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giovedì 3 luglio 2025

"contro le due destre" - Moni Ovadia

Da: Lavinia Marchetti - Moni Ovadia, Salomone Ovadia detto Moni, è un attore, cantante e scrittore italiano di origine bulgara. (moniovadia)

Leggi anche: IL VELO E LA BOMBA - Lavinia Marchetti 


Questa è la mia trascrizione di un discorso di Moni Ovadia, in un convegno al senato del 28 Maggio 2025 per la presentazione del libro "contro le due destre". Non ha detto chissà cosa, ma quello che ha detto non lo dice nessuno che abbia anche solo un minimo di rappresentanza. Che l'opposizione in Italia non esista ce ne eravamo accorti da molto tempo, e allora, per questo, è bello che un 80enne, in senato, ricordi i nostri valori e ristabilisca un principio di realtà. (Lavinia Marchetti)

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"Sono un militante. Lo sono dall’età di 14 anni. Non mi sono mai voluto occupare direttamente di politica, perché mi occupo di cultura, nella forma delle arti scenico-rappresentative. Tuttavia, sono stato un militante molto appassionato. E da un certo punto in avanti, come tanti italiani – tantissimi – mi sono sentito raggirato. 

Per anni ho militato nella sinistra, e poi, da parecchi anni – persino tre decenni – mi sono sentito come un criceto nella ruota. Ogni elezione continuo a girare, ma non succede nulla di nulla. Poi ho capito che nei confronti di noi cittadini veniva perpetrata una truffa. L’elezione era solo una sanzione di parvenza democratica per non cambiare niente. 

Secondo me lo si è capito dal linguaggio che ha cominciato a entrare in circolo. Il linguaggio annuncia le trasformazioni. Quando ho sentito per la prima volta la parola “risorse umane”, ho capito che stavano fottendo i lavoratori. 

Mi è capitato di essere invitato a parlare in contesti sindacali, e siccome io sono gloriosamente un estremista – lo rivendico – l’ho detto anche una volta a quel ciuciolone di David Parenzo. È stata una delle rare volte in cui sono stato invitato in TV. Soprattutto perché vengo considerato un terrorista, un ebreo antisemita. “State attenti, perché lui è un estremista”. Io ho detto a Parenzo, che purtroppo conosco da quando portava ancora i pantaloncini all’inglese: “Grazie per la definizione. Ma chi ha governato questo Paese per 75 anni? I moderati.” 

E guarda dove cazzo siamo finiti. L’Italia è l’unico Paese in cui la parola “moderazione” porta con sé una ferocia dilatoria. Qui siamo molto moderati, per cui la mafia impera, ma guai a fare troppo chiasso.
Anche la parola “divisivo”, d’origine americana: cosa significa? Che non c’è più opposizione, perché se critichi sei divisivo. Ebbene, io sono antifascista. Non posso non essere divisivo. Persino l’ANPI è caduta in questa trappola. 

Ho persino pensato di restituire le mie due tessere dell’ANPI: una con medaglia d’onore, l’altra mia. Stavo già pensando di strapparle, perché io vorrei vedere, il 25 aprile, un corteo che sfili con le bandiere del popolo palestinese. Solo così oggi si fa Resistenza. 

Per me, dunque, è stata una grande boccata d’ossigeno essere coinvolto, pur nei miei limiti. Sono un teatrante, lo ripeto, ma porto il piccolo contributo che posso, perché riesco a raggiungere persone che da anni non militano più, che non votano più, ma che conservano un sentimento. Nella loro amarezza per essere stati raggirati, mantengono ancora un ardore d’indignazione per ciò che stiamo vedendo.
La democrazia – se mai c’è stata – è morta. A mio modesto parere, votare ciclicamente non è democrazia. In fondo, come diceva Gaber, libertà è partecipazione. 

Poi un’altra cosa fondamentale: è stato bandito dal linguaggio – hanno cominciato le destre – il principio più alto che l’umanità abbia mai conquistato, a mio parere, nel suo travagliato e doloroso cammino: il principio dell’uguaglianza. 

