venerdì 2 luglio 2021

Sulla Cooperazione - Vladimir Lenin (1923)

Da: https://www.marxists.org - [Archivio Lenin] - 
Pubblicato nella Pravda, nn. 115 e 116, 26 e 27 maggio 1923. Trascritto dall'Organizzazione Comunista Internazionalista (Che fare) e da Pagine rosse, Gennaio 2003

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I

Mi pare che da noi non si stimi abbastanza la cooperazione. Non tutti comprenderanno che ora, dopo la rivoluzione d'Ottobre e indipendentemente dalla Nuova politica economica (al contrario, a questo riguardo dobbiamo dire: proprio grazie alla Nuova politica economica), la cooperazione acquista da noi un'importanza del tutto esclusiva. I sogni dei vecchi cooperatori abbondano di chimere. Essi sono sovente ridicoli, con le loro fantasticherie. Ma in che consiste la loro irrealtà? Nel non comprendere l'importanza principale, radicale della lotta politica della classe operaia per l'abbattimento del dominio degli sfruttatori. Ora quest'abbattimento da noi ha avuto luogo, ed ora molto di quanto sembrava fantastico, perfino romantico, perfino banale nei sogni dei vecchi cooperatori, diventa una realtà delle più autentiche.

Infatti, da noi, una volta che il potere dello Stato è nelle mani della classe operaia, una volta che a questo potere dello Stato appartengono tutti i mezzi di produzione, da noi, effettivamente, non ci resta che da organizzare la popolazione in cooperative. Nelle condizioni di un massimo raggruppamento della popolazione nelle cooperative, si arriva automaticamente a quel socialismo, che prima aveva suscitato un'ironia legittima, dei sorrisi, del disprezzo fra le persone convinte a giusta ragione della necessità della lotta di classe, della lotta per il potere politico, ecc. Ed ecco che non tutti i compagni si rendono conto dell'importanza gigantesca, incommensurabile che acquista ora per noi l'organizzare la popolazione della Russia in un sistema di cooperative. Con la Nep abbiamo fatto una concessione al contadino in quanto mercante, al principio del commercio privato; appunto da ciò deriva (contrariamente a quanto si crede) l'importanza gigantesca della cooperazione. In sostanza, l'organizzare in misura sufficientemente ampia e profonda la popolazione russa in cooperative nel periodo della Nep, è tutto quanto ciò occorre, dato che ora abbiamo trovato quel grado di coordinazione dell'interesse privato, dell'interesse commerciale privato, con la verifica, e con il controllo da parte dello Stato, quel grado di subordinazione dell'interesse privato all'interesse generale che prima rappresentava un ostacolo insormontabile per molti, per moltissimi socialisti. In realtà, il potere dello Stato su tutti i grandi mezzi di produzione, il potere dello Stato nelle mani del proletariato, l'alleanza di questo proletariato con milioni e milioni di contadini poveri e poverissimi, la garanzia della direzione dei contadini da parte del proletariato, ecc., non è forse questo tutto ciò che occorre per potere, con la cooperazione, con la sola cooperazione, che noi una volta consideravamo dall'alto in basso come affare da bottegai e che ora, durante la Nep, abbiamo ancora il diritto, in un certo senso, di considerare allo stesso modo, non è forse questo tutto ciò che è necessario per condurre a termine la costruzione di una società socialista integrale? Questo non è ancora la costruzione della società socialista, ma è tutto ciò che è necessario e sufficiente per condurre a termine la costruzione.

Ed è appunto questa condizione che viene sottovalutata da molti dei nostri attivisti nel loro lavoro pratico. Da noi si guarda la cooperazione con disprezzo, non comprendendo l'importanza esclusiva che ha la cooperazione, anzitutto, dal punto di vista di principio (i mezzi di produzione appartengono allo Stato), in secondo luogo, dal punto di vista del passaggio a un ordine nuovo per la via più semplice, facile e accessibile ai contadini.

Appunto in ciò sta di bel nuovo l'essenziale. Una cosa è fantasticare in merito ad ogni sorta di associazioni operaie per edificare il socialismo; altra cosa è imparare praticamente a edificare questo socialismo in modo che ogni piccolo contadino possa partecipare a questa costruzione. Tale stadio noi l'abbiamo ora raggiunto. Ma è indubbio che, avendolo raggiunto, noi lo utilizziamo in modo troppo insufficiente.

