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domenica 5 dicembre 2021

Russell e la logica del '900 - Piergiorgio Odifreddi

Da: Piergiorgio Odifreddi - Piergiorgio Odifreddi è un matematico, logico e saggista italiano (http://www.piergiorgioodifreddi.it).


                                                                          

martedì 5 aprile 2016

Wittgenstein e la filosofia del linguaggio – Piergiorgio Odifreddi



Zettel presenta: Wittgenstein e la filosofia del linguaggio – Piergiorgio Odifreddi:

Ludwig Wittgenstein nasce a Vienna il 26 aprile del 1889 in una famiglia alto-borghese di origini ebraiche.

All’età di diciassette anni si iscrive alla facoltà di ingegneria dell’Università di Berlino.
Durante gli anni universitari si avvicina alla logica e alla filosofia della matematica, grazie alla lettura delle opere di Gottlob Frege; nel 1912 si iscrive al Trinity College di Cambridge per seguire le lezioni di Bertrand Russell.

Tra il 1913 e il 1914 trascorre alcuni mesi in Norvegia e lì inizia a comporre la sua opera principale, il Tractatus logico-philosophicus, che darà alle stampe nel 1921, con l’introduzione di Bertrand Russell. Il Tractatus diventa presto un testo di riferimento per i filosofi del Circolo di Vienna, che Wittgenstein frequenta, pur non aderendovi ufficialmente.

Nel 1929 il filosofo fa ritorno a Cambridge, dove inizia la sua carriera accademica. Tiene diversi cicli di lezioni e i suoi allievi raccolgono gli appunti in quelli che saranno conosciuti, postumi, come il Libro blu e il Libro marrone.
Negli stessi anni inizia a lavorare alle opere più significative del suo cosiddetto “secondo periodo”: le Ricerche filosofiche e le Osservazioni sui fondamenti della matematica, entrambe pubblicate postume.

Nel 1939 è nominato Professor of Philosophy all’università di Cambridge, ma allo scoppio della Seconda guerra mondiale si allontana dall’ambiente universitario per prestare servizio volontario in un ospedale londinese.

Wittgenstein si spegne a Cambridge il 29 aprile del 1951.

Leggi anche:   http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/05/temi-wittgensteiniani-stefano-garroni.html

mercoledì 26 febbraio 2020

Da Wittgenstein a Marx via Rossi-Landi - Roberto Fineschi

Da: http://www.ilsileno.it/filosofiesemiotiche - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. (Marx. Dialectical Studies) -
Leggi anche   Wittgenstein e la filosofia del linguaggio – Piergiorgio Odifreddi 
                            TEMI WITTGENSTEINIANI - Stefano Garroni 
                             L. WITTGENSTEIN - LA CULTURA MEDIA CONTEMPORANEA - NOTE AL RAMO D'ORO DI FRAZER - Stefano Garroni - 09-01-97


Introduzione 

Quando sono stato invitato a scrivere un contributo sul rapporto Marx-Wittgenstein sono stato un po’ esitante. In primo luogo non sono certo un esperto di Wittgenstein, anzi, sono un modesto lettore delle sue opere più importanti e non ho molto di significativo da dire in proposito. In secondo luogo, come esperto di Marx, solo tangenzialmente mi sono occupato di temi legati alla filosofia del linguaggio o alla semiotica. Ho però cominciato a leggere un po’ di letteratura ed ho trovato diversi spunti interessanti, soprattutto nel semiologo marxista italiano Ferruccio Rossi-Landi (ROSSI-LANDI 1968, 1977, 1983) e in altri interpreti (ABREU 2008; GAKIS 2015; KITCHING & PLEASANTS 2002; READ 2000; RUBINSTEIN 1981). Alla luce di questi studi ho forse inteso meglio come trattare il tema e deciso di contribuire. 

La prima parte di questo saggio è dedicata alla lettura di Wittgenstein proposta da Rossi-Landi, la seconda all’analisi di come Rossi-Landi cerchi di risolvere attraverso Marx quelle che reputa aporie di Wittgenstein, la terza, infine, a una valutazione critica della questione e al senso di un possibile rapporto Marx-Wittgenstein. 


1. Il Wittgenstein di Rossi-Landi 

La lettura di Wittgenstein da parte di Rossi-Landi è chiaramente influenzata dalla sua intenzione di sviluppare una teoria marxista della linguistica. Il suo scopo non è una ricostruzione critica del suo pensiero, ma fornire un solido fondamento al suo progetto nella stessa tradizione della filosofia del linguaggio (la stessa cosa che cerca di fare nel suo dialogo con Saussure). 

