Da: https://www.facebook.com/alberto.negri.9469 - Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq. Tra le sue principali opere: “Il Turbante e la Corona – Iran, trent’anni dopo” (Marco Tropea, 2009) - “Il musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente” (Rosenberg & Sellier, marzo 2017) - “Bazar Mediterraneo” (GOG edizioni, Dicembre 2021)
«Per anni ho guardato la baia, il lungomare, i solenni palazzi islamici, l’urbanistica coloniale, la casbah e lo sperone di Bab el Oued con Notre Dame d’Afrique chiedendomi soltanto da dove avrebbe potuto arrivare la morte a sorprendermi».
La religione dell'acqua e della luce scivola sulle increspature di un'ansa del Tigri che forse un giorno la inghiottiranno per sempre, cancellata dall'onda lunga della barbarie irachena. Ma qualcuno ancora crede intensamente in yardna, la fonte della vita, negli spiriti della luce e di Shamish che cavalca il carro del sole, in Manda, la Conoscenza, un Dio unico, indeterminato, indivisibile, che non può fare nulla di sbagliato o di ingiusto.
La prima volta che vidi le vesti bianche degli adepti fu sulle rive meridionali dello Shatt el Arab dove negli anni Ottanta Saddam Hussein portava i giornalisti ad ammirare le effimere vittorie della Guardia Repubblicana contro l'esercito dei martiri ai quali l'Imam Khomeini aveva promesso il paradiso di Allah. Tra i canneti del delta e le barche dal fondo piatto dei pescatori, celebravano i loro battesimi incuranti del passaggio di carri armati e cannoni.
L'ultima fu qualche giorno prima che nel marzo del 2003 Baghdad venisse bombardata e poi occupata dagli americani. Da allora i Mandei, questo è il loro nome, vivono in clandestinità e non li ho più trovati sul fiume: erano decine di migliaia, ne sono rimasti cinquemila, decimati dagli omicidi dei credenti, terrorizzati dagli stupri delle donne, umiliati dalle conversioni forzate.
Dei Mandei ci arrivano notizie dall'antichità, il loro credo, un autentico fossile vivente dicono gli esperti, appartiene alla preistoria delle religioni, è l'ultima fede gnostica passata attraverso la tradizione di sumeri, babilonesi, parti, persiani, ebrei, cristiani, e rieccheggia le credenze dei Magi, il dualismo di Zarathustra, l'eterna lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre.
Osservavo il loro officiante vestito con una tunica bianca chiamata rasta, la lunga barba grigia, la testa avvolta in un turbante con un lembo che cadeva sulla spalla sinistra, gli occhi di un azzurro intenso che guardavano lontano. Assiso su trono di legno si appoggiava delicatamente a un bastone; le braccia pallide, quasi trasparenti, spuntavano dalla stola: era la sagoma di un profeta, il predicatore di una fede dolce e non aggressiva, che non ha mai aspirato al potere, con tanti bambini intorno che lo festeggiavano con un sorriso silenzioso. Il corteo ossequiava il capo del clero mandeo, il ganzibra, che portava l'anello sacro, un talismano d'argento dove erano incisi il leone, lo scorpione, l'ape e il serpente.
Una ragazza, anche lei con una veste bianca e un velo che lasciava scoperte ampie ciocche di capelli neri, mi guardava, interessata alla presenza di uno straniero che in giacca e pantaloni evidentemente non aveva niente a che fare con il rituale nelle acque della Mesopotamia. Ma in lei, come in tutti coloro che stavano intorno al profeta, non c'era nessuno sguardo ostile o diffidente, soltanto curiosità, pari alla mia che non sapevo quasi nulla dei Mandei. I loro gesti bianchi e liquidi trasmettevano serenità e pace mentre si preparavano a entrare nelle acque basse vicino alla riva.
l vero mistero, l'autentico miracolo, era come avessero scovato un angolo del Tigri così chiaro e incontaminato nel centro di Baghdad, in una città in ginocchio dopo dodici anni di embargo, quando ormai da tempo non funzionavano più i depuratori e il fiume era ridotto a una discarica con inquietanti riflessi grigio piombo.
