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martedì 13 agosto 2019

AFFIDAMENTI DI MINORI! PSICHIATRIA, PSICOLOGIA E TRIBUNALI - Intervista a PAOLO DI REMIGIO

Da: http://italiaeilmondo.com - Paolo di Remigio è professore di storia e filosofia e studioso di Hegel.
Leggi anche: L'AVVENIRE DI UN'ILLUSIONE, IL DISAGIO DELLA CIVILTA' - Sigmund Freud


Una Precisazione 

Come suggerisce l'Autore, la cultura postmoderna dell'ideologia capitalistica neoliberista sembra ambire a deresponsabilizzare il ruolo educativo del genitore (e spesso persino dell'insegnante),  lasciando quindi ai soggetti imprenditoriali il ruolo educativo, i quali però hanno ovviamente scopi culturali ed interessi propri. Nella critica al sistema capitalistico bisogna salvare quelle istituzioni che, nel complesso, possano costituire un tessuto sociale potente e un contrappeso all'ideologia capitalistica. 

Le cose hanno vari aspetti che eticamente possono essere giudicate positive o negative.

Effettivamente nel sistema tardo capitalistico-finanziario attuale la famiglia svolge un ruolo di resistenza all'individualismo e allo strapotere acritico e omologante del mercato del consumo, nonché esercita una resistenza alla barbarie dell'accettazione di un "impiego", qualsiasi esso sia, a qualsiasi condizione, pena restare senza casa, senza legami, senza nulla. 

Pensiamo ad un giovane che vive con i genitori in una città e non lavora o fa lavoretti. Gli offrono 500 euro in un'altra città: dovrebbe accettare e trasferirsi lì ed affittarsi una stanza che pagherebbero comunque i genitori (assurdo, sarebbe inutile), oppure dormire per strada, in auto, alla Caritas, ecc. Se fosse senza sostegno familiare sarebbe costretto ad  accettare e si arrangerebbe.  

C'è, non a caso, esasperata acredine nelle pagine di giornalisti e propagandatori dell'ideologia neoliberista nel descrivere le famiglie che aiutano i propri figli a sopravvivere e resistete in un mercato del lavoro schiavizzante e precario, chiamati quest'ultimi, appunto, "bamboccioni". Ciò in quanto la famiglia  consente,  o può  consentire, un tetto sotto cui stare, una cena, una solidarietà morale e concreta. Non è una soluzione, né una resistenza anticapitalistica, ma un sostegno familiare che il capitalismo attuale vorrebbe, potendo, scardinare, come vorrebbe scardinare il sindacato (quello buono, quello vero). Per l'ideologia familiare post-moderna la famiglia dovrebbe dare un calcio in culo ai figli appena finito di studiare, così da accettare qualsiasi condizione lavorativa. 

Le famiglie esercitano anche un baluardo ed una sponda culturale per non cedere acriticamente all'ideologia del consumismo e dell'asservimento al mercato, al conformismo consumista. Ciò può avvenire nelle famiglie culturalmente più consapevoli in cui è sviluppato il senso critico, la logica, ecc. e ciò viene trasmesso ai bambini; ma in ultima analisi anche nelle famiglie meno istruite, ugualmente, rapporti di solidarietà, di buon senso, di ancoraggio a tradizioni laiche e religiose che siano, comunque sganciate dai dettami del mercato capitalistico, generano una autocoscienza strutturata e meno favorevole all'asservimento. 

E' quindi vero che la ristrutturazione capitalistica rimette in gioco un certo carattere solidaristico dell’istituzione familiare. Ma che dividere un salario o una pensione allo scopo di far sopravvivere chi non trova lavoro sia un’azione di “resistenza” all’ideologia capitalistica non è certo sostenibile, si tratta di un semplice stato di necessità. Restare in famiglia, o meglio essere costretti a restarvi perché non si percepisce un salario, sia pur basso e precario, è un’umiliazione. 

La crisi della famiglia non è stata un fatto casuale ma dovuta all'uso delle macchine (meno braccia), e dallo stato sociale che si sostituiva ad essa. 

