(Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma.
Ma cosa è successo allo spazio sovietico dopo la fine dell’Urss? Nessuno dica che si è affermata la democrazia perché è un falso. Secondo il Centro per la Riforma Europea, il Gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) costituiscono oggi il principale alleato commerciale della Germania per la sua integrazione nelle catene di valore tedesche. Inoltre tra il 20 e il 30% degli scambi internazionali delle economie dell’Europa orientale centrale sono con la Germania. Come scrive Vladimiro Giacchè (
Anchluss. L’annessione: l’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, 2013), la Repubblica democratica tedesca fu annessa sbrigativamente alla Repubblica Federale, la sua economia distrutta, la sua infrastruttura produttiva svenduta per qualche spicciolo ai grandi capitalisti dell’Ovest e al popolo di quella regione non fu dato un marco, benché fosse il proprietario legale di tutto quel patrimonio.
Pertanto, di fatto, la Germania ha ampliato il suo spazio economico e con esso ovviamente la sua sfera di influenza politica, che però esercita sotto la vigile sorveglianza della Nato, su pressione della quale
ha recentemente mandato una nave militare nel Mar Cinese Meridionale certo non per fare una scampagnata. Cresciuti negli ultimi anni più dei paesi occidentali, i paesi ex sovietici si lamentano del rallentamento dell’economia tedesca e dovrebbero rendersi conto che sono passati da un padrone all’altro. Con la sventura, inoltre, che l’attuale padrone, cui si sono sottoposti, ossia la Nato, ha mire espansive che, se portassero a uno scontro, i primi a pagarne le conseguenze sarebbero proprio loro. Farò solo un esempio di democraticità e di rispetto dei diritti umani, propri dei governi occidentali, richiamando alla mente le immagini strazianti degli immigranti, provenienti soprattutto dall’oriente, stretti tra Polonia, Lituania, Lettonia e Bielorussia, costretti a non avanzare verso l’Europa occidentale e centrale dalle autorità polacche, mentre la colpa delle loro miserrime condizioni è scaricata tutta sul governo di Minsk. Di questo tutto si può dire meno che sia responsabile dei tragici eventi (bombardamenti, sanzioni, occupazioni militari), che hanno costretto tutta questa gente a fuggire dalle loro terre. Ma si sa è sempre opportuno saltare un pezzo dell’intera storia, soprattutto se questa svela qualche magagna.
Quanto al tenore di vita degli abitanti dello spazio ex sovietico, secondo “Sbilanciamoci”
tra il 1989 e il 2014, il passaggio all’“economia di mercato” ha segnato la morte di circa 18 milioni di abitanti (12 milioni in Russia), dovuta a precarietà lavorativa, malattie non curate, alcolismo, stress psicosociale etc., un aumento stratosferico dei poveri e dei disoccupati. Nel giro di pochi anni la speranza di vita degli uomini russi è scesa a 57,6 anni, ossia del 6,6%, addirittura meno che in India. Come si vede la vittoria del neoliberalismo è stata assai meno trionfante di quello che normalmente si dice, ma per i mass media gli aspetti negativi costituiscono meri effetti collaterali di cui non vale la pena nemmeno parlare.
Sui caratteri della società russa contemporanea avevo già scritto, mettendo in evidenza che “nel processo di disgregazione dell’Urss, iniziato negli anni Ottanta e portato a termine dalle politiche di Gorbačëv, una parte importante è stata giocata anche dal capitalismo internazionale, il quale, per accaparrarsi le immense risorse sovietiche, ha sostenuto l’emergere di quello che si è definito capitalismo semiperiferico in Russia e nei paesi della Csi; capitalismo caratterizzato da ampi livelli di criminalità imprenditoriale, dalla fuga dei capitali, dalle privatizzazioni, dal controllo informale delle entrate”. Sulla base di analisi condotte da vari specialisti ero giunta anche alla conclusione che la Russia non era ancora un paese imperialista (la stessa cosa credo possa dirsi della Cina), anche se una tendenza insopprimibile del sistema capitalistico è quella di trasformarsi in imperialistico per l’inevitabile competizione con le altre potenze.