Io, come teatrante e un po’ giarratano, mi sono persino permesso di criticare i rivoluzionari francesi, dicendo che commisero un errore: non “liberté, égalité, fraternité”, ma “égalité, liberté, fraternité”. Perché solo fra uomini uguali si può parlare di libertà. Altrimenti, la parola “libertà” diventa l’arbitrio dei ricchi e dei potenti. Infatti, Berlusconi l’amava moltissimo: “Casa della Libertà”, che significava “faccio i cazzi miei, e i poveracci si fottano”. 

Questa iniziativa è un’iniziativa per cui vale la pena rimboccarsi le maniche. Io sono un uomo ormai proprio sul crinale della vecchiaia – l’anno prossimo compirò 80 anni – ma è una battaglia per cui vale la pena combattere. Mettere a menare fendenti – intendo, metaforicamente. Sarà una lotta non facile, perché – come è stato detto – l’informazione è in mano al potere. Anzi, direi che l’informazione non c’è, perché non informano su nulla, tranne che autoreferenzialmente. L’abbiamo visto con la questione della Palestina. 

Per me è stato un dolore terribile. Come ebreo, mi sono sentito pugnalato alla schiena, al cuore, alla gola. I sionisti sono, a mio parere, il più grande fallimento della storia ebraica. Una catastrofe – non solo per i palestinesi, con cui io sto – ma anche per l’ebraismo. 

Il monoteismo ebraico è la prima fonte culturale e spirituale che dichiara l’uguaglianza degli uomini su una base incontrovertibile, perché afferma – parlo del Genesi – che tutti gli uomini discendono da un solo esemplare. I sionisti hanno distrutto il presupposto fondante della Torah ebraica. 

Per questo io considero Netanyahu non una deviazione, ma la vera anima del sionismo. 

Il velato “due popoli due stati” è una truffa sanguinosa. I moderati che dicono che Israele “ha diritto a difendersi” sono complici di questo genocidio, che è stato definito tale dal professor Amos Goldberg, docente di Storia dell’Olocausto presso il Dipartimento di Storia Ebraica dell’Università Ebraica di Gerusalemme. 

E poi, c’è la dolorosa questione dei sopravvissuti alla Shoah, e noi ne siamo stati coinvolti. Io sono un grandissimo amico della senatrice Liliana Segre, che da qualche tempo non frequento più per non crearle problemi. Però mi corre l’obbligo di dire una cosa. 

A Londra, il sopravvissuto Stephen Kapos, deportato ad Auschwitz all’età di sette anni, gira davanti al numero 10 di Downing Street con appeso al collo un cartello: “Stop genocide in Gaza”. E con lui ci sono altri sopravvissuti. Quindi lasciamo fuori la Shoah da questa storia. 

Io, come ebreo, dico che lo sfregio più grande alla Shoah lo hanno fatto i sionisti, facendone uno strumento di aggressione, da sbattere addosso ai galantuomini che difendono i diritti di tutti gli esseri umani su questa terra.  

Grazie." 
Moni Ovadia

domenica 31 agosto 2025

LA MORTE DI AMR - Chris Hedges

Da: Lavinia Marchetti - Tratto da: Chris Hedges, fazieditore.it/un-genocidio-annunciato -  Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per quindici anni per il New York Times, dove ha lavorato come capo dell'Ufficio per il Medio Oriente e dell'Ufficio balcanico per il giornale. -

Leggi anche: Chris Hedges: "Un genocidio annunciato" - Alessia Arcolaci 

Vedi anche: Piergiorgio Odifreddi, Le radici nazi-fasciste di Netanyahu e Israele (https://www.youtube.com/watch?v=1xi9aBzLbRE)


Per chi non avesse letto questo testo fondamentale, copio qui un capitolo, il capitolo 3, non è tecnico, è "solo" un fatto, un morto tra le decine di migliaia di morti, eppure fa capire più di mille saggi geopolitici cosa significhi vivere un genocidio sulla propria pelle. (Lavinia Marchetti)


