Da: http://www.figuredellimmaginario.altervista.org - Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni.
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Riportiamo il prezioso testo della conferenza di Stefano Garroni dal titolo Wittgenstein - Riflessioni sul Ramo d'Oro (29-04-99).
Stefano Garroni propone una riflessione profonda e originale sulle Note sul Ramo d'oro di Frazer scritte da Wittgenstein. Il filosofo austriaco si scaglia contro l'intellettualismo di Frazer. Ma cosa comporta l'abbandono di una prospettiva logocentrica in ambito antropologico? Garroni si chiede se l'apertura al "possibile", nel senso di altri modi di vedere e concepire il mondo, non debba condurci a una riformulazione universale del concetto di mente. Ma ogni teoria della mente non è essa stessa soggetta a un'evoluzione storica? Come conciliare la pluralità dei sistemi culturali, delle Weltanschauungen, senza un'interrogazione storico-materialistica sulla questione del possibile? Queste sono solo alcune delle domande e dei temi di questa densa conferenza, il cui testo integrale è pubblicato per la prima volta in Figure dell'immaginario.
La trascrizione e la revisione del testo sono state curate dalla professoressa Alessandra Ciattini e dalla dottoressa Adriana Garroni.
E' possibile ascoltare l'audio della Conferenza su youtube: https://www.youtube.com/playlist?list=PL507095E3F22F0962 (fdi)
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Nel 1890 esce la prima edizione de Il ramo d'oro. Studio di religione comparata1, di James G. Frazer, opera che fu un vero e proprio successo editoriale e che continua ad essere letta ancora oggi; tuttavia, l'edizione definitiva in dodici volumi, di cui Ludwig Wittgenstein legge solo il primo, esce successivamente, nel 1911-15. Nel 1922 viene pubblicata con la prefazione di G. Cocchiara, uno studioso del folclore, l'edizione ridotta poi tradotta in italiano da Boringhieri (Milano 1965).
È interessante notare che Frazer pose come appendice alla terza edizione della sua opera più famosa alcuni frammenti delle Lezioni sulla filosofia della religione di Georg W. F. Hegel, tratte da un manoscritto dello stesso e dagli appunti dei suoi allievi presi duranti i corsi che sul tema tenne a Berlino tra il 1821 e il 1831. L’antropologo vittoriano non aveva mai studiato l’opera di Hegel, furono il suo amico e psicologo James Ward (1843-1925) e il filosofo J. M. E. Mc Taggart (1866-1925)2 , che lo informarono della somiglianza tra il suo modo di intendere la relazione tra magia e religione e quello proprio del filosofo tedesco.
Da parte sua, Wittgenstein conosceva Hegel solo di seconda mano; da quanto scrive uno studioso del suo pensiero, Alexander Berg, furono Bertrand Russell e C. D. Broad, che lo introdussero all’opera hegeliana durante i loro incontri e che probabilmente gli suggerirono l’espressione “gioco di parole”; espressione che Russell ed altri studiosi inglesi di Hegel impiegavano per spiegare il metodo argomentativo del filosofo tedesco3 . Ciò è documentato dagli appunti di Wittgenstein che mostrano un certo interesse per il filosofo idealista e in cui appare nel 1932 per la prima volta l’espressione “gioco di parole” (2019: § 1). Questo legame potrebbe costituire un argomento, non l’unico ovviamente, per sostenere che la critica che Wittgenstein fa del metodo esplicativo frazeriano assomiglia molto alla critica hegeliana dell’intellettualismo, come cercherò di dimostrare più avanti.
Le note di Ludwig Wittgenstein sul Ramo d’oro, che probabilmente scrisse tra il 1930 e il 1940, sono state pubblicate solo nel 1967 da Rush Rhees, e sono state oggetto di molte interpretazioni, ma sicuramente sono centrate sulla critica all’intellettualismo; posizione interpretativa adottata da molti studiosi e filosofi della fine dell’Ottocento, tra cui i cosiddetti antropologi vittoriani, come Edward Burnett Tylor e Frazer appunto.