L’arrivo al potere di Putin nel 2000 ha rimesso ordine nella caotica situazione, ha limitato il potere dei cosiddetti oligarchi, che non mancano nemmeno nelle democrazie occidentali, ha dato avvio al confronto con gli Stati Uniti e con la Nato, che cogliendo al balzo le conseguenze del crollo, sono arrivati alle soglie della casa russa, favorendo tra l’altro il colpo di Stato fascista in Ucraina che culminò nel sanguinoso assalto alla Casa dei sindacati (da nessuno ricordato). Le popolazioni russofone di quelle regioni non hanno gradito questo radicale cambiamento a loro ostile, di qui la costituzione delle Repubbliche Popolari di Doneck e di Lugansk, la scelta della Crimea tramite un referendum di tornare alla Russia, di cui ha fatto parte fino al 1956. Quell’anno Chruščëv ne fece dono all’Ucraina.
Secondo alcuni specialisti il potere di Putin si regge su un bizzarro amalgama, in cui giocano un ruolo fondamentale il nazionalismo, fomentato dal ricordo sempre rinvigorito della Grande Guerra Patriottica, il grande contributo dato dal passato sovietico alla costruzione della grande potenza politica e militare russa, il collante rappresentato dal cristianesimo ortodosso e dalla grande cultura letteraria e artistica. Il leader russo non si dimentica nemmeno dei musulmani (il 14% della popolazione stanziato nel Caucaso del Nord spesso emigrato nelle città russe), per i quali ha fatto costruire la più grande moschea d’Europa.
Se gli occidentali giocano la carta dell’antiautoritarismo in difesa dei “diritti umani”, scelti a seconda di dei soggetti che fanno loro più comodo, Putin punta tutto sull’antiamericanismo, sostenendo in Europa i leader di destra antiglobalizzazione e identitari come Marine Le Pen, Salvini con qualche oscillazione, coltivando le relazioni anche militari con la Cina, in America Latina alleandosi con i progressisti, sostenendo la Siria di Bashar al Assad, esponente del partito Ba’th, in cambio di un’importante base, non disdegnando l’Arabia Saudita con cui ha siglato un accordo di collaborazione militare.
In questo contesto e nonostante l’innegabile carattere capitalistico della Russia, liberatasi dalla tutela occidentale con la scomparsa del “democratico” ubriacone Boris El’cin (1999), ex comunista e animatore della politica di choc economico (da ricordare il bombardamento del parlamento), sembrano alquanto sensate le parole di Sergey Lavrov, ministro degli Esteri russo, secondo cui la Nato è di fatto l’espressione di un disegno geopolitico preciso che tende a un’inarrestabile espansione. Ovviamente Lavrov si riferiva al discusso ingresso dell’Ucraina nella Nato, presentata dagli occidentali come una necessaria risposta all’aggressività russa.
Un discorso dai toni analoghi è stato quello tenuto da Putin in occasione del colloquio telefonico con Joe Biden e della lunga conferenza stampa di qualche giorno fa, nel corso dei quali ha fatto una serie di proposte agli Stati Uniti e agli altri membri della Nato, che qui riassumo. Ha esordito affermando che è la politica della Nato a essere aggressiva verso la Russia, che non può tollerare la sua ulteriore espansione nonostante quanto era stato promesso verbalmente a Gorbačëv negli anni Novanta. Ha continuato: il mio paese segue una politica estera pacifica e quindi non ha nessuna intenzione di invadere l’Ucraina, ma ha il diritto di difendere la propria sicurezza nel medio e lungo termine. Se quest’ultima sarà incorporata nella Nato, ovviamente le tensioni tra gli occidentali e la Russia cresceranno e ciò non può che generare preoccupazioni. Per difendersi i russi saranno costretti a dislocare contingenti militari e armamenti adeguati. Nei decenni precedenti abbiamo con insistenza comunicato i nostri timori e chiesto di non procedere con l’allargamento della Nato, anche perché le buone relazioni tra l’Unione europea e la Russia (si pensi al commercio delle risorse energetiche russe) avvantaggerebbero entrambi. E invece, le infrastrutture della Nato si sono avvicinate senza sosta ai nostri confini, tanto che sistemi di difesa missilistica sono già presenti in Polonia e Romania.
