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lunedì 11 agosto 2025

I COLONI ISRAELIANI: DALLE RADICI DEL SIONISMO ALLA REALTÀ CONTEMPORANEA - Lavinia Marchetti

Da: Lavinia Marchetti - Lavinia Marchetti 

Leggi anche: IL VELO E LA BOMBA - Lavinia Marchetti  

“Dal ‘48 Israele vuole disfarsi del popolo palestinese” - RACHIDA EL AZZOUZI intervista ILAN PAPPÉ -  

PALESTINA. Economia e occupazione: dal Protocollo di Parigi ad oggi. - Francesca Merz  

La definizione di antisemitismo dell’IHRA - Ugo Giannangeli  

Israele/Palestina. Alle radici del conflitto - Joseph Halevi  

Le cose che ho imparato che non si possono chiedere a Israele. - Louise Adler

Vedi anche: La nascita dello Stato d'ISRAELE  

La politica israeliana tra occupazione e massacro - Gideon Levy  

Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina - ILAN PAPPÉ 


Una breve sintesi del fenomeno dei coloni israeliani. Ovviamente è lungo per facebook e breve per un manuale. Viene dai miei appunti e credo possa essere utile per un approccio minimo del fenomeno. Ci sono cose che mancano e cose più sviluppate, non vuole essere il "bignami" di un libro di testo, ma un elenco di fatti che io ho ritenuto fondamentali per comprendere il fenomeno.
 (Lavinia Marchetti)


1. Origini storiche e identità  

Il termine coloni (mitnahalim, in ebraico moderno) designa oggi i cittadini israeliani residenti in insediamenti civili costruiti nei territori occupati da Israele dopo la guerra del giugno 1967, con particolare concentrazione in Cisgiordania, Gerusalemme Est e, fino al ritiro del 2005, nella Striscia di Gaza. La genealogia di questo fenomeno non si esaurisce nella contemporaneità: le sue radici affondano nelle prime migrazioni organizzate del sionismo politico, a cavallo fra XIX e XX secolo. Con la Prima Aliyah (1882-1903) giunsero in Palestina, allora provincia dell’Impero ottomano, gruppi di ebrei ashkenaziti provenienti in gran parte dall’Impero russo e dall’Europa orientale. Essi fondarono i primi moshavim e kibbutzim, insediamenti agricoli collettivi o cooperativi concepiti come avamposti strategici per l’affermazione di una presenza stabile. 

Ilan Pappé sottolinea:
“Fin dalle prime ondate, l’obiettivo era quello di creare una presenza ebraica esclusiva su porzioni di territorio, in modo da stabilire un controllo demografico che avrebbe reso irreversibile la colonizzazione” (Dieci miti su Israele, p. 45). 

Questi insediamenti iniziali erano sostenuti da una complessa rete filantropica ebraica, che includeva famiglie come i Rothschild, e da strumenti politici e finanziari come il Fondo Nazionale Ebraico (1901) e, dal 1920, l’Agenzia Ebraica. Le acquisizioni di terre avvenivano spesso da proprietari assenti, con il conseguente sfratto immediato di comunità contadine palestinesi. Benny Morris osserva:
“Le terre acquistate diventavano per statuto proprietà inalienabile del popolo ebraico, e nessun arabo vi poteva vivere o lavorare” (Vittime, p. 62). 

martedì 29 luglio 2025

La farsa dell’acciaio, come il culto della sicurezza ci ha rubato la libertà - Federico Liberti

Da: Federico Liberti (Professor presso Miur Istruzione) - 



"Ottimo approfondimento su cifre e concetti mortiferi di Federico Liberti che ringrazio. Tra i concetti che hanno devastato il mondo da sempre nella storia umana farei una classifica per numero di morti:
1) Dio
2) Patria
3) Libertà
e al quarto gradino viene subito sotto, ma con scarto minimo:
4) sicurezza e al
5) difesa"

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Nel 2024, l’Unione Europea ha speso 326 miliardi di euro in difesa, un salto del 30% in soli tre anni, e la traiettoria non accenna a rallentare. L’Italia da sola ha destinato oltre 32 miliardi, ma promette di raggiungere i 42 miliardi nel 2025. E se davvero dovessimo “adeguarci” al 5% suggerito da alcuni falchi della NATO, supereremmo i 100 miliardi di euro annui. Tutto questo, ci dicono, per “difendere la nostra libertà”, ma a conti fatti, chi ci sta attaccando davvero? 

Siamo entrati nell’era della “militarizzazione felice”, nessuno vuole la guerra, ma tutti ne parlano come se fosse inevitabile. Lo spettro dell’aggressore eterno, ieri l’ISIS, oggi la Russia, domani la Cina, giustifica ogni scialacquamento di risorse e ogni restrizione al dibattito pubblico. È la sicurezza che ordina! 