Nonostante tutto questo è anche vero che, le famiglie sono state, nel secondo dopoguerra, l’elemento portante dello sviluppo basato sulla produzione in forma capitalistica dei beni di consumo: elettrodomestici, automobili, vacanze, alimentazione ecc. Quindi totalmente inserite nel "progetto" del nuovo modello economico. 

sabato 15 gennaio 2022

È la contraddizione che muove il mondo - Vladimiro Giacché

Da: a/simmetrie - https://asimmetrie.org - Testo della lectio al convegno Euro, mercati, democrazia e… conformismo EMD 2020, svoltosi a Montesilvano (PE) nei giorni 17 e 18 ottobre 2020. - Vladimiro Giacché, è un filosofo e saggista italiano Si è occupato e si occupa principalmente di economia finanziaria e politica, storia dell'economia e della filosofia, con particolare riferimento all'idealismo tedesco e alla tradizione del marxismo. È Responsabile Studi e Marketing Strategico presso la Banca del Fucino (Gruppo Bancario Igea Banca)

Su Hegel politico. - Stefano Garroni -

Hegel e noi - Norberto Bobbio

Due paragrafi da Hegel*- Paolo Di Remigio 

Critica, capitale e totalità - Roberto Finelli

Vedi anche: " Hegel "- Vittorio Hosle 

"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/


                                                                              


1. Una fine e un inizio

«La fine di qualcosa»: così il grande pianista canadese Glenn Gould, rivolgendosi al pubblico prima dell’inizio di uno dei suoi più straordinari concerti, definì la musica di Bach. Il pensiero di Hegel rappresenta l’ultimo grande tentativo sistematico della storia della filosofia, un’ambizione che già la generazione di filosofi successiva abbandonò. Da questo punto di vista la filosofia hegeliana è davvero anch’essa «la fine di qualcosa». Ma d’altra parte è innegabile che il pensiero di Hegel abbia esercitato un’enorme influenza sui filosofi successivi. Alcuni aspetti della sua filosofia hanno esercitato un potente influsso sulla storia – non soltanto del pensiero – sino ai giorni nostri.  La filosofia di Hegel è quindi sia una fine che un inizio. Per questo motivo, e per un motivo più importante: perché, come vedremo più avanti, nel suo pensiero la fedeltà alla tradizione filosofica, la continuità rispetto a essa, si unisce a un forte elemento di rottura, nientemeno che rispetto a un principio cardine della tradizione filosofica quale quello di identità.

Il pensiero di Hegel, al pari di quello di tutti i grandi pensatori, fa parte del patrimonio culturale dell’umanità. Allo stesso modo di un monumento storico, di un dipinto, di un brano musicale. In quanto tale, fa parte di una storia. Ma il suo significato non si esaurisce in essa, eccede ogni interpretazione – e proprio per questo è in grado di parlare a generazioni diverse, di divenire alimento di un nuovo pensiero. Il pensiero di Hegel fa parte anche di noi, perché è inserito nella tradizione culturale in cui noi stessi pensiamo. Talvolta ridotto a frammenti, a singoli concetti, a frasi isolate, ma comunque già presente in noi inconsapevolmente anche prima dell’inizio di ogni lavoro interpretativo. Del resto proprio Hegel, che pur negava che un singolo enunciato fosse in grado di esprimere una verità filosofica, aveva una spiccata capacità – sconosciuta ad altri filosofi – di condensare pensieri in brevi sentenze. Frasi come «Tutto ciò che è reale è razionale», «Il vero è il tutto», sono familiari anche a chi non abbia studiato approfonditamente il suo pensiero. Qui però ci soccorre un altro celebre detto hegeliano: «ciò che è noto, per ciò stesso non è conosciuto». Non possiamo dire di conoscere il significato di quegli enunciati se non siamo in grado di capire che cosa Hegel intendesse per «realtà», «razionalità», «verità» e «totalità». Anzi, proprio l’apparente familiarità con questi (e altri) concetti può essere fuorviante, non meno di quanto accada con certe parole straniere che hanno un suono simile alle nostre, ma un significato del tutto diverso. I traduttori chiamano queste parole «i falsi amici». Anche in filosofia dobbiamo guardarci dai «falsi amici».