"3. La morte di Amr  

La mattina in cui è stato ucciso, Amr Abdallah si era svegliato prima dell’alba per recitare le preghiere del Ramadan insieme al padre, la madre, due fratelli più piccoli e una zia, in un campo nella zona meridionale di Gaza. «Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto», pregavano. «Guidaci sulla retta via – la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che sono incorsi nella Tua ira, né di quanti hanno abbandonato la retta via»

Era buio. Sono tornati nelle loro tende. La loro vecchia vita non c’era più: il paese, Al-Qarara, la casa costruita con il denaro messo da parte dal padre di Amr nei trent’anni di lavoro nel Golfo Persico, i frutteti, la scuola, la locale moschea e il museo culturale della cittadina con manufatti risalenti al 4000 avanti Cristo. Tutto ridotto in macerie. 

Amr, che aveva diciassette anni, avrebbe preso il diploma di maturità nel 2024, ma le scuole sono state chiuse nel novembre 2023. Sarebbe andato all’università, forse sarebbe diventato un ingegnere come il padre, una figura di spicco nella sua comunità. Amr era uno studente dotato. Adesso viveva in una tenda in un’area indicata come “sicura” che Israele bombardava sporadicamente. Faceva freddo e pioveva. La famiglia si stringeva assieme per scaldarsi. La fame li avvolgeva come una serpentina. «Quando si fa il nome di Amr è come se stessi parlando della luna», mi dice lo zio Abdulbaset Abdallah, che vive nel New Jersey. «Era il tipo speciale: bello, brillante, gentile»

giovedì 11 settembre 2025

Solidarietà “terrorista” - Carla Filosa

Da: https://www.marxismo-oggi.it - Il video è di dodonewlife 
Carla Filosa insegna dialettica hegeliana e marxismo. Collabora con l’Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it - https://www.facebook.com/unigramsci - https://rivistacontraddizione.wordpress.com). - 

                                                                         

In attesa di sapere se la Global Sumud Flotilla sarà intercettata dall’esercito israeliano perché definita “terrorista” dal sionismo oscurantista, proponiamo la ripubblicazione di un articolo del 1988 scritto per la rivista “La Contraddizione”, intitolato Palestina/Imperialismo, in cui si curò una cronologia dell’imperialismo, e non solo. Per chi ancora si trastulla sull’uso o meno giuridico del termine genocidio per definire l’intento israeliano sull’attuale sterminio palestinese, può essere utile “rammentare” i precedenti passi di una storia che non comincia il “7 ottobre”.

Il presente sotto gli occhi di tutti viene monitorato in tanti punti informativi, in cui può rimanere difficile distinguere verità da propaganda, realtà oggettive da menzogne politiche. Il passato storico, accompagnato dall’analisi del tempo, non può più veicolare interessi, invece, di cui non si capiscono obiettivi e collusioni perché oggi ancora in via di sviluppo.

martedì 24 giugno 2025

IL VELO E LA BOMBA - Lavinia Marchetti

 Da: Lavinia Marchetti - 


"Il nemico del mio nemico non è mio amico."
 voce di donna in esilio, Teheran, giugno 2025 

È di nuovo tempo di salvezza. Salvezza coatta, militare, mediatica, commossa. È di nuovo tempo di guerra. Guerra giusta, guerra umanitaria, guerra femminista. Le due cose, quando si parla di Medio Oriente, coincidono sempre. 

Da vent’anni, o da due secoli, l’Occidente ama salvare le donne orientali. Le salva con insistenza, con superiorità, con esibizionismo. Le salva, ma non le ascolta. Le salva, ma le sorvola. Le salva, infine, bombardandole. 

Lo avevamo già visto. 

L’Afghanistan dei talebani divenne, nel 2001, lo scenario perfetto per esercitare una nuova grammatica imperiale: la donna come soggetto da redimere, il burqa come simbolo da abbattere, la bomba come chiave dell’autonomia. La democrazia divenne sinonimo di svelamento forzato, e l’esercito americano si travestì da liberatore con in mano uno specchio occidentale: “guardati, adesso sei libera”. 

