Rivolgeremo qui alcune domande a Domenico Losurdo,
professore emerito presso l’Università degli Studi di Urbino, a partire dalle
sue due più recenti pubblicazioni La lotta di classe. Una storia politica e
filosofica, Laterza, Roma–Bari 2013 (abbreviato “LC” e seguito dal numero di
pagina dopo la virgola) e La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo,
guerra, Carocci, Roma 2014 (abbreviato “SA” e seguito dal numero di pagina dopo
la virgola).
Intervista
Gargani:
Nel marxismo italiano,
dal secondo dopoguerra, si possono – con le dovute cautele storiografiche –
rintracciare tre filoni fondamentali. Il primo è quello storicista, ossia il
canone interpretativo del PCI, impostato nelle sue linee essenziali da
Togliatti e ispirato a una lettura di Gramsci quale culmine di un’ideale linea
De Sanctis-Labriola-Croce. Il secondo è quello operaista, la cui simbolica data
d’inizio può esser fatta risalire alla fondazione nel 1961 della rivista
«Quaderni Rossi» e che ha annoverato tra le sue fila personalità differenti per
formazione e provenienza politica come Tronti, Panzieri, Asor Rosa, Negri e
Cacciari. Il terzo è quello del cosiddetto “dellavolpismo” che, attraverso
soprattutto la produzione di della Volpe e Colletti, ha cercato di dare una
lettura in chiave scientifica della Critica dell’economia politica di Marx,
marginalizzandone la produzione giovanile e accentuandone allo stesso tempo la
distanza da Hegel. In che modo ha letto Marx negli anni della sua formazione?
Come colloca la sua interpretazione di Marx rispetto a questi tre filoni?
Losurdo:
Non metterei sullo
stesso piano i tre filoni. Il richiamo a Labriola e ancor prima al Risorgimento
non impedisce a Togliatti di mettere l’accento sulla questione coloniale
(ignorata da Labriola, che celebra l’espansione italiana in Libia) e di
denunciare (con Lenin) la «barbara discriminazione tra le creature umane»,
propria del capitalismo e dello stesso liberalismo. Prendendo le mosse dal
Risorgimento e dalle sue correnti più radicali, Togliatti per un verso respinge
la visione cara a Gobetti per il cui il fascismo sarebbe «l’autobiografia di
una nazione», per un altro verso critica la tesi di Croce, secondo cui
l’avvento della dittatura fascista farebbe pensare a un’improvvisa e
inspiegabile esplosione di barbarie e di follia, sarebbe da paragonare
all’«invasione degli Hyksos».