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Quali sono le scelte politiche che ci hanno condotto all’attuale drammatica condizione?
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Penso che un’azione politica importante da intraprendere sia quella di demistificare l’insistente discorso con cui l’ideologia dominante, trasmessa quotidianamente dai vari telegiornali, talk show etc., a cui purtroppo attinge la maggior parte della gente comune, ci fa credere che tutto è sotto controllo e che potremo tornare alla soddisfacente situazione prepandemia, se ci fideremo ciecamente dei nostri governanti.
Nulla di più falso, perché il prima era già di per sé catastrofico per una serie di fattori, riconosciuti da tutti anche se non adeguatamente collegati al presente, quali la disoccupazione di massa, la precarizzazione del lavoro, che non assicura ai precari una vita degna, lo sfascio delle infrastrutture (non solo il ponte di Genova), la polarizzazione delle classi sociali con relativo aumento delle disuguaglianze, la crisi di istituzioni importanti per la dinamica democratica come la scuola e l’università, lo svuotamento culturale della politica ridotta a miserevole opportunismo. Si pensi che dalle elezioni del 2018, 31 senatori hanno cambiato partito e non solo una volta, mentre 62 deputati hanno fatto lo stesso, in particolare al senato tre senatori del M5 stelle sono passati alla Lega, mostrando eufemisticamente di avere le idee molto confuse.
Tale svuotamento e tale confusione mentale, radicati nell’opportunistica convinzione che non ci sia più una destra e una sinistra, sta ad indicare sempre più che la vera politica si fa altrove e che i “rappresentanti del popolo” sono solo degli insignificanti fantocci, ma che taluno prende ancora sul serio come mostra lo spazio che la TV di Stato accorda loro. Non è un caso che taluno abbia definito Giuseppe Conte una specie di maggiordomo privo di qualsiasi forza di convinzione [1].
Naturalmente la catastrofe italiana, i cui aspetti indicherò in maniera sommaria, si inscrive nella dinamica complessiva del sistema capitalistico e la sua crisi esplosa nel 2007-2008 così descritta da Luciano Gallino: “Al fine di superare la stagnazione dell’accumulazione del capitale in America e in Europa, una situazione evidente già negli anni ‘70 del secolo scorso, i governi delle due sponde dell’Atlantico hanno favorito in ogni modo lo sviluppo senza limite delle attività finanziarie, compendiandosi nella produzione di denaro fittizio. Questo singolare processo produttivo ha il suo fondamento nella creazione del denaro dal nulla tramite il credito, vuoi per mezzo della gigantesca diffusione di titoli totalmente separati dall’economia reale, quali sono i “derivati”, a fronte dei quali…non prende corpo alcuna compravendita di beni e servizi…” (Il colpo di Stato di banche e governi, 2013: 3).
Si è generato così il complesso politico-finanziario, fondato su uno stretto vincolo tra politica e finanza, costituito dagli operatori finanziari, dalle banche, dalle varie società finanziarie, dagli intellettuali collocati in prestigiose Università come Harvard e Stanford, e dai politici, che per tappare le falle provocate dalla sregolatezza finanziaria e dell’accumularsi dei debiti bancari hanno imposto severe politiche di austerità. Per convincere le masse popolari, sull’onda di un autoritarismo emergenziale, hanno puntato il dito contro il debito pubblico, facendoci credere che fino ad allora (gli anni ’80 quando la crisi era già cominciata da un pezzo) “avevamo vissuto al di sopra della nostre possibilità”, quando di fatto la spesa pubblica non era mai stata all’altezza dei bisogni dei cittadini.
Come osserva ancora Gallino, le politiche di austerità ci hanno spinto sempre più nel baratro della recessione, nel mezzo della quale è apparso il famoso virus, in realtà previsto ma occultato, benché i governanti europei sapessero molto bene che esse avrebbero prodotto questa catastrofe (Ibidem). Ma il loro obiettivo non è stato mai né ora né prima di risanare l’economia – continua lo studioso italiano –, “piuttosto quello di proseguire con ogni mezzo la redistribuzione del reddito, della ricchezza e del potere politico dal basso verso l’alto in corso da oltre trent’anni” (Ibidem).
A questa puntuale analisi Gallino aggiunge anche i terribili costi sociali, di cui sono responsabili i gruppi su menzionati: 120 milioni di europei a rischio di povertà, milioni di disoccupati e di sottoccupati, milioni di persone hanno perso le loro case per non poter pagare il mutuo e altri milioni i loro risparmi (Ibidem). Tutti dati che stanno peggiorando ulteriormente dopo che il coronavirus ha accelerato la crisi in atto.
Pur con le sue particolarità, la gravissima crisi italiana si colloca in questo contesto e comincia quando nel luglio del 1992 (l’Urss si era dissolta) il governo di Giuliano Amato decide di imporre un prelievo forzoso sui conti correnti del 6 X 1.000 in seguito al crollo della lira dovuto allo speculazioni del celebre George Soros e al rifiuto della Germania di varare un apprezzamento del marco.
Questo significativo passo era stato preceduto dalla celebre lettera di Beniamino Andreatta, ministro del Tesoro, al governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi datata 1981. In tale lettera si prefigurava la separazione tra il ministero e la Banca allo scopo di garantire una moneta stabile e indipendente dai decisori della spesa pubblica, rispettosa del vincolo di bilancio, e di controllare la dinamica salariale per evitare fenomeni inflattivi (nel 1980 in Italia l’inflazione superava il 20%).
