martedì 18 gennaio 2022

Teorie e metodi delle scienze sociali - Alessandra Ciattini

Da: Università Popolare Antonio Gramsci -
Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza, collabora con https://www.lacittafutura.it - https://www.unigramsci.it

Delineare i contorni delle scienze sociali è cosa assai più difficile che definire le scienze naturali e ciò perché le prime hanno implicazioni etico-politiche più dirette e coinvolgenti delle seconde. Nonostante taluni lo dipingano in tali termini, lo scienziato sociale non è mai un osservatore astratto, neutrale, anche si considera tale inevitabilmente egli prende posizione per un modello di società, per una delle forze politiche in lotta, per certi valori invece che per altri. Inoltre, l’oggetto della ricerca sociale non corrisponde a qualcosa su cui la comunità dei ricercatori concorda: per alcuni le scienze sociali studiano il comportamento sociale, indagando le motivazioni umane e quindi la psiche, altri ritengono importante la successione degli eventi e quindi la storia o storiografia, altri ricercano invece strutture profonde nello scorrere delle vicende, alcuni considerano la società un insieme coeso, altri ne mettono in luce le contraddizioni interne. Ancora alcuni ritengono che il mondo sociale presenti processi formali simili a quelli che si producono nella sfera naturale, altri ne sottolineano la sua irriducibilità ai fenomeni extrasociali o pongono l’accento sulla sua relazione dialettica con esso, alcuni immaginano che non sia possibile individuare leggi o regolarità sociali, altri invece hanno la convinzione contraria, anche se tali leggi possono essere descritte solo nei termini di tendenze o presentano un carattere probabilistico.

In questa situazione, è evidente che se gli oggetti da indagare sono così diversi sebbene imparentati tra loro, anche i metodi non possono che presentare la stessa differenziazione in quanto saranno adeguati a quanto debbono comprendere e spiegare. Inoltre, se si ripercorre la storia delle diverse discipline (sociologia, antropologia, psicologia etc.), ci si renderà conto che le prospettive metodologiche delle une si ripresentano nelle altre: così per esempio esistono una sociologia positivista-funzionalista che ha il suo contraltare nell’antropologia del suo stesso segno, una psicologia cognitivista i cui temi vengono ripresi nell’ambito dell’antropologia delle religioni, l’approccio storicistico che fa pendant con il particolarismo e il culturalismo statunitense.

La conseguenza di questa situazione è che di fatto non esiste, come nel caso delle scienze naturali, una vera e propria comunità scientifica, tanto che un antropologo latinoamericano, a proposito dell’antropologia, ha potuto scrivere: se c’è una cosa su cui sono d’accordo i ricercatori, è che non sono d’accordo su nulla. Credo che questa affermazione si possa estendere a tutte le scienze sociali.

Da questa affermazione non è necessario ricavare che non è possibile giungere ad una comprensione “veritiera” di un fenomeno sociale, ricadendo nel tanto oggi apprezzato relativismo culturale, il cui fondamento è rappresentato dal disimpegno etico-politico. Possiamo ricavare invece che le diverse interpretazioni debbono essere vagliate all’interno di un serrato dibattito e scelte per la loro maggiore potenza conoscitiva, il che non implica ovviamente mai il raggiungimento della verità assoluta.

Inoltre, riprendendo quanto dicevo a proposito della non neutralità delle scienze, mettendo anche in conto che il pensiero scientifico è sorto attribuendosi una funzione emancipatoria, non identificabile con un piatto progressismo, tutte quelle teorie che si collocano in questo filone ci possono far avanzare in questa direzione, se adeguatamente fondate.

Programma del Corso 
  
1° Incontro: Scienze sociali come “famiglia eterogenea di discipline” (P. Rossi). Rapporto tra linguaggio comune e linguaggio scientifico nelle scienze sociali. Concetto di società. Individualismo metodologico / collettivismo o olismo metodologico (https://plato.stanford.edu/entries/holism-social/). Scienza / storiografia. Metodo nomotetico / metodo idiografico. Organicismo. Dimensione sociale superiore e autonoma rispetto a quella individuale. Mancanza di una teoria generale unificante: 

                                                                              

sabato 15 gennaio 2022

È la contraddizione che muove il mondo - Vladimiro Giacché

Da: a/simmetrie - https://asimmetrie.org - Testo della lectio al convegno Euro, mercati, democrazia e… conformismo EMD 2020, svoltosi a Montesilvano (PE) nei giorni 17 e 18 ottobre 2020. - Vladimiro Giacché, è un filosofo e saggista italiano Si è occupato e si occupa principalmente di economia finanziaria e politica, storia dell'economia e della filosofia, con particolare riferimento all'idealismo tedesco e alla tradizione del marxismo. È Responsabile Studi e Marketing Strategico presso la Banca del Fucino (Gruppo Bancario Igea Banca)

Su Hegel politico. - Stefano Garroni -

Hegel e noi - Norberto Bobbio

Due paragrafi da Hegel*- Paolo Di Remigio 

Critica, capitale e totalità - Roberto Finelli

Vedi anche: " Hegel "- Vittorio Hosle 

"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/


                                                                              