Nel passare alla Nep, abbiamo esagerato non nel senso che abbiamo prestato troppa attenzione al principio dell'industria libera e del commercio libero, ma, nel passare alla Nep, abbiamo esagerato nel senso che abbiamo dimenticato di pensare alla cooperazione e che ora non l'apprezziamo sufficientemente e ne abbiamo cominciato già a dimenticare la gigantesca importanza nei due aspetti su indicati del suo significato.

Qui intendo intrattenermi col lettore su quanto praticamente si può e si deve subito fare, partendo da questo principio "cooperativo".

Con quali mezzi si può e si deve subito sviluppare questo principio "cooperativo", in modo da renderne chiaro ad ognuno la sua funzione socialista?

Bisogna porre politicamente la cooperazione in modo tale, che non soltanto le cooperative godano in generale e sempre di determinati vantaggi, ma in modo che questi vantaggi siano vantaggi puramente materiali (il saggio di interesse bancario, ecc.). È necessario concedere alle cooperative crediti statali in misura tale, che superino sia pure di poco i crediti concessi da noi alle aziende private, che si avvicinino ad esempio a quelli concessi all'industria pesante, ecc.

Ogni regime sociale sorge solo con l'appoggio finanziario di una classe determinata. È inutile ricordare quante centinaia e centinaia di milioni di rubli costò il sorgere del capitalismo "libero". Ora dobbiamo comprendere e mettere in pratica questa verità: che attualmente il regime sociale che dobbiamo appoggiare in modo straordinario è il regime cooperativo. Ma dobbiamo appoggiarlo nel vero senso della parola, cioè quest'appoggio non è sufficiente intenderlo come appoggio di una forma qualsiasi di cooperazione; quest'appoggio dev'essere inteso come appoggio di quella cooperazione, alla quale partecipano veramente le vere masse della Popolazione. Dare un premio al contadino che partecipa alla cooperazione, è una forma certamente giusta; ma contemporaneamente, bisogna verificare questa partecipazione, e verificare il grado di coscienza ed il pregio; ecco in che cosa sta il nocciolo della questione. Quando un cooperatore arriva in un villaggio e apre colà uno spaccio cooperativo, la popolazione, a dire il vero, non prende nessuna parte alla sua fondazione; ma, guidata dal proprio interesse, vorrà ben presto provare a parteciparvi.

Questo problema presenta anche un altro lato. Ci resta ben poco da fare, dal punto di vista di un europeo "civilizzato" (che sappia anzitutto leggere e scrivere), per costringere ognuno a partecipare, e a partecipare non in modo passivo, ma in modo attivo, alle operazioni cooperative. In sostanza ci è rimasta "soltanto" una cosa da fare: rendere la nostra popolazione talmente "civilizzata", ch'essa comprenda tutti i vantaggi che dà la partecipazione generale alla cooperazione, e che organizzi questa partecipazione. "Soltanto" questo. Ora non abbiamo bisogno di nessun'altro genere di saggezza per passare al socialismo. Ma per realizzare questo "soltanto", è necessario tutto un rivolgimento, tutta una tappa di sviluppo culturale di tutta la massa popolare. Perciò la nostra regola dev'essere: il meno possibile di artifici, il meno possibile di intricato. La Nep a questo riguardo rappresenta un progresso, nel senso che essa si adatta al livello del contadino più comune, che non esige da questi niente di superiore. Ma per ottenere a mezzo della Nep che assolutamente tutta la popolazione partecipi alle cooperative, per questo è necessaria un'intiera epoca storica. Se tutto va per il meglio, noi possiamo attraversare quest'epoca in uno o due decenni. Eppure questa sarà un'epoca storica speciale, e senza di essa, senza un'istruzione elementare generale, senza un grado sufficiente di comprensione, senz'aver abituato sufficientemente la popolazione a servirsi dei libri e senza una base materiale per questo, senza una certa garanzia, diciamo, contro il cattivo raccolto, la carestia, ecc., - senza tutto ciò, noi non raggiungeremo il nostro scopo. Tutto sta ora nel saper unire lo slancio rivoluzionario, l'entusiasmo rivoluzionario di cui abbiamo già dato prova, e dato prova in misura sufficiente e che abbiamo coronato da un successo completo, nel saperlo unire (qui sarei quasi propenso a dire) con la capacità di essere un mercante intelligente e colto, il che è del tutto sufficiente per un buon cooperatore. Per capacità di essere mercante, io intendo la capacità di essere un mercante colto. Se lo mettano bene in testa gli uomini russi o semplicemente i contadini che pensano: dal momento che commercia, significa che ha le capacità d'un mercante. Ciò è del tutto falso. Egli commercia, ma da questo alla capacità di essere un mercante colto, c'è una grande distanza. Egli commercia ora alla maniera asiatica, ma per saper essere un buon mercante, bisogna commerciare all'europea. Da ciò lo divide un'epoca intiera.