Gli usi possibili di Hegel sono molti: nel suo pensiero si possono ricercare tanto l’istanza sistematica (ossia una lettura unitaria del mondo) quanto concetti utili per la comprensione della storia, tanto un’interpretazione delle scoperte scientifiche del suo tempo quanto una teoria dello Stato e della società. Ma una grande filosofia fa qualcosa di molto più importante di tutto questo: ridisegna il mondo, riconfigura il mondo, cambia il nostro modo di vederlo. Anche quando si parla degli strumenti per pensare che una filosofia ci pone a disposizione (quasi che si potesse usare il pensiero di un filosofo come si adopera un utensile), in fondo, se si parla seriamente, si parla di questo.

Su quali linee ridisegna il mondo Hegel? Quali sono le caratteristiche, i tratti caratterizzanti del suo pensiero?

sabato 15 ottobre 2016

Riflessioni su Foucault*- Paolo Di Remigio


Foucault e il liberalismo.

La sinistra è stata colta di sorpresa dal neoliberalismo; anziché riconoscerlo come un programma criticabile, lo ha scambiato per una svolta storica già accaduta, a cui rassegnarsi, a cui anzi i suoi capi hanno prestato i propri servizi in modo da averne la piccola ricompensa. Il grande merito delle lezioni del 1978-79 di Michel Foucault al Collège de France1 è di avere colto la natura di programma del neoliberalismo, rintracciandone la doppia radice nell'ordo-liberalismo tedesco della scuola di Friburgo degli anni ’20 e nel successivo anarco-liberalismo americano della scuola di Chicago, e narrandone con grande accuratezza la storia. Chi leggesse il libro potrebbe riconoscere nelle vecchie idee ordo-liberali non solo i principi ispiratori dell'Unione Europea, ma la sua stessa retorica; l'espressione «economia sociale di mercato», infine scivolata nel trattato di Lisbona, è stata coniata là, in polemica con l'economia keynesiana; l'adorazione ordo-liberale della concorrenza si è insinuata nel trattato di Lisbona come definizione della natura fortemente competitivadell’Unione Europea2; la stessa idea di reddito di cittadinanza che trasforma la disoccupazione inoccupabilità dei lavoratori ha la sua genesi nella scuola di Friburgo. Dall'anarco-capitalismo americano è invece influenzato, più che il moralismo europeista della competitività, il capitalismo post-keynesiano in generale, che pretende di fare dell'individuo, qualunque sia la sua condizione, un imprenditore, e della sua attività, qualunque essa sia, un'impresa3.

Non è il caso di riassumere il lavoro di Foucault: meglio leggerlo, anzi studiarlo, per trarne il quadro dell'ideologia neoliberale nella sua ossessiva pervasività; è invece il caso di chiedersi perché mai il libro non sia diventato né un segnale d'allarme né un'arma di lotta politica. La risposta può essere anticipata subito: Foucault condivide con il neoliberalismo e con il marxismo il suo presupposto più interno: l'identità di libertà e natura, ossia la concezione che la libertà sia una proprietà originaria dell'individuo fuori dal contesto politico, determinato cioè come naturale. Perché la sua indagine avesse risonanza politica, Foucault avrebbe dovuto esporre il neoliberalismo confrontandosi a fondo con la natura dello Stato, mettendo in questione non solo il liberalismo, ma lo stesso Marx, risalendo quindi a Hegel.

sabato 3 aprile 2021

Dall’essere all’idea. Le articolazioni decisive della "Logica" di Hegel - Paolo Vinci

Da: AccademiaIISF - Paolo Vinci è docente di Filosofia pratica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma. 