1. Una fine e un inizio

«La fine di qualcosa»: così il grande pianista canadese Glenn Gould, rivolgendosi al pubblico prima dell’inizio di uno dei suoi più straordinari concerti, definì la musica di Bach. Il pensiero di Hegel rappresenta l’ultimo grande tentativo sistematico della storia della filosofia, un’ambizione che già la generazione di filosofi successiva abbandonò. Da questo punto di vista la filosofia hegeliana è davvero anch’essa «la fine di qualcosa». Ma d’altra parte è innegabile che il pensiero di Hegel abbia esercitato un’enorme influenza sui filosofi successivi. Alcuni aspetti della sua filosofia hanno esercitato un potente influsso sulla storia – non soltanto del pensiero – sino ai giorni nostri.  La filosofia di Hegel è quindi sia una fine che un inizio. Per questo motivo, e per un motivo più importante: perché, come vedremo più avanti, nel suo pensiero la fedeltà alla tradizione filosofica, la continuità rispetto a essa, si unisce a un forte elemento di rottura, nientemeno che rispetto a un principio cardine della tradizione filosofica quale quello di identità.

Il pensiero di Hegel, al pari di quello di tutti i grandi pensatori, fa parte del patrimonio culturale dell’umanità. Allo stesso modo di un monumento storico, di un dipinto, di un brano musicale. In quanto tale, fa parte di una storia. Ma il suo significato non si esaurisce in essa, eccede ogni interpretazione – e proprio per questo è in grado di parlare a generazioni diverse, di divenire alimento di un nuovo pensiero. Il pensiero di Hegel fa parte anche di noi, perché è inserito nella tradizione culturale in cui noi stessi pensiamo. Talvolta ridotto a frammenti, a singoli concetti, a frasi isolate, ma comunque già presente in noi inconsapevolmente anche prima dell’inizio di ogni lavoro interpretativo. Del resto proprio Hegel, che pur negava che un singolo enunciato fosse in grado di esprimere una verità filosofica, aveva una spiccata capacità – sconosciuta ad altri filosofi – di condensare pensieri in brevi sentenze. Frasi come «Tutto ciò che è reale è razionale», «Il vero è il tutto», sono familiari anche a chi non abbia studiato approfonditamente il suo pensiero. Qui però ci soccorre un altro celebre detto hegeliano: «ciò che è noto, per ciò stesso non è conosciuto». Non possiamo dire di conoscere il significato di quegli enunciati se non siamo in grado di capire che cosa Hegel intendesse per «realtà», «razionalità», «verità» e «totalità». Anzi, proprio l’apparente familiarità con questi (e altri) concetti può essere fuorviante, non meno di quanto accada con certe parole straniere che hanno un suono simile alle nostre, ma un significato del tutto diverso. I traduttori chiamano queste parole «i falsi amici». Anche in filosofia dobbiamo guardarci dai «falsi amici».

Gli usi possibili di Hegel sono molti: nel suo pensiero si possono ricercare tanto l’istanza sistematica (ossia una lettura unitaria del mondo) quanto concetti utili per la comprensione della storia, tanto un’interpretazione delle scoperte scientifiche del suo tempo quanto una teoria dello Stato e della società. Ma una grande filosofia fa qualcosa di molto più importante di tutto questo: ridisegna il mondo, riconfigura il mondo, cambia il nostro modo di vederlo. Anche quando si parla degli strumenti per pensare che una filosofia ci pone a disposizione (quasi che si potesse usare il pensiero di un filosofo come si adopera un utensile), in fondo, se si parla seriamente, si parla di questo.

Su quali linee ridisegna il mondo Hegel? Quali sono le caratteristiche, i tratti caratterizzanti del suo pensiero?

venerdì 14 gennaio 2022

Il nuovo, pericoloso, «arco della crisi» - Alberto Negri

 Da: https://ilmanifesto.it - https://www.facebook.com/alberto.negri.9469 - Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq. Tra le sue principali opere: “Il Turbante e la Corona – Iran, trent’anni dopo” (Marco Tropea, 2009) - “Il musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente” (Rosenberg & Sellier, marzo 2017) - “Bazar Mediterraneo” (GOG edizioni, Dicembre 2021)


Le crisi in Ucraina, Bielorussia, Kazakhstan e tra Armenia e Azerbaijan sono viste dagli Usa come occasioni per destabilizzare la Russia odierna fastidiosamente alleata della Cina. 

È singolare che gli Usa, ieri a colloquio a Ginevra con Mosca sulla questione Ucraina, minaccino sanzioni a Mosca ma non al Kazakhstan dove i russi e i loro alleati sono intervenuti a fianco del presidente Tokayev che ha messo in galera 8mila oppositori e fatto dozzine di morti nella repressione della rivolta. 

Una rivolta che appare sempre di più una resa dei conti con il vecchio regime del presidente dittatore Nazarbayev. Basti pensare che nella notte di martedì scorso ad Almaty la polizia è scomparsa dalle strade lasciando via libera a saccheggi e incendi: un messaggio inequivocabile che erano in due a dare gli ordini e uno doveva soccombere. 

Biden in realtà è stato al fianco di Tokayev: “gli Usa sono orgogliosi di poterla chiamare amico”, ha scritto a settembre in un messaggio al presidente del Khazakstan, al di là delle dichiarazioni attuali che Washington “monitorerà i diritti umani” nel Paese. Come no: lì ci sono investimenti miliardari di Exxon e Chevron (c’è anche Eni). Questo interessa monitorare. 

All’Occidente dei diritti umani in Kazakhstan non è mai importato nulla, se non fare affari con Nazarbayev. O ci siamo dimenticati che l’Italia nel 2013 deportò Alma Shalabayeva, moglie del’ex oligarca Ablyazov: un sequestro di persona per cui a Perugia adesso sono imputati cinque funzionari di polizia. 

