“Nel mercato mondiale
la connessione del singolo individuo con tutti, ma nello stesso tempo anche
l’indipendenza di questa connessione dai singoli individui stessi, si è
sviluppata a un livello tale che perciò la sua formazione contiene già
contemporaneamente la condizione del suo trapasso. Il lato magnifico sta
proprio in questo ricambio materiale e spirituale, in questa connessione
naturale, indipendente dal sapere e dal volere degli individui, e che
presuppone perciò la loro indipendenza e indifferenza reciproche. Ma è anche
insulso pensare quel nesso materiale come un nesso naturale. Esso invece ne è
il prodotto. È un prodotto storico. Appartiene a una determinata fase del suo
sviluppo. Il grado e l’universalità dello sviluppo delle capacità in cui questa
individualità diventa possibile presuppone appunto la produzione sulla base dei
valori di scambio, la quale essa soltanto produce, insieme con l’universalità,
l’alienazione dell’individuo da sé e dagli altri, ma anche l’universalità e
l’organicità delle sue relazioni e delle sue capacità. Volgersi indietro a
quella pienezza originaria è altrettanto ridicolo quanto credere di dover
rimanere fermi a quel completo svuotamento. Al di là dell’opposizione a quel
punto di vista romantico, quello borghese non è mai pervenuto, e perciò esso
l’accompagnerà come opposizione legittima fino alla sua morte beata”. (K. Marx, Lf.q.I,f.22-23)
Ecco: quello descritto da Marx rappresenta “splendori e
miseria” del mercato mondiale, la cui unificazione pone per la prima volta
nella storia dell’umanità le antitetiche condizioni materiali per consentire un
sufficiente sviluppo della produttività e della disponibilità di tempo. Mancano
ancora, infatti, le condizioni sociali per sopprimere il carattere antitetico
di tale sviluppo. Ma il modo di esistenza del capitale diventa adeguato al suo
concetto solo sul mercato mondiale, dove le merci dispiegano universalmente il
loro valore, dove la loro forma autonoma di valore si presenta di fronte a esse
come moneta mondiale. Dunque, esporre articolatamente l’ambito mondiale della
diffusione della merce (capitalistica) non è pleonastico o ridondante rispetto
alla teoria del valore (e del plusvalore). Piuttosto ciò ne costituisce,
appunto, la necessaria cornice per conoscere bene il contesto in cui il valore
si muove. Si rappresenta così, allo stesso tempo, in via preliminare, nel
succedersi dei modi di produzione, la necessità del “cominciamento” di valore
per delineare il quadro complessivo reale – l’attuale fase della lotta di
classe – al quale in ultima analisi ancora oggi ci si riferisce. È sul valore
di scambio, sul denaro, sul capitale – appunto sulla proprietà, sul controllo e
sulla disponibilità di essi – che si basa anche lo sviluppo del sistema
dell’uguaglianza e della libertà borghese: uno sviluppo libero su una base
limitata, cioè adeguata al capitale, che è un sistema della disuguaglianza e
dell’illibertà. Il sistema del valore di scambio, su cui si articola il sistema
monetario, è infatti solo formalmente il sistema della libertà e
dell’uguaglianza, le quali però – quanto più diviene universale la forma-merce
– si rovesciano all’occasione nel loro opposto.
L’incomprensione di tale rovesciamento è un’illusione che
unisce utopisti e benpensanti. Il radicamento di “tempi duri”, nei quali c’è da
aspettarsi ogni sorta di difficoltà, si mostra attraverso un potere borghese
sovranazionale in condizione di frammettere ostacoli e opporre violenza ai
superstiti – in nome della libertà del mercato, dell’uguaglianza del valore,
... e cianciando di umanità al posto di fraternità [È proprio l’adeguamento del
capitale al suo concetto nell’unificazione del mercato mondiale, sia detto per
inciso, che ha inverato anche la dissoluzione del realsocialismo e del
post-comunismo]. La forma antitetica della ricchezza reale, così sviluppata, di
tutti gli individui, è la produttività sociale. Ricchezza astratta, valore,
denaro, quindi lavoro astratto, si sviluppano perciò sempre più nella misura in
cui il lavoro concreto diventa – in quanto concetto – una totalità di
differenti modi di lavoro che abbraccia il mercato mondiale. All’apice di
simile sviluppo, anche una categoria semplice come la merce si presenta
tuttavia praticamente vera in questa astrazione solo come categoria della società
moderna, e definitivamente compiuta nel mercato mondiale. Ma è solo con la
merce che l’economia moderna pone al vertice il mercato, equivocando però sul
fatto che ciò esprime una relazione antichissima e valida per differentissime
forme di società. Ma concettualmente, proprio in quanto categoria, essa precede
la sua forma moderna, quella del capitalismo imperialistico.
La forma di merce, in quanto forma più generale e meno
sviluppata della produzione borghese, è quella che si presenta così presto,
nella storia dell’umanità, da coprire un arco di tempo tale che abbraccia
perciò epoche molto diverse, non solo quella capitalistica. Le sue
trasformazioni storiche – come processo logico – consentono dunque di delineare
scientificamente la possibile prosecuzione del processo storico stesso di tale
forma. Ciò si inscrive completamente nella individuazione delle determinazioni
(economiche) di transizione. Senza il pieno sviluppo del mercato mondiale, non
si dà neppure la possibilità del capovolgimento dell’ordinamento sociale che lo
ha generato e che lo sostiene.
