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L’intellettuale americano afferma che il potere degli Stati Uniti è dannoso all’umanità e ne analizza le diverse sfaccettature.
Pochi giorni fa Telesur, la televisione latinoamericana voluta da Hugo Chavez, ha intervistato Noam Chomsky, probabilmente il più importante studioso di linguistica al mondo e lucido analista politico controcorrente, le cui riflessioni hanno sempre una certa risonanza soprattutto al di fuori dei mass media dominanti. Infatti, non mi risulta che i mass media internazionali abbiano dato molto risalto a questo suo ultimo intervento, pur avendo dedicato spazio ad interviste precedenti [1].
Chomsky ha esordito affermando che il potere degli Stati Uniti è dannoso all’umanità, ma che assicura tutti i vantaggi possibili all’oligarchia governante. Nella sua interessante analisi ha osservato che la politica statunitense si sviluppa attualmente su due livelli; da un lato, l’attenzione del mondo è focalizzata sulla figura di Donald Trump, che è un uomo di spettacolo, presentato come un pazzo e non sappiamo se cosciente del proprio ruolo. Se non si agisse in questo modo, se non si desse spazio a tutte le bugie che racconta attirando moltitudini, nessuno si preoccuperebbe di lui né gli presterebbe attenzione. Dall’altro, nello sfondo dietro le quinte, l’oligarchia, in particolare nella persona di Paul Ryan, presidente ultraconservatore della Camera dei rappresentanti, opera con sistematicità per smantellare quel che rimane dei diritti del lavoro, della protezione dei consumatori, della difesa dell’ambiente.
L'oligarchia repubblicana si preoccupa solo della borsa e non di due problemi fondamentali quali il riscaldamento della terra e la guerra nucleare, che provocherebbero lo sterminio dell'umanità e la fine della civiltà. Quest’ultima si realizzerà se non si rallenta il riscaldamento del globo terrestre o si scatena una guerra nucleare. Le azioni di Trump non fanno altro che acuire questi problemi, prefigurando da un lato una possibile guerra nucleare; dall’altro con la decisione unilaterale di ritirarsi dagli accordi di Parigi sul clima e con il non rispetto dei parametri stabiliti. Nel suo discorso annuale Trump ha parlato del carbone pulito, che è invece assai contaminante. Tutto ciò è accompagnato dai tagli agli investimenti alla ricerca sull’individuazione di fonti di energia rinnovabile.
Non bisogna cadere nell’errore di credere che queste scelte politiche – continua Chomsky – siano responsabilità del solo Trump; esse sono condivise da tutti gli esponenti più importanti del partito repubblicano, come per esempio Rex Tillerson, segretario di Stato e presidente della Exxon Mobile. Essi sono stati informati dagli scienziati che l’uso del petrolio ha effetti nocivi, e la cosa è di dominio pubblico da anni. D’altra parte, Trump conosce le conseguenze negative dell’impiego delle energie non rinnovabili e ciò è dimostrato dal fatto che ha costruito un muro per difendere i suoi numerosi campi da golf dal possibile innalzamento del livello del mare. Ciò nonostante i politici repubblicani non fanno niente, mostrando sostanzialmente di essere dei criminali, dal momento che continuano con le loro politiche dannose, perché da esse ricavano vantaggi economici.
Da queste considerazioni il linguista statunitense evince che il partito repubblicano costituisce l’organizzazione più pericolosa che è mai apparsa nella storia dell’umanità. Se arriviamo a compararli con la figura di Hitler, vedremo che questi non si proponeva di distruggere il futuro dell’esistenza umana (magari solo di una parte); invece, questi politici criminali perseguono apertamente questo fine, pur essendo persone istruite e non certo dei fondamentalisti religiosi, e al solo scopo di guadagnare sempre più [2].
Chomsky sottolinea che le sue considerazioni sono ispirate anche dagli scienziati, analisti politici e studiosi che fanno parte del Doomsday Club [3] che in un rapporto annuale stimato attraverso un’orologio metaforico il tempo che ci separa dalla completa distruzione della nostra civiltà (l’‘apocalisse’). Secondo questo orologio, che scorre avanti o indietro a seconda delle minacce in campo, mancherebbero nel 2018 solo 2 minuti all’evento irreparabile.
Quanto al potere oggi declinante degli Stati Uniti, il linguista statunitense afferma che esso raggiunse il suo culmine nel 1945, quando essi controllavano praticamente tutto il mondo. Molto rapidamente, però, il loro dominio cominciò a deteriorarsi. Nel 1949 la Cina si rese indipendente e si costituì come Repubblica Popolare, fatto che fu interpretato dagli Stati Uniti come la perdita del loro dominio mondiale, perché questo immenso paese non poteva più essere controllato. Nel dopoguerra l’Europa ricostruì la sua economia e la sua industria, il processo di decolonizzazione cambiò il volto del mondo. Negli anni ’70 gli Stati Uniti controllavano il 25% dell’economia mondiale. All’epoca il mondo era tripolare: le potenze economiche erano rappresentate dagli Stati Uniti in America, dalla Germania in Europa e dal Giappone in Asia, prima dell’emergere dell’economia cinese.