L’intervento russo difende anche questi interessi occidentali. Le multinazionali dell’energia e minerarie in questi anni hanno investito in Khazakistan 160 miliardi di dollari ma non significa che questo sia un Paese ricco, anzi gas e petrolio hanno accentuato le differenze di classe e di censo durante gli anni della dittatura di Nazarbayev. In troppi Paesi petroliferi come Iraq, Libia, Iran e Algeria, l’oro nero non ha portato quella ricchezza che tutti si aspettavano. 

giovedì 13 gennaio 2022

Marx per delegati (e militanti). A proposito del "Marx" di Roberto Fineschi - Lorenzo Giustolisi

 Da: https://www.usb.it - https://contropiano.org - Lorenzo Giustolisi, Esecutivo Nazionale Pubblico Impiego USB (https://www.youtube.com/watch?v=bRZHlH3BYEc


Roberto Fineschi, Marx, Ed. Morcelliana 2021


Pubblichiamo il testo della recensione che conclude l’appena pubblicato volume di Proteo, rivista del Cestes e di USB, dedicata a una recente pubblicazione su Marx. 

L’intero volume e il taglio della recensione sono pensati nell’ottica della ripresa di un lavoro di formazione teorica e politica sui fondamentali del pensiero del movimento di classe, che è al centro del numero. (L.G.)

 

Tra le tante recensioni che hanno accompagnato l’uscita di questo importante volumetto, non sono mancate certamente considerazioni sul senso di una operazione editoriale e culturale, concepita e realizzata con l’intento chiaro di avviare alla lettura e alla comprensione di Marx un pubblico largo e nuovo.

Segnalare questa pubblicazione in una rivista come «Proteo» – oltre che sui siti del Cestes e di USB – da venticinque anni impegnata in un lavoro di analisi delle dinamiche di trasformazione sociale ed economica e delle grandi questioni che attraversano il mondo della produzione e del lavoro nel nostro Paese, ma anche a livello internazionale, significa rivolgersi ad una fetta, crediamo presente nelle intenzioni del nostro autore, di quell’auspicabile pubblico “largo e nuovo”, fatta di delegati e attivisti sindacali, sociali, militanti politici, che sono peraltro i destinatari di questo numero della rivista. È una questione, quella del bagaglio teorico dei quadri e dei delegati, che ha attraversato tutta la storia del movimento operaio e delle sue lotte, nella consapevolezza che non si trattava né si tratta di fare diventare tutti specialisti, ma che 8 ore di lavoro, 8 per dormire, 8 per lo svago e per migliorarsi, è stato un precetto che, al di là delle variazioni orarie (spesso a scapito del riposo…), continua ad avere anche oggi un enorme senso.

Il nome di Roberto Fineschi è certamente indicato per il compito appena accennato, che ha a che fare con quella che il suo maestro Alessandro Mazzone definiva “alta popolarizzazione”, per la lunga e proficua consuetudine negli studi marxiani che si traduce, fra le altre cose, nella ricerca di un linguaggio adeguato agli scopi (una attitudine che lo caratterizza da sempre, ma qui perseguìta in maniera più programmatica), senza perdere in profondità (e ovviamente anche in complessità, per cui nessuno immagini un testo semplice), mentre dice qualcosa sullo stato dell’editoria in questo paese il fatto che a prendersi carico (e merito) della pubblicazione sia stata una casa editrice di chiara matrice cattolica.

mercoledì 12 gennaio 2022

Vivere da miliardari nei tempi della pandemia - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma.
Leggi anche: Ritornare al punto di vista di classe - Alessandra Ciattini 

Il numero dei miliardari (soprattutto statunitensi e cinesi) è cresciuto in maniera straordinaria, analogamente quello dei poveri: c’è una correlazione? 

Uno studio, condotto da specialisti nei vari quartieri di Santiago del Cile e intitolato Socioeconomic status determines Covid-19 incidence and related mortality in Santiago, Chile, mostra che nelle zone più povere della città la quarantena non è stata rispettata quanto in quelle ricche, perché i loro abitanti avevano bisogno di lavorare per sopravvivere, il numero dei tamponi fatti sulla popolazione è stato minore e gli interventi sanitari sono stati tardivi e inefficaci, il numero dei positivi al Covid-19 è stato maggiore per la ridotta capacità del sistema sanitario di contenere la diffusione della malattia. Pertanto, da esso si ricava che il tasso di mortalità è stato molto più alto negli strati più poveri della popolazione anche a causa della compresenza di altre malattie, della malnutrizione, della vita in ambienti malsani e affollati.

Credo che le conclusioni cui giunge questa ricerca possano essere applicate anche al nostro paese oltre che a quei paesi che si vantano di rappresentare il mondo civile, ma che tuttavia si collocano sulla cima delle classifiche per numero di morti dovuti all’attuale pandemia. Paesi che insistono nel non tenere conto delle politiche adottate dal governo cinese, perché a loro parere autoritario, le quali hanno contenuto il numero dei contagiati a 113mila casi e i decessi a tutt’oggi a meno di cinquemila a fronte degli oltre 275 milioni di contagiati e di quasi 6 milioni di morti nel mondo (Italia quasi 5 milioni e mezzo di casi e circa 135mila morti. Un record invidiabile! (Fonte John Hopkins University.) L’elogio sperticato e acritico dei vaccini, ovviamente quelli prodotti con i soldi degli Stati elargiti alle multinazionali, rende ciechi persino di fronte all’evidenza e ci si limita a parlare dell’enigma cinese. 