La polemica di Wittgenstein, mi pare, si fonda su tre punti fondamentali.
In primo luogo, il filosofo austriaco sottolinea che il comportamento umano non si basa esclusivamente su considerazioni errate, frutto di opinioni e convinzioni elaborate dall’intelletto.
Queste sono le parole di Wittgenstein: «Il modo in cui Frazer rappresenta le concezioni magiche e religiose degli uomini è insoddisfacente perché le fa apparire come errori. Allora Agostino era in errore, quando in ogni pagina delle Confessioni invoca Dio?» (1975: 17). Assolutamente no, a parere del grande filosofo austriaco, Agostino non sbagliava, né sbagliavano i fedeli di altre religioni, «se non quando enunciava[no] una teoria» (1975: 17-18).
Da questa osservazione Wittgenstein ricava che, oltre a compiere azioni definibili come adattive, l’uomo compie atti che «hanno un carattere peculiare e che si potrebbero chiamare “rituali”». In questo senso, conclude, «l’uomo è un animale cerimoniale» (1975: 26). Ossia che più che cercare sempre di spiegare l’origine dei fenomeni circostanti ed impressionanti, attribuisce loro un significato (1975: 26).Tale carattere svela l’esistenza di una «nostra affinità con i selvaggi» (1975: 30), sulla quale si basa la comune necessità di comprendere ciò che ci colpisce, benché la via adeguata non sia quella storico-evolutiva, cui possiamo accostare quella più calzante della ricerca di una somiglianza formale.
Un atto come quello di colpire con un bastone la terra per sfogare la mia collera non scaturisce dalla convinzione che la causa di una mia disgrazia sia attribuibile ad essa; esso costituisce piuttosto un gesto fondato su un «istinto che io stesso possiedo» (1975: 34).
Quando Frazer ha di fronte le pratiche religiose dei popoli primitivi cerca di renderle comprensibili all'europeo contemporaneo, presentando il selvaggio come se fosse un inglese del suo tempo e quindi ne interpreta i comportamenti come interpreterebbe il comportamento di un cittadino dell'impero britannico. Alla base di ciò ci sarebbe la tesi secondo cui il comportamento della persona muta se mutano le sue convinzioni. Quindi se John Ball si comporta così perché crede che il suo comportamento corrisponda ad una verità; analogamente il selvaggio adotta determinate pratiche perché crede nella loro giustezza e verità.
In questo senso, secondo Frazer e la sua logica emancipatrice, è possibile trasformare le pratiche dei popoli primitivi, mostrando la loro falsità e gli errori in esse contenuti.
Al contrario, Wittgenstein sostiene che questo è sì un modo di comportarsi, comprensibile e plausibile per l'inglese contemporaneo di Frazer, ma non può essere assunto a modello del comportamento umano in generale. Infatti, come si è visto, il comportamento umano risponde a motivazioni diverse: oltre alla dimensione propriamente intellettuale esiste anche quella cerimoniale.
Il secondo punto, in un certo senso, rappresenta un salto rispetto al primo. Wittgenstein sostiene quivi che spiegare storicamente le convinzioni e i comportamenti di un popolo, o di popoli diversi, sia solo una delle modalità possibili. Sarebbe infatti praticabile un altro tipo di spiegazione, una spiegazione che non è di tipo storico, ma che vede i vari comportamenti, attestati dalla storia delle comunità umane come possibilità diverse di uno stesso comportamento. Si tratterebbe, in sostanza, di un punto di vista sganciato da un riferimento storico, di una considerazione generale della natura umana e dei vari modi possibili di comportamento, i quali poi nel teatro della storia trovano generalmente conferma.
Se è corretta la mia interpretazione, questo secondo punto della polemica contro l’intellettualismo, sviluppata da Wittgenstein, assegna importanza centrale alla considerazione della mente umana. Per mente, in questo caso, non si intende semplicemente l'intelletto, ma tutta la psiche con le sue inevitabili componenti emozionali.
La psiche umana può produrre tutta una gamma di comportamenti, tutta una gamma di possibilità, di cui si può trovare conferma nello scenario della storia. Evidentemente questa mente, questa psiche non è una psiche storica, ossia storicamente determinata, bensì una psiche dell'uomo in generale.