Quello di Rossi-Landi è un approccio marxista(1), in cui la componente storico-sociale è assolutamente decisiva; da questo presupposto, la sua valutazione del Tractatus non può che essere estremamente critica, in quanto lo si considera addirittura «pre-kantiano» proprio per l’assenza dell’elemento storico-sociale (ROSSI-LANDI 1968: 22). Questo Wittgenstein è sostanzialmente ignorato e considerato inadeguato non solo per un confronto con Marx, ma come contributo al pensiero occidentale moderno. Tutta cambia invece con le Ricerche, dove invece si percepisce il «flusso della vita» (ROSSI-LANDI 1968: 23). 

Sulla base della nota 583 delle Ricerche(2), Rossi-Landi può affermare che, secondo Wittgenstein, l’ambiente [Umgebung] dà rilevanza al significato. Il significato di una parola è dato dal suo uso nel linguaggio, dice Wittgenstein nella nota 43(3), e Rossi-Landi commenta che il linguaggio acquisisce significato in un contesto, vale a dire quello pubblico nel quale impariamo a parlare (ROSSI-LANDI 1968: 24). Il gioco linguistico come tale non si riferisce solo all’uso linguistico, ma include elementi extra-linguistici, una prassi sociale che implica un uso linguistico dell’azione extralinguistica. Secondo Rossi-Landi si può derivare questa conclusione dalla nota 7 delle Ricerche(4). 

Se il significato sta nell’uso di una parola, in una prassi che ha luogo in un contesto pubblico, Rossi-Landi assume, traendo queste conclusioni dalle note 199(5) e 242(6), che ci sono regole in ciò implicate. Queste regole vanno pensate come condivise, debbono corrispondere a comportamenti sociali determinati e accettati, a una prassi sociale. Questa ulteriore conclusione è implicita nelle note 200-202(7) (ROSSI-LANDI 1968: 25 s.). 

Rossi-Landi cerca di mostrare come per Wittgenstein almeno implicitamente, il linguaggio, con i suoi presupposti sociali, sia una prassi condivisa. A questo proposito, passando dal Trattato alle Ricerche, egli fa qualcosa di molto simile a quanto Marx e Feuerbach avevano fatto con Hegel: avevano individuato la chiave dell’alienazione intellettuale e filosofica (un uso distorto del linguaggio) nella prassi sociale. L’incoerenza del linguaggio filosofico è una conseguenza di una prassi determinata e ha origine in una prassi linguistica sbagliata. 

venerdì 25 settembre 2020

Wittgenstein – Riflessioni sul Ramo d’oro - Stefano Garroni

 Da: http://www.figuredellimmaginario.altervista.org - Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni. 

Leggi anche:  WITTGENSTEIN E FREUD* - Stefano Garroni 

                         Antropologia, dialettica e struttura. - Stefano Garroni 

                         Da Wittgenstein a Marx via Rossi-Landi - Roberto Fineschi 

                       SOCRATISMO DI WITTGENSTEIN E 'FAMILY RESEMBLANCE'* - Stefano Garroni 

                         TEMI WITTGENSTEINIANI - Stefano Garroni 

                         L. WITTGENSTEIN - LA CULTURA MEDIA CONTEMPORANEA - NOTE AL RAMO D'ORO DI FRAZER - Stefano Garroni - 09-01-97

Vedi anche:    Oltre il testo - Carlo Sini 

                        Wittgenstein e la filosofia del linguaggio – Piergiorgio Odifreddi 


Riportiamo il prezioso testo della conferenza di Stefano Garroni dal titolo Wittgenstein - Riflessioni sul Ramo d'Oro (29-04-99).

Stefano Garroni propone una riflessione profonda e originale sulle Note sul Ramo d'oro di Frazer scritte da Wittgenstein. Il filosofo austriaco si scaglia contro l'intellettualismo di Frazer. Ma cosa comporta l'abbandono di una prospettiva logocentrica in ambito antropologico? Garroni si chiede se l'apertura al "possibile", nel senso di altri modi di vedere e concepire il mondo, non debba condurci a una riformulazione universale del concetto di mente. Ma ogni teoria della mente non è essa stessa soggetta a un'evoluzione storica? Come conciliare la pluralità dei sistemi culturali, delle Weltanschauungen, senza un'interrogazione storico-materialistica sulla questione del possibile? Queste sono solo alcune delle domande e dei temi di questa densa conferenza, il cui testo integrale è pubblicato per la prima volta in Figure dell'immaginario

La trascrizione e la revisione del testo sono state curate dalla professoressa Alessandra Ciattini e dalla dottoressa Adriana Garroni. 

E' possibile ascoltare l'audio della Conferenza su youtube: https://www.youtube.com/playlist?list=PL507095E3F22F0962 (fdi)

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Nel 1890 esce la prima edizione de Il ramo d'oro. Studio di religione comparata1, di James G. Frazer, opera che fu un vero e proprio successo editoriale e che continua ad essere letta ancora oggi; tuttavia, l'edizione definitiva in dodici volumi, di cui Ludwig Wittgenstein legge solo il primo, esce successivamente, nel 1911-15. Nel 1922 viene pubblicata con la prefazione di G. Cocchiara, uno studioso del folclore, l'edizione ridotta poi tradotta in italiano da Boringhieri (Milano 1965). 

