Si sente spesso ripetere che, considerati gli attuali
sfavorevoli rapporti di forze, si dovrebbero mettere da parte le chiacchiere
sulla prospettiva della transizione al socialismo e portare avanti nei fatti
una politica riformista. Tale posizione dimentica che in primo luogo non solo
dal punto di vista teorico, dal punto di vista del marxismo, ma anche dal punto
di vista storico-empirico le più significative riforme le hanno fatte le forze
che miravano a un rivolgimento radicale dell’ordine costituito. Anzi ogni
qualvolta si è abbandonata tale prospettiva in nome del realismo più che
riforme si sono realizzate contro-riforme. Tanto più che l’attuale situazione
di crisi internazionale e di assenza di un campo socialista, rende
sostanzialmente irrealizzabile una politica riformista, visto che i margini di
profitto tendono a diminuire e, quindi, sempre meno c’è da ridistribuire,
considerato anche che le più forti alternative al capitalismo appaiono essere
oggi le forze dell’integralismo religioso. Tanto meno tale prospettiva
riformista appare credibile e verosimile all’interno dell’Unione europea,
considerati gli statuti liberisti su cui tale unione si è fondata e che
impediscono, nei fatti, anche una politica di stampo keynesiano.
Non reggono alla prova dei fatti nemmeno le obiezioni (fatte proprie in Italia da Sel, in Grecia da ambienti vicini a Tsipras) che stando al governo, pur non rompendo con la logica dell’austerità, sarà possibile varare misure favorevoli ai subalterni come il reddito di cittadinanza. In questo caso, al di là degli aspetti utopistici, che sono rimasti fino a ora al massimo delle pie illusioni, tutte le volte che forme di sostegno al reddito sono state realizzate hanno finito per andare contro gli interessi dei lavoratori viii. Resta, infatti, la questione di come individuare le risorse per questo ammortizzatore sociale, che per altro aumenterebbe il baratro fra italiani e immigrati privi di cittadinanza. Se come vorrebbero i liberisti tali risorse venissero dallo smantellamento del cosiddetto welfare state, tali misure sostituirebbero un diritto collettivo con un diritto individualista favorendo la logica egoista del capitalismo. Se le risorse fossero prese, come generalmente è avvenuto, da quanto prodotto dal lavoro salariato, si avrebbe lo svantaggio di contrapporre lavoratori, sempre più impoveriti, a disoccupati che sopravvivono grazie a un reddito. Infine se si avesse davvero la forza di farlo finanziare dai capitalisti e dalle rendite, tolto che il loro reddito dipende unicamente dallo sfruttamento di quanto prodotto dalla forza lavoro salariata, richiederebbe la costruzione di rapporti di forza notevolmente differenti, sviluppando un poderoso conflitto sociale. A questo punto, però, non resta che domandarsi se è sensato impegnarsi a costruire un tale conflitto per avere un mero palliativo, per cui continueremo ad avere una parte della forza-lavoro sempre più sfruttata e un’altra condannata alla disoccupazione o a lavori precari? Tanto varrebbe allora spendere i rapporti di forza conquistati per imporre una diminuzione dell’orario di lavoro a parità di salario e di ritmi.
http://www.lacittafutura.it/giornale/in-difesa-dello-spirito-di-scissione-e-dell-unita-dei-comunisti.html
Nessun commento:
Posta un commento