Wittgenstein fa addirittura questo esempio: io posso stare del tutto per conto mio a occhi chiusi, immaginare come gli uomini potrebbero comportarsi, e in questa collezione di possibili soluzioni, possibili comportamenti, riesco a pensare tutti i comportamenti che poi di fatto trovo esemplificati nella storia.
Questo psicologismo, cioè il primato della struttura mentale (nella sua complessità)4 , è un dato sì particolarmente forte nella tradizione di pensiero britannica (per esempio in John Stuart Mill); ma rivela anche il forte legame esistente tra la cultura inglese di fine Ottocento e la cultura tedesca (I. Kant e G. W. F. Hegel).
Per esempio, i due forse più noti protagonisti del romanticismo inglese, Samuel Taylor Coleridge (1772-1834) e William Wordsworth, si erano formati su testi tedeschi, essendosi recati insieme nel 1798 in Germania per studiare la filosofia e la letteratura di quel paese.
Lo psicologismo è presente in una serie di personaggi, per esempio Frederic Max Müller in Germania, poi emigrato in Gran Bretagna, e costituisce un tema sostanziale dell'interesse antropologico in Germania, come anche dell’analisi linguistica.
Il terzo punto, che ho individuato nel ragionamento di Wittgenstein, è proprio questo: è possibile che nell'isolamento del mio studio, a casa mia, - egli passava molto tempo isolato ed è per questo che gli piacevano i paesaggi solitari della Norvegia - io posso escogitare, immaginare tutti i possibili comportamenti dell'uomo.
Questa visione dell'intera gamma dei possibili comportamenti dell'uomo può essere catturata da una certa forma di rappresentazione, che Wittgenstein indica con un'espressione particolare: ubersicht Darstellung.
Darstellung è l'esposizione; ubersicht è una parola composta da uber “su”, ma anche “oltre”, per esempio Ubermensch di Nietzsche, ossia il superuomo, ma anche ultra-uomo nel senso di qualche cosa che sta oltre il limite dell’umano. Sicht esprime il concetto di visione, di sguardo, di immagine.
Perciò questo aver di fronte tutte le possibili soluzioni è come un veder dall'alto, come se io stessi su una montagna e vedessi con chiarezza la valle sotto di me, tutto il paesaggio sottostante, nelle sue articolazioni fondamentali. Questo punto di vista, per cui riesco ad elaborare un panorama delle varie possibilità di comportamento dell'uomo, vedendolo dall'alto, è la ubersicht Darstellung, che gioca nell'opera di Wittgenstein un ruolo centrale e che è legata ad un certo modo di tematizzare la questione del possibile.
Il problema di stabilire una relazione tra ciò che logicamente è possibile e ciò che di fatto è si impone nell'epoca moderna almeno dal Sei-Settecento. Ed è una delle forme di attacco alla cristallizzazione culturale della tradizione medioevale: “il mondo è così e basta”. No, il mondo è pensabile in vari modi, cioè è immaginabile che succedano cose diverse: tutto ciò che logicamente non è contraddittorio, è possibile che esista.
Il problema è quello di riuscire a trovare lo strumento di discrimine: cos'è che decide poi tra le tante possibilità logiche e il reale. Questo è uno dei terreni di differenziazione tra la tradizione empiristica e quella razionalistica.
L'empirista, ovviamente, discrimina il reale dal possibile non sulla base logica, perché tutto ciò che è logicamente concepibile, cioè non è contraddittorio, è anche possibile che sia, ma è l'esperienza che mi dice quale delle possibilità effettivamente esiste.
Al contrario, il razionalista sostiene la necessità di giustificare, spiegare l’esistenza di una data realtà. E allora i criteri di differenziazione tra possibile e realtà diventano criteri che hanno più che altro a che fare con la coerenza complessiva dell'immagine del mondo, con la sua sistematicità e purezza logica.