Concludo. Una serie di privilegi economici, finanziari e bancari alla cooperazione: in ciò deve consistere l'appoggio del nostro Stato socialista al nuovo principio di organizzazione della popolazione. Ma in questo modo il compito è prospettato soltanto in linee generali, perché resta ancora da precisare, da descrivere dettagliatamente tutto il suo contenuto pratico; ossia bisogna saper trovare la forma dei "premi" (e stabilire le modalità per il loro assegnamento) che noi concediamo per il lavoro in pro della cooperazione, la forma di premi con la quale si aiuti sufficientemente la cooperazione, la forma di premi con la quale si possano formare dei cooperatori colti. E il regime dei cooperatori inciviliti, data la proprietà collettiva dei mezzi di produzione, data la vittoria di classe del proletariato sulla borghesia, questo è il regime del socialismo.

4 gennaio 1923


II

Ogni qualvolta ho trattato l'argomento della Nuova politica economica, ho citato il mio articolo del 1918 sul capitalismo di Stato [1]. Ciò ha suscitato più volte i dubbi di alcuni giovani compagni. Ma i loro dubbi si riferivano soprattutto a problemi politici astratti.

Sembrava loro che non si potesse chiamare capitalismo di Stato un regime in cui i mezzi di produzione appartengono alla classe operaia e a questa classe operaia appartiene il potere dello Stato. Però essi non hanno notato che del termine "capitalismo di Stato" me ne son servito: in primo luogo, per stabilire il legame storico tra la nostra posizione attuale e la posizione da me presa nella polemica contro i cosiddetti comunisti di sinistra; e già allora ho dimostrato che il capitalismo di Stato sarebbe superiore al nostro regime economico attuale; per me l'importante era di stabilire il legame succedaneo del capitalismo di Stato abituale col capitalismo di Stato insolito, addirittura del tutto insolito, del quale parlai presentando al lettore la nuova politica economica. In secondo luogo, per me quel che è sempre stato importante, è l'obiettivo pratico. Ora, l'obiettivo pratico della nostra nuova politica economica consiste nell'ottenere delle concessioni; queste sarebbero già state indubbiamente nelle nostre condizioni un puro tipo di capitalismo di Stato. Ecco come io consideravo gli argomenti sul capitalismo di Stato.

Ma c'è ancora un aspetto del problema, nel quale possiamo aver bisogno del capitalismo di Stato o, almeno, di un confronto con esso. È quel che riguarda la cooperazione.

È indubbio che le cooperative, nelle condizioni di uno Stato capitalistico, sono istituzioni collettive capitaliste. È pure indubbio che, nelle condizioni della nostra realtà economica attuale, quando da noi coesistono delle aziende capitaliste private - non altrimenti però che sulla terra appartenente a tutta la società, e non altrimenti che sotto il controllo del potere di Stato appartenente alla classe operaia - e delle imprese di tipo socialista conseguente (quando i mezzi di produzione appartengono allo Stato, come il terreno su cui è impiantata l'azienda, e tutta l'azienda nel suo insieme), allora sorge ancora la questione di un terzo tipo di imprese, le quali, dal punto di vista di principio, non formavano prima un gruppo particolare, e precisamente: le aziende cooperative. In regime di capitalismo privato le aziende cooperative differiscono dalle aziende capitaliste, come le aziende collettive dalle aziende private. In regime di capitalismo di Stato le aziende cooperative si distinguono dalle aziende capitaliste di Stato, in primo luogo come aziende private, in secondo luogo come aziende collettive. Nel nostro regime attuale le aziende cooperative si distinguono dalle aziende capitaliste private in quanto sono aziende collettive, ma non si distinguono dalle aziende socialiste, perché sono fondate sulla terra e sui mezzi di produzione che appartengono allo Stato, cioè alla classe operaia.

Ecco una circostanza della quale da noi non si tiene sufficientemente conto quando si discute sulla cooperazione. Si dimentica che la cooperazione assume nel nostro paese, grazie alla particolarità del nostro regime statale, un'importanza del tutto esclusiva. Se si prescinde dalle concessioni, le quali, a proposito, non hanno avuto da noi uno sviluppo più o meno considerevole, nelle nostre condizioni la cooperazione coincide di regola completamente col socialismo.