Tornando alla ricerca da cui siamo partiti, essa dimostra, dunque, che c’è una correlazione tra l’appartenenza di classe e la possibilità di infettarsi e di morire. Detto questo, andiamo a vedere come se la stanno cavando quei pochi miliardari che hanno nelle loro mani la gran parte della ricchezza mondiale, e che con qualche operazione filantropica dicono di voler sostenere chi vive con meno di 2 dollari al giorno. Come scrive David Harvey nella sua Breve storia del neoliberismo (2007), questi ultimi non possono applicare lo slogan “compro dunque sono”, sono diventati lavoratori “usa e getta”, hanno perso il loro lavoro, vivono nell’incertezza e sopravvivono a stento nel mare magnum dell’economia informale, che ormai si è installata anche nei paesi a capitalismo avanzato, ma in crisi.

martedì 11 gennaio 2022

Filosofia e scienza - Vincenzo Costa

Da: https://www.lafionda.org -   è professore ordinario alla Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele, dove insegna Fenomenologia (triennale) e Fenomenologia dell'esperienza (biennio magistrale).

Vedi anche: Nell'istante in cui si cessa di credere in lei, la filosofia sparisce - Silvano Tagliagambe


La pandemia ha fatto emergere un enorme problema nel rapporto tra i saperi, e in particolare tra filosofia e scienza. Da un lato sembra esservi una filosofia che pretende di saperne più degli scienziati, dall’altro una scienza che tende a considerare la filosofia come mero discorso ideologico, da usare (quando conviene, tipo ciliegina che abbellisce la torta) o da irridere, quando non conviene, quando dice qualcosa che stona. I meccanismi mediatici diventano poi terribili, stritolano, diventano violenti verso le persone, le idee e verso un intero settore disciplinare. 


C’è un grosso rischio, che riguarda la razionalità, e bisogna iniziare ad affrontarlo in maniera razionale e pacata.


Ora, senza entrare in un’analisi precisa della questione, a me pare che si stiano confondendo molte cose. In particolare, la filosofia ha (deve avere) una funzione critica nei confronti della scienza, ma il termine “critica” va ben compreso.

“Critica” (Critica della ragione pura, per Kant, Critica dell’economia politica, per Marx) non significa che la filosofia critica asserzioni specifiche della scienza. Questo tipo di critica, per essere razionale, è interna alla scienza, è la scienza stessa che la sviluppa: Einstein critica Newton, Bohr critica Thomson. Ma Kant non critica Newton nello stesso senso in cui lo fa uno scienziato. Kant “critica” Newton nel senso che cerca di portare alla luce i presupposti (filosofici) che stanno alla base della fisica newtoniana. Hume critica la matematica nel senso di cercare di portare alla luce i presupposti della matematica, e quando invece prova a criticare la matematica in termini matematici un suo caro amico, a cui sottopone il manoscritto, gli consiglia di non pubblicarlo. E credo che quel manoscritto non ci sia neanche pervenuto, ma potrei sbagliarmi. Husserl critica la geometria, ma nel senso che si chiede: da dove derivano e che consistenza hanno i suoi concetti elementari. E pur essendo un matematico di professione non confonde mai la ricerca matematica con la filosofia della matematica.

lunedì 10 gennaio 2022

La nascita dell’Aukus (alleanza Australia-Gran Bretagna-Stati Uniti) e la guerra fredda americana contro la Repubblica Popolare Cinese - Alberto Bradanini

Da: https://www.lafionda.org -  Alberto Bradanini laureato in Scienze Politiche all'Università La Sapienza di Roma, entra in carriera diplomatica nel 1975. Dopo aver ricoperto diversi incarichi, dal 2008 al gennaio 2013 è Ambasciatore d'Italia in Iran, e da allora al maggio 2015 Ambasciatore d'Italia in Cina.

Vedi anche: - OLTRE LA GRANDE MURAGLIA. LA CINA E' DAVVERO UN PERICOLO? -
Leggi anche: - La Nuova Era cinese tra declino Usa e debolezze Ue -


Il tema è complesso, lo spazio limitato per definizione e alcuni passaggi appariranno apodittici. D’altro canto, tale percorso guadagna in limpidezza e posizionamento, specie quando si ha a che fare con temi cruciali come la pace, la guerra e il futuro del mondo.

Già nel V secolo a.C., Confucio aveva rilevata la necessità di procedere a una rettificazione dei nomi. Se questi sono manipolati e non riflettono la realtà – egli rimarcava – il loro uso è fonte di malintesi, un dialogo autentico tra gli uomini diviene impossibile e la vita sociale ne risente in profondità.

Giacomo Leopardi osservava al riguardo: “I buoni e i generosi sogliono essere odiatissimi perché chiamano le cose coi loro nomi. Colpa non perdonata dal genere umano, il quale non odia tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi lo nomina. Cosicché, mentre chi fa male ottiene ricchezze e potenza, chi lo nomina è trascinato sui patiboli, essendo gli uomini prontissimi a soffrire qualunque cosa dagli altri o dal cielo, purché a parole ne siano salvi”.

In un suo scritto, Malcom X afferma che “se non si fa attenzione, i media ci fanno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono”. E questo vale anche per le nazioni.

