Sono anni che ci ripetono che quelli previdenziali sono dei costi insostenibili, che il sistema non può reggere un così alto numero di pensionati rispetto ai lavoratori attivi, che l’aumento dell’aspettativa di vita è importante ma produce anche problemi etc etc.
Tecnocrati e padroni, commentatori asserviti e ministri, però si guardano bene dal rilevare che magari una forte riduzione della quota di lavoro povero, lavori precari, disoccupazione aumenterebbe il numero degli occupati veri e quindi dei contributi previdenziali da utilizzare per il welfare e la spesa previdenziali.
Al contrario preferiscono agire sul suo contrario: allungare l’età lavorativa e dunque pensionabile, intrigare per abbassare la remunerazione sulle pensioni future e – perché no – ridurre anche quelle già in essere, magari usandole come un bancomat fiscale.
Ma a volte le variabili indipendenti ci mettono lo zampino e quelle che sembravano solo manifestazioni di cinismo – stigmatizzate a parole ma praticate nei fatti – diventano realtà.
La variabile è stata la pandemia di Covid che in Italia ha ucciso 140.000 persone – in larga parte anziani – in due anni. I fatti sono il numero inferiore di pensioni che sono state pagate lo scorso anno rispetto a quello precedente.
I dati sulle pensioni Inps di ogni tipo pagate nel 2021 rispetto al 2020, ci dicono che a ottobre 2021 dal Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti sono state liquidate 264.052 pensioni con un importo medio di 1.305 euro, mentre nel 2020 le pensioni liquidate erano state 367.257 con un importo medio di 1.311 euro. Dunque si tratta di più centomila pensioni – e pensionati – in meno ed anche con importo medio leggermente più basso.
I dati si possono disaggregare anche per tipo di pensione – vecchiaia, anticipata, invalidità, superstiti – ma anche su ogni tipologia il risultato è sempre lo stesso: nel 2021 sono state liquidate meno pensioni del 2020, anche su quelle anticipate (quota 100).
La diminuzione più consistente (40.000 pensioni in meno) è avvenuta sulle pensioni per i superstiti (le famose “reversibilità”, in genere per donne vedove), seguita da quelle anticipate con 33.000 pensioni in meno, poi da quelle di vecchiaia con 21.500 pensioni in meno ed infine da quelle di invalidità diminuite di 9.000 liquidazioni.
Questi dati in qualche modo erano prevedibili (non ci azzardiamo a dire auspicati, ma…) con il boom della mortalità di anziani dentro la pandemia di Covid.
Ma questo produce anche cambiamenti sulla curva della aspettativa di vita, quella che tecnocrati e tagliatori vedevano minacciosamente sempre in crescita e che invece si era già fermata prima del Covid. Del resto se aumenti l’età per andare in pensione e riduci pesantemente gli standard sanitari del paese (come la pandemia ha confermato dolorosamente), è inevitabile che si cominci a morire prima delle generazioni precedenti.
Ma non è razionalità economica, è la regressione sociale e civile oggi fin troppo evidente nel sistema capitalista dominante.
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