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martedì 2 agosto 2022

"La messa in scena come metodo della politica occidentale" - S.V. Lavrov

 Da: https://www.facebook.com/ambrusitalia - Articolo di S.V. #Lavrov, Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa, per il Centro internazionale d'Informazione “Izvestia”, 18 luglio 2022. 

Leggi anche: L’industria della menzogna quale parte integrante della macchina di guerra dell’imperialismo - Domenico Losurdo (2013) 

Quale idea di Occidente? Un’analisi filosofica del conflitto - Vincenzo Costa

Oggi, le Forze armate russe e le milizie della #DNR (Repubblica Popolare del #Donbass) e della #LNR (Repubblica Popolare di #Lugansk) stanno risolutamente svolgendo i propri compiti nel quadro dell’operazione militare speciale (OMS), cercando di porre fine alla palese discriminazione e al genocidio dei russi e di eliminare le minacce dirette alla sicurezza della Federazione Russa create, nel corso degli anni, dagli #StatiUniti e dai loro satelliti sul territorio ucraino. Poiché stanno perdendo sul campo di battaglia, il regime ucraino e i suoi patroni occidentali non esitano a inscenare "bagni di sangue" per demonizzare il nostro Paese presso l'opinione pubblica internazionale. Ci sono già stati #Bucha, #Mariupol, #Kramatorsk e #Kremenchuk. Il Ministero della Difesa russo, fatti alla mano, avverte ogni volta che si sta preparando la messa in scena di nuovi incidenti. 

Le scene provocatorie messe in atto dall'Occidente e dai suoi tirapiedi hanno una firma riconoscibile. Scene, peraltro, che non sono iniziate in #Ucraina, ma molto prima. 

martedì 24 luglio 2018

Sovranismo e keynesismo - Alessandra Ciattini

Da; https://www.lacittafutura.it -  Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 




Spesso il sovranismo si coniuga con il keynesismo, ma cosa può scaturire da questo matrimonio? 



Anche chi sfoglia distrattamente i giornali avrà potuto osservare che c’è un gran parlare di sovranismo e di antisovranismo; il primo visto come un mostro, un pericolo, un disastro dal Sole 24 ore e dal Corriere della sera [1]; il secondo considerato dai vari movimenti di cui abbiamo parlato la volta precedente la causa dei mali prodotti dalla mondializzazione, che ha spezzato le frontiere lasciando via libera ai capitali, alle merci e alle persone.
Per esempio, in un articolo del 25 febbraio scorso di S. Fabbrini (Sole 24 ore), paventando la costituzione dopo il 4 marzo di un governo sovranista, si analizzano le varie sfumature di questa posizione politica, che si nutre a suo parere di una cultura antipluralista e perciò autoritaria. Inoltre, Fabbrini analizza le varie forme di sovranismo, il cui obiettivo è la revisione dei Trattati europei, non sicuramente l’uscita dall’eurozona, attribuendone anche una modalità a LeU, considerata addirittura “sinistra radicale”.
Nel Corriere della sera è, invece, l’eterno Angelo Panebianco a tuonare contro il sovranismo, che con straordinaria miopia politica attribuisce al fatto che le nuove generazioni non hanno vissuto i grandi traumi delle guerre mondiali e, quindi, non si rendono conto che eventuali frammentazioni sovraniste riporterebbero alla ribalta tali tragedie. 

mercoledì 18 settembre 2019

La Rivoluzione Russa - Luciano Canfora

Da: Elisa - Luciano Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano.
Vedi anche: Cosa resta dell’Utopia col passaggio del secolo - Luciano Canfora 
                         Rivoluzione socialista e Rivoluzione anticoloniale - Domenico Losurdo 
                             DEMOCRAZIA E RIVOLUZIONE - Bertrand Russel
 
   "... E quando parlo di socialismo, non penso ad un sistema all'acqua di rose, ma ad una trasformazione completa, da cima a fondo, quale Lenin ha tentato. Se la sua vittoria è necessaria alla pace, dobbiamo consentire ai mali provocati dalla lotta, nella misura in cui la lotta ci è imposta dal capitalismo. 
     ... Se io abitassi in Russia, mi metterei ai servizi dello Stato operaio."
(Bertrand Russel, Democrazia e Rivoluzione, L'Ordine Nuovo, N.15 / N.18 -http://www.centrogramsci.it/riviste/nuovo/ordine%20nuovo%20p5.pdf,) - (https://www.resistenze.org/sito/ma/di/ds/mdds-on215.pdf)

                                                                      

Di seguito, Rivoluzione Russa e decolonizzazione: https://www.youtube.com/watch?v=T5D1ZieJ0Kc
                     La non rivoluzione in occidente: https://www.youtube.com/watch?v=S5_9M6k4J4Q
                         Il populismo: https://www.youtube.com/watch?v=Z2alaz4VVdw

martedì 7 aprile 2020

La fortuna del Manifesto di Marx/Engels in Italia — Luciano Canfora

Da: Andrea Cirla -  Luciano Canfora è un filologo classico, storico e saggista italiano.
Vedi anche:  La Rivoluzione Russa - Luciano Canfora 
                      Che cosa resta del comunismo? - Luciano Canfora, Sergio Romano -
                      Cosa resta dell’Utopia col passaggio del secolo - Luciano Canfora - 
                      Rivoluzione socialista e Rivoluzione anticoloniale - Domenico Losurdo 