Tale svolta era influenzata dalla dottrina di sicurezza americana basata sulle teorie finanziarie e monetariste degli economisti di Chicago, imposte a livello internazionale da Reagan e dalla Thatcher. Il divorzio tra le due istituzioni italiane ha fatto sì che i tassi di interesse reali siano tornati "stabilmente su livelli positivi" favorendo il rientro dall'inflazione, mentre per finanziare il debito pubblico è diventato necessario ricorrere sempre più al mercato finanziario, giacché la Banca di Italia [2] non acquista più i titoli invenduti e non si procede alla creazione di nuova moneta. Il risultato di questa operazione è stato che: dopo dieci anni dal divorzio il fabbisogno annuo del settore statale si colloca ancora tra il 10 e l’11% del PIL; il rapporto tra debito e debito pubblico e prodotto supera il 120 % del prodotto nel 1994 e si calcola che giungerà a causa dei futuri indebitamenti al 160, se non oltre.
In questo contesto, in cui l’Italia, basata su uno Stato imprenditore, era sconvolta dagli attentati mafiosi e dalla cosiddetta Tangentopoli, il cui scopo era probabilmente il ricambio al peggio della classe dirigente, viene avviata svendita del patrimonio pubblico italiano costituito tra l’altro da IRI, STET, TELECOM, ENI etc. che ha prodotto un generale impoverimento. Il processo è lungo e vede implicati personaggi importanti tra cui in primis Romano Prodi, “padre nobile della patria”, Mario Draghi, aspirante alla presidenza della Repubblica, Carlo De Benedetti tra gli altri.
Possiamo distinguere due aspetti principali in questo processo: il primo è rappresentato dall’attacco al modello sociale europeo (Stato del benessere) con la scusa del debito pubblico, ma in realtà prodotto – come scrive ancora Gallino – dalle dottrine neoliberiste, il cui obiettivo è stato quello di “riportare nello spazio del mercato tutto quanto era stato sottratto a esso dallo sviluppo dello stato sociale. In questa prospettiva, l’austerità che si vuole applicare a qualunque costo al settore pubblico non sarebbe dunque il fine, bensì lo strumento prescelto per legittimare il perseguimento finale del progetto” (Ibidem 225).
Il secondo, invece, è legato allo stesso processo di finanziarizzazione basato sull’aumento di valore delle transazioni finanziarie, il quale ha generato importanti trasformazioni regolative come la liberazione delle transazioni finanziarie, le privatizzazioni, la precarizzazione generalizzata del lavoro, la totale depoliticizzazione delle decisioni economiche. Anche i settori dell’economia fondamentale (produzione alimentare, la distribuzione dell’acqua e dell’energia, la sanità, l’istruzione, i trasporti etc.) sono stati riplasmati per “perseguire extraprofitti e rendite, elevando la massimizzazione della reddittività del capitale investito a principio-guida dell’azione” (A. Salento e A. Tafuro, Quaderni di Sociologia, Finanziarizzazione e disuguaglianze, 2018). Processo che Gallino ha definito con il termine efficace di finanzcapitalismo, con il quale voleva sottolineare che la finanziarizzazione è l’altra faccia della cosiddetta globalizzazione.
Credo sia ormai noto che le privatizzazioni delle partecipazioni statali sia stata decisa nel giugno del 1992 (poco prima del prelievo forzoso) nello yacht Britannia di proprietà della Corona britannica, ormeggiato nel porto di Civitavecchia, su cui salirono importanti personaggi [3] per contrattare col mondo finanziario anglosassone. Si trova persino la lista delle privatizzazioni in wikipedia. Rimando a questa voce dell’enciclopedia, sottolineando che i governi, i cui esponenti ora si atteggiano a responsabili salvatori della patria, appartengono alle forze politiche che ci governano e che stanno all’opposizione. Menziono brevemente la privatizzazione dello SME avvenuta nel 1993 con la Nestlé che acquisisce significativi settori alimentari; tra il 1991 e il 2001 si procede ad altre privatizzazioni tra cui l’ENI, Il cui patrimonio edilizio è acquistato dalla Goldman Sachs e altre aziende della SME. Nel 1999 con il decreto Bersani viene liberalizzato il mercato dell’energia elettrica, nel 2000 viene decisa quella del gas e così via.
Il noto costituzionalista Paolo Maddalena ha criticato aspramente queste decisioni politiche, sostenendo la tesi che esse hanno tolto al popolo italiano le sue risorse principali e in questo modo lo hanno impoverito, lasciandolo in balia delle volatili e spietate decisioni dei mercati. Sulla base di questo ragionamento ha ritenuto incostituzionali tali leggi privatizzanti ed ha lanciato un referendum, sperando di suscitare il desiderio di rivalsa in un popolo stremato, amareggiato ma speriamo reattivo.
Note
[2] Si tenga presente che nel 2005 il 94, 55% la proprietà della Banca era in mano di banche e assicurazioni private, mentre solo il 5,66% era controllato da INPS e INAIL. Il D.P.R. del 12 dicembre 2006, firmato da Prodi, Napolitano e Padoa Schioppa cancellò ogni forma di controllo pubblico sulla Banca.
[3] Questi personaggi sarebbero stati Mario Draghi, Riccardo Gallo dell’IRI, Giovanni Bazzoli dell’Ambroveneto etc. ricevuti dalla Regina in persona (https://archive.movisol.org/09news177.htm).
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