Mi pare che questa doppia strada di discrimine tra possibile e reale dato dall'esperienza, oppure dato sempre e solo dal criterio logico, riceva una risposta, che in qualche modo sintetizza entrambe le posizioni, da parte di Hegel con la sua nozione di possibilità storica.
In breve, possiamo così schematizzare le posizioni di Hegel e Wittgenstein: o mettere in relazione il possibile con lo sviluppo storico, per cui il fatto storico è esso stesso portatore di una possibilità diversa da quella che di fatto è stata realizzata (dialettica); oppure concepire il possibile in modo tale da interpretare la storia come uno dei casi di questa gamma di possibilità.
Wittgenstein non dice che non ha senso una spiegazione storica, dice che una spiegazione storica è solo una delle ipotesi, sono possibili altre forme di spiegazione. Questa forma di spiegazione basata sulla considerazione del ventaglio delle possibilità, questo punto di vista non si raggiunge studiando la storia, ma escogitando con un puro esercizio della mente, varie possibilità logicamente compatibili, e poi andando a vedere nella storia le loro possibili esemplificazioni.
Potrebbe forse essere utile citare una paginetta di Wittgenstein. Così scrive:
Quanto siano svianti le spiegazioni di Frazer, cioè le spiegazioni storiche, mi pare che lo si possa comprendere dal fatto che potremmo benissimo inventarci noi stessi delle usanze, e sarebbe un caso se in qualche luogo non vi si trovassero davvero. Vale a dire che il principio che regola queste usanze è molto più universale di quel che dichiara Frazer ed è presente nella nostra anima, tant’è vero che noi stessi potremmo escogitarci (aushecken) tutte queste possibilità. (1975: 23-24)
Si noti, la costruzione o il lavoro della mente non partono dall'analisi dei fatti, ma dalle sue capacità immaginative.
Il filosofo austriaco prosegue:
Non voglio dire che debba essere proprio il fuoco a impressionare chiunque. Il fuoco né più o meno di qualsiasi altro fenomeno, e un fenomeno colpisce l’uno, un altro l’altro. Nessun fenomeno infatti è in sè particolarmente misterioso, ma ciascuno lo può diventare per noi. (1975: 26)
Mi pare abbastanza chiaro che, secondo il Nostro, quale che sia la situazione storica determinata, esiste una modalità psicologica generale, che ci rende soggetti a impressioni suscitate da questo o quel fenomeno.
Nel passo seguente Wittgenstein analizza anche i caratteri del prodotto che scaturiscono da questo specifico atteggiamento psicologico. Infatti, scrive:
Se si ritiene ovvio che l'uomo si diletti della sua fantasia, si tenga presente che tale fantasia non è come una immagine dipinta o un modello plastico, ma una configurazione complessa composta di parti eterogenee: parole e immagini. Allora non si contrapporrà più l’operare con segni grafici o acustici all’operare “con immagini rappresentative” degli eventi. (1975: 27)
Un autore molto apprezzato nel Sessantotto era il francese Gaston Bachelard (1884-1962), un epistemologo che si occupava di filosofia della scienza con l’intento di superare la secolare opposizione tra empirismo e razionalismo. Una tesi di Bachelard è che la situazione empiricamente esistente è uno dei casi che la mente scientifica riesce a costruire.
Riscontro una qualche analogia con il nostro discorso su Wittgenstein, nel senso che questi sarebbe d’accordo con filosofo francese sulla possibilità di individuare modalità costanti della costruzione mentale: quando diciamo pensare intendiamo un certo tipo descrivibile di operazioni.
È descrivibile il pensare, non il fatto che io sto pensando a questa cosa o un’altra cosa, ma proprio il pensare in sé. Il pensare è descrivibile in un certo modo, e questo certo modo io intendo quando uso il termine “pensare”. Se ciò è possibile, significa che c'è una forma, una struttura, che accomuna i vari atti di pensiero, ed è vero che i singoli atti di pensiero saranno esemplificazioni empiriche di questa struttura.