È interessante notare che Frazer pose come appendice alla terza edizione della sua opera più famosa alcuni frammenti delle Lezioni sulla filosofia della religione di Georg W. F. Hegel, tratte da un manoscritto dello stesso e dagli appunti dei suoi allievi presi duranti i corsi che sul tema tenne a Berlino tra il 1821 e il 1831. L’antropologo vittoriano non aveva mai studiato l’opera di Hegel, furono il suo amico e psicologo James Ward (1843-1925) e il filosofo J. M. E. Mc Taggart (1866-1925)2 , che lo informarono della somiglianza tra il suo modo di intendere la relazione tra magia e religione e quello proprio del filosofo tedesco. 

Da parte sua, Wittgenstein conosceva Hegel solo di seconda mano; da quanto scrive uno studioso del suo pensiero, Alexander Berg, furono Bertrand Russell e C. D. Broad, che lo introdussero all’opera hegeliana durante i loro incontri e che probabilmente gli suggerirono l’espressione “gioco di parole”; espressione che Russell ed altri studiosi inglesi di Hegel impiegavano per spiegare il metodo argomentativo del filosofo tedesco3 . Ciò è documentato dagli appunti di Wittgenstein che mostrano un certo interesse per il filosofo idealista e in cui appare nel 1932 per la prima volta l’espressione “gioco di parole” (2019: § 1). Questo legame potrebbe costituire un argomento, non l’unico ovviamente, per sostenere che la critica che Wittgenstein fa del metodo esplicativo frazeriano assomiglia molto alla critica hegeliana dell’intellettualismo, come cercherò di dimostrare più avanti. 

Le note di Ludwig Wittgenstein sul Ramo d’oro, che probabilmente scrisse tra il 1930 e il 1940, sono state pubblicate solo nel 1967 da Rush Rhees, e sono state oggetto di molte interpretazioni, ma sicuramente sono centrate sulla critica all’intellettualismo; posizione interpretativa adottata da molti studiosi e filosofi della fine dell’Ottocento, tra cui i cosiddetti antropologi vittoriani, come Edward Burnett Tylor e Frazer appunto. 

La polemica di Wittgenstein, mi pare, si fonda su tre punti fondamentali. 

martedì 6 marzo 2018

Che durata hanno le Costituzioni? - Paolo Massucci

Da: https://www.lacittafutura.it -  è membro del Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni


Quando lo scontro nel pensiero politico si riduce a opinioni tra generazioni diverse. 


Sulla rivista Le Scienze di febbraio 2018 (n. 594, p. 16) compare un articolo di Piergiorgio Odifreddi, quotato intellettuale, noto professore di logica matematica dell’Università di Torino, dal titolo “Un principio rivoluzionario. Thomas Jefferson calcolò dopo quanto tempo dovrebbe decadere una costituzione”.
Qui l’autore, con l’occasione di richiamare i fondamentali concetti statistici di “media”, “mediana” e “moda”- che dovrebbero essere ben chiari anche a coloro i quali si occupano di scienze sociali - ci espone un esercizio di applicazione di tali concetti ad una specifica enunciazione del 1789 del futuro terzo presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson, la quale recita, a proposito della Costituzione americana, allora appena entrata in vigore: “La terra viene data in usufrutto ai viventi, e i morti non hanno poteri o diritti su di essa”, e continua: “le costituzioni e le leggi dei predecessori si estinguono naturalmente insieme a coloro che le hanno emanate”.
Partendo dal principio qui formulato, l’autore dell’articolo, che espressamente non entra nel merito della validità dello stesso, pur definendolo “rivoluzionario” (e “rivoluzionario” per l’autore è, si noti, il principio enunciato da Jefferson, non la Costituzione), ne deduce, assumendo l’enunciato come vero e applicando qualche calcolo di statistica delle popolazioni, che, ad esempio, la nostra Costituzione del 1948, sebbene non così vecchia come quella americana, sarebbe ormai da considerare decaduta, in quanto comunque risalente a “due generazioni” precedenti l’attuale.
L’argomento considerato nell’articolo, inerente le leggi fondamentali dell’ordinamento di uno Stato, merita una riflessione più articolata e sarebbe ingenuo ritenerlo semplicemente un mero mezzo, scelto casualmente dall’autore tra quelli più a portata di mano e utilizzato solo allo scopo di introdurre i sopracitati concetti statistici. Al contrario, proprio per il fatto che lo stesso autore non entra nel merito del giudizio sulla validità delle affermazioni di Jefferson, indica che viene dato per scontato, se non la validità, perlomeno la plausibilità delle stesse.