Le modalità e l'esito di un concorso per la direzione del Centro di salute mentale di Trieste che fu già di Franco Basaglia, il “padre" della legge 180 che portò alla chiusura dei manicomi, hanno scatenato un'aspra polemica. C’è chi teme un attacco al modello che dirige la gestione della salute mentale in Italia e che rappresenta un punto di riferimento globale.
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mercoledì 7 luglio 2021
Salute mentale, turbolenze a nord-est - Federica Sgorbissa
Se in questi giorni vi è capitato di vedere citato con toni allarmanti il capoluogo del Friuli-Venezia Giulia, Trieste, addirittura sulle pagine di qualche quotidiano britannico (An unfolding nightmare, un incubo che si svela, titola “The Independent”) vi sarete chiesti che cosa stia capitando in questo lembo periferico del nostro paese. No, la bora non c’entra, questa volta la protagonista è un’altra specialità triestina: la salute mentale.
La vicenda in breve. Siamo alla fine di maggio: al concorso per la nomina del direttore del Centro di salute mentale (CSM) 1 di Trieste (noto ai locali come quello di “Barcola”, forse questo nome vi risuona) la prova orale ribalta l’iniziale graduatoria per curriculum dei tre candidati finali, mandando all’ultimo posto quello che era il primo e viceversa. Il 9 giugno viene confermata la nomina del primo in graduatoria, il medico Pierfranco Trincas, proveniente dai servizi di salute mentale di Cagliari, psichiatra con una specializzazione in ambito criminologico (così nel suo curriculum), che supera gli altri due candidati, ovvero Fabio Lucchi, che ha lavorato agli Spedali civili di Brescia, e Mario Colucci, da trent’anni al servizio del Dipartimento di salute mentale (DSM) di Trieste, un basagliano doc, per così dire.
Per la prima volta negli ultimi quarant’anni questa posizione sarà occupata da un medico che non fa capo alla tradizione triestina, quella inaugurata dallo psichiatra veneziano Franco Basaglia, autore della legge 180, che dal 1979 regola e dirige la gestione della salute mentale italiana. Subito divampa un'aspra polemica che si condensa in una lettera pubblicata (a più riprese) sulle pagine del quotidiano locale, “Il Piccolo”, firmata da alcuni ex direttori del DSM del Friuli-Venezia Giulia e da un gran numero di medici e personalità, nazionali e internazionali, in cui si denuncia un attacco al sistema della gestione della salute mentale. Da questa azione scaturisce anche una petizione internazionale on line da titolo “Save Trieste’s mental health system”. La vicenda approda anche fra le news del "British Medical Journal" (BMJ), oltre che, come già detto, su “The Independent”, complice il grande numero di medici e psichiatri britannici fra i firmatari della petizione.
Perché tanto sconcerto, preoccupazione e opposizione per questa nomina? Perché a quella che sembrerebbe una vicenda squisitamente locale si interessano addirittura personalità internazionali?
La paura è che si vada a minare quello che a oggi nel nostro paese risulta essere un sistema di gestione di salute mentale che funziona, rispettoso dei pazienti ed efficace nel promuovere il loro benessere e (non sono cose scollegate) l’unico esempio in Italia di continuità e fedeltà nell’attuazione della legge 180. Modello che - da qui l’interesse internazionale - ha rappresentato e rappresenta un riferimento globale che ha più volte, anche di recente, ricevuto il plauso di realtà del calibro dell’Organizzazione mondiale della Sanità.
Concorso a porte chiuse
Quello che i firmatari della lettera sostengono è che - anche alla luce di presunte irregolarità nel concorso stesso - ci sia una palese voglia di minare dal di dentro questo modello, inserendo ai vertici della sua gestione medici in aperta opposizione.