Analogamente, quando parliamo evidentemente usiamo modelli, che sono costruiti secondo regole logiche. Emerge allora di nuovo una struttura logico-formale che non è agganciata ad una cosa, ad un tipo d'esperienza, o a una situazione determinata, ma che sta oltre, è uber, rispetto a questo. Non fai scienza se non usi, se non prendi coscienza di questo. Ma non fai neanche vita morale, vita pratica, perché poi quando noi parliamo normalmente organizziamo, per esempio le esperienze dentro certe strutture linguistiche che sono quelle di un certo tipo di lingua e non di un'altra per esempio.
Una questione importante e intricata del pensiero moderno e contemporaneo è rappresentata proprio da questa domanda: quale rapporto esiste tra questo livello formale e le esperienze determinate, tra questa prima dimensione e la storia?
Un esempio di questo motivo potrebbe essere rintracciato nella critica che Marx fece al romanzo di Daniel Defoe (1660-1731) Robinson Crusoe (1719), che ha rappresentato una sorta di esaltazione dell'uomo borghese, l'imprenditore, il quale riesce a salvarsi con la sola forza della sua iniziativa (the self-made man). Secondo Marx il romanzo presenta il comportamento del borghese inteso come modello universale; invece, osserva il Moro, le conoscenze e le abilità, di cui fa mostra Crusoe e che indubbiamente lo rendono capace di sopravvivere alle sue avventure, non sono universali ma storicamente determinate. Infatti, esse sono pienamente valorizzate soltanto nelle forme di organizzazione capitalistica.
Tornando alla cruciale questione del possibile, prima accennata, per spiegare meglio la posizione hegeliana sul tema, potremmo prendere come esempio tra i tanti la mancata rivoluzione tedesca del 1919.
Gli storici sono concordi nel sostenere che se Rosa Luxemburg e i suoi compagni avessero vinto in Germania, la stessa storia dell’URSS sarebbe stata diversa. Del resto, è anche per questa ragione che furono fatti fuori barbaramente.
Se analizziamo attentamente gli avvenimenti, che scossero la Germania in quegli anni, non possiamo certo affermare che la rivoluzione avrebbe perso necessariamente: c’erano infatti indubbie possibilità di vittoria e di un cambio di regime.
Voglio dire che nello scenario della storia gli avvenimenti non sono mai legati l’uno all’altro da rapporti rigidamente necessari; ma vi possiamo riconoscere anche l’intervento imprevedibile della casualità. Se analizziamo i fatti realmente accaduti, scopriamo certamente come elemento formale una logica profonda; però cogliamo anche un coacervo di particolarità, di contingenze, di casualità, individuabili solo esaminando nel dettaglio lo scorrere degli eventi.
Nell’ambito storico non si può certo affermare che, dato un certo fatto, ne consegue necessariamente un altro al primo strettamente collegato; invece, il fatto successivo si realizzerà solo parzialmente come conseguenza del primo con l’aggiunta della combinazione di altri fattori ed altre contingenze.
A mio modo di vedere in Wittgenstein c’è questo tema della possibilità, visto come la possibilità logica, prima dell'analisi dei fatti e a prescindere dall'analisi di questi ultimi, e quindi meramente escogitata, sì con criteri formidabili, con il rigore logico, ma pur sempre escogitata. Il risultato non può essere altro che la riproposizione della scissione tra il soggetto e il mondo.
Possiamo guardare la questione del rapporto tra storia e necessità anche da un altro punto di vista.
Alla fine dell'Ottocento rinasce in Europa un grande interesse per la riflessione logica. Perché? È legittimo farsi questa domanda o tale questione è del tutto estranea allo sviluppo della stessa riflessione logica? Che sia solo una domanda di storia della cultura? È possibile che la logica sia del tutto indifferente alla propria storia?
Come è noto, Kant elaborò le forme a priori, lo spazio e il tempo. Successivamente si è riconosciuto che le forme a priori kantiane non sono altro che il modo in cui lo spazio e il tempo venivano concepiti all'interno della cultura settecentesca.
In questo senso, Kant ha presentato come forma puramente logica qualcosa che invece era la purificazione di un contenuto storico, cioè come la cultura di quel tempo concepiva lo spazio e il tempo.
