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Per Pellegrini editore una sorta di provocatorio “Quarto grado di giudizio”. Fra i tristi protagonisti, Andreotti, Gelli, Maletti…
Nel
saggio Il
Golpe Borghese. Quarto grado di giudizio. La leadership di
Gelli, il “golpista” Andreotti, i depistaggi della “Dottrina
Maletti” (Pellegrini
editore, pp. 272, € 16,00) viene affrontato, con grintoso spirito
giornalistico, un argomento particolarmente delicato e spinoso: la
ricostruzione di quanto accadde nella notte fra il 7 e l’8 dicembre
1970, quando le istituzioni democratiche del nostro paese rischiarono
di essere violentemente sovvertite dai neofascisti guidati dall’ex
comandante della X Mas, Junio Valerio Borghese, e manovrati
nell’ombra dal “Gran Maestro” della loggia massonica deviata P2
Licio Gelli. Il tutto con la probabile (la documentazione è
credibile, ma non è sufficiente per dare una parola definitiva)
complicità di Giulio Andreotti.
L’autore è il nostro
direttore Fulvio Mazza, che non avrebbe bisogno di ulteriori
presentazioni, ma del quale evidenziamo comunque come sia un
affermato storico contemporaneista, con, al suo attivo, numerosi
saggi editi, fra gli altri, da: Esi, Franco Angeli, Istituto della
Enciclopedia italiana (“Treccani”), Laterza, Pellegrini,
Rubbettino.
Il
saggio nasce e si verifica anche e soprattutto tramite la
documentazione, spesso inedita, proveniente da varie fonti:
innanzitutto il Sid, la Commissione parlamentare P2 e la Commissione
parlamentare stragi. Una documentazione che viene anche riportata per
alcuni atti più qualificanti. (Bottega editoriale)
La
demonizzazione dei “rossi” come “Antefatto” e pretesto del
“Golpe”
Il primo capitolo si occupa di esaminare i fatti, la cui trattazione è approfondita in dieci paragrafi. Nel primo paragrafo, Il contesto politico: per le Forze armate il Pci e la sinistra sono i nemici e la Dc non riesce più a garantire l’ordine costituito. L’influenza delle vicine dittature, l’autore analizza i presupposti della cospirazione: la pulsione golpista fermenta all’interno di una «classe arrogante che avvertiva come prossimo il termine del proprio potere di casta». Il teorema è suggestivo quanto verosimile: il “Golpe Borghese” come ultimo colpo di coda di un’oligarchia agonizzante, che, non potendo più contare sulla prevalenza degli elementi più conservatori all’interno della Democrazia cristiana dopo la caduta del governo Tambroni, punta a riprodurre in Italia una situazione analoga a quella della Grecia dei colonnelli, dove tre anni prima, con il pretesto di una (inesistente) minaccia comunista, una cricca di militari corrotti (finanziati dietro le quinte dai ricchi armatori come Onassis e Niarchos: i corrispettivi dei nostri Calvi e Sindona) si era impadronita dello Stato, gettando in carcere migliaia di oppositori. Mazza sottolinea come nel corso degli anni ’60, dopo la prima esperienza del centrosinistra, la Dc sia diventata un «marasma correntizio sempre più oscillante fra il conservatorismo, che la permeava fortemente, e le nuove istanze progressiste che vedevano crescere i consensi tra le sue fasce giovanili, intellettuali e fra quelle legate al mondo del solidarismo cattolico e del sindacalismo cislino». Dal canto suo, l’opposizione di sinistra, egemonizzata dal Pci ancora legato ideologicamente all’Urss, è maggioritaria all’interno del sindacato più rappresentativo, la Cgil, e l’“Autunno caldo” ha dimostrato come le istanze della classe lavoratrice siano state in grado di ottenere una conquista fondamentale come lo Statuto dei lavoratori, che ha eroso notevolmente lo strapotere dei “padroni delle ferriere” italiani.