                                Prima parte: 
                                                     


                                                                                                                Seconda parte: 
                                                                  

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Leggi anche: 


sabato 10 settembre 2016

Un discorso di Hegel*

*Da:    http://www.badiale-tringali.it/

(Nel 1808 Hegel assunse l'incarico di rettore del Ginnasio di Norimberga. Nel settembre del 1809, a conclusione del primo anno scolastico, tenne il seguente discorso sul significato degli studi classici. Paolo Di Remigio ci propone questa traduzione commentata. Leggendola siamo stati colpiti dalla lucidità e dall'attualità delle parole di Hegel su cosa siano cultura ed educazione. Per questo ci sembra interessante proporvelo. Ringraziamo l'amico Di Remigio per questa opportunità. Il testo appare anche su "Appello al popolo". M.Badiale)


In occasione del conferimento solenne dei premi che l'Autorità Suprema conferisce agli alunni distintisi per i loro progressi al fine di gratificarli e ancor più di spronarli, sono incaricato da Graziosissimo Ordine di illustrare in un pubblico discorso la storia del Ginnasio nell'anno passato, e di toccare quegli argomenti di cui può essere utile parlare per la loro relazione al pubblico. L'invito alla deferenza con cui ho da compiere questo incarico è proprio della natura dell'oggetto e del contenuto, che consiste in una serie di liberalità del Re o di loro conseguenze, e la cui illustrazione implica la necessità di esprimere la più profonda gratitudine per esse –una gratitudine che, insieme al pubblico, mostriamo alla cura sublime che l'Autorità dedica agli Istituti pubblici di istruzione1. – Ci sono due rami dell'amministrazione pubblica per il cui buon ordinamento i popoli usano essere più di ogni altra cosa riconoscenti: buona amministrazione della giustizia e buoni istituti di istruzione; infatti soprattutto di questi due rami, dei quali uno tocca la sua proprietà privata in generale, l'altro la sua proprietà più cara, i suoi figli, il privato comprende e sente i vantaggi e gli effetti immediati, vicini e individualizzati.

Questa città ha riconosciuto il bene di un nuovo ordinamento scolastico con tanta più vivacità quanto maggiore e più universalmente sentito era il bisogno di un cambiamento2.

Il nuovo Istituto ha poi avuto il vantaggio di seguire Istituti non nuovi, ma antichi, durati più secoli; così gli è si potuta connettere la pronta rappresentazione di una lunga durata, di una permanenza, e la fiducia corrispondente non è stata disturbata dal pensiero opposto che il nuovo ordinamento sia qualcosa di soltanto fuggevole, di sperimentale, – un pensiero che spesso, in particolare quando si fissa negli animi di coloro ai quali è affidata l'esecuzione immediata, finisce con lo svilire di fatto un ordinamento a un mero esperimento3.

Un motivo interno di fiducia è però che, nel migliorare ed estendere essenzialmente il tutto, il nuovo Istituto ha conservato il principio dell'antico e ne è soltanto una prosecuzione. Ed è notevole che questa circostanza costituisca il caratteristico e l'eccellenza del nuovo ordinamento4.

domenica 26 febbraio 2017

Perché distruggere la scuola pubblica?*- Paolo Di Remigio

*Da:     http://www.badiale-tringali.it/
Vedi anche:    https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/02/sono-utili-le-prove-invalsi-giorgio.html


La vicenda della scuola pubblica italiana va inserita nella vicenda della repubblica: l'Italia è uno Stato non ancora emancipato dalla sconfitta nella seconda guerra mondiale, dunque a sovranità più o meno strettamente limitata dalle potenze vincitrici, cioè dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. Negli anni '90 la sua classe dirigente, abituata a un'ampiezza di movimento non più compatibile con i progetti neoconservatori statunitensi di impero globale, è stata liquidata e sostituita da avventizi alle dirette dipendenze dei poteri globali, che hanno occupato tutti i posti di gestione, dallo Stato alle banche, dai partiti ai sindacati, dai giornali ai pulpiti. Compito di questi proconsoli era la rinuncia a ogni sovranità dello Stato e l'attuazione di politiche economiche neoliberali; di qui l'adesione cieca alle più folli geopolitiche anglo-americane e la partecipazione autolesionistica al progetto europeo. Nel nome delle regole europee è stata smantellata l'economia mista; le imprese pubbliche che avevano portato l'Italia a diventare una delle maggiore potenze industriali sono state privatizzate; è stata ridotta la spesa pubblica; i servizi offerti dallo Stato sono diventati sempre più inefficienti e costosi per i cittadini; le pensioni così ridimensionate da dover essere integrate con la previdenza privata, le file d'attesa agli ospedali così lunghe da costringere a ricorrere alla sanità privata oppure a rinunciare a curarsi, la scuola pubblica così dequalificata da aprire la prospettiva di un'offerta di istruzione privata.

