Da: Federico Liberti (Professor presso Miur Istruzione) -
"Ottimo approfondimento su cifre e concetti mortiferi di Federico Liberti che ringrazio. Tra i concetti che hanno devastato il mondo da sempre nella storia umana farei una classifica per numero di morti:
1) Dio
2) Patria
3) Libertà
e al quarto gradino viene subito sotto, ma con scarto minimo:
4) sicurezza e al
5) difesa"
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Nel 2024, l’Unione Europea ha speso 326 miliardi di euro in difesa, un salto del 30% in soli tre anni, e la traiettoria non accenna a rallentare. L’Italia da sola ha destinato oltre 32 miliardi, ma promette di raggiungere i 42 miliardi nel 2025. E se davvero dovessimo “adeguarci” al 5% suggerito da alcuni falchi della NATO, supereremmo i 100 miliardi di euro annui. Tutto questo, ci dicono, per “difendere la nostra libertà”, ma a conti fatti, chi ci sta attaccando davvero?
Siamo entrati nell’era della “militarizzazione felice”, nessuno vuole la guerra, ma tutti ne parlano come se fosse inevitabile. Lo spettro dell’aggressore eterno, ieri l’ISIS, oggi la Russia, domani la Cina, giustifica ogni scialacquamento di risorse e ogni restrizione al dibattito pubblico. È la sicurezza che ordina!
Il teorema della sicurezza
Secondo il sociologo Fabrizio Battistelli, “per massimizzare la propria sicurezza, uno Stato finisce per indebolire quella degli altri”. È il principio del paradosso securitario, ogni incremento di potenza produce squilibrio, ogni squilibrio alimenta paura, ogni paura invoca nuovo potere. È così che si passa dalla prudenza alla paranoia, dalla difesa alla coercizione.
Questo meccanismo è noto in teoria delle relazioni internazionali come dilemma della sicurezza, ed è stato ampiamente descritto durante la Guerra Fredda, quando ogni aumento di armi nucleari da parte di USA o URSS veniva percepito come minaccia esistenziale dall’altro, alimentando una spirale di riarmo potenzialmente autodistruttiva. Lo stesso concetto è stato riformulato dal teorico britannico Mark Neocleous, che osserva come la sicurezza moderna sia un’ideologia di controllo più che una reale esigenza difensiva. La sicurezza diventa così una fabbrica permanente di insicurezza, un pendolo che oscilla tra allarme e normalizzazione, tra emergenza e amministrazione.
Chi ha orecchi per intendere, intenda, la sicurezza non è più una condizione, ma un’ideologia. Essa non ha bisogno di nemici reali, perché li genera a comando. Non ha bisogno di prove, ma di sensazioni. E se la sensazione è che siamo “sotto attacco”, allora anche l’aumento vertiginoso del budget militare diventa non solo giustificato, ma desiderabile. Come disse una volta James Der Derian, ripreso da Mark Neocleous, “nella sicurezza troviamo l’insicurezza”. In altre parole, non esiste sicurezza senza il suo contrario, è un gioco dialettico, un pendolo che non si ferma mai.
L’analfabetismo strategico
Paradossalmente, più ci armiamo e meno sembriamo capire perché lo facciamo. L’Europa ha aumentato le spese militari più di ogni altra area geopolitica, eppure è la più lontana dall’essere coinvolta direttamente in una guerra. Certo, la guerra in Ucraina è alle porte, ma la Russia non ha né i mezzi né l’interesse per invadere la Polonia, figuriamoci Berlino. Eppure, le cancellerie occidentali si comportano come se le truppe russe fossero pronte a varcare il Brennero.
Nel frattempo, i morti veri si accumulano, tra 190.000 e 350.000 soldati russi uccisi, oltre 140.000 ucraini, e quasi 13.000 civili. Ma i numeri, si sa, non fanno notizia. Sono le emozioni che decidono il corso della Storia, e oggi le emozioni sono state appaltate alla paura.
Non sorprende che in questo clima la critica sia vista con sospetto. Chi parla di pace viene accusato di essere “filo-Putin”. Chi si interroga sul senso strategico dell’invio di armi viene zittito. Come diceva Chomsky, “la propaganda è alla democrazia ciò che la violenza è alla dittatura”. E oggi la propaganda della sicurezza è onnipresente, capillare, istituzionalizzata.
Il culto dell’acciaio
“Difesa”, in greco antico, era aspis, lo scudo del guerriero. Oggi è diventata uno scudo retorico. In nome della difesa si tagliano fondi alla sanità, all’istruzione, alla cultura. In nome della difesa si finanziano progetti bellici da decine di miliardi mentre si ignorano i morti di fame a Gaza o i bambini tra le macerie in Sudan. In nome della difesa si sospende il pensiero critico e si esalta il conformismo dell’“unità nazionale”.
Ma c’è un altro significato, sepolto sotto la retorica, la difesa è diventata un’industria. Il “complesso militare industriale” denunciato da Eisenhower nel 1961 è oggi un colosso senza freni. Ogni euro speso in armi è un euro guadagnato da chi le produce, e chi le produce ha tutto l’interesse che si creda nella minaccia costante.
Così la democrazia si trasforma in una simulazione, un teatro dove la libertà di parola esiste solo se non mette in discussione il copione. È il paradosso perfetto, si dice di voler difendere la libertà, ma si fa di tutto per ridurne l’esercizio.
Una società sorvegliata e impaurita
Se la logica dell’insicurezza è diventata la regola, allora la cittadinanza non è più una questione di diritti, ma di allineamento. Chi dissente è fuori luogo. Chi propone soluzioni diplomatiche è un ingenuo. Chi chiede di spendere meno in armi e più in ospedali è “fuori dal mondo”. Il nuovo cittadino ideale è prudente, disciplinato, silenzioso, accetta di essere protetto anche contro la propria volontà.
Nel frattempo, le parole “libertà”, “pace”, “pluralismo” sono riciclate in slogan, perdono ogni peso. Viviamo nel paradosso di una democrazia che si autodivora per proteggersi da una minaccia che non può vincere, perché le sue radici sono dentro di noi, l’incapacità di vivere nell’incertezza.
C’è un pensiero scomodo che dovremmo avere il coraggio di formulare, e se la sicurezza non fosse affatto un valore? Se fosse solo una condizione temporanea, mai garantita, mai totale, mai assoluta? Se invece di inseguirla come un feticcio iniziassimo a investire in convivenza, in resilienza, in giustizia sociale?
Le democrazie non si difendono con i missili, ma con le parole, e oggi la parola è sotto assedio.
Nel rumore delle bombe, è il silenzio della ragione a far più paura.
Fedrico Liberti
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