Semplificando un po’, ma a vantaggio della chiarezza, gli Stati Uniti, a partire da Reagan essenzialmente – alla luce di un relativo ridimensionamento sulla scena mondiale – hanno gradualmente imposto una militarizzazione delle relazioni internazionali (colpi di stato, invasioni, sanzioni e interferenze di vario genere, in Europa un azzardato avanzamento della Nato verso Est, in violazione degli accordi a suo tempo definiti tra Bush padre e Gorbaciov, e via dicendo). Non che con Reagan, e ancor prima, tale caratteristica fosse assente, ma questa era attenuata da una maggiore attenzione alla dimensione politica, e dunque un minor ricorso all’uso della forza.

domenica 9 gennaio 2022

La coscienza di Zeno (1966)

Da: spadarsoft -

La coscienza di Zeno è il titolo di uno sceneggiato televisivo in tre puntate andato in onda sul Secondo Programma RAI dal 16 al 30 marzo 1966. Tratto dal romanzo omonimo di Italo Svevo (pseudonimo dello scrittore triestino Ettore Schmitz, nato nel 1861 e morto nel 1928 in un incidente d'auto) e dalla commedia di Tullio Kezich presentata dal Teatro Stabile di Genova, venne adattato per la televisione da Daniele D'Anza e dallo stesso critico e drammaturgo Tullio Kezich, mentre la regia fu di Ivo Chiesa e Luigi Squarzina. L'opera di Svevo segna il trapasso dalla narrativa di tradizione verista a una nuova e più interiorizzata rappresentazione del reale, ed è senz'altro fra gli esiti più interessanti e singolari della letteratura italiana ed europea del Novecento: insieme autoritratto e metafora della condizione dell'uomo moderno, ove per la prima volta la psicoanalisi e le sue complesse implicazioni giocano un ruolo fondamentale. Protagonista di questa introspezione è Zeno Cosini, a cui Svevo non attribuisce una grande intelligenza, ma un carattere giocoso e una vitalità godereccia insieme a qualche vizio e a varie omissioni di tipo morale, insomma è l'uomo giusto per cominciare a vedersi dentro come non ha mai fatto nella vita e a scoprire i motivi del proprio comportamento. Il cast era costituito da ottimi attori di formazione teatrale: bravissimo Alberto Lionello, nel ruolo del protagonista ed eccellenti i comprimari da Ferruccio De Ceresa, a Pina Cei e Paola Mannoni. 

                                                                                 

Trama: Dietro consiglio dello psicoanalista, il protagonista della vicenda, Zeno Cosini, narra i momenti cruciali della propria vita, nel tentativo di superare quell'inettitudine a vivere che lo tormenta da anni, ossia l'incapacità di affrontare responsabilmente la realtà e le inevitabili scelte che essa impone. Zeno Cosini è inetto a vivere: una specie di marionetta tirata da fili che quanto più egli indaga, gli sfuggono. Una coscienza inutile a mutare un destino che sembra ineluttabile. Tra ossessioni maniacali e rigurgiti di coscienza ipertrofica, sempre teso a un recupero unitario della realtà e di se stesso, finisce per inciampare nelle cose: con insicurezza, in una battaglia combattuta ad ogni occasione, senza requie. Ne risulta I'itinerario di un'analisi psichica alla ricerca di un'impossibile cura, durante la quale i conflitti vengono in luce: Zeno ha voluto smettere di fumare, ma ha fumato sempre di più; ha voluto essere forte, ma ha cominciato a zoppicare; ha cercato di sposare una bella ragazza, ma ne ha sposata una bruttina; non ama la moglie, ma quando è in clinica teme di essere tradito, e via di seguito in un rincorrersi di realtà che non combaciano. 

Personaggi e interpreti: Zeno Cosini: Alberto Lionello; Il dottor S.: Ferruccio De Ceresa; Alfio Cosini: Aldo Pierantoni; Maria: Serena Bassano; Il dottor Coprosich: Enrico Ardizzone; L'infermiere: Ireneo Petruzzi; Luciano: Gianni Fenzi; Copler: Giulio Pizzirani; Giovanni Malfenti: Edoardo Toniolo; L'impiegato di borsa: Mario Rodriguez; Nilini: Mario Luciani; Ada: Paola Mannoni; Augusta: Laura Rizzoli; Alberta: Simona Caucia; Anna: Francesca Mazza; La signora Malfenti: Pina Cei; Guido Speier: Mario Erpichini; Carla Gerco: Marzia Ubaldi; La signora Gerco: Gianna Dauro; Carmen: Geppi Costa 

A seguire la seconda parte: https://www.youtube.com/watch?v=v4x_t2Cr3_Q 

sabato 8 gennaio 2022

"Epigenetica: come reagisce il nostro genoma alle trasformazioni ambientali." - Ernesto Burgio

Da: Ecovillaggio Montale - Ernesto Burgio, pediatra e ricercatore, esperto di epigenetica e biologia molecolare. Presidente del comitato scientifico della Società Italiana di Medicina Ambientale e membro del consiglio scientifico dell’Istituto di Ricerca sul Cancro e Ambiente di Bruxelles. Author profile 

Vedi anche: Ernesto Burgio: La prima pandemia dell’Antropocene 

Omicron, pandemic control e vaccini

Pandemia e Capitalismo del XXI secolo - Marco Antonio Pirrone e Alessandra Ciattini 


Ascolta anche: Guerriglia Radio intervista Fabrizio Chiodo https://www.spreaker.com/user/11689128/caffe-e-cornetto-speciale-guerriglia-rad?