                                                                           

Convegno "Marx in Italia. Edizioni, interpretazioni e influenze".
Evento organizzato da Fondazione Istituto Gramsci Onlus e Istituto della Enciclopedia Italiana Giovanni Treccani.

domenica 8 novembre 2020

50 anni di relazioni (Italia-Cina) ed un futuro tutto da scrivere - Francesco Maringiò

Da: http://italian.cri.cn - https://www.marx21.it - Francesco Maringiò, Presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta e curatore del libro "La Cina nella Nuova Era, Viaggio nel 19°Congresso del PCC", LA CITTA' SEL SOLE 

Ascolta anche: Alessandra Ciattini intervista Francesco Maringiò - USA vs Cina - La visita di Mike Pompeo in Asia (https://www.spreaker.com/user/11689128/051120-pompeo-in-asia-maringio-online-au?fbclid=IwAR3S2qsE_g9AHuLFXkkvWwlYyfngy76WX8tJKUjnwsHlCl2UEyYQ1lVjk2I)

Leggi anche: La Cina corre... 

- La Nuova Era cinese tra declino Usa e debolezze Ue - 

I rischi della guerra economica Usa-Cina - Vincenzo Comito

La nuova via della seta. Un progetto per molti obiettivi - Vladimiro Giacché

La Cina nel processo di globalizzazione*- Spartaco A. Puttini

Questioni relative allo sviluppo e alla persistenza nel socialismo con caratteristiche cinesi - Xi Jinping

Una teoria del miracolo cinese*- Cheng Enfu, Ding Xiaoqin**

La trappola di Tucidide - Andrea Muratore

"Cina 2013" - Samir Amin

L'Occidente arretrato e l'Oriente avanzato*- Emiliano Alessandroni

Giovanni Arrighi, “Adam Smith a Pechino” - Alessandro Visalli

Cos’è davvero la Cina? - Intervista a Domenico Losurdo

L’economia reale è sulla Via della seta - Pino Arlacchi

Vedi anche: - OLTRE LA GRANDE MURAGLIA. LA CINA E' DAVVERO UN PERICOLO? -

LA CINA SPIEGATA BENE - Michele Geraci

L’Italia e la Cina hanno avviato scambi culturali già dal II sec. a.C.: la prima legazione romana in Cina fu registrata nel 166 a.C., sessant'anni dopo le spedizioni del generale Ban Chao e l’invio di un emissario a Da Qin, esonimo con cui i cinesi indicavano l’impero romano. Questa affascinante storia si è poi arricchita di altre straordinarie gesta che sono diventate leggendarie non solo per la storia dei due paesi, ma per il confronto stesso tra Oriente ed Occidente.

È con questo importante bagaglio storico che quest’anno celebriamo il cinquantesimo delle relazioni bilaterali tra i due paesi. È una tappa importante, che merita non solo di essere approfondita tra gli esperti ma sperimentare una riflessione più vasta, come quella che sta promuovendo questa prestigiosa rivista a cui sono grato per l’invito rivoltomi a svolgere alcune riflessioni.

Possiamo individuare cinque diverse fasi nel rapporto diplomatico tra Italia e Cina: 1) dalla fondazione della RPC allo stabilimento delle relazioni nel 1970, 2) dall’apertura dell’Ambasciata italiana a Pechino ai primi anni ’90, 3) dalla fine della Prima Repubblica in Italia (1992) alla firma della partnership strategica (2004), 4) da questa al 18° Congresso del PCC ed infine 5) la fase attuale, ancora tutta da scrivere.

La prima fase (non ufficiale) delle relazioni ha posto le basi per la normalizzazione dei rapporti ed il riconoscimento della RPC e del suo governo. Sono stati anni importanti di contatti e relazioni che ci danno la percezione del lungo embargo diplomatico a cui è stato sottoposto il gruppo dirigente cinese. Alla Repubblica Popolare in quegli anni veniva negato anche il seggio alle Nazioni Unite (vi entrerà nel 1971). Il riconoscimento italiano ha favorito il percorso di riconoscimento di Pechino nella comunità internazionale.

Con l’apertura dell’Ambasciata d’Italia in Cina (1970) è iniziata per il Belpaese una fase pioneristica di conoscenza e comprensione della realtà cinese, così profondamente cambiata dall’epoca delle concessioni e della terribile esperienza coloniale. Sono stati anni intensi che hanno permesso di cogliere anche la portata delle trasformazioni che la Politica di Riforme ed Apertura aveva cominciato a produrre.