Nel 2025 la scena si ripete. Cambia l’oggetto, non più Kabul ma Tehran, ma la macchina retorica resta intatta. Le rivolte sacrosante delle donne iraniane, Zan, Zendegi, Azadi, vengono cooptate, disarticolate, brandite. Il femminismo diventa un oggetto bellico. Il velo ritorna ad essere un casus belli. La nudità, la ribellione, il canto, la danza, le chiome al vento: tutto può essere piegato alla logica imperiale, se lo si rende icona. E quando il corpo femminile diventa immagine, allora può giustificare tutto. Anche la distruzione. 

lunedì 11 agosto 2025

I COLONI ISRAELIANI: DALLE RADICI DEL SIONISMO ALLA REALTÀ CONTEMPORANEA - Lavinia Marchetti

Da: Lavinia Marchetti - Lavinia Marchetti 

Leggi anche: IL VELO E LA BOMBA - Lavinia Marchetti  

“Dal ‘48 Israele vuole disfarsi del popolo palestinese” - RACHIDA EL AZZOUZI intervista ILAN PAPPÉ -  

PALESTINA. Economia e occupazione: dal Protocollo di Parigi ad oggi. - Francesca Merz  

La definizione di antisemitismo dell’IHRA - Ugo Giannangeli  

Israele/Palestina. Alle radici del conflitto - Joseph Halevi  

Le cose che ho imparato che non si possono chiedere a Israele. - Louise Adler

Vedi anche: La nascita dello Stato d'ISRAELE  

La politica israeliana tra occupazione e massacro - Gideon Levy  

Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina - ILAN PAPPÉ 


Una breve sintesi del fenomeno dei coloni israeliani. Ovviamente è lungo per facebook e breve per un manuale. Viene dai miei appunti e credo possa essere utile per un approccio minimo del fenomeno. Ci sono cose che mancano e cose più sviluppate, non vuole essere il "bignami" di un libro di testo, ma un elenco di fatti che io ho ritenuto fondamentali per comprendere il fenomeno.
 (Lavinia Marchetti)


1. Origini storiche e identità  

Il termine coloni (mitnahalim, in ebraico moderno) designa oggi i cittadini israeliani residenti in insediamenti civili costruiti nei territori occupati da Israele dopo la guerra del giugno 1967, con particolare concentrazione in Cisgiordania, Gerusalemme Est e, fino al ritiro del 2005, nella Striscia di Gaza. La genealogia di questo fenomeno non si esaurisce nella contemporaneità: le sue radici affondano nelle prime migrazioni organizzate del sionismo politico, a cavallo fra XIX e XX secolo. Con la Prima Aliyah (1882-1903) giunsero in Palestina, allora provincia dell’Impero ottomano, gruppi di ebrei ashkenaziti provenienti in gran parte dall’Impero russo e dall’Europa orientale. Essi fondarono i primi moshavim e kibbutzim, insediamenti agricoli collettivi o cooperativi concepiti come avamposti strategici per l’affermazione di una presenza stabile. 

Ilan Pappé sottolinea:
“Fin dalle prime ondate, l’obiettivo era quello di creare una presenza ebraica esclusiva su porzioni di territorio, in modo da stabilire un controllo demografico che avrebbe reso irreversibile la colonizzazione” (Dieci miti su Israele, p. 45). 

Questi insediamenti iniziali erano sostenuti da una complessa rete filantropica ebraica, che includeva famiglie come i Rothschild, e da strumenti politici e finanziari come il Fondo Nazionale Ebraico (1901) e, dal 1920, l’Agenzia Ebraica. Le acquisizioni di terre avvenivano spesso da proprietari assenti, con il conseguente sfratto immediato di comunità contadine palestinesi. Benny Morris osserva:
“Le terre acquistate diventavano per statuto proprietà inalienabile del popolo ebraico, e nessun arabo vi poteva vivere o lavorare” (Vittime, p. 62). 

sabato 20 settembre 2025

EDWARD SAID “LA QUESTIONE PALESTINESE” - Lavinia Marchetti

Da: https://laviniamarchetti.altervista.org - Lavinia Marchetti - Edward Said (Gerusalemme, 1935 – New York, 2003) è stato scrittore, critico e professore di Inglese e di Letteratura comparata alla Columbia University di New York e ha insegnato in più di 150 università e scuole negli Stati Uniti, in Canada e in Europa. I suoi scritti sono apparsi regolarmente su The Guardian, Le Monde diplomatique e Al-Hayat. 