Come spiega sulle pagine de “Il piccolo" Franco Rotelli, ex-direttore del DSM triestino e figura storica nella riforma psichiatrica, la procedura del concorso desta più di qualche perplessità. Quello che era il candidato con il maggiore punteggio per curriculum, uno psichiatra che lavora da oltre trent’anni nelle strutture triestine, docente universitario, che ha presentato nel suo curriculum diverse decine di titoli (72 pubblicazioni, scrive Rotelli, molte in riviste internazionali di grande autorevolezza) è stato superato largamente - dopo una prova orale di pochi minuti, a porte chiuse, in assenza del direttore del Dipartimento - da un candidato che era ultimo in graduatoria e con “in dote” due sole pubblicazioni e qualifiche meno brillanti.
Coloro che contestano la nomina aggiungono inoltre che della prova orale non è nemmeno possibile conoscere i dettagli poiché non riportati nei verbali, dove si trovano solo valutazioni standard uguali (al netto degli aggettivi “sufficiente”, “discreto”, “buono”, “ottimo”...) per tutti i candidati.
Il vincitore inoltre risultava per curriculum e titoli fra gli ultimi anche nella rosa più ampia di otto candidati, dalla quale sono stati scelti i tre “papabili” finali, dove invece il terzo candidato finale risultava in assoluto il primo.
“Con l’aggravante - aggiunge Roberto Mezzina, psichiatra e ultimo direttore ufficiale del DSM di Trieste (fino al 2019) - che il direttore generale dell'Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina (ASUGI), che può scegliere il candidato a sua discrezione nella rosa dei tre, ha preferito quello con il curriculum peggiore, nonostante la sua scarsa esperienza.” La classifica finale di tre candidati infatti non rappresenta in sé un’attestazione conclusiva ma solo un pool di scelte dalle quali il direttore generale può pescare facendo le debite considerazioni.
L’Azienda sanitaria del Friuli-Venezia Giulia da noi contattata in merito alla vicenda si è limitata, tramite l'ufficio stampa, a una lapidaria risposta via e-mail sottraendosi a un’intervista più articolata. Così scrivono: “Riguardo la ‘notevole eco mediatica’, come lei riporta, in merito l'esito di una regolare procedura concorsuale espletata secondo la norma Balduzzi, la Direzione non ha nessuna dichiarazione da aggiungere”.
La tesi di Mezzina, Rotelli e gli altri, tuttavia è che la politica abbia prevalso su competenze e buonsenso. Ricordiamo qui - anche se ormai dopo due anni di emergenza pandemica la cosa è abbastanza chiara a tutti - che la gestione della sanità è ampiamente regolata dalle regioni, e che la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia oggi è guidata da una coalizione di destra, formata da partiti che storicamente hanno combattuto strenuamente la legge 180 fin dalla sua nascita.
Chiaramente le accuse sono state prontamente rispedite al mittente, e bilanciate da una serie di contro-accuse: gli psichiatri basagliani vorrebbero solo difendere il loro orticello e non lasciare entrare “nel sistema” figure che non fanno a capo alla loro scuola di pensiero.
L’importanza dei Centri di salute mentale
Una delle cose che potrebbe sorprendere il “lettore ingenuo”, è l’enorme polverone sollevato intorno a una nomina che per quanto importante a livello locale, potrebbe apparire marginale in un quadro complessivo: si tratta pur sempre del direttore di uno solo dei quattro Centri di salute mentale (21 a livello regionale) di Trieste
L’importanza della nomina, tuttavia, si attesta a diversi livelli. Uno di questi è sia simbolico che pratico. I Centri di salute mentale sono l’essenza del “sistema Trieste” e riassumono l’etica basagliana. “I CSM sono la struttura inventata a Trieste da Franco Rotelli nel 1975, con Basaglia direttore, diffusa prima a Trieste poi in tutta la regione, realizzata adesso anche in altre regioni italiane, dove però spesso si applica in maniera molto minimale. Questa struttura è stata realizzata anche in alcune parti del mondo tra cui il Brasile, che ha adottato questo modello per i Centros de Atenção Psicossocial (CAPS). Anche altre esperienze in giro per il mondo hanno mutuato questa idea,” spiega Mezzina.
