...Sembra piuttosto che ogni civiltà sia destinata a edificarsi
in base alla coercizione e alla rinuncia alle pulsioni.
...in tutti gli uomini sono presenti tendenze distruttive, e
perciò antisociali e ostili alla civiltà, e che in un gran numero di persone
esse sono abbastanza forti da determinarne il comportamento nella società umana.
...Ai fini di una terminologia uniforme, chiameremo “frustrazione” il fatto che una pulsione
non possa essere soddisfatta, “divieto”
la disposizione che istituisce questa frustrazione, e “privazione” lo stato che è prodotto dal divieto. Poi, il passo
successivo sarà distinguere tra le privazioni che riguardano tutti e quelle che
non riguardano tutti, ma solo gruppi, classi, o addirittura individui. Le prime
sono le più antiche: coi divieti che le istituiscono, la civiltà ha avviato,
chissà quante migliaia di anni fa, il distacco dalla condizione animale
primitiva. Con nostra sorpresa, abbiamo scoperto che essi si fanno ancora
sentire e costituiscono il nucleo dell’ostilità alla civiltà. I desideri
pulsionali, che soffrono a causa loro, rinascono con ogni nuovo bimbo; c’è una
categoria di uomini, i nevrotici, che reagiscono già a questa frustrazione con
l’asocialità. Questi desideri pulsionali sono quelli dell’incesto, del
cannibalismo e della brama di uccidere. Suona strano mettere insieme questi
desideri, che tutti gli uomini sembrano concordi nel rigettare, con quegli
altri, per ammettere o respingere i quali nella nostra civiltà si contende così
vivacemente; ma dal punto di vista psicologico ciò è legittimo.
...se una civiltà non ha superato lo stadio in cui il
soddisfacimento di un certo numero dei suoi membri ha per presupposto
l’oppressione di altri e forse della maggioranza, e ciò è quanto si verifica in
tutte le civiltà attuali, è comprensibile che questi oppressi sviluppino
un’intensa ostilità alla civiltà che essi rendono possibile col loro lavoro, ma
ai cui beni partecipano in maniera troppo scarsa. Allora non ci si può
aspettare un’interiorizzazione dei divieti della civiltà da parte degli
oppressi, anzi costoro non saranno disposti a riconoscere questi divieti, tesi
come sono a distruggere la civiltà stessa e ad eliminarne eventualmente gli
stessi presupposti.
...La soddisfazione narcisistica derivante dall’ideale della
civiltà è propria anche di quei poteri che, nell’ambito della civiltà stessa,
si contrappongono con successo all’inimicizia per la medesima. Vi possono
prendere parte non solo le classi privilegiate che godono i benefìci di questa civiltà, ma anche gli
oppressi, in quanto l’essere autorizzati a disprezzare quelli che ne sono fuori
li risarcisce del danno subito nel loro proprio ambito. Si è certo dei
miserabili, dei plebei afflitti da debiti e servizio militare, ma in compenso
si è romani, si partecipa al compito di signoreggiare altre nazioni e di
imporre loro delle leggi. Questa identificazione degli oppressi con la classe
che li domina e li sfrutta è soltanto una parte di un contesto più ampio.
...sarebbe ingrato e soprattutto miope mirare alla soppressione
della civiltà! Quel che allora resterebbe sarebbe lo stato di natura
...il compito principale della civiltà, la sua vera ragion
d’essere, è di difenderci dalla natura.
...Così viene creato un patrimonio di rappresentazioni, nato
dal bisogno di rendere sopportabile l’impotenza umana e costituito col
materiale dei ricordi della propria infanzia e di quella del genere umano. È
facile capire che questo possesso protegge l’uomo in due direzioni: contro i pericoli
della natura e del destino e contro i danni inferti dalla stessa società umana.
Nel complesso s’intende: la vita in questo mondo serve a uno scopo superiore,
che veramente non è facile da indovinare, ma che certamente significa un
perfezionamento dell’essere umano.
...le rappresentazioni religiose sono scaturite dallo stesso
bisogno di tutte le altre conquiste della civiltà, dalla necessità di
difendersi dallo strapotere schiacciante della natura.
...Quando poi l’individuo, crescendo, nota che è destinato a
rimanere sempre un bambino che non potrà mai fare a meno della protezione
contro le potenze aliene superiori, egli conferisce a queste i tratti della
figura patema, si crea gli dèi, che teme, che cerca di propiziarsi e a cui
tuttavia affida la propria protezione.