Con lo svilupparsi della fisica e della matematica contemporanee i concetti kantiani sono stati spazzati via. Ciò significa, appunto, che le condizioni storiche entrano nella costituzione della riflessione logica.
Se questo fosse vero, allora potremmo dire che la storia è entrata nel pensiero: il pensiero non sarebbe al di sopra dalle esperienze, ma invece è esso stesso prodotto dalle esperienze.
Facciamo, però, attenzione. Se si condivide questa tesi di una pluralità di possibilità che storicamente si affacciano, allora si pone il problema urgente della scelta e del rapporto con altri fattori che non sono inclusi nel rapporto fra empiria o razionalità, come la coscienza. A questo proposito, si potrebbero citare quelle pagine del Manifesto del partito comunista, in cui Marx ed Engels sostengono che la nascita della borghesia sia dovuta al combinarsi casuale, ma coerente di determinati fattori.
Ricordo, ad esempio, questo celebre passo:
Dai servi della gleba del medioevo uscirono i borghigiani delle prime città; da questi borghigiani ebbero sviluppo i primi elementi della borghesia. La scoperta dell'America e la circumnavigazione dell'Africa offrirono un nuovo terreno alla nascente borghesia. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell'America, lo scambio con le colonie, l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci in generale, diedero un impulso prima di allora sconosciuto al commercio, alla navigazione, all'industria, e in pari tempo favorirono il rapido sviluppo dell'elemento rivoluzionario in seno alla società feudale che si andava sfasciando. L'organizzazione feudale o corporativa dell'industria da quel momento non bastò più ai bisogni, che andavano crescendo col crescere dei nuovi mercati. Subentrò la manifattura. I maestri di bottega vennero soppiantati dal medio ceto industriale; la divisione del lavoro tra le diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nelle stesse singole officine. (pp.1-2)
La dialettica marxiana non è infatti deterministica: è anzi ben consapevole che un ventaglio di possibilità, di combinazioni possibili o non possibili, sono dentro lo scenario del reale, ma che intrecciandosi secondo relazioni coerenti rendono concreta una delle possibilità ad esse intrinseche. Ovviamente sarebbe stato possibile che l’intervento umano o un altro fattore avrebbero potuto sollecitare un esito diverso.
Note
1 Successivamente il sottotitolo diventa Studio sulla magia e sulla religione, per la grande importanza che l’autore dà all’evoluzione del pensiero umano dalla magia alla scienza.
2 Si tenga presente che, in funzione antipositivista e antiempirista, dalla seconda metà dell’800 alcuni autori inglesi si ispirano alla filosofia hegeliana.
3 Secondo Màcha il metodo hegeliano si fonda sull’inferenzialismo, ossia su una filosofia del linguaggio, per la quale il significato linguistico è fondato sulla struttura inferenziale. Il concetto di struttura inferenziale starebbe anche alla base del gioco linguistico wittgensteiniano (2019: The Sellarsian Reception of Hegel Through Wittgenstein). È da notare che McTaggart, il quale suggerì a Frazer di tenere conto della riflessione hegeliana sulla religione, esercitò la sua influenza anche su Russell (Berg 2019).
4 In generale le filosofie psicologistiche mettono in primo piano la sfera psicologica, cui tendono a ridurre le altre sfere del comportamento umano.
Bibliografia
Berg. A.,Wittgenstein and Hegel, in Reevalution of Difference, (a cura di A. Berg e Mácha J.), Walter de Gruyter Gmbh, Berlino e Boston 2019, pp. 349-364.
Frazer J. G., Il ramo d’oro. Studio della magia e della religione, Bollati Boringhieri, Torino 1965.
Màcha J., Introduction: Hegel, Wittgenstein, Identity, Difference, in Reevalution of Difference (a cura di A. Berg e Mácha J.), Walter de Gruyter Gmbh, Berlino e Boston 2019.
Marx K. E Engels F., Manifesto del partito comunista,
www.centrogramsci.it/classici/pdf/manifesto_marx-engels.pdf
Wittgenstein L., Note sul “Ramo d’oro”di Frazer, Adelphi, Milano 1975.
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