                                                                            

venerdì 7 gennaio 2022

Le parole del signor Putin - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma.

Leggi anche: Ritornare al punto di vista di classe - Alessandra Ciattini

Il mito della riunificazione tedesca - Vladimiro Giacché -

Vedi anche: La caduta del Muro di Berlino. Intervista a Vladimiro Giacché 

ANSCHLUSS. La lezione dell'unificazione tedesca | Vladimiro Giacchè (https://www.youtube.com/watch?v=BFPdxf1m4fs)



È opportuno che l’Ucraina entri nella Nato e che la situazione del nostro continente si faccia più tesa?


Il 25 dicembre del 1991 si verificò la dissoluzione dell’Unione Sovietica, che aveva dominato parti importanti del mondo per 74 anni; dissoluzione sancita dall’annuncio fatto alla televisione dall’allora segretario del Partito Comunista Mikhail Gorbačëv, non molto amato dai vecchi russi. Iniziò così una nuova fase nella storia dell’umanità, che ebbe conseguenze nefaste anche sugli altri popoli del mondo, e che fu marcata dalla sostituzione sul Cremlino della bandiera rossa con il tricolore della Federazione Russa. “RT” ha ricordato questa ricorrenza soffermandosi sugli avanzamenti della seconda superpotenza e senza menzionare Stalin, non rinnegando quel glorioso passato che segnò un eccezionale avanzamento sociale, economico e culturale e sottolineando la straordinaria e sanguinosa sconfitta del nazismo compiuta dall’Urss. Addirittura nel programma si è rivendicato l’appoggio dato ai movimenti anticoloniali e prosocialisti. Alcuni russi intervistati, soprattutto anziani, hanno ricordato la stabilità, la pace sociale, i diritti garantiti dall’antico regime, non nascondendo una certa nostalgia per i tempi passati. Evidentemente, la Russia, che si riaffaccia allo scenario mondiale conflittuale, non solo non può rinnegare il suo passato, ma ha anche bisogno di ricordare la sua cultura millenaria seminata in uno spazio che l’espansione della Nato ha già messo in questione.

Ma cosa è successo allo spazio sovietico dopo la fine dell’Urss? Nessuno dica che si è affermata la democrazia perché è un falso. Secondo il Centro per la Riforma Europea, il Gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) costituiscono oggi il principale alleato commerciale della Germania per la sua integrazione nelle catene di valore tedesche. Inoltre tra il 20 e il 30% degli scambi internazionali delle economie dell’Europa orientale centrale sono con la Germania. Come scrive Vladimiro Giacchè (Anchluss. L’annessione: l’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, 2013), la Repubblica democratica tedesca fu annessa sbrigativamente alla Repubblica Federale, la sua economia distrutta, la sua infrastruttura produttiva svenduta per qualche spicciolo ai grandi capitalisti dell’Ovest e al popolo di quella regione non fu dato un marco, benché fosse il proprietario legale di tutto quel patrimonio.

giovedì 6 gennaio 2022

Intervista a Enrico Berti: cosa ereditiamo dalla filosofia greca

Da: https://www.officinafilosofica.it - Enrico Berti (Valeggio sul Mincio, 3 novembre 1935 – Padova, 5 gennaio 2022) è stato professore emerito di Storia della filosofia presso l’Università degli Studi di Padova e massimo studioso di Aristotele in Italia. Fra le sue innumerevoli pubblicazioni ricordiamo In principio era la meraviglia (Laterza), Sumphilosophein. La vita nell’Accademia di Platone (Laterza), Storia della Metafisica (Il Mulino) e Aristotelismo (Il Mulino).



In questa intervista abbiamo voluto riflettere soprattutto sull’influenza che ha esercitato la filosofia greca sul mondo contemporaneo. (officinafilosofica4 Maggio 2020)


1. Indubbiamente nella filosofia greca possiamo trovare molti aspetti di cui è debitrice non solo la teologia, ma la cultura cristiana nel suo insieme. Penso al finalismo che troviamo in filosofi, pur molto lontani tra di loro, come Platone e Aristotele. Ci solo anche altri aspetti che possiamo considerare oltre questo?

Più che per il finalismo (che in Aristotele riguarda solo la finalità interna), la teologia cristiana è debitrice ad Aristotele del concetto di un Principio trascendente e personale, il quale in Aristotele è il primo tra i motori immobili dei cieli, e quindi il primo degli enti e il motore di tutto, mentre per i cristiani (come già per i musulmani) è Dio. Bisogna tuttavia tenere presente il diverso significato che la parola “dio” aveva per gli antichi e ha per i credenti nelle religioni monoteistiche. Per gli antichi (Greci e Romani) “dio” è un nome comune, il nome di una specie di viventi, come “uomo”, perciò si scrive con l’articolo e l’iniziale minuscola (il dio). Per i monoteisti invece (Ebrei, Cristiani, Musulmani) “Dio” è il nome di una singola persona, perciò si scrive senza articolo e con l’iniziale maiuscola. Queste sono regole grammaticali, non scelte ideologiche.

mercoledì 5 gennaio 2022

Critica, capitale e totalità - Roberto Finelli

Da: https://www.ospiteingrato.unisi.it -  Roberto Finelli insegna Storia della filosofia all’Università di Roma Tre e dirige la rivista on-line “Consecutio (Rerum) temporum. Hegeliana. Marxiana. Freudiana” (http://www.consecutio.org)

Leggi anche: Globalizzazione, postmoderno e “marxismo dell’astratto” - Roberto Finelli 

Il disagio della “totalità” e i marxismi italiani degli anni ’70* - Roberto Finelli 

Panzieri, Tronti, Negri: le diverse eredità dell’operaismo italiano*- Cristina Corradi 

Un bilancio dei marxismi italiani del Novecento*- Carla Maria Fabiani

CRITICA” TRA HEGEL E MARX - Roberto Fineschi 



Critica e totalità sono due categorie che entrano nella cultura moderna come intrecciate e inscindibili solo con la filosofia di Hegel. 