I primi anni ’90 sono stati invece un passaggio di fase molto delicato per l’Italia: lo sgretolamento dei partiti tradizionali ed i cambiamenti internazionali con la fine del mondo bipolare hanno innescato una lunga fase di transizione ed incertezza, con ripercussioni anche nelle relazioni tra i due paesi e relative occasioni mancate ed opportunità perse. La svolta si è avuta con la firma del Partenariato Strategico che ha costruito un meccanismo permanente di dialogo tra Italia e Cina. Questo avvenimento ha incentivato gli investimenti diretti esteri italiani nel paese asiatico (appena entrato nel WTO), migliorando la percezione in patria delle trasformazioni in corso e delle opportunità che si presentavano per la comunità internazionale: sono l’economia ed il commercio a suscitare principale interesse all’estero.

Questa percezione muta con il 18° Congresso del PCC e le riforme adottate: la Cina entra in una fase di “nuova normalità” modificando completamente le direttrici strategiche del suo sviluppo economico, diventa sempre più un attore globale grazie al contributo fornito alla cooperazione internazionale ed alla politica di sicurezza e, non da ultimo, si fa portatrice di una iniziativa globale che, sotto il nome di Belt and Road Initiative, è destinata ad avere un impatto sullo sviluppo di tutta l’area eurasiatica e del mondo intero. Da questo momento la classe dirigente italiana ha capito che non si poteva più restringere il campo della cooperazione bilaterale con la Cina ai soli dossier commerciali e che bisognasse dare vita ad una relazione omnicomprensiva, riguardante tutti gli aspetti centrali della diplomazia, dell’economia e della cultura. È per queste ragioni che i settori più accorti del paese hanno lavorato per giungere alla firma del Memorandum of Understanding del marzo del 2019, attestando l’Italia a primo paese del G7 ad entrare nel club delle nazioni aderenti alla BRI.

Tuttavia questa consapevolezza non è ancora pienamente matura in tutta la società italiana, complice l’assenza di interessi radicati e capaci di strutturare una strategia nazionale condivisa, assieme ad una percezione esatta di cosa sia oggi la Cina contemporanea. Per queste regioni si sente l’esigenza, oggi più di ieri, della nascita di un pensatoio strategico comune tra i due paesi, capace di costruire e sedimentare un insieme di visioni ed esigenze in grado di essere raccolte dalla classe imprenditoriale e politica ed essere trasformate in una proposta strategica di grande visione prospettica.

Mentre si staglia all’orizzonte il pericolo di una recrudescenza delle relazioni internazionali, si apre un nuovo spazio di manovra per paesi che vogliono ambire ad operare attivamente per scrivere un futuro di pace e cooperazione. E l’Italia può ambire ad operare un ruolo importante in questa direzione. Anche per questo abbiamo bisogno che nasca questa fucina di idee, capace di corroborare il lavoro diplomatico ed istituzionale tra due paesi che, per storia e cultura, sono destinati a scrivere pagine importanti di mutua cooperazione e sincera amicizia.

giovedì 9 giugno 2022

Holodomor: nuovo avatar dell’anticomunismo “europeo” - Annie Lacroix-Riz

Da: www.historiographie.info/arch/holodomor08.pdf - Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare. 

Annie Lacroix-Riz, docente di Storia contemporanea all’Università di Parigi 7

Leggi anche: Annie Lacroix-Riz: "C'è un contesto storico che spiega perché la Russia è stata messa all'angolo"  

L'Holodomor, la propaganda liberale e le rimozioni storiche dell'Occidente [1] - Domenico Losurdo


Dal novembre 1917 si sono succedute senza tregua campagne antibolsceviche tanto violente quanto diverse, ma quella della “carestia in Ucraina” lanciata nel 1933 ha da vent' anni preso il sopravvento. Si scatena quando i grandi imperialismi, Germania e Stati Uniti in testa, bramosi dopo il diciannovesimo secolo di saccheggiare le immense risorse dell'Ucraina, pensano di riuscirci. La congiuntura sorride al Reich nel 1932-1933, quando il sud dell'URSS (Ucraina ed altre “terre nere”, il nord del Caucaso e del Kazakistan) venne colpito da un considerevole abbassamento dei raccolti e l'insieme dell'Unione ha difficoltà di approvvigionamento che portarono al ritorno di un rigoroso razionamento. Grave “scarsità”, soprattutto durante il periodo di “soudure” (tra i due raccolti) non specificamente ucraina, secondo la corrispondenza diplomatica francese; “carestia” ucraina secondo i rapporti del 1933-1934 dei consoli tedeschi ed italiani, utilizzati dagli Stati o dai gruppi impegnati nella secessione dell'Ucraina: Germania, Polonia, con il maggiore centro di agitazione a Lwow [Leopoli - in Polonia fino al 1939, ndr], e il Vaticano.