Leggi anche: Edward Said ha letto nella Storia il futuro della Palestina - Eliana Riva 


RI-LETTURE FONDAMENTALI, ESTRATTO DA EDWARD SAID “LA QUESTIONE PALESTINESE” (1979 edito in Italia da Il saggiatore, 2011)

Sto cercando di affrontare questo testo prezioso letto ormai tanti anni fa, da una prospettiva nuova, considerando, in questo modo, gli accadimenti recenti a Gaza e in Cisgiordania come un unicum storico, come Said ce lo propone. A tal fine condivido dei passaggi con voi, uno ogni tanto, per garantire alla nostra analisi il punto di vista di uno dei più grandi intellettuali del secolo scorso (e anche in questo scorcio di secolo), palestinese ed esule. Buona lettura. (L.M.)


Edward Said:

“«Da secoli in una terra chiamata Palestina vi è stata una larga maggioranza costituita da un popolo, in gran parte di pastori, identificabile socialmente, culturalmente, politicamente ed economicamente come tale, la cui lingua era l’arabo e la religione (per la maggior parte) quella islamica. 

Questo popolo – o questo “gruppo” di persone, se vogliamo negargli la moderna consapevolezza di sé come tale – si è sempre identificato con la terra che coltivava e su cui viveva (poveramente o no è irrilevante); un processo di identificazione ancor più accentuatosi da quando, con una decisione quasi esclusivamente europea, venne stabilito di ricolonizzare, ricostituire e rioccupare quella stessa terra per darla agli ebrei che sarebbero stati portati lì da altri luoghi. 

A tale proposito, come tutti possono constatare, non c’è mai stato un solo gesto dei palestinesi volto ad accettare questa moderna riconquista o il fatto che il sionismo li abbia per sempre cacciati dalla Palestina. Perciò la realtà palestinese in quanto tale ieri come oggi, e probabilmente domani, si baserà sempre sulla resistenza a questa forma di colonialismo straniero. 

lunedì 18 agosto 2025

COS’È LA NAKBA? - Lavinia Marchetti

Da: Lavinia Marchetti - Lavinia Marchetti - https://laviniamarchetti.altervista.org -

Vedi anche: La Nakba - Joseph Halevi  

Guerra in Medio Oriente, la 'catastrofe' palestinese. Una nuova Nakba? 

Leggi anche: Verità sulla Nakba - Ilan Pappè

“Dal ‘48 Israele vuole disfarsi del popolo palestinese” - RACHIDA EL AZZOUZI intervista ILAN PAPPÉ  

Chi sono i veri responsabili del caos nel Medio Oriente? - Alessandra Ciattini  

I COLONI ISRAELIANI: DALLE RADICI DEL SIONISMO ALLA REALTÀ CONTEMPORANEA - Lavinia Marchetti  

La nascita dello Stato d'ISRAELE  

Edward Said ha letto nella Storia il futuro della Palestina - Eliana Riva  

Cade la maschera di Israele e anche la nostra - Alberto Negri  

LA GUERRA CHE DURA SEI GIORNI E CINQUANT'ANNI - Joseph Halevi  

PALESTINA. Economia e occupazione: dal Protocollo di Parigi ad oggi. - Francesca Merz 

https://invictapalestina.wordpress.com/2016/07/12/stato-attuale-ed-origine-del-conflitto-tra-israele-e-la-palestina-breve-riassunto-per-le-scuole-medie  