Il CSM è la struttura portante dell'assistenza territoriale. Ogni centro è basato su un'équipe che si muove sul territorio e le persone che ne hanno bisogno vi accedono in maniera libera, senza cioè quell'invio da parte del medico di base o chi per lui, senza formalità. “Vengono quando vogliono, quando sono in crisi, quando gli pare”, puntualizza Mezzina. “Questa è un’altra eccezionalità. Queste persone possono essere ospitate dalla stessa équipe che le conosce e che le segue attraverso un piccolo numero di posti letto dentro la struttura. Si tratta quindi di un’assistenza territoriale. Che è di per sé è una bestemmia per una psichiatria ospedaliera che vede il posto letto solo in ospedale.”
L’eccezione della realtà triestina (e più in generale del Friuli-Venezia Giulia) è la continuità nell’applicare un approccio di cura e accoglienza del malato mentale, che anziché mettere i malati dentro un ospedale, vestendoli con un camice, magari usando la contenzione come visto più volte in altri luoghi (anche con conseguenze gravissime), li lascia liberi, con i propri vestiti, circondati da amici e familiari, in un posto accogliente che somiglia a una casa. Gli operatori inoltre conoscono bene la persona, mentre in altre realtà italiane il malato mentale in crisi viene spesso affidato a medici e assistenti sanitari sconosciuti che devono rifare tutta la valutazione diagnostica, oltre che ricostruire da zero il rapporto di fiducia con la persona.
“Tutto ciò è una garanzia di maggior continuità, maggiore umanità dell'assistenza e maggiore efficacia, perché sulla base del rapporto di fiducia si costruiscono le azioni terapeutiche. Questo, in base alla ricerca, è uno degli indicatori del buon esito di un trattamento”, conclude Mezzina.
Situazione incerta
La nomina del direttore di un CSM, tuttavia, è importante anche a un livello più prosaico: chi ricopre questa carica entra infatti automaticamente in lizza per il posto di direttore del Dipartimento di salute mentale. Questa crisi attuale si inserisce in un momento di stallo e insieme di imminente ristrutturazione dei servizi di salute mentale regionale. Basti dire che da oltre un anno e mezzo (da quando cioè Mezzina non è più direttore del DSM di Trieste) questo è gestito da una “direttrice facente funzioni”, la dottoressa Elisabetta Pascolo.
Una situazione anomala, perché “di solito il facente funzioni non potrebbe stare in carica più di 6 mesi, massimo un anno”, spiega Mezzina. Ma non basta, oltre al direttore vacante, c’è imminente un cambio di assetto strutturale dei servizi di salute mentale dell’Azienda sanitaria Giuliano Isontina: verranno infatti presto pubblicati gli atti aziendali in cui un'azienda definisce la sua organizzazione, il suo funzionigramma e organigramma. Tutto ciò desta preoccupazioni rispetto a possibili tagli e riduzioni.
Insomma non si tratta di un periodo di grande serenità, da qui i nervi tesi.
Soprattutto, da un lato c’è chi crede che i fatti recenti si inseriscano in una lunga battaglia fra destra e sinistra sulla legge 180, con la volontà di smantellare quanto di buono fatto a Trieste e nel Friuli-Venezia Giulia negli ultimi quarant'anni.
Dall’altro lato, i commentatori di sponda opposta (non l’Azienda sanitaria, va precisato, che non ha dichiarato pubblicamente nulla più di quanto riportato anche in questo articolo) insinuano che la reazione sia dettata solo dalla volontà di non fare entrare elementi estranei in quella che viene vista come una roccaforte basagliana. Del merito sulle competenze e le intenzioni del designato nuovo direttore invece non si sa praticamente nulla.
Intanto però è in via di presentazione un ricorso ufficiale: “Gli elementi di procedura sono al momento al vaglio. Adesso ci sarà un ricorso e quindi verranno valutati. Da quello che ho potuto appurare il concorso si è svolto a porte chiuse: i candidati non hanno potuto ascoltare quello che gli altri dicevano. Sono stati fatti allontanare, è stata una scelta sbagliata”, conclude Mezzina. Si preannuncia un’estate calda.
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