Questa scarsità o questa carestia dipendevano da fenomeni naturali e sociopolitici: una siccità catastrofica fu raddoppiata negli effetti a causa del crescente rifiuto delle consegne (compreso l’abbattimento del bestiame), nel corso degli anni venti, da parte dei vecchi kulaki (i contadini più ricchi) ribelli verso la collettivizzazione. Questa frazione, in lotta aperta contro il governo sovietico, costituiva, in Ucraina, una delle basi del sostegno all’”autonomismo”, velo semantico della secessione, a favore del Reich, della regione agricola regina delle “terre nere” ed inoltre il primo bacino industriale del paese.
 
L'appoggio finanziario tedesco, massiccio prima del 1914, si era intensificato durante la Prima Guerra mondiale, nel corso della quale la Germania trasformò l'Ucraina, come i Paesi Baltici, in una base economica, politica e militare dello smantellamento dell'impero russo. La Repubblica di Weimar, fedele al programma di espansione del Kaiser, continuò a finanziare l'autonomismo ucraino. Gli hitleriani fissarono, al loro arrivo al potere, il piano per impadronirsi dell'Ucraina sovietica, e tutto l'autonomismo ucraino (beneficiario di risorse poliziesche, diplomatiche e militari), si riunì tra 1933 e 1935 intorno al Reich, allora più cauto nelle sue mire sul resto dell'Ucraina.

venerdì 2 luglio 2021

Sulla Cooperazione - Vladimir Lenin (1923)

Da: https://www.marxists.org - [Archivio Lenin] - 
Pubblicato nella Pravda, nn. 115 e 116, 26 e 27 maggio 1923. Trascritto dall'Organizzazione Comunista Internazionalista (Che fare) e da Pagine rosse, Gennaio 2003

Leggi anche: Sulla NEP e sul capitalismo di Stato* - Lenin 

Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché 

Socialismo di mercato” - Gianfranco Pala 

L’ACQUA PESANTE E IL BAMBINO LEGGERO*- Gianfranco Pala 

Come usare il capitalismo nell'ottica del socialismo - Deng Xiaoping 

Questioni relative allo sviluppo e alla persistenza nel socialismo con caratteristiche cinesi - Xi Jinpin

Cos’è davvero la Cina? - Intervista a Domenico Losurdo 

Sulla dibattuta natura della società cinese - Alessandra Ciattini

Vedi anche: Socialismo con caratteristiche cinesi 


I

Mi pare che da noi non si stimi abbastanza la cooperazione. Non tutti comprenderanno che ora, dopo la rivoluzione d'Ottobre e indipendentemente dalla Nuova politica economica (al contrario, a questo riguardo dobbiamo dire: proprio grazie alla Nuova politica economica), la cooperazione acquista da noi un'importanza del tutto esclusiva. I sogni dei vecchi cooperatori abbondano di chimere. Essi sono sovente ridicoli, con le loro fantasticherie. Ma in che consiste la loro irrealtà? Nel non comprendere l'importanza principale, radicale della lotta politica della classe operaia per l'abbattimento del dominio degli sfruttatori. Ora quest'abbattimento da noi ha avuto luogo, ed ora molto di quanto sembrava fantastico, perfino romantico, perfino banale nei sogni dei vecchi cooperatori, diventa una realtà delle più autentiche.

Infatti, da noi, una volta che il potere dello Stato è nelle mani della classe operaia, una volta che a questo potere dello Stato appartengono tutti i mezzi di produzione, da noi, effettivamente, non ci resta che da organizzare la popolazione in cooperative. Nelle condizioni di un massimo raggruppamento della popolazione nelle cooperative, si arriva automaticamente a quel socialismo, che prima aveva suscitato un'ironia legittima, dei sorrisi, del disprezzo fra le persone convinte a giusta ragione della necessità della lotta di classe, della lotta per il potere politico, ecc. Ed ecco che non tutti i compagni si rendono conto dell'importanza gigantesca, incommensurabile che acquista ora per noi l'organizzare la popolazione della Russia in un sistema di cooperative. Con la Nep abbiamo fatto una concessione al contadino in quanto mercante, al principio del commercio privato; appunto da ciò deriva (contrariamente a quanto si crede) l'importanza gigantesca della cooperazione. In sostanza, l'organizzare in misura sufficientemente ampia e profonda la popolazione russa in cooperative nel periodo della Nep, è tutto quanto ciò occorre, dato che ora abbiamo trovato quel grado di coordinazione dell'interesse privato, dell'interesse commerciale privato, con la verifica, e con il controllo da parte dello Stato, quel grado di subordinazione dell'interesse privato all'interesse generale che prima rappresentava un ostacolo insormontabile per molti, per moltissimi socialisti. In realtà, il potere dello Stato su tutti i grandi mezzi di produzione, il potere dello Stato nelle mani del proletariato, l'alleanza di questo proletariato con milioni e milioni di contadini poveri e poverissimi, la garanzia della direzione dei contadini da parte del proletariato, ecc., non è forse questo tutto ciò che occorre per potere, con la cooperazione, con la sola cooperazione, che noi una volta consideravamo dall'alto in basso come affare da bottegai e che ora, durante la Nep, abbiamo ancora il diritto, in un certo senso, di considerare allo stesso modo, non è forse questo tutto ciò che è necessario per condurre a termine la costruzione di una società socialista integrale? Questo non è ancora la costruzione della società socialista, ma è tutto ciò che è necessario e sufficiente per condurre a termine la costruzione.

