Marxismo
e letteratura,
Laterza, Roma-Bari 1979.
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