Il teorema della sicurezza 

Secondo il sociologo Fabrizio Battistelli, “per massimizzare la propria sicurezza, uno Stato finisce per indebolire quella degli altri”. È il principio del paradosso securitario, ogni incremento di potenza produce squilibrio, ogni squilibrio alimenta paura, ogni paura invoca nuovo potere. È così che si passa dalla prudenza alla paranoia, dalla difesa alla coercizione. 

giovedì 3 luglio 2025

"contro le due destre" - Moni Ovadia

Da: Lavinia Marchetti - Moni Ovadia, Salomone Ovadia detto Moni, è un attore, cantante e scrittore italiano di origine bulgara. (moniovadia)

Leggi anche: IL VELO E LA BOMBA - Lavinia Marchetti 


Questa è la mia trascrizione di un discorso di Moni Ovadia, in un convegno al senato del 28 Maggio 2025 per la presentazione del libro "contro le due destre". Non ha detto chissà cosa, ma quello che ha detto non lo dice nessuno che abbia anche solo un minimo di rappresentanza. Che l'opposizione in Italia non esista ce ne eravamo accorti da molto tempo, e allora, per questo, è bello che un 80enne, in senato, ricordi i nostri valori e ristabilisca un principio di realtà. (Lavinia Marchetti)

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"Sono un militante. Lo sono dall’età di 14 anni. Non mi sono mai voluto occupare direttamente di politica, perché mi occupo di cultura, nella forma delle arti scenico-rappresentative. Tuttavia, sono stato un militante molto appassionato. E da un certo punto in avanti, come tanti italiani – tantissimi – mi sono sentito raggirato. 

Per anni ho militato nella sinistra, e poi, da parecchi anni – persino tre decenni – mi sono sentito come un criceto nella ruota. Ogni elezione continuo a girare, ma non succede nulla di nulla. Poi ho capito che nei confronti di noi cittadini veniva perpetrata una truffa. L’elezione era solo una sanzione di parvenza democratica per non cambiare niente. 

Secondo me lo si è capito dal linguaggio che ha cominciato a entrare in circolo. Il linguaggio annuncia le trasformazioni. Quando ho sentito per la prima volta la parola “risorse umane”, ho capito che stavano fottendo i lavoratori. 

Mi è capitato di essere invitato a parlare in contesti sindacali, e siccome io sono gloriosamente un estremista – lo rivendico – l’ho detto anche una volta a quel ciuciolone di David Parenzo. È stata una delle rare volte in cui sono stato invitato in TV. Soprattutto perché vengo considerato un terrorista, un ebreo antisemita. “State attenti, perché lui è un estremista”. Io ho detto a Parenzo, che purtroppo conosco da quando portava ancora i pantaloncini all’inglese: “Grazie per la definizione. Ma chi ha governato questo Paese per 75 anni? I moderati.” 

E guarda dove cazzo siamo finiti. L’Italia è l’unico Paese in cui la parola “moderazione” porta con sé una ferocia dilatoria. Qui siamo molto moderati, per cui la mafia impera, ma guai a fare troppo chiasso.
Anche la parola “divisivo”, d’origine americana: cosa significa? Che non c’è più opposizione, perché se critichi sei divisivo. Ebbene, io sono antifascista. Non posso non essere divisivo. Persino l’ANPI è caduta in questa trappola. 

Ho persino pensato di restituire le mie due tessere dell’ANPI: una con medaglia d’onore, l’altra mia. Stavo già pensando di strapparle, perché io vorrei vedere, il 25 aprile, un corteo che sfili con le bandiere del popolo palestinese. Solo così oggi si fa Resistenza. 

Per me, dunque, è stata una grande boccata d’ossigeno essere coinvolto, pur nei miei limiti. Sono un teatrante, lo ripeto, ma porto il piccolo contributo che posso, perché riesco a raggiungere persone che da anni non militano più, che non votano più, ma che conservano un sentimento. Nella loro amarezza per essere stati raggirati, mantengono ancora un ardore d’indignazione per ciò che stiamo vedendo.
La democrazia – se mai c’è stata – è morta. A mio modesto parere, votare ciclicamente non è democrazia. In fondo, come diceva Gaber, libertà è partecipazione. 

Poi un’altra cosa fondamentale: è stato bandito dal linguaggio – hanno cominciato le destre – il principio più alto che l’umanità abbia mai conquistato, a mio parere, nel suo travagliato e doloroso cammino: il principio dell’uguaglianza. 