Ed è appunto questa condizione che viene sottovalutata da molti dei nostri attivisti nel loro lavoro pratico. Da noi si guarda la cooperazione con disprezzo, non comprendendo l'importanza esclusiva che ha la cooperazione, anzitutto, dal punto di vista di principio (i mezzi di produzione appartengono allo Stato), in secondo luogo, dal punto di vista del passaggio a un ordine nuovo per la via più semplice, facile e accessibile ai contadini.

mercoledì 3 novembre 2021

IMPERIALISMO E SOCIALISMO IN ITALIA - Vladimir Lenin (1915)

Da: https://contropiano.org/documenti/2018/11/03/il-centenario-del-grande-massacro-non-ce-nulla-da-festeggiare- Pubblicato sul «Kommunist» N° 1-2, 1915 [LENIN, Polnoe sobranie sočinenij, 5°ed., Moskva 1962; vol. 27, pagg.14-23 – traduzione di fp]. 

Leggi anche: Lenin - Opere complete - https://www.marxists.org - [Archivio Lenin] -

La conferenza delle sezioni estere del Partito operaio socialdemocratico russo - Vladimir Lenin  https://www.marxists.org/italiano/lenin/1915/primav/posdrest.htm 

Il socialismo e la guerra - Vladimir Lenin (1915) 

Marxismo e revisionismo - Vladimir Lenin (1908) 

Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale*- Vladimir Lenin (1917) 

Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale - Lenin

Esiste oggi un imperialismo europeo? - Domenico Losurdo 

Socialismo e rivoluzione nella concezione di Rosa Luxemburg - Lelio Basso 


Per l’interpretazione di quelle questioni che l’attuale guerra imperialista ha posto di fronte al socialismo, non è superfluo gettare uno sguardo sui diversi paesi europei, per imparare a isolare le modificazioni nazionali e i dettagli del quadro complessivo, da ciò che è basilare e sostanziale. Dal di fuori, dicono, le cose sono più evidenti. Perciò, quante meno analogie tra Italia e Russia, tanto più interessante, sotto certi aspetti, è paragonare imperialismo e socialismo in entrambi i paesi.

Nella presente nota abbiamo intenzione soltanto di evidenziare il materiale che offrono su questa questione le opere, uscite dopo l’inizio della guerra, del professore borghese Roberto Michels: «L’imperialismo italiano» e del socialista T. Barboni: «Internazionalismo o nazionalismo di classe?» (Il proletariato d’Italia e la guerra europea ). Il ciarliero Michels, rimasto superficiale come nelle altre sue opere, sfiora appena il lato economico dell’imperialismo, ma nel suo libro è raccolto un materiale di valore sulle origini dell’imperialismo italiano e su quel passaggio che costituisce la sostanza dell’epoca contempo­ranea e che, in Italia, ha un particolare risalto e precisamente: il passaggio dall’epoca delle guerre di liberazione nazionale all’epoca delle guerre imperialiste di rapina e reazionarie. L’Italia democratico-rivoluzionaria, vale a dire rivoluzionaria-borghese che abbatteva il giogo dell’Austria, l’Italia dell’epoca di Garibaldi, si trasforma definitivamente sotto i nostri occhi nell’Italia che opprime altri popoli, che saccheggia Turchia e Austria, nell’Italia di una borghesia rozza, reazionaria in misura rivoltante, sporca, che sbava per la soddisfazione di esser stata ammessa alla spartizione del bot­tino. Michels, come ogni altro decoroso pro­fessore, reputa, s’intende, «obiettività scientifica», il suo servilismo di fronte alla borghesia e definisce questa divisione del bottino una «spartizione di quella parte del mondo rimasta ancora nelle mani dei popoli deboli» ( p. 179). Respingendo in modo sprezzante, come «utopistico» il punto di vista di quei socialisti ostili a ogni politica coloniale, Michels ripete i ragionamenti di quanti ritengono che l’Italia «dovrebbe essere la seconda potenza coloniale», cedendo il primato alla sola Inghilterra, per densità di popolazione e vigore del movimento migratorio. Per quanto riguarda il fatto che in Italia il 40% della popo­lazione sia analfabeta, che ancor oggi vi scoppino rivolte per il colera, ecc. ecc., questi argomenti vengono contestati basandosi sull’esempio dell’Inghilterra: non era forse essa il paese della incredibile desolazione, dell’abiezione, della morte per fame delle masse operaie, dell’alcolismo, della miseria e della sozzura mostruose nei quartieri poveri delle città, nella prima metà del XIX secolo, quando la borghesia inglese gettava con così grande successo le basi della propria attuale potenza coloniale?

