mercoledì 30 settembre 2015

Tutto è merce - Gianfranco Pala

   “Nel mercato mondiale la connessione del singolo individuo con tutti, ma nello stesso tempo anche l’indipendenza di questa connessione dai singoli individui stessi, si è sviluppata a un livello tale che perciò la sua formazione contiene già contemporaneamente la condizione del suo trapasso. Il lato magnifico sta proprio in questo ricambio materiale e spirituale, in questa connessione naturale, indipendente dal sapere e dal volere degli individui, e che presuppone perciò la loro indipendenza e indifferenza reciproche. Ma è anche insulso pensare quel nesso materiale come un nesso naturale. Esso invece ne è il prodotto. È un prodotto storico. Appartiene a una determinata fase del suo sviluppo. Il grado e l’universalità dello sviluppo delle capacità in cui questa individualità diventa possibile presuppone appunto la produzione sulla base dei valori di scambio, la quale essa soltanto produce, insieme con l’universalità, l’alienazione dell’individuo da sé e dagli altri, ma anche l’universalità e l’organicità delle sue relazioni e delle sue capacità. Volgersi indietro a quella pienezza originaria è altrettanto ridicolo quanto credere di dover rimanere fermi a quel completo svuotamento. Al di là dell’opposizione a quel punto di vista romantico, quello borghese non è mai pervenuto, e perciò esso l’accompagnerà come opposizione legittima fino alla sua morte beata”.  (K. Marx, Lf.q.I,f.22-23)

 Ecco: quello descritto da Marx rappresenta “splendori e miseria” del mercato mondiale, la cui unificazione pone per la prima volta nella storia dell’umanità le antitetiche condizioni materiali per consentire un sufficiente sviluppo della produttività e della disponibilità di tempo. Mancano ancora, infatti, le condizioni sociali per sopprimere il carattere antitetico di tale sviluppo. Ma il modo di esistenza del capitale diventa adeguato al suo concetto solo sul mercato mondiale, dove le merci dispiegano universalmente il loro valore, dove la loro forma autonoma di valore si presenta di fronte a esse come moneta mondiale. Dunque, esporre articolatamente l’ambito mondiale della diffusione della merce (capitalistica) non è pleonastico o ridondante rispetto alla teoria del valore (e del plusvalore). Piuttosto ciò ne costituisce, appunto, la necessaria cornice per conoscere bene il contesto in cui il valore si muove. Si rappresenta così, allo stesso tempo, in via preliminare, nel succedersi dei modi di produzione, la necessità del “cominciamento” di valore per delineare il quadro complessivo reale – l’attuale fase della lotta di classe – al quale in ultima analisi ancora oggi ci si riferisce. È sul valore di scambio, sul denaro, sul capitale – appunto sulla proprietà, sul controllo e sulla disponibilità di essi – che si basa anche lo sviluppo del sistema dell’uguaglianza e della libertà borghese: uno sviluppo libero su una base limitata, cioè adeguata al capitale, che è un sistema della disuguaglianza e dell’illibertà. Il sistema del valore di scambio, su cui si articola il sistema monetario, è infatti solo formalmente il sistema della libertà e dell’uguaglianza, le quali però – quanto più diviene universale la forma-merce – si rovesciano all’occasione nel loro opposto.


 L’incomprensione di tale rovesciamento è un’illusione che unisce utopisti e benpensanti. Il radicamento di “tempi duri”, nei quali c’è da aspettarsi ogni sorta di difficoltà, si mostra attraverso un potere borghese sovranazionale in condizione di frammettere ostacoli e opporre violenza ai superstiti – in nome della libertà del mercato, dell’uguaglianza del valore, ... e cianciando di umanità al posto di fraternità [È proprio l’adeguamento del capitale al suo concetto nell’unificazione del mercato mondiale, sia detto per inciso, che ha inverato anche la dissoluzione del realsocialismo e del post-comunismo]. La forma antitetica della ricchezza reale, così sviluppata, di tutti gli individui, è la produttività sociale. Ricchezza astratta, valore, denaro, quindi lavoro astratto, si sviluppano perciò sempre più nella misura in cui il lavoro concreto diventa – in quanto concetto – una totalità di differenti modi di lavoro che abbraccia il mercato mondiale. All’apice di simile sviluppo, anche una categoria semplice come la merce si presenta tuttavia praticamente vera in questa astrazione solo come categoria della società moderna, e definitivamente compiuta nel mercato mondiale. Ma è solo con la merce che l’economia moderna pone al vertice il mercato, equivocando però sul fatto che ciò esprime una relazione antichissima e valida per differentissime forme di società. Ma concettualmente, proprio in quanto categoria, essa precede la sua forma moderna, quella del capitalismo imperialistico.

 La forma di merce, in quanto forma più generale e meno sviluppata della produzione borghese, è quella che si presenta così presto, nella storia dell’umanità, da coprire un arco di tempo tale che abbraccia perciò epoche molto diverse, non solo quella capitalistica. Le sue trasformazioni storiche – come processo logico – consentono dunque di delineare scientificamente la possibile prosecuzione del processo storico stesso di tale forma. Ciò si inscrive completamente nella individuazione delle determinazioni (economiche) di transizione. Senza il pieno sviluppo del mercato mondiale, non si dà neppure la possibilità del capovolgimento dell’ordinamento sociale che lo ha generato e che lo sostiene.