L’incapacità di definire una strategia consapevole per la 13
transizione, che sia materialisticamente fondata, conduce sia al facile ricorso
all’uso di “frasi” rivoluzionarie, velleitarie quanto impraticabili, sia al
succubo intrappolamento nel solo lato negativo della contraddizione.
La storia del mondo è
andata avanti per secoli sulla strada della divisione del lavoro e della merce
– nell’affermazione del valore. Nella storia del mercato mondiale, la merce
appare come maturità, sviluppo, socializzazione reale. Il livello di
contraddizione del processo di svolgimento della merce determina storicamente
il mutamento delle forme economico-sociali e dei rapporti di proprietà. Il
sorgere delle società di classe – come formazioni economico-sociali che
collegano, dopo la preistoria dell’umanità, modi di produzione antichi con modi
di produzione moderni, attraverso epoche di transizione – rappresenta una
casistica particolarmente significativa per lo sviluppo storico delle società
umane, in relazione allo svolgimento della forma-merce. Lo stesso concetto di
società di classe, pur rappresentando la forma storica universalmente
dominante, in quanto contrapposta ai precedenti modi di produzione comunitari
primitivi, richiede precise definizioni proprio rispetto al tipo di
contraddizioni economiche che lo segnano.
Nei modi di produzione della vecchia Asia e dell’antichità
classica, la trasformazione del prodotto in merce rappresentava una parte
subordinata, che pure diventava tanto più importante, quanto più le comunità si
addentravano nello stadio del loro tramonto, in misura del grado di sviluppo
delle forze produttive del lavoro. In alcune società antiche, nel rapporto di
produzione ha continuato a prevalere per lungo tempo il valore d’uso sul valore
di scambio. Il mercato era limitato agli scambi delle eccedenze, esterni alla
comunità (come avveniva nei grandi emporî). Lì, la merce non era forma
immanente per la riproduzione sociale. Non era ancora stato compiuto il necessario
salto storico nell’astrazione della forma-valore della merce. Ma ciò ha potuto
durare solo finché tali società non sono state costrette a confrontarsi con il
mercato mondiale.
Dove il valore di scambio ha cominciato a porsi in posizione
antagonistica vincente e dominante rispetto al valore d’uso, seppure
sporadicamente, le condizioni di riproduzione del processo vitale venivano a
dipendere in misura crescente dallo scambio esterno alla comunità. In tale
espansione dello scambio, l’esperienza occidentale e quella orientale
registrano storie diverse. Ed è proprio la merce a conferirne il segno. Senza
dubbio le diverse condizioni geografiche, climatiche, ambientali, demografiche
– in una parola, le condizioni naturali di partenza – hanno impresso alla produzione,
e alla cultura corrispondente, tendenze divergenti. Ma è il germe della merce –
ancorché costretto alla latenza dalla perdurante subordinazione del valore di
scambio al valore d’uso – che si è affacciato nella storia interna delle
antiche civiltà occidentali con ben altra prepotenza che in oriente. Proprio
per tali differenze economiche specifiche, le antiche società orientali e
quelle occidentali hanno posto in essere tipi molto diversi di transizione.
[Così, a es., mentre in occidente il feudalesimo è sinonimo, per antonomasia,
dell’ultima forma economica preborghese, altrettanto non può dirsi, almeno per
il diverso significato di categorie omologhe, in oriente, dove tale passaggio
non è posto come necessario (eurocentrismo)]. È per tale motivo che la genesi e
gli sviluppi funzionali della forma-merce occupano una posizione di rilievo
storico tra le forme economiche di transizione.
È bene precisare il
posto che la produzione di merce ha avuto nelle contraddizioni proprie dei
diversi modi di produzione precapitalistici. Se si è presentata come
contraddizione interna, la figura di merce del prodotto ha inciso con maggior
decisione nella storia delle formazioni economico-sociali, a seconda del grado
di rapidità con cui è stata raggiunta l’essenzialità della forma dello scambio
per la riproduzione sociale. Dove la merce ha stentato ad affermarsi, la
società prima si è arrestata, per poi cedere al suo sopravvenire, interno o
esterno. Il modo di produzione antico e il modo di produzione asiatico erano inesorabilmente
segnati dal destino di dover soccombere al dominio della merce – a dispetto
della loro possibile superiorità sotto altri riguardi.
A turno è venuta la capitolazione del modo di produzione
mesoamericano e di quello asiatico. Sono crollate le società feudali. E ogni
volta è stata la produzione di merce, immancabilmente, a uscirne vittoriosa. I
modi di produzione non mercantili hanno lasciato, tutti, il loro posto a quelli
mercantili. Laddove la merce costituiva un germe di contraddizione interna, il
processo è stato precoce e portatore di maggiore sviluppo e prospettive di
dominio, proprio nei confronti delle società in cui la forma-merce era più
estranea. Nella misura in cui il mercato si espande e la produzione per lo
scambio si va generalizzando, si instaura progressivamente il dominio del
valore. La storia insegna inequivocabilmente che gli organismi sociali mutano
sotto l’urto della merce.
Il carattere di valore d’uso in sé e per sé è decisamente
recessivo: e resta subordinato al valore di scambio, almeno finché si rimane
nel regno della necessità, e in particolare sotto l’infinità della produzione
capitalistica. Le condizioni materiali di esistenza per uscirne richiedono,
quanto meno, un elevatissimo sviluppo delle forze produttive sull’intera scala
planetaria; conseguentemente, una produzione di massa diffusa ovunque: lo
sviluppo capillare del mercato mondiale.
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