...quale è dunque il significato psicologico delle
rappresentazioni religiose, in quali termini le possiamo classificare? A questa
domanda, a tutta prima, non è facile rispondere. Dopo aver scartato diverse
formulazioni, ci si atterrà alla seguente: sono assiomi, asserzioni su fatti e
situazioni della realtà esterna (o interna), che comunicano qualcosa che non si
è trovato da sé e che pretendono che si abbia fede in loro. Poiché forniscono
ragguagli su ciò che per noi è più importante e più interessante nella vita,
esse vengono particolarmente apprezzate.
...Tutti gli assiomi siffatti esigono dunque la fede nei loro
contenuti, ma non senza fondare la loro pretesa. Essi si presentano come il
risultato abbreviato di un lungo processo di pensiero, fondato
sull’osservazione e certo anche sul ragionamento. A chi ha l’intenzione di
svolgere in proprio questo processo, invece di accettarne il risultato, essi
indicano la via da seguire. Viene anche sempre aggiunto da dove si trae la
conoscenza che l’assioma enuncia, quando esso non si intende da sé, come nelle
affermazioni di carattere geografico. Per esempio la terra ha la forma di una
sfera; come prove di ciò vengono addotti l’esperimento del pendolo di Foucault,
il variare dell’orizzonte, la possibilità di circumnavigare la Terra. Poiché,
come tutti coloro che vi hanno interesse riconoscono, non è praticamente
possibile mandare tutti gli scolari a circumnavigare la Terra, ci si accontenta
di far accettare gli insegnamenti della scuola “in fiducia e fede”, ma si sa
che la via della convinzione personale rimane aperta.
...Cerchiamo di misurare gli assiomi religiosi con lo stesso
metro. Se noi solleviamo la questione su che cosa si basi la loro pretesa di
essere creduti, riceviamo tre risposte, molto discordanti tra loro. Primo,
meritano di essere creduti perché sono già stati creduti dai nostri antenati,
secondo, possediamo prove che ci vengono proprio da questa epoca remota, e
terzo, è assolutamente proibito porre la questione della loro prova, in
passato, per quest’impresa temeraria, venivano comminate le pene più dure, e
ancor oggi la società non vede di buon occhio che qualcuno ci si riprovi.
...le dottrine religiose sono sottratte alle pretese della
ragione, stanno al di sopra della ragione. Se ne deve sentire intimamente la
verità, non c’è bisogno di comprenderle.
...ci sono numerosi assunti, di cui vediamo chiaramente
l’infondatezza, anzi l’assurdità. Essi vengono chiamati finzioni, ma per
disparati motivi pratici dobbiamo comportarci “come se” credessimo a tali
finzioni. Ciò si applicherebbe alle dottrine religiose per l’incomparabile
importanza che esse hanno per il mantenimento della società umana.
...Quando ai bambini veniva raccontata una favola, che essi
stavano ad ascoltare rapiti, veniva su e domandava: “E una storia vera?”. E una
volta sentito che non lo era, si ritraeva con aria sprezzante. C’è da
aspettarsi che ben presto gli uomini si comporteranno in modo simile con le
favole religiose, nonostante l’intercessione del “come se”.
...Il governo amorevole della provvidenza divina placa
l’angoscia di fronte ai pericoli della vita, l’introduzione di un ordine morale
universale assicura la soddisfazione del bisogno di giustizia, che nell’ambito
della civiltà umana è rimasto così spesso insoddisfatto, il prolungamento
dell’esistenza terrena con una vita futura appronta la cornice spaziale e
temporale in cui questi appagamenti si compiranno. Le risposte agli enigmatici
interrogativi che scaturiscono dall’umana sete di sapere, come quelli circa
l’origine del mondo e il rapporto tra anima e corpo, vengono sviluppate in base
ai presupposti di questo sistema. Significa un grande sollievo per la psiche
individuale che i conflitti mai del tutto superati dell’infanzia, i quali
derivano dal complesso del padre, vengano ad essa sottratti e portati a una
soluzione accettata da tutti. Quando dico che tutte queste sono illusioni, devo
delimitare il significato della parola. Un’illusione non è la stessa cosa di un
errore, non è neanche necessariamente un errore.