In quel momento non potevamo saperlo ma anche l'aria presto sarebbe diventata nera come l'inchiostro, densa di anidride carbonica e pulviscolo, resa irrespirabile dai bidoni di nafta che l'esercito bruciava nelle strade nel vano tentativo di occultare con una cortina di nuvole artificiali i bersagli ai caccia e ai missili da crociera americani. E per la prima volta avremmo sentito, insieme al fragore delle bombe, un rumore sconosciuto, indecifrabile e amplificato, simile a quello dell'ancora di una nave che si snoda da una gomena: erano le raffiche terrificanti di una nuova mitragliatrice americana da seimila colpi al minuto.
L'antica religione dell'acqua e della luce lanciava gli ultimi bagliori di resistenza alla tempesta che si stava addensando sull'Iraq. Il predicatore cominciò a recitare i versi di un poema, forse tratto dal testo sacro del Ginza, il Grande Tesoro o Libro di Adamo, in una lingua che non è l'arabo ma somiglia all'aramaico che qualche tempo prima avevo ascoltato salmodiare in una chiesa assira di Mosul.
I Mandei non avevano monumenti di culto ma si avviavano verso il loro unico tempio naturale, le acque del Tigri, per ricevere il battesimo, un rituale che si ripete anche dopo l'ingresso nella comunità per la purificazione destinata alla seconda vita, quella dell'anima dopo la morte. Si diceva fossero fedeli di San Giovanni Battista, di cui Gesù avrebbe carpito gli insegnamenti, una radice cristiana innestata in una storia molto più antica che costituiva una sorta di comodo scudo alle persecuzioni: ebrei e cristiani venivano riconosciuti dal Corano come «Popoli del Libro». Un'altra ancora di salvezza era una citazione coranica in cui si ricordavano con benevolenza i Sabei, misteriosa popolazione mediorientale. I Mandei dichiaravano di essere i loro discendenti, eredi di quella città turco-siriaca di maghi e astrologi che si chiama Harran. Era qui che su una porta si leggeva una celebre iscrizione neo-platonica: «L'uomo è una pianta celeste con la radice rivolta verso il cielo».
Tutto questo non era bastato a sottrarli all'accusa di essere dei miscredenti o peggio ancora dei pagani: di tanto in tanto finivano nel collimatore dell'integralismo oscurantista che dopo la caduta del regime baathista, nel caos e nell'anarchia dilaganti, sarebbe diventato l'unica feroce regola di vita quotidiana.
Le minoranze irachene si assottigliano drammaticamente: i cristiani – caldei, latini, armeni, nestoriani, siriaci, assiro-ortodossi – erano il 5% della popolazione, oggi sono ridotti a meno dell'uno per cento e la terra di Abramo spazza via anche gli altri, dai mandei agli yezidi. I reduci dalle battaglie tra musulmani sciiti e sunniti, sfuggiti ad attentati e pulizie etniche e settarie, si rifugiano a Nord verso il Kurdistan nella speranza di essere salvati dalle possenti mura millenarie di Erbil e da una maggiore tolleranza dei curdi iracheni.
Ma qual è il segreto dei Mandei? Dovevo scoprirlo alla vigilia di bombardamenti, a Mutanabbi Street, la via dei librai di strada di Baghdad, quando acquistai The Mandaens of Iraq and Iran, un libro con la copertina in brossura verde della scrittrice e antropologa inglese Lady Drower che dal 1921 al 1946 aveva vissuto in Iraq e raccolto i loro testi sacri, da secoli trascritti a mano dagli scribi oppure mandati a memoria dai sapienti. La lettura di quel libro sulle leggende, la “magia bianca”, gli incantesimi e i talismani dei Mandei mi avrebbe accompagnato per tutta la guerra e oltre, quando su Baghdad calarono le tenebre della guerra civile.
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