Oggi Delta e le sue discendenti rappresentano la massima parte dei casi di COVID-19 nel mondo. I ricercatori per lo più si aspettavano che queste linee della Delta avrebbero finito col soppiantare ciò che restava delle altre varianti. Omicron però ha smentito queste previsioni. "Molti di noi si aspettavano che la prossima variante strana sarebbe stata una discendente della Delta, e questa è un po’ una sorpresa", spiega Aris Katzourakis, specialista di evoluzione virale all’Università di Oxford. In Botswana e Sudafrica alcuni gruppi hanno identificato la variante verso fine novembre – anche se i ricercatori ritengono improbabile che abbia avuto origine in uno di questi due paesi – e le autorità sanitarie l’hanno collegata a un focolaio in rapida crescita situato nella provincia di Gauteng in Sudafrica. La variante contiene circa 30 modifiche della proteina spike, molte delle quali in comune con le altre varianti preoccupanti, e in tutto il mondo gli scienziati sono al lavoro per valutare quanto sia minacciosa.
Il rapido aumento dei casi di Omicron in Sudafrica porta a ritenere che la nuova variante abbia un vantaggio rispetto alla Delta in termini di fitness: è quanto sostiene Tom Wenseleers, biologo evoluzionista e biostatistico all’Università cattolica di Lovanio, in Belgio. La variante Omicron è portatrice di alcune mutazioni associate all’altissima infettività della delta. Se però la maggiore infettività fosse l’unico motivo della sua crescita rapida, continua Wenseleers, significherebbe un R0 oltre 30, e "non è per niente plausibile".
Wenseleers e altri ricercatori sospettano che l’avanzata di Omicron sia invece dovuta soprattutto alla sua capacità di infettare persone immuni a Delta grazie al vaccino o a un precedente contagio.
Gli scienziati non hanno ancora un quadro chiaro della variante Omicron e ci vorranno settimane per valutarne fino in fondo le caratteristiche. Ma se si sta diffondendo anche grazie alla sua capacità di aggirare l’immunità, questo corrisponde alle previsioni teoriche sulla probabile evoluzione di SARS-CoV-2, commenta Sarah Cobey, biologa evoluzionista all’Università di Chicago.
Via via che l’aumento di infettività di SARS-CoV-2 comincia a rallentare, continua Cobey, il virus dovrà mantenere la propria fitness superando le risposte immunitarie. Per esempio, se una o più mutazioni dimezzassero la capacità di un vaccino di bloccare la trasmissione, potrebbero aumentare enormemente la disponibilità di ospiti in una popolazione. Secondo Cobey è difficile immaginare che un qualsiasi futuro aumento di infettività possa dare la stessa spinta.
Quel percorso evolutivo, che punta a eludere l’immunità invece di aumentare l’infettività, è diffuso tra i virus respiratori ormai consolidati, come quello dell’influenza, spiega Adam Kucharski, epidemiologo matematico alla London School of Hygiene and Tropical Medicine. "Per il virus il modo più facile di provocare nuove epidemie consiste nell’eludere l’immunità nel corso del tempo. Somiglia a ciò che vediamo nei coronavirus stagionali."
Alcuni esperimenti di laboratorio e il sequenziamento delle varianti in circolazione hanno permesso di identificare svariate mutazioni nella proteina spike che diminuiscono l'efficacia degli anticorpi neutralizzanti scatenati dal contagio e dal vaccino. Le varianti portatrici di queste mutazioni, come Beta, hanno ridotto l’efficacia dei vaccini. Tuttavia non hanno cancellato del tutto la protezione che offrono, soprattutto contro le forme di malattia più gravi.
Rispetto ad altre varianti, Omicron è molto più ricca di queste mutazioni, in particolare nella regione della spike che riconosce le cellule dell’ospite. Un’analisi preliminare di Bloom indica che queste mutazioni potrebbero rendere alcune porzioni di spike irriconoscibili per gli anticorpi creati dai vaccini e dal contagio precedente da parte di altri ceppi, ma per valutare pienamente gli effetti di queste mutazioni serviranno esperimenti in laboratorio e studi epidemiologici.
Evolversi per eludere le risposte immunitarie, come gli anticorpi, potrebbe anche avere un costo in termini evolutivi. Una mutazione della spike che aggira gli anticorpi potrebbe ridurre la capacità del virus di riconoscere le cellule dell’ospite e legarsi a esse. La regione della spike che si lega ai recettori – l’obiettivo principale degli anticorpi neutralizzanti – è relativamente piccola, spiega Jason McLellan, biologo strutturale all’Università del Texas ad Austin, e potrebbe esserci un limite ai cambiamenti che la regione può tollerare riuscendo ancora a svolgere il suo compito principale, cioè legarsi ai recettori ACE2 delle cellule dell’ospite.
Inoltre può darsi che l’esposizione ripetuta a varie versioni della spike – attraverso il contagio di diversi ceppi virali, i richiami vaccinali o entrambi – finisca col costruire un muro di immunità che il SARS-CoV-2 non supererà facilmente. È difficile che le mutazioni in grado di superare la risposta anticorpale di alcune persone riescano a sventare le risposte di un’intera popolazione, e l’immunità cellulo-mediata, un’altra arma della risposta immunitaria, sembra più resiliente alle modifiche del genoma virale.
Questi limiti, commenta Bloom, potrebbero rallentare l’elusione dell’immunità da parte di SARS-CoV-2, ma è improbabile che la fermino. Ci sono prove chiare, aggiunge McLellan, che alcune mutazioni in grado di aggirare gli anticorpi non abbiano costi evolutivi rilevanti: "Il virus riuscirà sempre a mutare parti della spike".
Un virus in transizione
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