Lo Stato minimo implica la scuola minima. La scuola minima è quella che include, diverte, nonistruisce. Se istruisse non ci sarebbe spazio per la scuola privata e questo offende il primo articolo di fede dell'ideologia neoliberale: la superiore efficienza dell'impresa privata rispetto all'impresa pubblica. Modello delle politiche scolastiche europee è diventato così il sistema educativo anglosassone che combina una scuola pubblica gratuita, ma degradata al punto da dover disporre i 'metal detector' per arginare le violenze, con una scuola privata, che promette facile accesso al mondo del lavoro, ma costosa, per frequentare la quale ci si può indebitare per tutta la vita – un sistema fallimentare a parere unanime, denunciato ultimamente dal primo ministro May e dal presidente Trump; un sistema che non può funzionare perché la scuola privata su cui poggia trasforma in cliente l'alunno, gli dà dunque una prevalenza sull'insegnante che rende improponibile la severità e la fatica dell'imparare; un sistema che però consente un imponente giro d'affari: solo se la scuola pubblica diventa un ospizio, può nascere una domanda solvente di istruzione qualificata, cioè genitori disposti a pagarla per i loro figli; solo questa domanda può sostenere un'offerta di istruzione qualificata, cioè una scuola privata che non sia più soltanto confessionale o parassitaria della scuola pubblica, ma che costituisca il centro nevralgico del sistema di istruzione.

lunedì 26 settembre 2016

HEGEL, SCIENZA DELLA LOGICA (1812).*


Quanto segue traduce e commenta il primo capitolo di una delle opere filosofiche più importanti, di certo però la meno facile. Essa oppone infatti alla comprensione il suo stile unico. Mentre di solito gli scrittori espongono delle convinzioni e cercano di renderle credibili argomentandole e confutando quelle opposte, la «Scienza della logica» non propone tesi care al suo autore, ma quelle che si impongono o in forza della legge dell’inizio o come risultato di quanto le precede. Anziché poi argomentarle, Hegel si impegna a confutarle mostrando la contraddizione celata nella loro determinatezza: la dialettica è innanzitutto scetticismo. Non è soltanto scetticismo perché una tesi confutata, lungi dall’essere un nulla astratto, è dimostrazione della verità del proprio negativo. Questa capacità di riconoscere il positivo nel negativo, l’elemento virtuosistico della filosofia – ciò che Hegel chiama speculativo –, è però il culmine soltanto del micrometodo. Anche il negativo riconosciuto come positivo incorre infatti nella sua dialettica, da cui risulta infine un positivo che è negazione del negativo. La successione di positivo, negativo, negazione del negativo rappresenta il macrometodo, lo sviluppo completo di ogni concetto in cui si espone la scienza filosofica. Essa compone tre atteggiamenti che di solito si presentano come incompatibili: quello dogmatico di chi confida nei principi assoluti, quello scettico di chi riconosce soltanto la relatività e la mutevolezza, quello speculativo di chi intuisce la verità come concreta, come conciliarsi di opposti. Poiché ogni volta percorre questi tre paradigmi di pensiero, la filosofia hegeliana resta inafferrabile ai lettori irrigiditi nei loro punti di vista; ne nasce un rancore che la infama con le accuse di aridità, di ciarlataneria, di demenza. Soltanto uno sforzo di comprensione animato da impavida fiducia nella razionalità del testo può dissipare i pregiudizi generati dalle difficoltà ermeneutiche e renderne infine accessibile la debordante ricchezza teorica. 