In sostanza la Russia chiede, giustamente, agli Stati Uniti e alla Nato di bloccare l’espansione di quest’ultima, di non ammettere nuovi soci nei territori in cui installare nuove basi e rigetta l’accusa di programmare un’invasione dell’Ucraina, che del resto appare del tutto improbabile. Di queste proposte si parlerà di un vertice in presenza tra Putin e Biden, che si terrà il prossimo 10 gennaio a Ginevra. D’altra parte, la Nato accusa la Russia di spostare le truppe all’interno del suo stesso territorio, mentre Putin chiama in causa l’armamento di territori recentemente incorporati in quell’alleanza, da cui potrebbero partire attacchi missilistici micidiali contro le città russe, sogno vagheggiato dagli Stati Uniti fin dal 1945.
Infine, bisogna aggiungere a mo’ di conclusione che Putin, uomo politico ambiguo ma abile e pragmatico a differenza delle sue controparti accecate dalle loro illusioni di grandezza, ha alleati nella stessa Europa, per esempio nei settori agroalimentari colpiti dalle sanzioni contro la Russia e tra la popolazione europea che non apprezza i forti aumenti dei costi energetici, dovuti anche al blocco del gasdotto Nord Stream 2. Si tenga conto che la Russia è la seconda socia commerciale della Germania, benché i verdi tedeschi disprezzino il gas dell’est, dal quale sperano di rendersi indipendenti.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaScriveva il 7 gennaio Alessandra Ciattini: "In sostanza la Russia chiede, giustamente, agli Stati Uniti e alla Nato di bloccare l’espansione di quest’ultima, di non ammettere nuovi soci nei territori in cui installare nuove basi e rigetta l’accusa di programmare un’invasione dell’Ucraina, che del resto appare del tutto improbabile."
RispondiEliminaLe cose non mi sembra siano andate esattamente così, ma certo parlare con la forza del senno di poi è facile. Quanto è successo, però, mi sembra dimostri che una serena valutazione del Putin-pensiero sia un esercizio complesso e non privo di colpi di scena. A meno che non si voglia sostenere che la compromissione della verità storica sia anzitutto un esercizio nelle mani del potere filo-occidentale.
Detto questo, proprio oggi sulle pagine del Corriere, un eminente professore russo tenta una nuova analisi e dice, in sostanza, che il tentativo di Putin sia quello di ricostruire la geografia russa quale essa era prima della rivoluzione del 1917. Dice lo storico: «A prima della rivoluzione del 1917, quando con il termine russo si intendeva il nostro popolo, gli ucraini e i bielorussi. Eravamo semplicemente Velikorosy, Malorosy e Belorusy, che significa Grandi russi, piccoli russi e russi bianchi. Già in questa distinzione appare chiaro il ruolo da “fratello maggiore” assegnato a noi. Putin non può tollerare che gli ucraini si riferiscano ai russi come “Moskal”. Per lui, questa guerra è una riunione di famiglia».
Detto questo, desidero esprimere tutta la mia ammirazione nei riguardi di Alessandra Ciattini, che in giorni non troppo lontani da oggi affrontava temi e scenari che io, allora, non ero nemmeno in grado di immaginare... Le valutazioni possono poi rivelarsi giuste o sbagliate ma a prescindere costituiscono un fondamentale esercizio della mente.
Poi, come sempre, a decidere è la storia.
Ringrazio per l'ammirazione (il termine è troppo impegnativo). Io credo che più che del Putin pensiero si debba parlare degli interessi della classe dirigente russa. Inoltre, penso che l'entrata in Ucraina, certo prefigurata, è stata decisa quando si sono resi conto che nessuna delle loro richieste sarebbe stata accolta. Ora sembra, che rendendosi conto dello sfacelo prodotto, i cosiddetti occidentali, che ci hanno oscurato e impedito di consultare fonti che non siano le loro, facciano qualche passo verso la neutralità dell'Ucraina. Cosa che mi auguro perché metterebbe fine per ora a questo incubo. A presto AC
RispondiElimina