sabato 5 agosto 2017

Le ipocrisie dell’ideologia liberale e il cosiddetto odio di classe*- Gianni Fresu**

 *Da:  http://www.giannifresu.it    http://www.marx21.it    **Università di Urbino. Universidade Federal de Uberlandia (MG/Brasil). 
Nel parlamento brasiliano (ma la stessa discussione si sta insinuando anche in Europa) è stata presentata in questi giorni una proposta di legge finalizzata a punire penalmente l’apologia di comunismo, con la seguente argomentazione: “il comunismo avrebbe fatto un centinaio di milioni di morti”. Tralasciamo le considerazioni sulla natura grossolana di questa operazione, perché i simboli che si vorrebbero proibire (la falce e martello e i richiami alla tradizione teorica del socialismo) rappresentano un panorama incredibilmente variegato, non riducibile a una unica esperienza, all’interno del quale si situa con tutte le sue articolazioni la storia della lotta per l’emancipazione del mondo del lavoro. Nelle argomentazioni utilizzate si dice, “è necessario impedire l’istigazione all’odio e alla guerra di classe!” Farebbe sorridere, se non fosse tragica, un’affermazione simile, perché l’odio di classe è non solo istigato sul piano teorico ma concretamente praticato nelle nostre società occidentali, dall’alto verso il basso però. Come definire diversamente almeno quattro decenni di assedio ai diritti sociali e a quelli del mondo del lavoro tesi a favorire l’accumulazione dei capitali e la speculazione finanziaria? Come chiamare il vertiginoso aumento negli ultimi quaranta anni della forbice tra chi ha tanto (sempre sfacciatamente di più e in forme indecorosamente concentrate) e chi non ha nulla? Come classificare la sistematica spoliazione delle ricchezze dei cosiddetti Paesi “sottosviluppati” da parte di quelli ricchi, cui si aggiunge la beffa della limitazione della libera circolazione dei loro cittadini? Noi abbiamo avuto per secoli (e conserviamo ancora) il diritto di invaderli, sfruttarli e rapinarli, però non ai poveri del Sud del mondo non è concesso spostarsi dal deserto che abbiamo creato intorno a loro. Cosa sarebbe tutto questo se non odio e guerra di classe?
Si parla spesso in termini puramente retorici di libertà fondamentali, ma la prima di queste consiste nel diritto a non morire di fame, ignoranza e per assenza di cure sanitarie, dunque, se guardiamo alla realtà con una prospettiva meno edulcorata, possiamo tranquillamente affermare che queste sono negate alla stragrande maggioranza della popolazione mondiale.
Oramai è diventato un luogo comune citare la discutibile contabilità dei lutti fatta (all’ingrosso) nel famigerato “Libro nero del comunismo”, nel quale vengono compresi anche i morti per guerre e carestie in gran parte dei casi indotte dall’esterno. Sarebbe ora, credo, di scrivere pure un “Libro nero del liberalismo”, Domenico Losurdo ha fatto nei decenni questo lavoro attraverso una puntuale critica storica e filosofica,  manca  però un banale libro in cifre, di semplice ragioneria politica del capitalismo. Se, infatti, usassimo gli stessi parametri adottati da Stéphane Courtois &Co., quante centinaia di milioni di morti dovremmo imputare all’espansione mondiale delle nostre relazioni sociali borghesi? Proviamo solo a pensare: le conseguenze storiche dell’accumulazione originale del capitale sulle sterminate masse rurali cacciate dalle campagne trasfromate in moltitudini mendicanti nelle grandi periferie urbane; lo sterminio dei popoli nativi nel Nord e Sud America, Asia e Oceania; i morti dovuti alla miseria e allo sfruttamento coloniale occidentale in Africa, schiavismo compreso; le infinite guerre imperialiste condotte negli ultimi due secoli in ogni angolo del pianeta per rapinare le risorse dei “popoli incivili”. Un’ecatombe, ben occultata nei libri o nelle trattazioni divulgative sulla storia dell’umanità. Anche questo conferma un punto già colto da Marx e Engels nella metà dell’800: è proprio nel terreno delle ideologie il vero successo della società borghese, così l’aver trasformato il mondo in un grande cimitero è presentato come affermazione dei principi di libertà e civiltà sulla barbarie. Il paradosso storico è che, pur essendo maestri di ideologia, i grandi e piccoli teorici del liberalismo fanno della critica alle ideologie la propria battaglia più caratterizzante. La conferma della loro capacità egemonica è che la maggioranza delle persone, dotata anche di una buona cultura, ci crede e la riproduce più o meno consapevolmente.
“Nell’economia politica la cosiddetta accumulazione originaria del capitale svolge la stessa funzione del peccato originale nella teologia: Adamo dette un morso alla mela e con ciò il peccato colpì il genere umano. Se ne spiega l’origine raccontandola come aneddoto del passato. C’era una volta, in una età da lungo tempo trascorsa, da una parte una élite dirigente, intelligente e soprattutto risparmiatrice, e dall’altra c’erano gli sciagurati oziosi che  sperperavano tutto il proprio e anche di più. Però la leggenda del peccato originale teologico ci racconta come l’uomo sia stato condannato a mangiare il pane nel sudore della fronte; invece la storia del peccato originale economico ci rivela come mai vi sia della gente che non ha affatto bisogno di faticare. Fa lo stesso! Così è avvenuto che i primi hanno accumulato ricchezza e che gli altri non hanno avuto all’ultimo altro da vendere che la propria pelle. E da questo peccato originale data la povertà della gran massa che, ancor sempre, non ha altro da vendere fuorché se stessa, nonostante tutto il suo lavoro, e la ricchezza dei pochi che cresce continuamente, benché da gran tempo essi abbiano cessato di lavorare[1]
[1] K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica. Editori riuniti, Roma, 1997, pag. 777.

