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Hegel
non è un autore facile. Il suo pensiero è sottomesso alla stessa
legge di ciò di cui è legge. Tutto ciò imprime al suo sistema una
forma piuttosto contorta e difficilmente afferrabile. In più, il
tempo è inteso come un fiume che mi trascina, ma sono io il fiume,
una tigre che mi sbrana, ma sono io la tigre, un fuoco che mi divora,
ma sono io il fuoco (Borges). Avere ragione di questo processo
significa andare fino in fondo, vedere la fine, mettersi alla prova.
Ma la prova non è un esperimento, un saggio o una verifica. È
piuttosto un errare, costellato di difficoltà e sconfitte.
Come
in un romanzo di formazione, la prova è un mettersi in cammino
attraverso cui il protagonista della narrazione può, alla fine del
tragitto, giungere alla conquista della verità su se stesso e sulla
vita.
La
sua ricerca su Hegel inizia con «Finalità e soggettività. Forme
del finalismo nella Scienza della logica di Hegel»*, e termina con
«Hegel. La dialettica». Si tratta di un cammino – e non potrebbe
essere altrimenti, visto che qui in causa c’è proprio Hegel – un
cammino iniziato con un libro molto tecnico, e chiuso con un libro
altrettanto rigoroso, ma accessibile a un pubblico di non addetti ai
lavori. Cosa ha determinato questo cambiamento di rotta, questo
passaggio a una scrittura apparentemente più semplice e lineare, ma
in realtà molto più sorvegliata?
I
due libri hanno innanzitutto due destinazioni diverse. “Finalità
e soggettività” era la mia tesi di perfezionamento in Normale.
Si trattava di una ricerca sul significato del finalismo hegeliano
condotta a partire da un’analisi degli ultimi capitoli della
Scienza della logica di Hegel. Al finalismo ero arrivato da un
confronto tra la filosofia della storia di Hegel e altre filosofie
della storia grosso modo contemporanee (era stato l’oggetto del mio
secondo colloquio in Normale). Era abbastanza naturale risalire da lì
alla summa logica del pensiero hegeliano. Ovviamente, arrivato
alla Scienza della logica, mi accorsi che il finalismo di
Hegel aveva una portata molto più vasta della sua applicazione ai
processi storici, e anche che esso era qualcosa di sostanzialmente
diverso dal vitalismo a cui spesso viene accostato. La finalità è
per Hegel lo strumento concettuale essenziale per spiegare la
soggettività, ossia le strutture più complesse del reale: gli
esseri viventi, gli esseri umani, la società e la storia, il
pensiero stesso. Nel mio testo ponevo tra l’altro a confronto
l’approccio di Hegel con la cibernetica, la teoria generale dei
sistemi e quella – molto in voga negli anni Ottanta –
dell’“autopoiesi”. Per giungere alla conclusione che gli schemi
concettuali hegeliani erano tutt’altro che incompatibili con questi
tentativi di comprensione del vivente e più in generale dei sistemi
complessi.
Il
mio ultimo libro, “Hegel. La dialettica”, non è un testo
di ricerca, ma una vera e propria introduzione a Hegel. Il suo
obiettivo è quello di avvicinare il lettore (lo studente delle
superiori, lo studente universitario, ma anche la persona che per
curiosità intellettuale voglia capire il pensiero di Hegel) alla
filosofia hegeliana. Per questo il linguaggio adoperato è il più
possibile semplice. Lo sviluppo del pensiero di Hegel è seguito
ripercorrendo i contenuti delle sue opere e delle sue lezioni, per
poi offrire una sintesi, nel capitolo che chiude la prima parte del
volume (“Pensare con Hegel”), dei caratteri generali della
filosofia hegeliana, del significato di “dialettica” e
“contraddizione” in Hegel, e infine presentare alcuni usi
successivi del suo pensiero (in qualche caso piuttosto sorprendenti).
Questa parte del libro è seguita da una seconda, che contiene alcune
pagine particolarmente significative tratte dalle opere di Hegel e da
testi critici su questo pensatore.