Spiego il mio pensiero. In che cosa consiste l'irrealtà dei piani dei vecchi cooperatori, a partire da Robert Owen? Nell'aver sognato la trasformazione pacifica della società contemporanea mediante il socialismo, senza tener conto di una questione cardinale, come quella della lotta di classe, della conquista del potere politico da parte della classe operaia, dell'abbattimento del dominio della classe sfruttatrice. E perciò abbiamo ragione nel considerare questo socialismo "cooperativo" come del tutto fantastico, romantico e persino banale nel suo sogno di trasformare mediante la semplice organizzazione cooperativa della popolazione i nemici di classe in collaboratori di classe e la lotta di classe in pace di classe (cosiddetta pace civile).

È indubbio che, dal punto di vista del compito fondamentale d'oggigiorno, noi avevamo ragione, poiché, senza la lotta di classe per il potere politico nello Stato, non si può realizzare il socialismo.

Ma guardate come le cose sono mutate, ora che il potere dello Stato è nelle mani della classe operaia, che il potere politico degli sfruttatori è abbattuto e che tutti i mezzi di produzione (esclusi quelli che lo Stato operaio lascia volontariamente per un certo tempo e a certe condizioni di concessione agli sfruttatori) si trovano nelle mani della classe operaia.

Ora abbiamo il diritto di dire che il semplice sviluppo della cooperazione s'identifica per noi (salvo la "piccola" riserva sopra indicata) con lo sviluppo del socialismo. Contemporaneamente siamo obbligati a riconoscere che tutte le nostre opinioni sul socialismo hanno subito un cambiamento radicale. Questo cambiamento radicale consiste nell'aver dapprima posto il centro di gravità, e dovevamo porlo, sulla lotta politica, sulla rivoluzione, sulla conquista del potere, ecc. Ora invece il centro di gravità si sposta fino al punto di trasferirsi al pacifico lavoro organizzativo "culturale". Sono pronto a dire che per noi il centro di gravità si trasporta sul lavoro culturale, se non fossimo impediti dai rapporti internazionali, dall'obbligo di lottare per la nostra posizione su scala internazionale. Ma se lasciamo questo da parte e ci limitiamo ai rapporti economici interni, allora oggi il centro di gravità del nostro lavoro si porta veramente sul lavoro culturale.

Davanti a noi si pongono due compiti fondamentali, che costituiscono un'epoca. Si tratta del compito di trasformare il nostro apparato statale, che proprio non vale nulla e che abbiamo ereditato al completo dall'epoca precedente; in cinque anni di lotta non abbiamo modificato nulla seriamente in questo campo perché non ne abbiamo avuto il tempo, e non lo potevamo avere. Il nostro secondo compito consiste nel lavoro culturale per i contadini. E questo lavoro culturale fra i contadini ha come scopo economico appunto la cooperazione. Se potessimo riuscire a organizzare tutta la popolazione nelle cooperative, noi staremmo già a piè fermo sul terreno socialista. Ma questa condizione implica un tale grado di cultura dei contadini (precisamente dei contadini come una massa enorme), che è impossibile organizzare tutta la popolazione in cooperative senza una vera rivoluzione culturale.

I nostri avversari ci hanno detto più volte che noi intraprendiamo un'opera insensata, nel voler impiantare il socialismo in un paese che non è abbastanza colto. Ma si sono ingannati; noi abbiamo cominciato non da dove si doveva cominciare secondo la teoria (di ogni genere di pedanti), e da noi il rivolgimento politico e sociale ha preceduto il rivolgimento culturale, la rivoluzione culturale di fronte alla quale pur tuttavia oggi ci troviamo.

Ora a noi basta di compiere questa rivoluzione culturale per diventare un paese completamente socialista; ma per noi questa rivoluzione culturale comporta delle difficoltà incredibili, sia di carattere puramente culturale (poiché siamo analfabeti), che di carattere materiale (poiché per diventare colti è necessario un certo sviluppo dei mezzi materiali di produzione, è necessaria una certa base materiale).

6 gennaio 1923 Lenin 

Note

1. Lenin allude al suo articolo Sull'infantilismo di "sinistra" e sullo spirito piccolo-borghese (vedi Opere, vol. 27, pp, 293-322). 



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