domenica 27 settembre 2015

Il rifiuto del lavoro. Teoria e pratiche nell'Autonomia Operaia - Ottone Ovidi

   Maria Turchetto definisce così l’ideologia del lavoro:
"Quel modo di pensare, largamente introiettato nella nostra società, che fa dell'attività lavorativa continuativa e retribuita il titolo normale e pressoché esclusivo di partecipazione alla vita associata. […] L'idea che sia il lavoro a conferire pieno diritto di cittadinanza è in effetti ampiamente trasversale, interclassista, condivisa da etiche laiche e religiose. É più di un ideologia: è senso comune, rappresenta cioè una norma di comportamento e di giudizio completamente assimilata e che dunque funziona, proceduralmente, senza passare attraverso un attento esame critico, come dispositivo disciplinare." (Il lavoro senza fine. Riflessioni su “biopotere”e ideologia del lavoro tra XVII e XX secolo)
   In assoluto gli autonomi non erano i primi a discutere tematiche antilavoriste. Possiamo ricordare che già nel 1887, Paul Lafargue aveva pubblicato il suo Diritto alla pigrizia, recentemente ripubblicato. Ma queste tematiche non si erano, prima di allora, mai tramutate in programma politico, in azione collettiva che uscisse al di fuori dal comportamento individuale avverso alla pratica lavorativa.

   In Italia, è soprattutto il mondo dell’operaismo che comincia ad accorgersi di alcuni cambiamenti che si stavano verificando nelle grandi concentrazioni industriali. L’attenzione degli operaisti è attratta dalle pratiche di insubordinazione e sabotaggio che si erano diffuse e radicalizzate nelle fabbriche fino ad esplodere con l'autunno caldo del 1969. E’ allora che queste pratiche spontanee e diffuse vengono concepite come molteplici forme dello stesso rifiuto. E saranno la base su cui si formeranno i primi nuclei dell’autonomia. L’autonomia come progetto politico nasce in maniera simbiotica con il rifiuto del lavoro. L’evoluzione del rifiuto del lavoro come impianto teorico e come applicazione pratica va ricercata nella vita quotidiana dei militanti e non solo, negli espropri, nelle spese proletarie, nelle autoriduzioni delle bollette, degli affitti, nell’occupazione di stabili per motivi abitativi o culturali e/o politici, nel modo di lavorare di chi aveva un lavoro fisso e nelle modalità di vita di chi non lo aveva. Risulta chiaro quanto grande sia stata allora la novità, quanto grande l’impatto di una posizione come quella del rifiuto del lavoro praticata e propagandata dagli autonomi. La storia del rifiuto del lavoro è la storia della fabbrica, concentrato di esperienze storiche, di necessità quotidiane, di insoddisfazione nei riguardi dei sindacati e delle pratiche sindacali, di impegno politico ed ancora di metodi di lotta radicali: come il gatto selvaggio, il salto della scocca, i sabotaggi sulla catena di montaggio, lo sciopero a scacchiera o a singhiozzo, il rifiuto del cottimo. L’operaismo degli anni ’60 in Italia, al di là della costellazione dei percorsi politici che lo hanno animato, era declinato sulla centralità politica operaia, per cui la classe operaia era il soggetto politico e l’attore principale del cambiamento della società e della rivoluzione. Tuttavia l’operaismo rompe con la tradizione comunista dell’etica del lavoro e introduce l’idea-forza dell’odio degli operai per la propria condizione.

   "Nessuna affermazione comunista, più di quella del rifiuto del lavoro, è stata violentemente e continuamente espulsa, soppressa, mistificata, dalla tradizione e dall'ideologia socialiste. Se vuoi mandare in bestia un socialista o se vuoi scoprirlo quando si copre di demagogia, provocalo sul rifiuto del lavoro. Nessun punto del programma comunista, lungo un secolo, da quando Marx parlava del lavoro come “essenza disumana” è stato tanto combattuto: fino a quando la scomunica del rifiuto del lavoro è divenuta taciuta, surrettizia, implicita, ma non meno potente: l'argomento è stato tolto. Ora, è su questo terreno indiretto che l'astuzia della ragione proletaria ha cominciato a restaurare la centralità del rifiuto del lavoro nel programma comunista. […] Nostro compito è la restaurazione teorica del rifiuto del lavoro nel programma, nella tattica, nella strategia dei comunisti." (Antonio Negri, Il dominio e il sabotaggio

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