A
chi si spende per esporre e condividere – divulgare forse sarebbe
pretendere troppo date le forze limitate – l’analisi di Marx in
quanto tuttora l’unica in grado di far emergere una realtà
continuamente operante, ma nascosta all’evidenza di ciò che
appare, giunge immancabile la richiesta del “che fare”. L’urgenza
di agire in qualche modo viene espressa soprattutto da parte di
coloro che intendono la teoria come una ricettina immediata della
pratica, e non la sua premessa propedeutica su una realtà sociale
collettiva, di cui individualmente si è sempre parte, ma la cui
gestione efficace per i fini propostisi dipende da un insieme di
fattori storici, che inevitabilmente sfuggono anche alla migliore
volontà dei singoli. Oggi l’unico movimento veramente
internazionale che sta scuotendo – almeno si spera – le politiche
mondiali è quello dei giovani e giovanissimi per il ripristino degli
ecosistemi, gravemente minacciati dal cambiamento climatico in atto.
A un primo sguardo sembrerebbe che quest’aggregazione immediata e
spontanea non abbia niente a che fare con “Il
Capitale” e
le sue leggi, con l’interesse per la sua conoscenza ostracizzata e
denigrata sin dai tempi della sua stesura in quanto ostacolo teorico
al potere costituito, che temeva soprattutto la sua efficacia pratica
potenziale al tranquillo e contraddittorio avanzare del modo di
produzione capitalistico. Attualmente c’è chi sostiene ancora che
quell’analisi della storia, tuttora presente, sia stata scavalcata
da altre (generiche, non si sa bene quali!) dinamiche, e soprattutto
che la realtà sociale sia mossa prioritariamente dai gravi, quasi
indipendenti problemi ecologici.
Per sostenere quindi che una difesa della natura e dell’ambiente, creato dalla società umana che nella progressività produttiva dominante determina parallelamente la contraddittoria distruzione sociale e ambientale, non può prescindere dalla conoscenza del modo di produzione capitalistico e dalle forze sociali accumulate per superare questo sistema, proviamo a mostrarne alcuni meccanismi fissati del suo funzionamento. Qui non serve citare gli ultimi report sul disastro ambientale, evidenziati da ogni organo d’informazione disponibile sui dati preoccupanti divulgati dagli scienziati, in quanto si ritiene che la conoscenza di questo presente si può trovare con facilità, ma che non può accontentarsi di cifre e date, pur utilissime, che prevedono il collasso del nostro pianeta. Tutto ciò che Marx aveva scritto sulla natura diventa infatti la base per capire che solo il sistema di capitale ha trasformato la concezione della natura da forza in sé, indipendente e includente gli esseri umani, in un oggetto utile da sfruttare senza limiti. Gli unici limiti riconoscibili, infatti, sono quelli imposti da questo modo di produzione, finalizzato alla produzione di valore e plusvalore, ovvero allo sfruttamento illimitato dell’attività lavorativa umana parzialmente obbligata alla erogazione di lavoro gratuito per sopravvivere, così come delle risorse naturali da accaparrare in forma privatizzata, con la violenza quando necessario. La utilizzazione delle risorse naturali nel sistema di capitale non prevede ripristino delle stesse in quanto rientrerebbe nel calcolo di un costo da evitare, così come non è prevista l’eliminazione o la riduzione nell’uso di sostanze differentemente inquinanti – in aria, acqua, terreni – se queste risultano funzionali al processo produttivo meno caro da far procedere a oltranza, finché possibile. I vari problemi emersi, eufemisticamente denominati “criticità” sempre non si sa a danno di chi o da chi causati in ogni parte del mondo – dall’eccidio di Bhopal (casuale riferimento indietro nel tempo, come testimonianza della continuità dei fini dominanti) agli ultimi cicloni, tsunami, tempeste tropicali, smottamenti, inquinamenti d’ogni genere e in ogni dove, ecc. – sono continuamente indicati come calamità o naturali o comunque senza conseguenze civili o penali se riconosciuti di natura sociale quali cause e responsabili ad opera del sistema.