«La Nakba ha colpito anche gli ebrei» - Ariella Aïsha Azoulay, Linda Xheza

Purtroppo i testi usciti di recente, i bignami alla Travaglio, che hanno provato a descrivere anche la Nakba, sono insufficienti, spesso fuorvianti e comunque, spesso, partono da un'irrimediabile punto di vista coloniale sul mondo. Leggendo vari libri sull'argomento, ho comparativamente, copicchiando su quelli più autorevoli, fatto una sintesi. Lunghissima per Facebook, però per chi ha voglia di leggerselo con calma, è qui. Ho letto molto sull'argomento. Peraltro ho due testi, in pdf, piuttosto grandi di formato (quindi non so se riesco a mandarveli su messenger, se avete suggerimenti li accetto volentieri), non facilmente reperibili a mio avviso fondamentali. Chi me ne farà richiesta posso inviarli (se troviamo il modo). Sono: Before their Diaspora A Photographic History of the Palestinians 1876-1948 (Walid Khalidi). E poi un testo monumentale di 1.200 pagine che ho letto a sprazzi: All That Remains The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948 (Walid Khalidi). Il primo è 50mb, il secondo 112mb. 

VENIAMO ALLA STORIA DELLA NAKBA 

Nakba (in arabo “catastrofe”) è il termine con cui i palestinesi indicano la tragedia del 1948: la distruzione della loro società in Palestina e la trasformazione in profughi di gran parte della popolazione araba locale. In seguito alla guerra arabo-israeliana del 1948 e alla fondazione dello Stato di Israele, circa 700–800 mila palestinesi (oltre metà degli arabi di Palestina) furono costretti ad abbandonare le proprie case, spesso con la forza o sotto il terrore di massacri. Nell’arco di pochi mesi, 531 villaggi palestinesi vennero distrutti e almeno 11 quartieri urbani svuotati dei loro abitanti. Questo processo, pianificato dai comandanti sionisti a marzo 1948 e attuato sistematicamente durante la guerra, ha tutti i caratteri di una pulizia etnica deliberata. La Nakba segnò una frattura epocale nella storia mediorientale: non solo un immane sconvolgimento demografico e territoriale, ma anche un trauma politico e culturale dalle conseguenze durature per il popolo palestinese. 

LE ORIGINI DEL 1948: CONTESTO E CAUSE DELLA NAKBA 

martedì 29 luglio 2025

La farsa dell’acciaio, come il culto della sicurezza ci ha rubato la libertà - Federico Liberti

Da: Federico Liberti (Professor presso Miur Istruzione) - 



"Ottimo approfondimento su cifre e concetti mortiferi di Federico Liberti che ringrazio. Tra i concetti che hanno devastato il mondo da sempre nella storia umana farei una classifica per numero di morti:
1) Dio
2) Patria
3) Libertà
e al quarto gradino viene subito sotto, ma con scarto minimo:
4) sicurezza e al
5) difesa"

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Nel 2024, l’Unione Europea ha speso 326 miliardi di euro in difesa, un salto del 30% in soli tre anni, e la traiettoria non accenna a rallentare. L’Italia da sola ha destinato oltre 32 miliardi, ma promette di raggiungere i 42 miliardi nel 2025. E se davvero dovessimo “adeguarci” al 5% suggerito da alcuni falchi della NATO, supereremmo i 100 miliardi di euro annui. Tutto questo, ci dicono, per “difendere la nostra libertà”, ma a conti fatti, chi ci sta attaccando davvero? 

Siamo entrati nell’era della “militarizzazione felice”, nessuno vuole la guerra, ma tutti ne parlano come se fosse inevitabile. Lo spettro dell’aggressore eterno, ieri l’ISIS, oggi la Russia, domani la Cina, giustifica ogni scialacquamento di risorse e ogni restrizione al dibattito pubblico. È la sicurezza che ordina! 

Il teorema della sicurezza 

Secondo il sociologo Fabrizio Battistelli, “per massimizzare la propria sicurezza, uno Stato finisce per indebolire quella degli altri”. È il principio del paradosso securitario, ogni incremento di potenza produce squilibrio, ogni squilibrio alimenta paura, ogni paura invoca nuovo potere. È così che si passa dalla prudenza alla paranoia, dalla difesa alla coercizione.