...Per l’illusione rimane caratteristica la derivazione dai
desideri umani, e sotto questo aspetto essa si avvicina al delirio
psichiatrico, ma poi si differenzia anche da questo, a prescindere dalla più
complicata formazione del delirio. Nel delirio rileviamo come essenziale la
contraddizione con la realtà, l’illusione invece non è necessariamente falsa,
cioè irrealizzabile o in contraddizione con la realtà.
...Noi dunque chiamiamo una credenza illusione quando nella sua
motivazione viene in primo piano l’appagamento di un desiderio, a prescindere
dal suo rapporto con la realtà, così come l’illusione stessa rinuncia alla sua
convalidazione.
...Se, in base a questo orientamento, ci volgiamo di nuovo alle
dottrine religiose, possiamo dire, ripetendoci, che esse sono illusioni,
indimostrabili, e che nessuno può essere costretto a ritenerle vere e a credere
in esse. Alcune di esse sono così inverosimili, talmente in contraddizione con
tutto quanto abbiamo faticosamente appreso sulla realtà del mondo che – tenute
nel debito conto le differenze psicologiche – possiamo paragonarle ai deliri. Sul
valore di realtà della maggior parte di esse non è dato giudicare.
Così come sono indimostrabili, sono anche inconfutabili. Si
sa ancora troppo poco per poterle avvicinare in maniera critica. Gli enigmi del
mondo si svelano alla nostra indagine solo lentamente; ancora oggi, a molte
domande la scienza non può dare risposta. Ma il lavoro scientifico è per noi
l’unica via che può condurci alla conoscenza della realtà esterna.
...L’ignoranza è l’ignoranza; da essa non viene nessun diritto
di credere qualcosa. Nessun uomo ragionevole si comporta nelle altre cose con
tanta leggerezza e si accontenta di così misere giustificazioni dei suoi
giudizi e delle sue prese di posizione; se lo permette solo nelle cose più alte
e più sacre. In realtà si tratta solo di sforzi per far credere a se stessi o
agli altri di essere ancora saldamente ancorati alla religione, mentre da un
pezzo ci si è staccati da essa.
...I critici insistono nel definire “profondamente religioso”
uno che dichiara un sentimento di piccolezza e impotenza dell’uomo di fronte al
complesso del mondo, sebbene a costituire l’essenza della religiosità non sia
questo sentimento, ma solo il passo successivo, la reazione a tale sentimento,
che cerca aiuto contro il medesimo. Chi non procede oltre, chi si rassegna
umilmente alla parte insignificante dell’uomo nel vasto mondo, è invece
irreligioso nel più vero senso della parola.
...io non ho detto niente che altri uomini migliori di me non
abbiano detto prima di me in modo più completo, più vigoroso e più efficace. I
nomi di questi uomini sono noti; io non li menzionerò, perché non voglio dare
l’impressione di volermi intrufolare nella loro schiera. Io ho soltanto
aggiunto alla critica dei miei grandi precursori – e questa è la sola novità della
mia esposizione – un certo fondamento psicologico.
...quello che ho detto qui contro il valore di verità delle
religioni non aveva bisogno della psicoanalisi, ed è stato detto da altri molto
prima che la psicoanalisi esistesse.
...la religione ha reso manifestamente grandi servigi alla
civiltà umana, ha molto contribuito a domare la pulsioni asociali, però non
abbastanza. Ha dominato la società umana per molti millenni; ha avuto tempo per
far vedere di che cosa è capace. Se fosse riuscita a rendere felice la maggior
parte degli uomini, a consolarli, a riconciliarli con la vita, a farne dei
portatori di civiltà, a nessuno verrebbe in mente di darsi da fare per mutare
la situazione attuale. Che cosa vediamo invece? Che un numero spaventosamente
grande di uomini sono scontenti della civiltà e sono in essa infelici, la
sentono come un giogo che bisogna scrollarsi di dosso; che questi uomini o
impiegano tutte le loro forze per cambiare questa civiltà oppure, nella loro
inimicizia per essa, giungono fino a non voler sapere più nulla di civiltà e di
limitazioni pulsionali.
...quanto maggiore è il numero degli uomini a cui divengono
accessibili i tesori del nostro sapere, tanto più si diffonde il distacco dalla
fede religiosa, dapprima solo dai suoi rivestimenti antiquati e incongrui, ma
poi anche dalle sue premesse fondamentali.