Io, come teatrante e un po’ giarratano, mi sono persino permesso di criticare i rivoluzionari francesi, dicendo che commisero un errore: non “liberté, égalité, fraternité”, ma “égalité, liberté, fraternité”. Perché solo fra uomini uguali si può parlare di libertà. Altrimenti, la parola “libertà” diventa l’arbitrio dei ricchi e dei potenti. Infatti, Berlusconi l’amava moltissimo: “Casa della Libertà”, che significava “faccio i cazzi miei, e i poveracci si fottano”. 

Questa iniziativa è un’iniziativa per cui vale la pena rimboccarsi le maniche. Io sono un uomo ormai proprio sul crinale della vecchiaia – l’anno prossimo compirò 80 anni – ma è una battaglia per cui vale la pena combattere. Mettere a menare fendenti – intendo, metaforicamente. Sarà una lotta non facile, perché – come è stato detto – l’informazione è in mano al potere. Anzi, direi che l’informazione non c’è, perché non informano su nulla, tranne che autoreferenzialmente. L’abbiamo visto con la questione della Palestina. 

Per me è stato un dolore terribile. Come ebreo, mi sono sentito pugnalato alla schiena, al cuore, alla gola. I sionisti sono, a mio parere, il più grande fallimento della storia ebraica. Una catastrofe – non solo per i palestinesi, con cui io sto – ma anche per l’ebraismo. 

Il monoteismo ebraico è la prima fonte culturale e spirituale che dichiara l’uguaglianza degli uomini su una base incontrovertibile, perché afferma – parlo del Genesi – che tutti gli uomini discendono da un solo esemplare. I sionisti hanno distrutto il presupposto fondante della Torah ebraica. 

Per questo io considero Netanyahu non una deviazione, ma la vera anima del sionismo. 

Il velato “due popoli due stati” è una truffa sanguinosa. I moderati che dicono che Israele “ha diritto a difendersi” sono complici di questo genocidio, che è stato definito tale dal professor Amos Goldberg, docente di Storia dell’Olocausto presso il Dipartimento di Storia Ebraica dell’Università Ebraica di Gerusalemme. 

E poi, c’è la dolorosa questione dei sopravvissuti alla Shoah, e noi ne siamo stati coinvolti. Io sono un grandissimo amico della senatrice Liliana Segre, che da qualche tempo non frequento più per non crearle problemi. Però mi corre l’obbligo di dire una cosa. 

A Londra, il sopravvissuto Stephen Kapos, deportato ad Auschwitz all’età di sette anni, gira davanti al numero 10 di Downing Street con appeso al collo un cartello: “Stop genocide in Gaza”. E con lui ci sono altri sopravvissuti. Quindi lasciamo fuori la Shoah da questa storia. 

Io, come ebreo, dico che lo sfregio più grande alla Shoah lo hanno fatto i sionisti, facendone uno strumento di aggressione, da sbattere addosso ai galantuomini che difendono i diritti di tutti gli esseri umani su questa terra.  

Grazie." 
Moni Ovadia

martedì 24 giugno 2025

IL VELO E LA BOMBA - Lavinia Marchetti

 Da: Lavinia Marchetti - 


"Il nemico del mio nemico non è mio amico."
 voce di donna in esilio, Teheran, giugno 2025 

È di nuovo tempo di salvezza. Salvezza coatta, militare, mediatica, commossa. È di nuovo tempo di guerra. Guerra giusta, guerra umanitaria, guerra femminista. Le due cose, quando si parla di Medio Oriente, coincidono sempre. 

Da vent’anni, o da due secoli, l’Occidente ama salvare le donne orientali. Le salva con insistenza, con superiorità, con esibizionismo. Le salva, ma non le ascolta. Le salva, ma le sorvola. Le salva, infine, bombardandole. 

Lo avevamo già visto. 

L’Afghanistan dei talebani divenne, nel 2001, lo scenario perfetto per esercitare una nuova grammatica imperiale: la donna come soggetto da redimere, il burqa come simbolo da abbattere, la bomba come chiave dell’autonomia. La democrazia divenne sinonimo di svelamento forzato, e l’esercito americano si travestì da liberatore con in mano uno specchio occidentale: “guardati, adesso sei libera”. 

Nel 2025 la scena si ripete. Cambia l’oggetto, non più Kabul ma Tehran, ma la macchina retorica resta intatta. Le rivolte sacrosante delle donne iraniane, Zan, Zendegi, Azadi, vengono cooptate, disarticolate, brandite. Il femminismo diventa un oggetto bellico. Il velo ritorna ad essere un casus belli. La nudità, la ribellione, il canto, la danza, le chiome al vento: tutto può essere piegato alla logica imperiale, se lo si rende icona. E quando il corpo femminile diventa immagine, allora può giustificare tutto. Anche la distruzione.