Dal punto di vista militare e tecnologico gli Stati Uniti sono oggi più avanzati degli altri paesi, mentre economicamente si stanno indebolendo, anche se a partire dagli anni ’90 con la cosiddetta globalizzazione neoliberale non è più opportuno parlare di potenza nazionale, ma bisogna tenere conto del potere effettivo delle corporazioni. Secondo uno studio condotto da scienziati, analisti politici e diplomatici quelle statunitensi sono padrone della metà del mondo e sono interamente intrecciate con lo Stato, che di fatto è da loro governato. Esse controllano tutti i settori: industria, finanza, commercio etc. Secondo il linguista statunitense queste trasformazioni dovrebbero suggerirci di ripensare la nostra nozione di potere e portarci alla conclusione che, nonostante il declino economico, gli Stati Uniti continuano a primeggiare mediante l’espansione delle loro corporazioni.
Quanto all’attività della CIA Chomsky ritiene che essa non agisca di sua iniziativa, ma che al contrario faccia esattamente ciò che gli viene ordinato e costituisca il braccio esecutivo del governo; in questo modo quest’ultimo ha la possibilità di scaricare su questa istituzione tutte le atrocità che accadono o gli errori commessi. Per questa ragione l’America Latina ha espulso i suoi agenti da venti anni. “Ricordo, per esempio, – continua Chomsky – che Rafael Correa affermò che gli Stati Uniti potevano mantenere la loro base militare in Ecuador, se avessero permesso al suo paese di costruirne una a Miami”.
Interessanti sono anche le riflessioni dello studioso statunitense sul concetto di ‘intervento umanitario’, che è il modo per giustificare ogni ingerenza aggressiva compiuta da una delle potenze mondiali, ovviamente non considerata tale dalle sue vittime. Menziona il bombardamento della Serbia del 1999 da parte della Nato, ossia degli Stati Uniti, giustificato con il fatto che si doveva poner termine alle atrocità compiute dai serbi contro gli albanesi, i quali d’altra parte organizzavano attentati terroristici in quel paese, proprio per sollecitarlo; bombardamento che di fatto scatenò tali atrocità, che perlopiù si verificarono dopo l’intervento.
Da questo momento il problema dell’intervento umanitario entrò nell’agenda internazionale e a questo proposito Chomsky riporta due importanti decisioni prese nell’ambito delle Nazioni Unite. Queste ultime formularono una risoluzione sulla necessità formale di proteggere i popoli dalle azioni aggressive e repressive dei loro governi, ma non militarmente. In secondo luogo, sempre su questo tema la Commissione presieduta dall’ex primo ministro australiano Gareth Evans (International Commission on Intervention and State Sovereignty, 2001) aggiunse un altro elemento: nel caso in cui il Consiglio di sicurezza non autorizzi l’ingerenza militare, organizzazioni regionali possono intervenire con la forza a difesa degli ‘oppressi’, richiedendo solo in seguito l’approvazione ONU. Qual è – si chiede Chomsky – l’unica organizzazione regionale in grado di intervenire in situazioni che richiedano l’uso della forza? La Nato ovviamente, ossia gli Stati Uniti. Pertanto, ciò significa che la Commissione Evans ha deciso che tali interventi solo legali, benché essi siano in contraddizione con quanto stabilito in termini generali dalle stesse Nazioni Unite.
Da questo punto di vista anche il bombardamento della Libia, che ha provocato il disgregamento di questo paese un tempo stabile e con un tenore di vita accettabile, può essere interpretato come un intervento umanitario volto contrastare la ferocia de Gheddafi. Richiamandosi a queste decisioni degli Stati Uniti, Chomsky osserva che la “responsabilità di proteggere” è diventata legale anche se implica azioni militari, e ciò è reso possibile dalle conclusioni cui è giunta la Commissione Evans, non dalla risoluzione dell’Assemblea generale riferita in precedenza. Ma il sistema di propaganda mette in risalto soltanto quanto deciso dalla Commissione per rendere accettabili e persino auspicabili le guerre, che in questo stesso momento si stanno combattendo in tanti paesi del mondo.
Aggiungo per concludere che questo dibattito sull’ingerenza umanitaria ricorda molto le secolari riflessioni sulla guerra giusta sviluppatesi nel seno della Chiesa cattolica, la quale alla fine l’ha considerata legittima come ultima ratio, come del resto confermano le parole di Papa Wojtyla: “Non sono un pacifista”.
Note:
[1] In una di queste dichiarava che, pur non apprezzando Putin, comprende la sua politica, perché la Russia è accerchiata e Clinton e Obama hanno chiesto all’Ucraina di entrare nella NATO. Si comporta come si comporterebbero gli Stati Uniti se il Messico avesse aderito al Patto di Varsavia.
[2] Sono fondamentalisti del profitto.
[3] Il club del giorno del giudizio universale o dell’apocalissi.
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