HEGEL, SCIENZA DELLA LOGICA (1812).
Traduzione e commento del primo capitolo a cura di Paolo Di Remigio  

C a p i t o l o  p r i m o

lunedì 8 maggio 2017

Due paragrafi da Hegel*- Paolo Di Remigio




Due paragrafi dai ‘Lineamenti di filosofia del diritto’ di Hegel


Il fascismo e il liberalismo concordano nel presupporre l'esistenza di un contrasto insanabile tra persona e potere. Il fascismo sceglie il potere ed esclude il pluralismo dalla società annullando la persona; il liberalismo sceglie la persona, minimizza il potere e dissacra le leggi: come la sua epistemologia nega che esse determinino la prima natura così la sua etica rifiuta il valore della tradizione. È però destino delle ideologie contrastanti confluire l'una nell'altra: Popper non ha nascosto la sua simpatia per l'imperialismo, in particolare per quello anglo-sassone, von Mises, von Hayek e Friedman non hanno negato la loro vicinanza alla versioni liberali del fascismo. Il rifiuto liberale del potere dello Stato diventa condiscendenza ai poteri fattuali, proprio come nel fascismo lo svanire della persona conferisce alla gestione del potere un carattere personalistico.

Nell'avvicinarsi all'imperialismo e al fascismo, il liberalismo si allontana dalla realtà e sceglie la via della calunnia dello Stato e dei suoi teorici – Platone, Aristotele, Hegel. Così gli Stati-nazione sono ridotti ad inizi tribali della civiltà, mentre questa è identificata con la forma di impero. La minima informazione storica mostra però che gli Stati sorgono contro gli imperi, contro i privilegi che una etnia vi gode rispetto alle altre. Gli Stati moderni sorgono dall'estinguersi dell'impero medievale; gli ultimi Stati nazionali europei sorgono contro l'impero austro-ungarico, gli Stati nei continenti non europei si formano liberandosi dagli imperi coloniali. È dunque falso retrocedere lo Stato-nazione al tribalismo e credere che l’impero sia garanzia della persona; proprio nella sua società multiculturale si radica il razzismo che i liberali cercano di attribuire allo Stato-nazione.

La parola ‘nazionalismo’ li aiuta a creare l'equivoco: essa non indica la formazione degli Stati-nazione, non il sottrarsi di un popolo alla dipendenza imperiale, come sarebbe lecito attendersi, ma concerne il periodo del tardo Ottocento, in cui alcuni Stati concorsero a costituirsi come imperi procurandosi un retroterra coloniale. ‘Nazionalismo’ è dunque sinonimo di ‘imperialismo’; proiettando però sulla natura dello Stato-nazione ciò che è proprio della natura dell'impero, questa parola toglie all'imperialismo liberale il suo impresentabile fardello e lo addossa allo Stato-nazione. Per un analogo equivoco oggi accade che l'umanitarismo anti-razzista sia uno degli strumenti con cui l'oligarchia liberale padrona dell'impero anglo-americano destabilizza gli Stati europei.

Lo Stato è la soluzione del contrasto tra potere e persona, dalla cui pretesa insuperabilità si generano il fascismo e il liberalismo. La concezione fascista del primato del potere contro la persona e la concezione liberale del primato della persona contro il potere sono però entrambe inconsistenti: come la polemica contro la persona per il potere ha per risultato il potere tirannico di una persona, così la polemica contro il potere per la persona porta alla stessa tirannia della persona privata sulle altre persone. In questa mutevolezza logica delle due concezioni opposte è contenuta, in forma negativa, la vera conciliazione tra potere e persona; la teoria hegeliana dello Stato, esposta nei due seguenti paragrafi dei Lineamenti di filosofia del diritto[1], ne determina il significato positivo.

martedì 6 febbraio 2024

La dialettica di Hegel NON È tesi-antitesi-sintesi - Lucio Cortella

Da: Lucio CORTELLA - Lucio Cortella è attualmente Professore ordinario di Storia della Filosofia presso il Dipartimento di Filosofia e Beni culturali dell'Università Ca' Foscari di Venezia. (https://www.unive.it/data/persone/5591041/curriculum



Che cos'è la dialettica di Hegel? Come funziona? Dov'è il luogo fondamentale in cui Hegel ne parla? Perché si è diffusa la concezione (falsa) che la dialettica hegeliana sia tesi-antitesi-sintesi? Che ruolo ha la contraddizione? L'unità degli opposti elimina la contraddizione?