lunedì 21 dicembre 2020

Sulla dibattuta natura della società cinese - Alessandra Ciattini

   Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) insegna Antropologia culturale alla Sapienza di Roma.

Leggi anche: "Cina 2013" - Samir Amin

- La Nuova Era cinese tra declino Usa e debolezze Ue -

La Cina corre...

La nuova via della seta. Un progetto per molti obiettivi - Vladimiro Giacché

La Cina nel processo di globalizzazione*- Spartaco A. Puttini

Una teoria del miracolo cinese*- Cheng Enfu, Ding Xiaoqin**

Giovanni Arrighi, “Adam Smith a Pechino” - Alessandro Visalli

Come usare il capitalismo nell'ottica del socialismo - Deng Xiaoping

Cos’è davvero la Cina? - Intervista a Domenico Losurdo

Il comunismo nella storia cinese: riflessioni su passato e futuro della Repubblica popolare cinese*- Maurice Meisner**

IL VIRUS DELL'OCCIDENTE: la falsa alternativa tra democrazia liberale e sovranismo populistico, ovvero socialsciovinismo. - Stefano G. Azzarà

Vedi anche: LA CINA SPIEGATA BENE - Michele Geraci 

- OLTRE LA GRANDE MURAGLIA. LA CINA E' DAVVERO UN PERICOLO? -

Ascolta anche: L'o-Stato nel capitalismo - con Gianfranco Pala https://www.spreaker.com/user/11689128/lo-stato-nel-capitalismo-con-gianfranco-

 Il sistema economico-sociale cinese è probabilmente una forma di socialismo “di” o “con” mercato, la cui evoluzione può avere esiti diversi.


Scopo di questo articolo non è quello di svelare la natura della società cinese che, come mettono in evidenza Rémy Herrera e Zhiming Long (La Cina è capitalista? “Marx XXI”, 2020), nonostante tante dispute accese tra “esperti”, costituisce a tutt’oggi un “enigma” (p. 32). Più modestamente tenterò di dare conto dei contenuti di questo interessante volumetto, che individua nel sistema economico-sociale cinese elementi socialisti sia pure contraddittori, facendo un rapido parallelo con quanto è sostenuto in un’opera ben più densa, Il socialismo con caratteri cinesi. Perché funziona? di Zhang Boying, curato in italiano da Andrea Catone.

Una prima cosa interessante da mettere in evidenza è che, contrariamente a quanto si sostiene con insistenza in Occidente, lo straordinario sviluppo della Cina, che ne fa il principale oppositore degli Stati Uniti, non è avvenuto quarant’anni fa con l’apertura ai mercati, ma poggia su una civiltà che ha cinquemila anni di storia; inoltre, il ritmo accelerato di crescita del Pil, che ha fatto del paese asiatico “la fabbrica del mondo”, è cominciato prima della morte di Mao (1976), ossia quando il paese presentava tratti più nettamente socialisti (2020: pp. 33-34). [1] Inoltre, esso non è stato prodotto solo dal basso costo della manodopera, come comunemente si sostiene, ma anche dal minore costo delle risorse produttive fornite al sistema economico dalle imprese statali. Pertanto, essi sono bassi perché sotto il controllo statale (p. 67), il quale ha nelle sue mani anche il sistema bancario. 

Occorre anche notare che tale avanzamento industriale ed economico è avvenuto in un contesto internazionale molto difficile, dovuto all’embargo imposto dagli Stati Uniti e dai loro alleati nel 1952, e dalla successiva rottura delle relazioni di collaborazione con l’Unione sovietica (1960), senza scordare l’ormai quasi dimenticata guerra di Corea. Solo nel 1971 viene attribuito alla Cina il ruolo di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu prima ricoperto da Taiwan, Stato oggi riconosciuto solo da 17 paesi nel mondo. Dopo 15 anni di trattative, nel 2001 la Cina è stata ammessa all’Organizzazione mondiale del commercio, avendo accettato l’importazione di beni e servizi e l’avvio della transizione verso un’economia socialista di mercato.