...Il riconoscimento del valore storico di talune dottrine
religiose accresce il nostro rispetto per esse, ma non toglie valore alla
nostra proposta di ritirarle dalla motivazione dei precetti della civiltà. Al
contrario! Con l’aiuto di questi residui storici, siamo arrivati a concepire
gli assiomi religiosi alla stregua per così dire di relitti nevrotici, e ora
possiamo affermare che è probabilmente giunto il momento, come nel trattamento
analitico del nevrotico, di sostituire le conseguenze della rimozione con i
risultati del lavoro razionale. Che in questa sostituzione non ci si limiti a
rinunciare alla trasfigurazione solenne delle prescrizioni della civiltà, che
una revisione generale delle medesime debba avere per conseguenza, per molte,
l’abolizione, è da prevedere, ma non esattamente da deplorare. Il compito
postoci della riconciliazione degli uomini con la civiltà sarà in tal modo
ampiamente assolto. Quanto alla rinuncia alla verità storica a causa della
motivazione razionale delle prescrizioni della civiltà, essa non può farci
dispiacere. Le verità che le dottrine religiose contengono sono così deformate
e sistematicamente travisate che la massa degli uomini non può riconoscerle
come verità.
...L’uomo non è del tutto senza risorse, la sua scienza gli ha
insegnato, dai tempi del diluvio, molte cose, e continuerà ad accrescere il suo
potere. E per quanto riguarda le grandi necessità del fato, contro le quali non
esiste rimedio, egli imparerà appunto a sopportarle con rassegnazione. Che
senso può avere per lui il miraggio di una grande proprietà terriera sulla
Luna, del cui ricavato nessuno ha mai visto niente? Come un piccolo agricoltore
onesto su questa Terra, saprà invece coltivare la sua zolla in modo che essa lo
nutra. Distogliendo le sue aspettative dall’aldilà e concentrando tutte le sue
forze liberate sulla vita terrena, otterrà probabilmente che la vita diventi
sopportabile per tutti e la civiltà non schiacci più nessuno.
...Noi crediamo che sia possibile, col lavoro scientifico,
apprendere sulla realtà del mondo qualcosa che ci permetterà di accrescere il
nostro potere e indirizzare la nostra vita.
...la scienza ci ha fornito la prova, con numerosi e
significativi successi, di non essere un’illusione. Essa ha molti aperti nemici
e anche più nemici camuffati tra coloro che non riescono a perdonarle di aver
svigorito la fede religiosa e di minacciare di abbatterla. Le si rimprovera il
poco che ci ha insegnato e il moltissimo di più che ha lasciato nel buio. Ma
così si dimentica quanto essa sia giovane, quanto ardui siano stati i suoi
inizi e quanto piccolo fin quasi a svanire è il tempo passato da quando
l’intelletto umano si è irrobustito abbastanza per affrontare i suoi compiti.
...Ci si lamenta dell’incertezza della scienza, per il fatto
che essa enuncia oggi come legge ciò che la prossima generazione riconoscerà
come errore, sostituendolo con una nuova legge di durata altrettanto scarsa. Ma
ciò è ingiusto e in parte falso. I mutamenti delle opinioni scientifiche sono
sviluppo, progresso e non sovvertimento.
...Si è infine cercato di negare radicalmente valore allo
sforzo scientifico, argomentando che esso, legato com’è alle condizioni del
nostro organismo, non può fornire se non risultati soggettivi, mentre la vera
natura delle cose al di fuori di noi gli resta inaccessibile. Ma in tal modo si
saltano alcune cose che per la concezione del lavoro scientifico sono decisive,
cioè che il nostro organismo, vale a dire il nostro apparato psichico, è stato
sviluppato proprio nello sforzo di esplorare il mondo esterno, dunque deve aver
realizzato nella sua struttura un certo grado di congruenza, che è esso stesso
una parte costitutiva di quel mondo che dobbiamo investigare, e che esso
consente benissimo tale investigazione, che il compito della scienza è del
tutto circoscritto, se lo limitiamo all’esame di come il mondo debba apparirci
in conseguenza della conformazione del nostro organismo, che i risultati finali
della scienza sono condizionati, proprio a causa del modo della loro
acquisizione, non soltanto dal nostro organismo, ma anche da ciò che ha agito
su questo organismo, e infine che il problema di una conformazione
dell’universo senza riferimento al nostro apparato psichico che lo percepisce è
una vuota astrazione, senza interesse pratico.
No, la nostra scienza non è un’illusione. Un’illusione
sarebbe invece di credere che possiamo prendere da un’altra parte quello che
essa non può darci.
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