Già Kant, com’è ben noto, aveva fatto della critica la modalità fondamentale di una filosofia che, rinunciando alle astrazioni di una metafisica ontologica dell’Essere o della Realtà Oggettiva, indagasse di fondo le strutture invarianti e trascendentali della soggettività. Ma è propriamente con Hegel che, a partire dalla tesi secondo cui «il vero è l’intero», la critica diventa fattore intrinseco della costruzione di una totalità, giacchè solo attraverso il progressivo autotoglimento di visioni fallaci e parziali si raggiunge la verità di un intero: attraverso cioè la dialettica dell’autocritica e dell’autocontraddizione in cui non può non cadere qualsiasi pretesa di un lato solo particolare o di una configurazione parziale di valore come l’intero. Il finito si toglie da sé medesimo, perché, non riuscendo alla fin fine a coincidere e a consistere solo con sé stesso, è costretto, per necessità interiore, a negarsi e a trapassare in altro.1 La critica qui, ancor più che in Kant, non rimanda più ad alcun osservatore o giudice esterno ma è il giudizio che la realtà stessa produce su sé medesima, in un’autonegarsi attraverso contraddizione, che dovrebbe garantire insieme verità del sapere ed emancipazione dell’agire. Solo che Hegel per dare continuità ai diversi passaggi dialettici ha dovuto forzare, almeno a mio avviso, la natura della negazione, assolutizzandola e ipostatizzandola, fino ad estremizzarla in un purissimo negativo, che non nega alcunché di determinato fuori di sé, ma alla fine null’altro che il proprio negare. Estenuando, con ciò, il nesso fondamentale genialmente istituito tra critica e totalità nella chiusura, invece, di una metafisica immanente del nulla/negazione

lunedì 3 gennaio 2022

In viaggio sul Tigri - La scomparsa degli uomini dell'acqua - Alberto Negri

 Da: https://www.facebook.com/alberto.negri.9469 - Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq. Tra le sue principali opere: “Il Turbante e la Corona – Iran, trent’anni dopo” (Marco Tropea, 2009) - “Il musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente” (Rosenberg & Sellier, marzo 2017) - “Bazar Mediterraneo” (GOG edizioni, Dicembre 2021)


«Per anni ho guardato la baia, il lungomare, i solenni palazzi islamici, l’urbanistica coloniale, la casbah e lo sperone di Bab el Oued con Notre Dame d’Afrique chiedendomi soltanto da dove avrebbe potuto arrivare la morte a sorprendermi».



La religione dell'acqua e della luce scivola sulle increspature di un'ansa del Tigri che forse un giorno la inghiottiranno per sempre, cancellata dall'onda lunga della barbarie irachena. Ma qualcuno ancora crede intensamente in yardna, la fonte della vita, negli spiriti della luce e di Shamish che cavalca il carro del sole, in Manda, la Conoscenza, un Dio unico, indeterminato, indivisibile, che non può fare nulla di sbagliato o di ingiusto. 

La prima volta che vidi le vesti bianche degli adepti fu sulle rive meridionali dello Shatt el Arab dove negli anni Ottanta Saddam Hussein portava i giornalisti ad ammirare le effimere vittorie della Guardia Repubblicana contro l'esercito dei martiri ai quali l'Imam Khomeini aveva promesso il paradiso di Allah. Tra i canneti del delta e le barche dal fondo piatto dei pescatori, celebravano i loro battesimi incuranti del passaggio di carri armati e cannoni. 

L'ultima fu qualche giorno prima che nel marzo del 2003 Baghdad venisse bombardata e poi occupata dagli americani. Da allora i Mandei, questo è il loro nome, vivono in clandestinità e non li ho più trovati sul fiume: erano decine di migliaia, ne sono rimasti cinquemila, decimati dagli omicidi dei credenti, terrorizzati dagli stupri delle donne, umiliati dalle conversioni forzate. 

Dei Mandei ci arrivano notizie dall'antichità, il loro credo, un autentico fossile vivente dicono gli esperti, appartiene alla preistoria delle religioni, è l'ultima fede gnostica passata attraverso la tradizione di sumeri, babilonesi, parti, persiani, ebrei, cristiani, e rieccheggia le credenze dei Magi, il dualismo di Zarathustra, l'eterna lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. 

domenica 2 gennaio 2022

Franco De Masi VOCABOLARIO PSICOANALITICO: Frustrazione


L'ADOLESCENZA: fragilità, sofferenze, sfide possibili - CARLO SINI


Il Vocabolario Psicoanalitico di Psychiatry on line Italia declinato per PAROLECHIAVE da Franco De Masi, Psicoanalista Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana (https://www.spiweb.it).