Per comprendere il percorso intrapreso dall’ex impero celeste per assurgere al ruolo di superpotenza, non bisogna dimenticare il suo più grave problema rappresentato della questione agraria, la quale si pone in questi termini: essa deve nutrire quasi il 20% della popolazione mondiale con meno del 10% delle terre coltivabili disponibili nel nostro pianeta. Problema che è stato affrontato garantendo l’accesso alla terra per i contadini; garanzia che: “rimane, fino ad oggi, il contributo più prezioso dell’eredità rivoluzionaria” (p. 26).

Oggi la speranza di vita in Cina è di 74 anni, nel 2010 il tasso di alfabetizzazione ha raggiunto il 95%, negli ultimi trent’anni il Pil pro capite è quasi quadruplicato, la popolazione quasi raddoppiata, c’è stato un significativo sviluppo del sistema produttivo e delle infrastrutture, importanti avanzamenti si sono registrati anche nell’agricoltura. Le riforme intraprese a partire dal 1978 hanno ridisegnato il volto del paese asiatico al punto che “la natura del suo sistema non può più ormai esser definita in modo semplice, anche se ufficialmente il marxismo-leninismo [2] rimane l’ideologia di riferimento dello Stato” (pp. 28-29). 

I sostenitori del neoliberismo attribuiscono lo straordinario sviluppo della Cina grazie alla sua virata verso il capitalismo, anche se restano profondamente scandalizzati dal fatto che l’organizzazione politica e sociale del paese sta completamente nelle mani del Partito comunista, la cui egemonia non consentirebbe l’emergere della tanto amata democrazia liberale. Invece, i marxisti si trovano in grande disaccordo: chi vede nella Cina un nuovo faro socialista, chi considera il suo sistema “capitalismo di Stato”, chi critica le forti disuguaglianze che la crescita ha comportato.

venerdì 6 novembre 2020

La Rivoluzione d'Ottobre - Angelo d'Orsi

Da: Angelo d'Orsi - Angelo d'Orsi è professore ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. (https://www.facebook.com/angelo.dorsi.7)

Come funziona il Soviet*- John Reed 

LA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA 1917–1923. Il comunismo di guerra - Edward H. Carr

DEMOCRAZIA E RIVOLUZIONE - Bertrand Russel

La donna, la nuova morale sessuale e la prostituzione*- Joseph Roth

Rivoluzione d’Ottobre e democrazia*- Domenico Losurdo

Un “ponte sull’abisso”. Lenin dopo l’Ottobre*- Alexander Höbel 

La terra della rivoluzione d'Ottobre: un paese di donne in cammino verso l'emancipazione - Armağan Tulunay

Vedi anche: La Rivoluzione Russa - Luciano Canfora 

Il ricordo vivo del grande Ottobre - Andrea Catone


                                                                           

Davanti al grottesco spettacolo che ci giunge dalla patria della democrazia (già lodata da Tocqueville nel secolo XIX), davanti ai conteggi del voto, alle minacce di riconteggio, alla prospettiva di una Corte di nomina governativa che decide l'esito del "libero voto" (come del resto già accadde nello scontro fra Al Gore e Bush junior, decretato vincitore pur essendo stato sconfitto nelle urne) mi viene una nostalgia di Vladimir Ili'c, detto Lenin capace di bruciare i vascelli alle sue spalle, metttere fine alla farsa della Costituente, e ordinare l'assalto al Palazzo d'Inverno, il 7 novembre 1917. 

Del resto la rivoluzione non è un pranzo di gala (questo lo disse Mao Zedong); ma in quell'assalto praticamente non ci furono vittime, se non qualcuna fra gli assalitori. Le vittime, a centinaia di migliaia, giunsero dopo, in seguito alla guerra civile scatenata dalle forze reazionarie interne con l'aiuto delle potenze imperialistiche esterne. 

Certo, oggi è difficile pensare, in Occidente, come spiegava Gramsci, a una rivoluzione secondo il modello bolscevico, ossia l'assalto frontale; e ci si deve attrezzare per lavorare sul piano culturale e ideologico per conquistare l'egemonia, una controegemonia delle classi subalterne da contrapporre a quella delle classi borghesi. I proletari potranno così diventare prima classe dirigente, ossia egemonica ideologicamente e culturalmente, per poi diventare dominante, ossia capace di esercitare il potere nella società, avviandola al socialismo. 
 
Eppure ci sono fasi e momenti in cui una bella rivoluzione, una rivoluzione "come si deve", appare come la sola soluzione alla crisi. 

Naturalmente, non è all'ordine del giorno, mancano i soggetti, l'organizzazione, persino la cultura rivoluzionaria. Se non a chiacchiere. E proprio Lenin ci ha insegnato che è molto più dilettevole e utile provare a fare una rivoluzione che non teorizzare o discutere su di essa. Perciò chiudo qui il discorso. E invito a seguire l'ultima mia "lectio brevis" dedicata appunto alla Rivoluzione d'Ottobre.  (A. d'Orsi)