 L’incapacità di definire una strategia consapevole per la 13 transizione, che sia materialisticamente fondata, conduce sia al facile ricorso all’uso di “frasi” rivoluzionarie, velleitarie quanto impraticabili, sia al succubo intrappolamento nel solo lato negativo della contraddizione.

 La storia del mondo è andata avanti per secoli sulla strada della divisione del lavoro e della merce – nell’affermazione del valore. Nella storia del mercato mondiale, la merce appare come maturità, sviluppo, socializzazione reale. Il livello di contraddizione del processo di svolgimento della merce determina storicamente il mutamento delle forme economico-sociali e dei rapporti di proprietà. Il sorgere delle società di classe – come formazioni economico-sociali che collegano, dopo la preistoria dell’umanità, modi di produzione antichi con modi di produzione moderni, attraverso epoche di transizione – rappresenta una casistica particolarmente significativa per lo sviluppo storico delle società umane, in relazione allo svolgimento della forma-merce. Lo stesso concetto di società di classe, pur rappresentando la forma storica universalmente dominante, in quanto contrapposta ai precedenti modi di produzione comunitari primitivi, richiede precise definizioni proprio rispetto al tipo di contraddizioni economiche che lo segnano.

 Nei modi di produzione della vecchia Asia e dell’antichità classica, la trasformazione del prodotto in merce rappresentava una parte subordinata, che pure diventava tanto più importante, quanto più le comunità si addentravano nello stadio del loro tramonto, in misura del grado di sviluppo delle forze produttive del lavoro. In alcune società antiche, nel rapporto di produzione ha continuato a prevalere per lungo tempo il valore d’uso sul valore di scambio. Il mercato era limitato agli scambi delle eccedenze, esterni alla comunità (come avveniva nei grandi emporî). Lì, la merce non era forma immanente per la riproduzione sociale. Non era ancora stato compiuto il necessario salto storico nell’astrazione della forma-valore della merce. Ma ciò ha potuto durare solo finché tali società non sono state costrette a confrontarsi con il mercato mondiale.

 Dove il valore di scambio ha cominciato a porsi in posizione antagonistica vincente e dominante rispetto al valore d’uso, seppure sporadicamente, le condizioni di riproduzione del processo vitale venivano a dipendere in misura crescente dallo scambio esterno alla comunità. In tale espansione dello scambio, l’esperienza occidentale e quella orientale registrano storie diverse. Ed è proprio la merce a conferirne il segno. Senza dubbio le diverse condizioni geografiche, climatiche, ambientali, demografiche – in una parola, le condizioni naturali di partenza – hanno impresso alla produzione, e alla cultura corrispondente, tendenze divergenti. Ma è il germe della merce – ancorché costretto alla latenza dalla perdurante subordinazione del valore di scambio al valore d’uso – che si è affacciato nella storia interna delle antiche civiltà occidentali con ben altra prepotenza che in oriente. Proprio per tali differenze economiche specifiche, le antiche società orientali e quelle occidentali hanno posto in essere tipi molto diversi di transizione. [Così, a es., mentre in occidente il feudalesimo è sinonimo, per antonomasia, dell’ultima forma economica preborghese, altrettanto non può dirsi, almeno per il diverso significato di categorie omologhe, in oriente, dove tale passaggio non è posto come necessario (eurocentrismo)]. È per tale motivo che la genesi e gli sviluppi funzionali della forma-merce occupano una posizione di rilievo storico tra le forme economiche di transizione.

 È bene precisare il posto che la produzione di merce ha avuto nelle contraddizioni proprie dei diversi modi di produzione precapitalistici. Se si è presentata come contraddizione interna, la figura di merce del prodotto ha inciso con maggior decisione nella storia delle formazioni economico-sociali, a seconda del grado di rapidità con cui è stata raggiunta l’essenzialità della forma dello scambio per la riproduzione sociale. Dove la merce ha stentato ad affermarsi, la società prima si è arrestata, per poi cedere al suo sopravvenire, interno o esterno. Il modo di produzione antico e il modo di produzione asiatico erano inesorabilmente segnati dal destino di dover soccombere al dominio della merce – a dispetto della loro possibile superiorità sotto altri riguardi.

 A turno è venuta la capitolazione del modo di produzione mesoamericano e di quello asiatico. Sono crollate le società feudali. E ogni volta è stata la produzione di merce, immancabilmente, a uscirne vittoriosa. I modi di produzione non mercantili hanno lasciato, tutti, il loro posto a quelli mercantili. Laddove la merce costituiva un germe di contraddizione interna, il processo è stato precoce e portatore di maggiore sviluppo e prospettive di dominio, proprio nei confronti delle società in cui la forma-merce era più estranea. Nella misura in cui il mercato si espande e la produzione per lo scambio si va generalizzando, si instaura progressivamente il dominio del valore. La storia insegna inequivocabilmente che gli organismi sociali mutano sotto l’urto della merce.


 Il carattere di valore d’uso in sé e per sé è decisamente recessivo: e resta subordinato al valore di scambio, almeno finché si rimane nel regno della necessità, e in particolare sotto l’infinità della produzione capitalistica. Le condizioni materiali di esistenza per uscirne richiedono, quanto meno, un elevatissimo sviluppo delle forze produttive sull’intera scala planetaria; conseguentemente, una produzione di massa diffusa ovunque: lo sviluppo capillare del mercato mondiale. 

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