                                                                           

giovedì 30 dicembre 2021

Nell'istante in cui si cessa di credere in lei, la filosofia sparisce - Silvano Tagliagambe

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Silvano Tagliagambe è un filosofo, fisico e accademico italiano, epistemologo.

La visione e lo sguardo... - Silvano Tagliagambe

La scienza tra dubbio e certezza - Giulio Giorello

Lavoro. Il lavoro come arte della conoscenza - Carlo Sini

"Anthròpina phronein: la saggezza del limite" - Salvatore Natoli

Perché la mente non coincide con il cervello - Felice Cimatti

Essere, pensiero e linguaggio - Felice Cimatti

Siamo il nostro cervello? - Gianvito Martino

Vedendo il linguaggio e chi lo usa - Tullio De Mauro 

Alienazione e rivoluzione (digitale) - Enrico Donaggio 

"La materia del soggetto" - Carlo Sini 

                                                                           

mercoledì 29 dicembre 2021

Declinazioni del concetto di natura tra ontologia e storia - Luca Illetterati

Da: AccademiaIISF - 
Luca Illetterati è professore ordinario di filosofia teoretica presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell’Università di Padova. 



(1/5) Luca Illetterati - Introduzione: per un’ontologia storica 

                                                                           

(2/5) "Physis" e vita - https://www.youtube.com/watch?v=Pj_3QXt2-Qs 

(3/5) Creature e artefattihttps://www.youtube.com/watch?v=uE6hoca6LXI 


(5/5) Paesaggi contemporanei https://www.youtube.com/watch?v=BK-v7CWPvh8 

domenica 26 dicembre 2021

LA LIBERTÀ, LA MORTE, LO STATO. FILOSOFIE E IDEOLOGIE DELLA QUESTIONE PANDEMICA - Emiliano Alessandroni

 Da: https://filosofiainmovimento.it - Emiliano Alessandroni, Università degli Studi di Urbino 'Carlo Bo'. 

Leggi anche: Dal 2030 il mondo sarà meraviglioso secondo l’Agenda Onu - Alessandra Ciattini 

Sul privilegio. Note critiche su Agamben-Cacciari - Roberto Finelli, Tania Toffanin 

Che cos'è la libertà? Il Covid-19 e la difesa del diritto alla vita - Emiliano Alessandroni 



1. Libertà 
2. Società 
3. La meditatio mortis
4. Cospirazionismo e complottismo 
5. Il quadro internazionale



1. Libertà

Pochi esempi sembrano così eloquenti, per quanto concerne le influenze esercitate dall’ideologia sulla semantica, di ciò che nella storia del linguaggio è accaduto alla parola “libertà”, oggi al centro di un acceso dibattito filosofico e politico sul valore delle misure anti-pandemiche. Questa parola è stata infatti evocata, nel corso della storia, all’interno delle circostanze più svariate e di rivendicazioni fra loro persino contrapposte. “Libertà!” gridavano, ad esempio, gli schiavi neri in rivolta a Santo Domingo e negli Stati Uniti del Sud. Ma “libertà!” gridavano anche i proprietari di schiavi che negli Usa agognavano la secessione dal Nord per continuare a perpetrare la schiavitù su base razziale e chiedevano che lo Stato, il governo centrale, non si intromettesse nei propri affari commerciali. 

Nell’ambito della modernità occidentale, in particolar modo, vediamo spesso incontrarsi e non molto meno spesso scontrarsi, almeno tre idee generali di libertà. 

sabato 25 dicembre 2021

Alessandro Barbero s'infiamma contro la "Buona Scuola"

Da: Alessandro Barbero - La Storia siamo NoiAlessandro Barbero è uno storico, scrittore e accademico italiano, specializzato in storia del Medioevo e in storia militare.



Lo storico Alessandro Barbero, in pochi minuti, riassume il senso di una scuola aperta a tutti per non tornare ad un mondo in cui solo l’elite, quelli che comandano, possiedono la cultura. 

«Per molto tempo a scuola ci andavano in pochi […] si dava però per scontato che andare a scuola […] era indispensabile per avere un ruolo poi dirigenziale nella vita. l’esercito italiano, durante la prima guerra mondiale, ha un disperato bisogno di ufficiali, tanto che alla fine manda a comandare i plotoni e le compagnie dei diciannovenni, ma su una cosa non transige: devono aver finito le scuole superiori.

Inizia così il breve ma partecipato excursus di Alessandro Barbero sulla riforma della “Buona Scuola”, continua:

[…] poi, lo sappiamo tutti cosa è successo. è successo che si è detto: in un grande movimento democratico […] non si deve più avere un mondo in cui solo l’elite, quelli che comandano, possiedono la cultura. tutti devono averla. tutti i ragazzi devono avere anni e anni, durante i quali studiano e imparano, anziché dover lavorare come è sempre successo ai loro padri e ai loro nonni. […] quando han cominciato ad andarci anche i figli degli operai si è cominciato a dire “ma appunto, in fondo in fondo siamo sicuri che tutto questo serve?” […] e si è arrivati adesso all’assurdità che si è tornati a dire ai ragazzi, come ai loro nonni analfabeti: “anche se avete soltanto sedici o diciassette anni o diciott’anni, però, un po’ di lavoro lo dovete fare. che è questo lusso di passare quegli anni solo a studiare a scuola? no, no: alternanza scuola lavoro!”» [applausi]. (